Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Recenti indagini hanno riportato all’attenzione la fluitazione che gravitava sul Brenta e le connesse pratiche, paragonabili per l’importanza economica alle analoghe operazioni nel bacino del Piave. Queste analisi riguardano essenzialmente il periodo che si estende dai primi decenni del Quattrocento a tutta l’epoca moderna[1]. Lo schema che qui si propone, in raccolta di altre e con l’aggiunta di nuove informazioni, concerne invece l’esordio dell’attività, considerata precipuamente dal punto di osservazione bassanese. La rubrica statutaria del 1259, «De lignis et lignamine qui veniunt sosum per Brentam», segnala per la prima volta il trasporto sulla via d’acqua del materiale il cui furto è sanzionato da un’ammenda comunale e col risarcimento del danno al proprietario, sia egli di Bassano o di altro luogo (vel aliunde). Qualche indicazione meno erratica, a distanza di decenni, si ricava dagli statuti del 1295. La rubrica «De lignamine Brente non disolvendo» ne punisce lo scioglimento doloso nel distretto bassanese, si trovi esso (composto) sul fiume o (ritirato) sulla riva, con un riferimento indiretto eppure ben comprensibile alla fluitazione legata del legname, con le zattere. Nello stesso anno, non è chiaro se fosse prodotto (prelavorato) nella nostra zona quel «lignamen laboratum» di cui si vietava l’incauta trattenuta nel caso di arenamento sulle isole fluviali, finito lì per una piena del Brenta. Il commercio lungo il fiume era però praticato con buona probabilità già nel XII o, con maggiore cautela, all’attacco del XIII secolo (fig.1).

ArchivioComunaleStatuti

 1. Norme sulla fluitazione del legname in tre brani documentari dall'Archivio Comunale. Statuti bassanesi del 1259 (primo, in alto) e del 1295 (in basso). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, 4. Statuti e privilegi, vol. 1 (part.) (1259), libro III, c. 24r e vol. 2 (1295), libro IV, cc. 95v – 96r.

Ai segatori veneziani, integrati nell’Arte dei carpentieri, erano infatti ormai ben note nel 1262 le assi (plancones) di larice e di due varietà di abete che venivano da Bassano, elencate insieme con le altre che arrivavano dalla Valsugana, dal Cadore e da Trieste. A questa data così precoce il tavolame bassanese aveva già ricevuto un suo riconoscimento merceologico nella metropoli di Venezia riconfermato, ancora lì, nella prima metà del Trecento. È credibile che già all’epoca e a maggior ragione in seguito il legname esportato (le specie resinose in particolare) non fosse estratto dal territorio comunale di Bassano che, ormai impoverito di boschi e con ciò che ne restava sotto stretta tutela, fungeva da centro di raccolta e di smistamento di quanto arrivava da zone di montagna o di pedemonte, non sempre individuabili con precisione. Guardando all’anno 1262 è pressoché impossibile che Ezzelino III, che della sua desiderata Bassano era stato il potente dominus, e prima di lui il fratello Alberico e il padre non avessero avuto parte o esercitato un controllo su questo traffico. Tra i diritti di muda che dopo la morte di Ezzelino nel 1259 vennero incamerati dai nuovi dominatori, il comune di Vicenza e poi quello di Padova, figurano insieme con gli altri sulle porte del borgo anche la quarta parte del ripatico (rivaigi) del Brenta, che poteva comprendere in sé la potestà di esigere dazio sull’approdo e l’imbarco di natanti (anche del tipo delle zattere, di conseguenza). Del resto, il padre di Ezzelino e di Alberico, Ezzelino il Monaco, già nel 1218 beneficiava della metà della rendita della «muda del Piave», prelevata essenzialmente sul flusso del legname e localizzata, a cavallo del fiume, tra Busche e Cesana. Gli enti territoriali che ripresero potere dopo l’eliminazione degli Ezzelini confermarono da subito l’attenzione economica e politica per questo genere di trasporto. Nel settembre del 1260, per esempio, il comune di Padova otteneva per i suoi cittadini da quello di Vicenza, che allora dominava Bassano, l’esenzione dei dazi «per terra e per acqua» - per le zattere di proprietà padovana, viene da dire - lungo quel Canale di Brenta (da Primolano a Bassano) verso il quale gravitavano ricchi bacini forestali[2]. La fluitazione era soggetta a imposte che, per la loro particolarità e in difetto di un’adeguata documentazione, danno adito a una serie di dubbi sulla loro natura e sul modo in cui potevano venir percepite. Sono un dazio di consumo i 4 denari per lira di valore che si applicavano sulla vendita nel mercato bassanese delle legne «que ducuntur per flumen Brente» nel 1295, escludendo dal prelievo, come parrebbe, il legname lavorato di montagna. Convenuti tra Venezia e Padova, nel 1312, dovrebbero invece corrispondere a un dazio di transito, quello consueto del comune di Padova, i 12 denari per lira di valore della merce che incidevano sul suo trasporto dalle parti di Bassano e lungo il Brenta fino a Chioggia e al mare. L’accordo era riproposto nel 1330 (quando, però, la città del Santo era dominata dagli Scaligeri) con la significativa precisazione che la tariffa dei 12 denari valeva solo nel caso che il legname, condotto dai Veneziani o da forestieri, fosse andato direttamente in laguna; la clausola non si applicava invece – nell’evidente interesse degli Scaligeri – se i forestieri avessero sbarcato a Padova il materiale o l’avessero lì tenuto per più di quindici giorni. Non insistendo con puntuali analisi, va almeno aggiunto che la questione dell’esenzione o della limitazione delle tariffe fiscali sulle merci veneziane che andavano per il Brenta si ripropose anche dopo il 1330 e persino ancora oltre la conquista veneta dell’entroterra nel 1404-1405. Visto che i trattati parlano di Padova qual’era all’epoca la potestà doganale di Bassano e come e dove veniva propriamente esercitata? Quanto di essa sappiamo con precisione per la seconda metà del Quattrocento non corrisponde necessariamente, anche sotto il profilo topografico, alla sua pratica nella parte centrale del Trecento. Si può invece presumere con buon fondamento che il Ponte Vecchio (riferito dal 1209), ancorato su rive di diversa giurisdizione ma appartenente al comune di Bassano anche nella sua intestatura orientale, abbia rappresentato la condizione del diritto al pedaggio perché si pretendeva che la pur limitata strettoia sotto le arcate facesse parte del territorio bassanese (figg.2-3).

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2. Francesco e Leandro Dal Ponte, Pianta della città di Bassano (1583-1610) (part.). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, Mappe, n. 10.
- È figurato nel XVI – XVII secolo, il periodico e incessante flusso delle zattere a monte e a valle del Ponte Vecchio che permetteva, anche per la via d’acqua, il passaggio di un confine.
-3 Al Porto di Brenta, qui rappresentato con l’omonima porta d’accesso alla città, attraccavano i convogli di legname destinati al fabbisogno locale, con l’eventuale carico di altre merci, e ai mercati di Padova e Venezia.

Questa situazione è comparabile con quella che si verificava nella «muda del Piave» dove i consorti della contea di Cesana giustificavano la riscossione del dazio con la loro proprietà anche dell’altra sponda del fiume dalla parte di Busche, nel distretto di Feltre, fosse pure per qualche metro. Si ricava indirettamente che nel 1310, non sai da quando, l’egemone comune di Padova fruiva regolarmente di un’imposta sul legname a Bassano e forse proprio (o specialmente) su quello fluitato. La consuetudine della fluitazione è parimenti segnalata dai nuovi statuti agrari bassanesi, o «Provissiones vignalis» del 1356. Non entrando qui nel merito dei pertinenti introiti comunali o signorili vale la pena di ricordare che nella seconda metà del XIV secolo la potente famiglia padovana dei Forzatè continuava a prelevare a Solagna, poco a nord di Bassano e sullo sbocco di valle, 2 soldi per zattera di legname, insieme con altri dazi di percorso stradale[3]. Disponiamo di migliori dati a partire dall’ultimo decennio del Trecento. Una posta degli statuti comunali del 1389, «De lignamine Brente non transnodando vel dissolvendo», riguarda non solo la slegatura dolosa delle zattere ancorate o ritirate sulle rive nel distretto bassanese ma anche l’alterazione fraudolenta dei marchi di proprietà dei mercanti. Per ciascuna pezzatura di legname sono indicate le ammende o le pene, più severe e articolate rispetto a quelle previste nel 1295. Il primo dei mercanti che si riesce a documentare è ser Marco Iusto che va identificato - come proprio ritengo - col suo omonimo, cittadino di Venezia, che operava (come suo figlio Pietro e chissà quanti altri) anche nel bacino del Piave, ben conosciuto dal cronista Clemente Miari e avente per collega il più famoso Raimondino di Valcamonica. Nel giugno del 1390, all’apertura delle ostilità fra Gian Galeazzo Visconti (che manteneva il dominio di Bassano) e Francesco Novello da Carrara, restaurato signore di Padova, il ponte di Bassano fu sbarrato «in tal muodo che alguna mercandarìa non podeva vegnir per Brenta». Il legname (le taye) di cui Marco Iusto condivideva la proprietà con tale messer Milan (Malabarbi?) e che si conduceva a Solagna e Bassano per scendere a Padova fu nell’occasione rubato per una parte mentre la restante rimase a marcire presso le segherie di cui una, di ser Ovrin, fu anche bruciata. Un altro operatore che si segnala, anche lui di Venezia, è ser Paolo Mussolino. Nell’aprile 1392 il governo visconteo imponeva al capitano di Bassano, Gerardo Aldighieri, la restituzione del denaro indebitamente fatto pagare sulla mercanzia di Paolo che dalla Valsugana e da Primiero (confluendo nel Brenta lungo il torrente Cismon, evidentemente) si indirizzava a Venezia. Nel 1401, a Bassano, egli nominava due procuratori – uno di Campese e l’altro di Oliero, in riva destra del Brenta – col più ampio mandato per l’acquisto e la conduzione a Venezia di qualsivoglia quantità di legname, pagando i relativi dazi nei distretti bassanese e vicentino, nel canale di Brenta e nei luoghi di montagna. Compare fra i testimoni dell’atto il bassanese Olvradino Rossignoli, politicamente rilevante e imprenditore tuttofare di buona sostanza, che potrebbe coincidere con quel ser Ovrin a cui fu incendiata la segheria nel 1390. Olvradino – registrato anche come Ovradino, Oradino – ancora nel 1406 condivideva con dei parenti il diritto su un terreno in riva sinistra del fiume, verso Cartigliano, già attrezzato di una segheria. La costruzione nel 1402 del Ponte Nuovo, che poco a nord di quello Vecchio poteva disalveare il Brenta lungo un canale scavato fino a Sandrigo, provocò una crisi diplomatica fra i Visconti che dominavano Bassano e la Signoria veneziana che protestava per gli ostacoli posti dallo sbarramento anche e soprattutto alla fluitazione del legname diretto alla capitale lagunare. Si apprende così che i mercanti veneziani, durante una ricostruzione del ponte nel 1403, erano costretti a disfare a monte e a rifare a valle della chiusa le loro zattere, con grande disagio. Alcuni ufficiali viscontei, inoltre, pretendevano il pagamento del dazio «quod est ibi de lignaminibus» giustificandolo col fatto che durante l’operazione di slegatura il materiale aveva toccato terra. Questo episodio di frizione doganale si comprende nella più sistematica politica di confronto fra gli stati regionali del tempo per garantirsi le merci di fondamentale importanza come il sale per il ducato milanese e il legname per Venezia, ad esempio. Si vede perciò che nel maggio del 1403 l’autorità dogale si lagnava presso i Visconti per i fatti di Bassano e, contemporaneamente, per l’imposizione di un dazio esorbitante sul legname che via Piave arrivava dal Bellunese, giudicandola una ritorsione contro un presunto aumento del prezzo del sale venduto da Venezia ai territori viscontei: quasi che, si potrebbe interpretare, a una temuta limitazione (di fatto) della fornitura di sale, la propriamente detta strictura salis, avesse corrisposto l’applicazione di una specie, a suo modo, di strictura lignaminis.
Il mercato di Padova, terminale di sbocco e snodo delle convergenze fluviali, assorbiva una grande quantità di risorse forestali e sulla direttrice del Brenta, verso Bassano, agivano sicuramente dei mercanti originari di Padova o lì residenti. Il loro intervento e quello dei cittadini e dei distrettuali bassanesi si documentano con dovizia soprattutto dopo il secondo decennio del Quattrocento, oltre il limite temporale di questo contributo[4]. Due situazioni vanno infine segnalate, non potendo qui riferire di tutte le altre meritevoli di interesse. Per evitare il contrabbando dei mercanti forestieri che facevano passare il proprio come legname dei (compiacenti) colleghi veneziani, il Senato ordinava nel maggio del 1406 che tutti indistintamente i conduttori, compresi i cittadini veneti, contribuissero a Bassano con 18 denari per lira di valore della merce inviata a Venezia. A distanza di anni, il 26 maggio del 1422, l’autorità centrale imponeva quella che sembra essere la prima tassa con destinazione vincolata al restauro del Ponte Vecchio. Se ne giustificava l’introduzione con il notevole aggravio statale nella continua riparazione del ponte, intaccato nelle sue stilate dall’urto delle zattere o dal legname sciolto, strappato ai depositi rivieraschi dalle (periodiche) escrescenze del fiume. Il podestà avrebbe mensilmente provveduto a far registrare i singoli pezzi che venivano lavorati nelle seghe a valle del ponte; le relative tariffe daziarie forniscono un campionario, da aggiungere agli altri riportati dagli statuti per l’applicazione delle ammende, degli assortimenti di legname che venivano allora trafficati sulla nostra via d’acqua. Il riferimento alle segherie come a postazioni di controllo fiscale, ampiamente verificabile in ambito bellunese, suggerisce che accanto al dazio di transito ne esistesse un altro che, prescindendo da eventuali sovrimposte, si applicava al legname approdato da nord. Questo era segato anche a Bassano per l’abbondanza di energia idraulica e, tranne la parte destinata al consumo locale, veniva poi ricomposto in zattere di tavolame riavviate sul fiume verso Padova e Venezia, con gli eventuali sovraccarichi di vino o di altro (fig.4).

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4.  Antonio Regona (1760 – 1853), Il Brenta dal Ponte di Bassano (prima del 1813), acquaforte, Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. n. 535.
Su questa zattera, appena a nord del ponte, si distingue bene anche il carico di merci e passeggeri.

Dal momento che prima del 1420 la pur continua domanda del materiale fluitato sul Brenta da parte di Padova, di Vicenza e della capitale lagunare è solo raramente quantificata, va infine appuntato un episodio curioso e non del tutto chiaro. Mentre ancora era in corso la guerra tra la Serenissima e l’imperatore Sigismondo, che deteneva Feltre e Belluno, il Senato nell’agosto del 1419 autorizzava il podestà di Bassano – in adempimento di una richiesta del capitano di Castel Ivano, nella bassa Valsugana asburgica del duca Federico IV d’Austria – a concedere un salvacondotto ai sudditi dello stesso duca affinché potessero condurre a Padova e Venezia (lungo il Brenta, evidentemente, anche se non si precisa) legnami d’ogni sorta, tra cui 50.000 “taglie” (i fusti d’albero depezzati): e altre ancora se ce ne fossero state[5]. Molte questioni rimangono aperte: la composizione del capitale d’impresa delle attività mercantili, le modalità di controllo a Solagna e a Bassano del flusso delle zattere, la precisa funzione del bassanese Porto di Brenta, il trasporto del legname all’interno del territorio anche attraverso il canale che, in riva sinistra, si staccava dal Brenta (la roggia Rosà), scavato intorno al 1370. Ci sono poi difficoltà a capire come interagissero le competenze fiscali che venivano parimenti esercitate nel distretto vicentino e in quello bassanese, entrambi affacciati sull’asta del fiume. La crescita economica di una serie di centri allungati nella valle - Campese, Oliero e Valstagna in riva destra, Pove, Solagna, San Nazario, Cismon e Primolano sulla sinistra – era in quel tempo affidata in larga misura alla lavorazione e al traffico delle risorse boschive lungo la via d’acqua. Rispetto ad essi Bassano, dove pure si concentravano energie rivolte al settore, costituiva quell’obbligato punto di passaggio e di controllo fiscale per i tanti legni da fuoco e da opera, compreso qualche albero da barca, che uscendo dal Canale navigavano giù per il Brenta. 

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