Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

SerenaCanova

Serena Canova, Medaglia del Millennio, 1998, dritto, argento, fusione a cera persa. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Medagliere. La loggia di piazza diventa durante il dominio veneziano anche sede della cancelleria e dell’archivio e accentua così la sua rilevanza urbana come segno del potere e come punto di comunicazione pubblica.

Storia di carte, carte di storia: ecco il senso di un archivio. Nella odierna intitolazione del massimo istituto culturale bassanese l’Archivio chiude la serie degli organismi che lo compongono e non può vantare una precisa data di fondazione, così come accade per Museo e Biblioteca; se invece considerato in ordine di apparizione nella vita cittadina consente una prima, altrimenti impossibile, visione sulla identità bassanese. Una comunità, quando si aggrega e si organizza, fonda sulla forza della parola scritta il valore essenziale della propria identità, mentre affida la comunicazione della propria esistenza ad altri segni, non verbali, materiali ed esteriori, urbani, culturali, artistici. La parola ha una forza che non va evocata invano cosicché se le regole della civile convivenza sono condivise e pubbliche, le carte che le legittimano vanno tuttavia gelosamente conservate in separata e sicura sede. «Retinere cartas» tenere, anzi, tenere con particolare riguardo le carte significa tutelare e poter vantare i propri diritti. Una idea di questo genere maturò fra i bassanesi gradualmente, come rivelano gli Statuti comunali[1]. Nelle rubriche del più antico codice statutario fra le integrazioni che rivedono la redazione del 1259, presumibilmente frettolosa, solo una, nel 1265, e solo per inciso, interviene a ricordare, in modo indiretto, che la prerogativa e la responsabilità di conservare i documenti comunali sono affidate ai massari, lasciando intendere che tale mansione fosse già per consuetudine svolta da figure di arcaico retaggio, incaricate di ruoli strettamente legati ad una dimensione materiale e locale del vivere civile, in qualche modo incardinata in una tradizione dove la conservazione documentaria in ambito ecclesiastico vale a garanzia di intangibilità[2]. È il primo, implicito, indizio di un’attenzione, rudimentale ma istituzionale, ad una corretta conservazione dei documenti, ribadita dal conferimento dell’incarico ad un «bonus homo»[3] di recuperare carte e ragioni comunali che siano di pubblica utilità dovunque siano e di qualunque argomento trattino: intervento poi ricorrente nella storia dell’archivio comunale bassanese. Diversa è la organizzazione rivelata dagli Statuti del 1295,

2Miniatore1265

2. Miniatore del 1265-1266, Statuti, penna, inchiostro e tempera su pergamena. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio comunale. Nella vivace miniatura sono raffigurati i precettori nello svolgimento del servizio di pubblici banditori.

dove meglio si avverte l’urgenza di legittimazione come entità comunale di fronte all’egemonia padovana. A tale data condurre una per quanto possibile azione di politica estera presuppone una documentazione già stratificata ed articolata, dunque ormai organizzata. La conservazione dei documenti, come garanzia e tutela di diritti, è riconosciuta fra le esigenze fondanti della comunità perché inserita in apertura del testo statutario e precisamente nel giuramento del podestà. Fra le formule del suo giuramento il podestà promette attenzione a qualcosa di più di generiche «cartae» bensì a quello che viene definito «inventarium cartarum et iurium comunis» impegnandosi a farvi trascrivere tutti gli atti riferiti a diritti comunali «ommes cartas possessionum, debitorum et aliarum rerum et iurium» di pertinenza bassanese; la raccolta e custodia nel «Liber comunis», cioè in una silloge di documenti prodotti o acquisiti dal Comune, sono compiti dei «salvatores cartarum»[4]. A quella guardinga e rigorosa attenzione per la propria documentazione è dovuta la nascita dell’Archivio Comunale, un complesso documentario che sarebbe stato poi considerato con attenzioni di diversa qualità in perfetta corrispondenza con l’evoluzione delle situazioni politiche. Nei momenti critici corrispondenti agli avvicendamenti istituzionali, in particolare, la necessità di riordinare i dati della memoria collettiva assume un’importanza vitale; in età medievale, più precisamente, è una necessità che strettamente si correla all’urgenza di tutelare diritti e prerogative a fronte di prevaricazioni ed ingerenze esterne di diversa provenienza. Tuttavia accanto alla tesaurizzazione di un prezioso fondo documentale comincia la sedimentazione di documenti prodotti in serie per esigenze gestionali. Con l’intervento padovano, infatti, la vita amministrativa si impronta a modelli organizzativi diversi, nuovi per l’ambito locale, con un evidente salto di qualità che si riverbera nella strutturazione di un ufficio - la cancelleria - legittimato da una nuova, apposita rubrica statutaria,[5] ed in un'articolata tipologia documentaria, soprattutto in ambito giudiziario e fiscale, da far trascrivere a registro[6]. I rapporti con la cancelleria comunale padovana[7], evoluta e strutturata in diversi uffici, hanno imposto agli atti pubblici sistemi più elaborati, validi per affrontare anche i successivi contatti diplomatici con la cancelleria viscontea, apparato burocratico al servizio di una signoria investita del vicariato imperiale ed anche sofisticato centro di elaborazione culturale. Il livello di professionalità raggiunto è ancora una volta puntualmente riscontrabile nella compilazione degli Statuti del 1389. Nella nuova formula di giuramento il podestà riprende impegni già riconosciuti dalla consuetudine, ma con più precisi ambiti e modi di intervento, continua a garantire la cura dei documenti di pubblico interesse documentati in ancor meglio precisate carte «possessionum, bonorum, creditorum, iurium et aliarum rerum communi Bassani pertinentium»[8]. In queste disposizioni si coglie la continuità con quelle precedenti, ma si può anche intuire come l’obbligo di riformare ed uniformare la normativa locale alla legislazione dominante non si sia limitata ad una semplice formalità. A disciplinare una produzione documentaria ampia e variegata una più ampia rubrica statutaria[9] fornisce dettagliate disposizioni per la cancelleria, ufficio già citato nel precedente statuto, ma qui puntigliosamente regolamentato. Il lessico diventa tecnicamente più appropriato e chiarisce ruoli e significati (massari ovvero conservatori delle carte, libro ovvero inventario), prescrive procedure che, se nuove non sono, appaiono tuttavia regolate (la bollatura con il sigillo comunale, l’obbligo di usare la pergamena per i documenti più importanti, le modalità di ordinamento dei documenti, la tenuta di un registro che raccolga in copia tutte le lettere prodotte, rubricato a margine con sintetico regesto: «super tali facto vel pro tali persona, vel contra talem personam vel de tali re»). Fa qui la sua apparizione ufficiale l’Archivio Comunale, esplicitamente indicato come «archivium comunis», luogo di conservazione ben distinto dalla «cancellaria», luogo di produzione: l’uno affidato ai massari «ad memoriam», l’altra gestita da un cancellario.

3Attoprestito

3. Atto di prestito, 28 aprile 1211, pergamena. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale. La più antica azione amministrativa del Comune di Bassano è documentata da otto prestiti ottenuti dal Comune nel 1211; i tagli praticati sulla pergamena attestano la piena restituzione del mutuo.

È inoltre prevista la registrazione in un apposito «memoriale» delle richieste di estrazione di documenti dall’archivio, con pagamento di una multa in caso di mancata restituzione alla chiusura della causa. «Libri rationum, bullettini solutionis, libri reformationum, libri et quaterni condemnationum et absolutionum, forbanitorum pro condemnationibus, collectis et aliis debitis non solutis»: di queste ed altre serie documentali poco, quasi nulla, rimane oltre alla citazione nelle rubriche statutarie. Le ampie lacune oggi evidenti sono il risultato di interventi di selezione su carte ritenute ormai prive di validità amministrativa e valore giuridico combinati, in misure e momenti variamente precisabili, con azioni di violenza nel corso di incendi e saccheggi o di fraudolenza o ancora di mera insipienza. Per l’età medievale l’attività amministrativa resta praticamente ignota sotto l’aspetto gestionale, mentre per l’azione politica particolarmente raro è quel che oggi resta[10]. Fanno oggi testo i documenti affidati sotto giuramento alla responsabilità del podestà, quelli destinati a salvaguardare i diritti civili, come gli Statuti rimasti poi in vigore per secoli[11], quelli attestanti i diritti patrimoniali, come gli inventari dei beni comunali redatti nel 1270 e 1293, e i crediti, come molte delle pergamene più antiche. La fragilità delle carte non offre garanzie illimitate. La data del 1404, anno della dedizione a Venezia, non sembra sconvolgere gli assetti istituzionali; è stata fatta pronta azione per salvaguardare le prerogative locali e la Serenissima ha approvato gli Statuti comunali, con la implicita conseguenza che anche in materia di ordinamento delle carte i procedimenti in uso restano vigenti. La calma, tuttavia, è solo apparente: gli avvicendamenti di regime sono insieme occasione e pretesto per rivendicazioni, opportunismi, dispute, renitenze. Quarant’anni dopo il Consiglio prende atto delle conseguenze. La situazione appare desolante: «per mudarse li canzelieri ogni 3 mexi le scripture de comun son tute divise», maneggiate da troppe persone «et quasi se po dir dilazerade e squarzade» in un disordine tale da non offrire garanzie e tutele, anzi «con grandissimo dampno e jactura de le rason del nostro comun et con infamia e vergogna di questa terra». Eppure già il primo Statuto, disponendo che tutte le carte di pubblica rilevanza fossero raccolte e consegnate al podestà, intendeva evitare la dispersione di un patrimonio documentario pubblico ravvisando implicitamente l’illegalità della detenzione di carte comunali in sedi private[12].

4Protocolloverbale

4. Protocollo del verbale di seduta del Consiglio, Atti del Consiglio, 27 dicembre 1447. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio comunale. Il vistoso ed elaborato segno tabelloniale, precedente dell'attuale timbro notarile, correda il documento redatto dal notaio che svolge le funzioni del cancelliere, antenato dell'odierno segretario comunale.

Se così stanno le cose va da sè che i massari non stanno adempiendo scrupolosamente ai propri compiti, in un momento in qualche modo critico, quando antichi diritti devono essere quanto meno sostenuti, se non ribaditi e rivendicati. Nel 1444, dunque, il Consiglio bassanese approva una «parte»[13] per disporre che le «scripture» d’interesse pubblico siano affidate alla «canzelleria de comun». In apparenza la decisione si propone come una semplice conferma di quanto già stabilito dalla ventiduesima rubrica statutaria. Tuttavia, decidendo di nominare un cancelliere comunale a vita, il Consiglio stabilisce che conservare, ordinare e copiare i documenti debba essere dovere di un professionista, di formazione notarile, non più incaricato trimestralmente; tale decisione viene corroborata diventando essa stessa norma statutaria. Il richiamo all’ordine viene rafforzato con l’obbligo per chiunque fosse in possesso di documenti pubblici alla riconsegna entro un mese sotto pena, in caso di inadempienza, di una multa pecuniaria[14], da ripartire in parti uguali fra la camera ducale, il comune e il denunciante o, in alternativa, il cancelliere stesso. Entro la fine del medesimo secolo l’evidente sviluppo socio-economico, l’incremento demografico, l’intreccio dei rapporti istituzionali, l’arrivo di un reggitore veneziano, i contatti con il complesso apparato burocratico centrale hanno comportato l’inserimento di nuove procedure e l’aumento della produzione documentaria. In ambito finanziario entrare a far parte dello stato veneziano di terraferma significa per Bassano versare una serie di imposte ordinarie con un esatto conto delle entrate e delle spese. Così arriva il quaderniere, addetto alla riscossione dei tributi, alla gestione della cassa ed alla tenuta di registri contabili sottoposti a periodiche revisioni della Camera fiscale sotto la responsabilità del camerlengo di Treviso. Per questo contabile, non contemplato nell’organico dell’amministrazione comunale né tanto meno riconosciuto negli Statuti e tuttavia impossibile da ignorare, non sembra esserci spazio. Ci vuol tempo per riconoscere che il quaderniere non dispone di un luogo deputato dove tenere le carte e solo nel 1486 il Consiglio decide[15] di prendere in affitto una bottega. La soluzione è momentanea ma, al tempo stesso, a suo modo eloquente: l’«appotecha» non è meglio individuata, ma è forse collocabile fra le botteghe affacciate sulla piazza della chiesa di San Giovanni, in uno spazio urbano adiacente, non coincidente, con i siti riconosciuti come luoghi dell’autorità, di quella vecchia e di quella nuova, ma pur sempre nel centro della vita politica, economica e sociale bassanese.

5Croceprocessionale

5. Croce processionale astile, Stemma comunale bassanese, particolare del pomo cesellato, argento. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, deposito dal duomo di Santa Maria in Colle. L’arma comunale arriva a comparire su  un oggetto liturgico di particolare pregio, opera firmata dal Filarete nel 1449; sull’impugnatura sostituita con l’intervento di restauro effettuato nel 1622 appare la torre merlata sostenuta da due leoni affrontati.

6Estimi1539

6. Estimi, 1539, Era ala lotta exercitato molto, antiporta. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale. Nonostante una certa affinità con la pratica notarile della sottoscrizione in forma grafica questa annotazione sembra tuttavia alludere ad un momento di evasione, un motto di spirito, quasi un messaggio in codice.

La presenza di un archivio di deposito è sottintesa nell’espressione usata nella parte: «conservari, riponi et videri», vale a dire che l’ufficio consente di visionare i documenti ivi depositati e conservati. In materia di documenti pubblici accanto all’obbligo di conservazione, già stabilito dagli Statuti, il Consiglio riconosce dunque anche il diritto di consultazione, la pubblicità degli archivi come evidente espressione di una prerogativa di cittadinanza. Disporre di un luogo esclusivamente destinato alle carte si rivela cosa opportuna. Dove fossero conservate fino a quel momento le carte comunali non è dato conoscere. Le datazioni topiche degli atti superstiti indicano generalmente i luoghi di redazione, annessi ai luoghi del potere, e non di conservazione dei documenti; gli Statuti prescrivono la custodia di alcuni documenti «in una caseta»[16] dove depositare i registri delle sentenze che devono sempre rimanere «super domo comunis» espressione che nella preposizione di luogo potrebbe alludere a locali soprastanti la sede comunale vera e propria. Nel 1495 il Consiglio non riesce ancora ad assumere una decisione che sia risolutiva e a proposito delle necessità della cancelleria e dell'archivio affida al podestà la valutazione di acquisto di una casa attigua alla loggia di piazza in alternativa alla creazione di uno spazio «super solarium orilogii»[17]. Su questo spazio, da poco tempo riqualificato, così come su tutta Bassano incombe ben presto una grave minaccia. L’incolumità degli abitanti, l’integrità degli edifici, l’inviolabilità di beni e diritti, tutto è calpestato dall’esercito imperiale di Massimiliano d’Asburgo. I diversi passaggi delle truppe nemiche nel territorio bassanese significano inevitabilmente massacri e distruzioni: dopo l’epopea degli Ezzelini con la guerra della Lega di Cambrai, il racconto e la memoria si aggiornano di nuove azioni di eroismo, di crudeltà, di astuzia. Di un episodio rimane solo un vago ricordo: durante una delle diverse occupazioni fra 1509 e 1517 in cui Bassano è saccheggiata e incendiata le carte pubbliche subiscono danni in termini non meglio precisabili[18]. Della memoria scritta, però, si deve sempre far tesoro. Ristabilito il dominio veneziano per Bassano inizia un lungo periodo frequentemente animato da contrasti con le ville contermini, ma anche con Treviso e con Vicenza, da liti per questioni confinarie, da rivendicazioni di antiche prerogative in materia di esenzioni da tributi e riscossioni di imposte e dazi. Nella prospettiva di una comunità che cerca ovunque sostegno a qualcosa di molto più concreto di pretenziose ambizioni pare vada interpretata la rinnovata attenzione ai documenti del passato. Nel 1648, a seguito di una successione ereditaria riappare «un statuto vecchio fatto dopo la morte del quondam Ezzelin da Roman dal quale si cavano molte cose che si stima bene se ne conservi memoria perpetua»; con una decisione che «piacque a tutti» il Consiglio dispone allora che ne sia «cavata copia che si debba vedar in pubblico»[19]. L’antico codice è stato in possesso di uno dei giureconsulti incaricati di redigere una silloge di privilegi e diritti comunali e risulta essere una fonte preziosa per documentare consolidati privilegi e diritti. Un paio di anni più tardi a Venezia nel 1650 viene data alle stampe una sorta di nuova edizione aggiornata del medievale Liber comunis: i Privilegia ac iura Bassani[20] presentano un lavoro di selezione e di raccolta già affrontato nel Liber rubeus[21], composto attorno alla metà del secolo precedente, con analogo, evidente intento di creare ordine e chiarezza. Nell’indice alla voce «Cancellieri» è riportata una serie di ducali inviate fra il 1421 e il 1440 che riconoscono i limiti di azione fissati per i cancellieri e per il cancelliere podestarile in particolare.

7PrivilegiaBassani

7. Privilegia ac iura Bassani, 1650, Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Biblioteca Civica. Il volume è confezionato con legatura povera, da archivio, con nervo in cuoio infilato nella coperta in cartoncino "alla forma"; il foglio di guardia reca l'antica segnatura archivistica indicante la collocazione nell'archivio comunale.

Se appare ancora opportuno ricordare disposizioni vecchie di oltre due secoli appare anche fondato il sospetto che la competenza e la gestione della cancelleria comunale non risultino corrette sotto diversi aspetti, come sembra anche suggerire la decisione presa dal Consiglio nel 1673 di incaricare l’avvocato Mario Sale e il cancelliere Paolo Vittorelli di riordinare scritture e carte pubbliche[22]. Le ragioni dello stravolgimento, in questa occasione, possono essere ancora imputabili all’usanza di prelevare documenti per esigenze private già praticata da secoli, ma con ogni probabilità va anche considerata la conflittualità tipica del periodo a proposito di determinazioni confinarie delle proprietà comunali. Cinque anni dopo Mario Sale presenta il suo «Repertorio»[23] risultato di un lungo lavoro condotto su carte «tutte sconvolte, disordinate e confuse»; il criterio di ordinamento praticato è quello per «capi et materie» per complessive 64 voci: le carte sono state sistemate per tipologie uniformi e raccolte in volumi numerati e recanti una segnatura indicante la esatta collocazione in uno dei canti dell’armàro; collocati a parte, «sulla tavola del Consiglio» (a palazzo Pretorio) assieme alla Provisione del Vignale[24] sono invece gli Statuti, ma solo due: quello emanato nel 1259 – probabilmente già nella copia seicentesca – e quello approvato nel 1389, nella “bella copia” quattrocentesca con frontespizio miniato[25]. Il lavoro del Sale può dirsi benemerito per certi versi, anche se deprecabile dall’odierna ricerca che preferirebbe consultare documenti ancora aggregati nell’originario e reciproco vincolo di ogni singolo affare, ben sapendo che anche l’impostazione e l’assetto di un archivio è un dato significativo. Il compito affidato era semplicemente quello di permettere di «ritrovar con tutta facilità le scritture che andavano occorrendo», cioè semplicemente di garantire la reperibilità delle attestazioni di memoria collettiva. Il documento, tuttavia, comincia ad essere considerato anche come fonte storica, bene culturale: aver maneggiato documenti ormai antichi di diversi secoli offre nuovi spunti da affiancare a pubblicazioni diligentemente ricopiate e citate oppure a reperti, autentici o falsi, rintracciati sul territorio[26]. Sullo stesso orientamento, sebbene con maggior senso critico, si sarebbe mosso Giambattista Verci nel considerare la documentazione dell’archivio comunale ancora depositario di preziosi documenti successivamente scomparsi[27]. Intanto le carte devono continuare ad occorrere ancora nel 1755, quando bisogna costruire un documentato memoriale da presentare al Senato veneziano per sostenere la richiesta di riconoscimento del titolo di città. Nell’imminenza della caduta della Serenissima, nel 1783, il Consiglio è costretto a tornare ad occuparsi del «ricupero delle carte disperse attinenti agli affari della città»[28], operazione tutt’altro che semplice se cinque anni dopo il medesimo incarico viene conferito al cancelliere comunale con l’indicazione di «raccoglier le carte pubbliche esistenti nelle case dei particolari di questa città e riponerle e ripartirle nella cancelleria»[29] a fronte della rinuncia del consigliere Scolari, già «eletto al carico di raccogliere, unire e separare le carte di questa città...atteso il pregiudizio della vista che le difficulta lo scrivere e leggere» ma confermando al consigliere Crestani «l’inspezione di presiedere alla scielta e riposizione delle carte» da risistemare nelle «materie» già ordinate dal Sale. Se tali operazioni siano andate a buon fine è difficile da dimostrare, certo è, invece, che sono destinate a rivelarsi inutili. Negli anni immediatamente successivi gli antichi ordinamenti sono travolti, veloci avvicendamenti sconvolgono l’assetto istituzionale e l’organizzazione amministrativa, ma prima di tutto ad essere travolta è la sicurezza della vita quotidiana. Le cronache della Bassano occupata dalle truppe napoleoniche ripropongono scenari già noti: l’invasione nel centro storico, la devastazione, il saccheggio. L’abate Giovanni Sale tratteggia una vivida scena della notte del 14 maggio 1797, quando Palazzo Pretorio è assalito e devastato dal fuoco «al cui splendore ballando e cantando gli allegri francesi insultavano coi loro bagordi e tripudi i nostri pianti e affanni». L’incendio aggredisce l’antica residenza dei podestà veneziani e distrugge «tutti i processi e le carte della cancelleria pretoria»[30] che dal 1554 è qui sistemata, assieme all’archivio podestarile, nei locali collocati a mezza rampa della scala che sale dal cortile interno ed affrescati anche con l’intervento di Jacopo dal Ponte.

8Tariffadelfante

8. Tariffa del fante della cancelleria di Bassano, 1677. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio comunale. Avviso pubblicato dalla stamperia Remondini per divulgare, mediante affissione «sopra le scale ad hora di mercato molti estanti nella maggior frequenza del popolo», il tariffario dei diritti applicati dalla cancelleria bassanese per le competenze dell’impiegato esecutivo.

9SanMarcomaesta

9. San Marco in maestà in figura di leone alato ad ali spiegate, matrice anepigrafa, ferro. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Museo Civico, Raccolta sfragistica. Il leone marciano, nella caratteristica postura “in moleca”, compare fino al 1797 come segno araldico statale con minime variazioni di modulo, di tipo, di stile, sui documenti prodotti dagli uffici dello stato veneziano, centrali e periferici.

Per uno strano destino se ben poco rimane della cancelleria podestarile veneziana poco resta anche dell’archivio di età napoleonica[31], quello che avrebbe potuto testimoniare gli effetti delle radicali riforme introdotte dal regime francese nella vita civile e nella pubblica amministrazione. La documentazione superstite lascia tuttavia intravedere il processo della riorganizzazione amministrativa che, in nome dei diritti di ogni cittadino, rivoluziona la gestione ed il flusso documentale. Fin dal 1797 nei territori soggetti all’occupazione francese le carte in arrivo ed in partenza cominciano ad essere classificate per materia riferita alle competenze degli uffici e così annotate. appaiono nuovi modelli di registro che in un ordinato specchietto riepilogano pochi elementi, ma essenziali, (mittente, destinatario, data, contenuto) ed assegnano un numero progressivo, dato probante dell’autenticità del documento. È una silenziosa, cartacea rivoluzione che si fa strada lentamente, ma in modo inarrestabile: a Bassano, nel mese di «mietitore» viene aperto un registro[32] per la corrispondenza della municipalità che tuttavia non applica i nuovi dettami, limitandosi a ricopiare integralmente la corrispondenza municipale in uscita senza altri trattamenti. La successiva dominazione austriaca, apprezzandone l’efficienza, adotta la nuova procedura, e di conseguenza la corrispondenza comincia a recare la registrazione a protocollo[33] datata da gennaio 1802, mentre fra le carte superstiti un «Registro di protocollo»[34] riporta date decorrenti da marzo 1804 a settembre 1805. Aggregati gli stati veneti al regno francese, fin dagli inizi del 1806 giungono alla municipalità le disposizioni per conformarsi al «necessario metodo» della registrazione abbreviata[35]. L’innovativo sistema di gestione delle carte - produzione, movimentazione, conservazione che sia - comincia a funzionare a Bassano dal 1806: non più raccolti per tipologia in serie uniformi, i documenti in arrivo sono registrati in un rudimentale schema[36] e ordinati in base al titolario, tabella che in base al contenuto, alla materia trattata, colloca ogni documento secondo un rigoroso ordine per «titoli», per categorie individuate sulla base delle competenze municipali. Nonostante diverse circolari in arrivo insistano nel ricordare l’obbligo della registrazione i documenti rivelano una certa difficoltà, se non renitenza, degli uffici periferici nell’adottare le nuove misure e le difficoltà che le nuove procedure creano nella vita quotidiana: si continua infatti con l’antica pratica della registrazione di tutta la corrispondenza tramite la trascrizione integrale[37], si affrontano le questioni legate a pratiche avviate sotto il precedente regime[38]. La riorganizzazione non si limita ad una questione di procedure, diventa anche una questione di sede. L’ambizione del viceprefetto che esige una residenza adeguata al proprio rango, infatti, impone il restauro dell’ala occidentale di Palazzo Pretorio perché sia destinato a residenza della massima autorità governativa cittadina; di conseguenza nel 1812 gli uffici devono spostarsi e con l’occasione appare «indispensabile di costruirsi un archivio nel propriamente detto ufficio di questa Municipalità»[39]. Altro sconquasso per le carte d’archivio provocato da «imprudenti trasporti da un luogo ad altro operati da gente ignorante»[40]; se la documentazione fra 1797 e 1808 è oggi ridotta a poca cosa la lacuna è presumibilmente da riferire a tale intervento come pure al successivo passaggio di regime.

10SigillodelloStato

10. Sigillo dello Stato Maggiore napoleonico della Piazza di Bassano, matrice, ottone. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Museo civico, Raccolta sfragistica. L’aquila napoleonica sostituisce il leone marciano: la matrice è riferita al sigillo che presumibilmente validava i documenti emessi dal Comando militare insediato a Bassano nella prima dominazione francese del 1796-97.

Il riordino dell’archivio: una tremenda fatica di Sisifo. Sull’argomento il Consiglio torna ad esprimersi nel 1832[41], su sollecitazione di un rapporto ricevuto dal segretario comunale che ha denunciato il disordine «in cui già da molti anni si trova l’antico civico Archivio». Poco tempo dopo viene approvata[42] la spesa necessaria per adattare ad archivio una stanza all’ultimo piano del municipio. A questa epoca un simile intervento assume una connotazione nuova, non più legata alla tutela di antichi diritti, non più strenua difesa di prerogative calpestate, non più attestazione di potere e di privilegi; diventa attenzione alle memorie locali, orgoglio di piccola patria che riafferma la propria identità innestandola, anche inconsapevolmente, nel generale movimento di pensiero connotato da fermenti patriottici e movimenti intellettuali che conducono alle lotte per l’indipendenza, da un lato e dall’altro portano alla creazione di nuove realtà culturali. Sono gli anni in cui si sta formando il più importante istituto culturale cittadino ed al Museo-Biblioteca confluiscono per dono gli scritti liberamente elaborati in nome della creatività, dello studio, della ricerca, propriamente destinati ad una biblioteca, ma anche documenti necessariamente prodotti nello svolgimento di un'azione giuridica, ma oramai avulsi dal loro contesto, chissà quando e chissà come svincolati da ogni nesso archivistico e trattati come mero oggetto di collezione[43]. Con l’annessione al Regno d’Italia a novembre 1866 anche nel Veneto entra in vigore la legislazione già vigente nello stato sabaudo e, per il caso specifico, la normativa[44] che in ogni Comune prevede un archivio ordinato e corredato di specifici inventari e prescrive un ordinamento delle carte per epoca e per ordine di materie. Come ricorda un manuale dell’epoca[45] il riordinamento delle carte anteriori al 1848 è imposto dalle variazioni normative ed organizzative che hanno inevitabilmente trasformato ruolo e fisionomia dei Comuni; negli archivi appare pertanto opportuno ripartire gli atti emanati secondo le diverse fasi storiche. In ossequio a tali disposizioni l’ordinamento seicentesco è sostanzialmente salvaguardato mentre l’intervento, seguito dal segretario municipale Giovanni Merlo, si circoscrive alla cernita e all’ordinamento dei documenti in volumi per la legatura[46]. Il punto della situazione è riepilogato nel 1876 in un rapporto inviato al prefetto di Vicenza, dove si riferisce che l’Archivio Comunale «contiene in n°53 libri legati e divisi anno per anno gli atti originali del Consiglio Civico dal secolo XIV fino all’anno 1806, n°64 volumi di atti originali dal 1300 al 1670, divisi secondo le diverse materie concernenti il governo e gli interessi della Città, dei Comuni del suo distretto e delle varie istituzioni che dipendevano dal Consiglio stesso. Comprende inoltre una infinità di fascicoli contenenti atti posteriori al 1670, ma non però raccolti e legati in volumi, gli antichi Statuti di Bassano del 1260 e del 1389, il quale ultimo fu poi stampato nel 1506, una collezione di ducali ed altra di privilegi dal 1281 in avanti e un numero assai considerevole di antiche pergamene sciolte che incominciano dal 1205»[47]. L’operazione di riordino[48] si è accompagnata alla stesura di un inventario[49] comprensivo di cenni storicopolitici fino all’anno 1863. «Mi ingolfai nei libri polverosi e nei documenti dell'archivio comunale» ricorda nella prefazione alla sua Storia di Bassano (1884) Ottone Brentari, ma va riconosciuto che senza l'oscuro lavoro di quegli anni la ricerca e la consultazione sarebbero state impresa disperata. Tutto in ordine, sembra. O forse no, stando alla relazione finale presentata in Consiglio Comunale nel 1887 al termine di una ispezione ministeriale ed articolata in paragrafi dedicati a tutti gli aspetti dell’attività amministrativa[50]; alla voce in argomento si rileva che l’archivio «merita di essere riordinato» perché impostato su una classificazione superata e solo parzialmente applicata e dunque sistemato in modo tale da intralciare indagini e consultazioni necessarie per la trattazione di un affare o per la ricostruzione di una pratica. Considerata dalla odierna prospettiva, al di là dell’effettivo livello di efficacia, l’intervento di riordinamento archivistico si qualifica per la individuazione di un fondo di pergamene[51] datate dal 1211 al 1450 ancora avvolte in rotolo. Ormai completamente privo di ogni vincolo originario questo fondo diplomatico da tempo è stato chiuso in un forziere dal segretario Merlo, in verosimile previsione di un intervento di regestazione; nel 1885 il forziere, sorta di nuovo scrinium palatii, con il suo contenuto ancora in attesa di sistemazione è consegnato in museo; qui vi si aggiungono altre pergamene relative a famiglie bassanesi, pervenute in museo in varie epoche a titolo di doni e aggiunte alle prime per farne una sola raccolta che viene affrontata da Giovanni Crivellari «assistente presso il Civico Museo»[52]. L’attenzione si sposta così dal municipio, dove nel frattempo l’Archivio Comunale è arrivato ad occupare anche una terza stanza, al museo, dove sta per esplodere l’affaire degli ammanchi, caso che in realtà sembra trovare l’autentico fondamento nella annosa disputa fra clericali e liberali che sta dividendo la città. Destano allarme la denuncia che scatena lo scandalo (e travolgerà lo stesso Crivellari) e la successiva perizia; la controperizia rivela invece che, a fronte di innegabili scorrettezze, «nulla o presso che nulla il Museo aveva perduto della sua importanza»[53]. Il conseguente processo accende nuovamente polemiche e pettegolezzi, ma suscita anche qualche seria riflessione che negli anni immediatamente successivi fa avviare un colossale lavoro di inventariazione e sistemazione di tutti i beni culturali di valenza museale, bibliografica, archivistica.

11SigilloRegiaCittaBassano

11. Sigillo della Regia Città di Bassano. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Museo Civico, Raccolta sfragistica. È qui ricomposto l’insieme come appariva esposto tra le “Rarità d’archivio” nella sezione museale dedicata nella prima metà del Novecento alla storia cittadina. Nel periodo asburgico lo stemma bassanese subisce alcune modifiche: i gradini che conducono alla torre diventano sette, i leoni sono coronati, la torre appare a pianta centrale, in qualche caso sovrastata dall’aquila bicipite.

Viene abbozzato un nuovo inventario archivistico[54] che ignora il precedente ordinamento per impostarne uno ancora basato sul presupposto di una classificazione per materia ma con diversa pianificazione. Di anno in anno, dal 1903 in poi i Bollettini del Museo Civico forniscono gli aggiornamenti sull’avanzamento dei lavori di riordino, condotti con il massimo risparmio di mezzi. L’antico archivio storico, per il materiale datato fino al 1789, risulta nel 1905 ripristinato in base alla sistemazione ottocentesca, a sua volta sostanzialmente rispettosa dell’ordinamento seicentesco[55]. Collocata al piano superiore la parte più antica dell’Archivio Comunale, nell’ala occidentale viene anche aperto uno spazio espositivo dedicato ai «cimeli d’archivio». In prospettiva deve essere qui trasferito anche il rimanente materiale conservato in municipio in modo da ristabilire l’unitarietà del complesso archivistico proponendolo come sezione museale riservata al materiale «di interesse patrio». La bontà della scelta viene in qualche modo confortata quando, nell’inverno 1908, un incendio divampa in municipio distruggendo, con gli uffici della ragioneria e dell’economato, tutti i documenti del patrimonio comunale, della contabilità relativamente ai bilanci consuntivi 1906 e 1907 nonché i fascicoli del personale in servizio; le fiamme sono spente appena prima che arrivino alla scala che conduce all’archivio di deposito[56]. Di pari passo con una nuova logistica, che ripropone come testimonianze e come fonti quei documenti un tempo portatori di significati giuridici, il consenso si esprime nella fioritura degli studi e nella moltiplicazione dei gesti di liberalità. I Bollettini documentano l’incremento del patrimonio documentale per acquisizioni, acquisti e doni, illustrano i contenuti più interessanti di alcuni documenti, pubblicano a puntate il regesto del fondo diplomatico più antico. Il riepilogo dei doni pervenuti nel 1912, ad esempio, arriva a contare ben 110 pezzi[57]. Tutto questo fervore di energie e di entusiasmi viene fermato dalla ferocia della guerra. A pochissimi mesi di distanza dall’avvio del conflitto, nell’agosto 1915, il Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, istituito presso il Ministero della Pubblica Istruzione, dirama una circolare per invitare enti pubblici e privati a collaborare «nella raccolta di testimonianze e di documenti riflettenti l’attuale impresa italiana per la compiuta liberazione d’Italia»[58]. La guerra come nuovo episodio dell’epopea risorgimentale, bello, eroico, pressoché incruento: stride l’assenza di ogni sospetto che la vita, la vita quotidiana, possa essere coinvolta direttamente e realisticamente in un evento tanto sanguinoso e atroce. La circolare arriva a Bassano nel gennaio 1916, ma bastano pochi mesi perché la guerra non appaia più una vicenda da vivere e conoscere attraverso i documenti e si riveli in tutta la sua drammatica attualità. Con l’attacco della Strafexpedition, la minaccia di una invasione austriaca, ormai incombente, suggerisce anche la prudenza di mettere al sicuro i beni culturali. Da Venezia la Regia Sopraintendenza per le Gallerie ed oggetti d’arte nel Veneto organizza il trasferimento dei materiali più pregevoli; un primo lotto di 16 casse parte a giugno del 1916. La città sta sfollando, si svuota anche il suo Museo. Con una seconda spedizione a novembre 1917 partono anche i tesori dell’Archivio, assieme a dipinti, disegni, codici, manoscritti, in tutto una quarantina di casse sigillate, destinazione Firenze, Regie Gallerie, palazzo Riccardi[59]. In municipio trovano invece provvisoria sistemazione l’archivio della direzione del Museo assieme ad alcune opere della pinacoteca e alcune serie librarie. Al termine del conflitto le condizioni dell’edificio, avvilito dalle diverse destinazioni cui è stato nel frattempo assegnato, sono così disastrate da sconsigliare un pronto ritorno delle collezioni che sono riconsegnate solo nell’agosto 1919[60]. Il direttore Tua non immagina di esser destinato ad affrontare nuovamente una analoga, drammatica, situazione allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Il dopoguerra impone un assiduo lavoro di riordino delle collezioni e di adeguamento degli spazi, ma i lavori, condotti a stralci fra 1921, 1930, 1937 fino al 1940, si riveleranno inutili. La questione della salvaguardia del patrimonio artistico e culturale torna infatti ad essere di stringente attualità a giugno 1940, quando villa Bianchi Michiel accoglie alcuni dipinti, raggiunti nel mese successivo da ventisette casse contenenti anche materiali d’archivio provenienti dal Museo e dalle chiese cittadine. Fra giugno e agosto 1944 un fitto e concitato carteggio fra la Sopraintendenza alle Gallerie e opere d’arte di Venezia e la direzione del Museo esamina la possibilità di una diversa soluzione, nonostante le incognite di un trasporto insicuro sia su gomma sia su rotaia, le incertezze di un trasferimento privo di mezzi e di fondi, le previsioni di una situazione che di giorno in giorno si rivela sempre più drammatica. La sistemazione fuori città, in villa, è diventata insicura, a causa della vicinanza con la centrale idroelettrica attivata proprio in quei mesi. Per disposizione ministeriale in diverse date fra luglio e settembre 1944 una più ampia selezione del patrimonio culturale locale, non solo museale, non solo bassanese, è trasferita a Venezia, in Palazzo Ducale[61]. La relazione che riepiloga l’attività a dicembre 1943, pur dovendo riconoscere le «particolari condizioni di emergenza», si ostina a presentare una panoramica di ordinaria amministrazione, segnalando addirittura un non meglio precisato dono pervenuto all’archivio e allude con reticenza all’adozione di provvedimenti per la miglior salvaguardia delle raccolte[62]. In realtà le testimonianze più preziose dell’Archivio (Statuti e Atti del Consiglio) sono a Venezia, sigillate in tre casse, mentre gli altri documenti rimangono al loro posto e affrontano il bombardamento dell’aprile 1945 restando indenni nonostante la distruzione delle scaffalature[63], mentre il direttore Tua, testimone oculare dell’incursione aerea, sotto il bombardamento vede crollare anche valori, ideali, principi. Il materiale bibliografico ed archivistico rientra a febbraio 1946, a grande richiesta, come si suol dire, in un istituto dove la frequentazione del pubblico è ricominciata in misura incoraggiante[64]. In anni successivi al secondo conflitto mondiale documenti diversi dagli atti comunali sono consegnati, per iniziativa individuale, a futura memoria del tragico periodo della Resistenza, ad integrazione e rettifica di quanto rimasto negli atti ufficiali conservati in municipio[65].

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12. Dopo l’incursione aerea del 24 aprile 1945. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio fotografico. Il direttore Paolo Maria Tua davanti a quanto rimane dell'ala orientale del Museo.

Per citare nuovi significativi interventi occorre attendere tempi recenti, quando il lascito Agostinelli consegna nel 1971 un significativo lotto di documenti e mappe[66] e con un nuovo versamento nel 1978 giungono dal municipio le serie archivistiche comprese fra 1815 e 1950[67]. Meno eclatanti eppure indispensabili sono stati i vari interventi di sondaggio, di restauro, di inventariazione, di riproduzione che hanno consentito di individuare e rendere accessibili fonti rivelatesi di fondamentale supporto a importanti e diverse operazioni: la redazione di strumenti urbanistici, l’allestimento di mostre, la pubblicazione di studi generali o monografici[68]. Considerando l’attuale fisionomia dell’Archivio, la valutazione finale vuole accogliere la sollecitazione posta da una celebre riflessione a proposito di un archivio come immagine riflessa di una società[69]. L’archivio Comunale bassanese rispecchia certamente una dimensione urbana, più ampia, dove l’istituzione comunale integra e confronta la propria testimonianza con quella di altre realtà cittadine. È in definitiva un archivio composito, dove sono stati via via riposti documenti prodotti dagli uffici municipali e in tempi diversi si sono aggregati fondi documentali di altra provenienza. L’organizzazione della memoria, dunque, riguarda il Comune di Bassano del Grappa e quelli soppressi di Angarano e di Valrovina, ma anche altre istituzioni pubbliche (il Monte di Pietà, la Scuola di Arti e Mestieri, il Teatro Sociale) come pure gli enti religiosi (le Parrocchie, le Confraternite) ed ancora eminenti famiglie e singole personalità. Nel corso del Novecento si accentua lo sdoppiamento di ruoli fra dimensione culturale e funzione pratica dell’Archivio che con i fondi più antichi si presenta come voce della memoria storica collettiva, mentre la documentazione corrente continua a fungere da testimone e garante giuridico dei diritti comunali, collettivi, individuali. La sezione storica ha accolto nel 1936 registri e regolamenti dall’Orfanotrofio Femminile «Pirani–Cremona»[70] e l’Archivio della Congregazione di Carità, scorporato da quello delle Opere Pie, a sua volta nucleo storico dell’archivio della struttura di sanità cittadina, Ospedale prima, Azienda sanitaria oggi; le carte sono però smembrate in modo tanto approssimativo che anche materiale di pertinenza dell’Ospedale è oggi conservato nell’Archivio comunale[71]. Per comprendere l’identità cittadina in tutte le sue sfaccettature varrebbe meglio pensare ad un “archivio diffuso”, mutuando il concetto da contesti museali, con l’avvertenza che molti sedimenti documentari non sono più rintracciabili nelle sedi di pertinenza oppure offrono testimonianza solo per limitati ambiti cronologici. Genealogie e biografie anteriori al 1806 non sarebbero ricostruibili senza i registri parrocchiali: Santa Maria in Colle, Santissima Trinità, San Vito, Sant'Eusebio, storie secolari, lumeggiate da archivi di diversa consistenza e collocazione, in corso di inventariazione curata dal competente ufficio diocesano. La storia della chiesa di San Francesco va tuttavia esplorata nella sezione dell’Archivio di Stato e molte vicende del duomo di Santa Maria in Colle[72] trovano spiegazione solo con l’ausilio di fondi dell’Archivio comunale. Analoga considerazione va fatta a proposito di monasteri e conventi, le cui carte hanno seguito le vicissitudini dei rispettivi ordini religiosi: trasferite, disperse, se non addirittura dissipate. Va ricordato, uno per tutti, l’esemplare caso dell’archivio dell’insigne monastero benedettino di Santa Croce in Campese, dipendente dall’abbazia di San Benedetto Po: con la soppressione napoleonica l’archivio è scomposto e mentre i documenti in pergamena sono subito trasferiti a Milano, per entrare a far parte di un’artificiosa raccolta diplomatica, le carte di data più recente invece passano a Mantova dove sono tuttora conservate[73]. Restando poi nella dimensione associativa, aggregazioni di diversa entità ed identità sono in grado di ricostruire e documentare una storia che ha già superato ampiamente il secolo; è sufficiente scorrere la più recente bibliografia locale per rintracciare una lunga serie di pubblicazioni dedicate a onorare gli anniversari di fondazione di associazioni, sodalizi, gruppi operanti nei più disparati ambiti della vita cittadina, con le loro storie ricostruite con informazioni ricavate dall’Archivio comunale (come ad esempio la scomparsa Accademia che gestiva il Teatro Sociale[74]) oppure da un archivio associativo strutturato ovvero da raccolte documentarie private radunate da fedeli iscritti come da appassionati collezionisti. Una considerazione a parte va fatta per gli archivi di famiglia, tipologia documentabile ed accessibile in casi isolati. Di tante notabili famiglie bassanesi la documentazione, scomposta e dissipata, è andata persa soprattutto nel periodo successivo alla caduta della Serenissima per una concomitanza di fenomeni sociali, giuridici, economici. Le condizioni per conservare una sostanziale integrità si sono verificate solo in pochi casi, sia pure con esiti diversi: trasferito altrove per asse ereditario l’archivio Compostella (XII–XIX sec.)[75], consegnato invece l’archivio Stecchini (XVII–XIX sec.)[76] in deposito all’Archivio comunale, mentre ha trovato collocazione l’archivio Cappello[77], lasciato in Biblioteca in dono; nella villa di famiglia, invece, rimane ancor oggi l’archivio Zanchetta, esempio di memorie familiari create oppure ordinate a fine Ottocento, dichiarato di notevole interesse storico «in considerazione della posizione economico-industriale e sociale che la famiglia occupò nel passato»[78]. Il rischio di dissipazione della memoria coinvolge in maggior misura le imprese, dove gli archivi aziendali rappresentano una fonte preziosa per una futura comprensione del fenomeno imprenditoriale.

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13. Pompeo Pianezzola, Stemma di Bassano, 1994, ceramica modellata e dipinta. Bassano del Grappa, Municipio. La più recente interpretazione dell'arma civica bassanese nel fregio collocato in sala Ferracina.

Illustri precedenti sono l’unico volume rimasto del Libro dei conti della bottega dei Dal Ponte, registro di committenze e pagamenti per le annualità 1512-1556, i cataloghi di produzione della stamperia Remondini, conservati solo per l’attinenza con la collezione incisoria donata al Museo. Ancor oggi il rischio di eliminazione diventa più frequente in corrispondenza con l’esaurimento di ogni ruolo pratico a fronte di una pressante esigenza di aggiornamento dei processi creativi e produttivi; il caso dei campionari dei laboratori ceramici, come paradigma delle testimonianze capaci di restituire il panorama produttivo della seconda metà del secolo scorso, è in tal senso illuminante. Il valore di una simile documentazione offre qualche spunto di riflessione, soprattutto a fronte di una articolata composizione e a riguardo di materiali di problematica conservazione. «Retinere cartas» era forse impresa più facile nel XIII secolo, la pergamena è probabilmente materiale più onesto e duraturo dei diversi sistemi che oggi fanno da supporto ai documenti cui sono affidate parole, immagini, cifre[79]. Agli odierni «salvatores cartarum» spetta la responsabilità di garantire la conservazione di tanti dati, certamente più accessibili, più condivisi e nello stesso tempo più instabili e più fragili, ma all’intera città è chiesta la consapevolezza del valore del proprio patrimonio documentario. Se la memoria è un diritto che deve aver futuro.

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