Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

  Dalla normalizzazione politica imposta dal regime, lontano dai fuochi dei conflitti e delle opposizioni radicali, scaturì l’immagine di un’altra realtà, quella di Bassano del Grappa (fig.1),

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1. Inaugurazione della Tomba del gen. Gaetano Giardino nel Sacrario del Grappa, 1936. Il corpo del Giardino fu inumato durante la quindicesima commemorazione dei caduti del Grappa, il 4 agosto 1936, nella tomba al centro dei resti della “sua” Armata. Al centro della fotografia, in primo piano, il gen. Emilio De Bono.

una nuova identità sancita da una nuova memoria collettiva, rispondente all’immagine ufficiale e patriottica della Grande Guerra che sarebbe stata canonizzata e imposta dal centro a partire dai primi mesi di vita del primo governo Mussolini. Nell’ambito locale, la ridefinizione del significato e del ricordo pubblico del conflitto sarebbe stata declinata a partire dal legame esclusivo tra la città e il monte “sacro alla Patria”, baluardo difensivo del dopo Caporetto rapidamente accolto nel pantheon dei luoghi della memoria nazionale, nesso simbolico in base al quale Bassano diventò capitale morale di una guerra patriottica e fascista, non fosse altro perché fu il regime fascista (Mussolini in testa) a promuovere la realizzazione dei grandi monumenti attorno ai quali si doveva organizzare il complesso di riti marziali e feste pubbliche che costituiranno la vasta e roboante architettura celebrativa e memoriale della Grande Guerra, ultima campagna del Risorgimento e fucina della nuova Italia fascista[30]. In effetti, il primo passo per un intervento memoriale in cima Grappa, riprendendo un’idea lanciata dall’allora sindaco Antonibon in una lettera a Gaetano Giardino dell’agosto 1918, datava già gennaio 1919, allorché il consiglio comunale di Bassano deliberava la posa di una singola lapide e stanziava nel contempo una cifra non irrilevante (5000 lire) per l’erezione di una fiamma perenne che avrebbe dovuto brillare sul monumento.[31] Legata al primo spunto di consacrazione del Monte era anche l’idea, che più volte venne ventilata nei consigli municipali del dopoguerra, di promuovere «pellegrinaggi patriottici» sulla cima «sacra alla Patria»: nella primavera 1919 si fece promotore dell’idea un «comitato promotore per un pellegrinaggio in Grappa», che premeva affinché si procedesse ad organizzare le prime adunate di massa, ancora laiche e senza partecipazione delle gerarchie ecclesiastiche, che sarebbero poi divenute consuetudine nazionale, in altre forme e con altre modalità, a partire dai «pellegrinaggi alle tombe dei caduti» del 1921[32]. Ben presto, le istituzioni locali e l’associazionismo patriottico si mossero per concretizzare il progetto di una consacrazione ad area monumentale della cima. Alla fine del 1919 venne costituito a Crespano un Comitato Regionale Opera regionale Madonnina del Grappa espressione della volontà della Chiesa e del mondo cattolico di procedere all’appropriazione dell’area sacra (fig.2).

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2. Il sacello sul Monte Grappa che accoglie la statua della Madonna gravemente danneggiata nel corso delle battaglie, (1922). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.  Con la creazione dell’Ossario si porranno poi le basi per un ricordo religioso e laico.

Nella primavera 1920, a Bassano venivano invece gettate le basi per la costituzione di un altro comitato, promosso dal mondo politico locale, che sarebbe ben presto entrato in collisione con il monopolio liturgico rivendicato da Crespano[33]. Solo nel 1923, tuttavia, l’antagonismo tra due organismi, quello religioso e quello laico, si sarebbe concretizzato con la costituzione ufficiale del Comitato Nazionale Pro Cimitero Monumentale, con sede a Bassano, presieduto dal generale Augusto Vanzo. Da quel momento il processo di «costruzione della memoria» attraverso il progetto di monumentalizzazione del Grappa fu una sequenza di screzi e di attriti, di conflitti simbolici e di lotte per l’egemonia nelle forme del culto, un’ostilità mediata e tenuta sotto controllo dall’opera di Gaetano Giardino, a sua volta protagonista e artefice di un mito guerriero di se stesso, baricentro della propria visione di una memoria eroica del Grappa[34]. Uscito dalla guerra «con la convinzione profonda di essere un grand’uomo», secondo la velenosa penna di Francesco Saverio Grazioli, Giardino fu senza dubbio uno dei protagonisti più interessanti, egocentrici e velleitariamente ambiziosi del dopoguerra italiano, abile arbitro della rivalità localistiche e personali sorte tra Crespano e Bassano, caparbio e quasi maniacale curatore di temi e dettagli nelle scelte architettoniche che avrebbero dovuto costituire il linguaggio simbolico della prima grande opera monumentale del culto dei caduti in Italia[35]. Nel complesso, la dettagliata regia di Giardino rispecchiava l’ansia di consolidare una figura mitica di soldato tra i soldati, generale-padre della “sua” Armata in vita e in morte: «[…] avvicinandomi alla Madonnina che li vide morire ed ai miei soldati che sul Grappa morirono, voglio farlo con tutta umiltà, come sento nel cuore. Ci accompagneranno i sacerdoti di Dio e, se vorranno, silenziosamente, le mie genti del Grappa! Nello stesso ordine di pensiero, io non ho creduto di poter insistere, come le avevo accennato, per una più modesta tomba, perché al di sopra del mio sentimento, deve stare il rispetto e il decoro della Madonnina e del cimitero monumentale. Ma questo si deve esaurire nell’esterno della tomba che fa parte dell’insieme. Nell’interno desidero che rientriamo nell’umiltà e che il mio loculo non sia troppo al di sopra di quello dei miei soldati…»[36]. Attore di una egocentrica creazione mitica, Giardino concorse visibilmente anche a quella mediazione tra dimensione del sacro e del marziale, del guerriero e del cristiano, che diede un’impronta propria e originale al linguaggio visivo, non solo celebrativo, del culto dei caduti sul Grappa. Il primo progetto del mausoleo, infatti, i cui lavori cominciarono nel 1926 e che fu inaugurato nell’ottobre 1928, prevedeva un’integrazione tra la Galleria Vittorio Emanuele, la tomba di Giardino e il sacello della Madonnina, che avrebbero costituito gli elementi di riferimento per il cimitero vero e proprio, in gran parte sotterraneo.[37] L’itinerario visivo così configurato costituiva una sorta di percorso ideale, dall’ingresso «un edificio in pietra squadrata offerto dalla città di Roma», fino al coronamento della via sacra con il binomio tomba-sacello: una commistione che risultò dar vita ad un perfetto equilibrio simbolico tra la città eterna, meta per eccellenza delle lotte del Risorgimento (di cui i caduti della guerra avevano realizzato l’ultima tappa), il condottiero della Vittoria e l’icona più popolare della religione cattolica, rassicurante matrice unitaria dello spirito della nuova Italia. Si trattava di una simbiosi che non poteva sfuggire ai contemporanei: «il cimitero fa sistema con le due opere che rendono venerato e glorioso il nome del Monte» scriveva un osservatore dell’epoca «e cioè la Madonna del Grappa e la galleria Vittorio Emanuele […]; pur essendo separati l’uno dall’altro per ragioni storiche e tradizionali sono in realtà riuniti a formare quasi un monumento unico: il monumento della Fede, del Valore e della Riconoscenza»[38]. Nel 1932, infine, Mussolini in persona, commissarierà il Comitato bassanese avocando di fatto ad un entourage da lui personalmente scelto (il Commissariato Straordinario per i cimiteri di guerra) la definitiva progettazione e sistemazione di un nuovo Mausoleo del Grappa. La soluzione di autorità del 1932 segnò anche per il «monte sacro alla Patria» il definitivo e ufficiale ingresso nella politica monumentale del regime, quella terza stagione di organizzazione degli spazi sacri dedicati al culto dei caduti che Mario Isnenghi ha definito come momento di una nuova dimensione del funebre e dell’eroico, corrispondente alle esigenze rituali e di consenso del regime[39]. Smantellati sistematicamente i piccoli cimiteri di guerra, eretti originariamente a ridosso dei luoghi dei combattimenti, negli anni Trenta si procedette all’erezione di giganteschi complessi monumentali, dal Pasubio a Redipuglia, da Asiago ad Oslavia, dal Montello al Grappa (tav.6). Il nazionalismo monumentale fascista degli anni Trenta attuò un compiuto passaggio da un «culto funerario discreto», occasione di ricordo, di riconoscenza, di cordoglio e di pietà, ad una politica celebrativa incentrata sul sacrificio di massa come base per il patto permanente fondatore della nuova Grande Italia, un culto esaltato da edifici che dovevano richiamare un lutto collettivo, fatto di grandi adunate e di cortei e non di pietas individuale[40]. Di questa costruzione di un linguaggio visivo monumentale che restituisse in pieno l’eroismo e la gloria della morte in battaglia, celebrasse nei caduti i “santi” di una nuova religione della Patria e si preoccupasse di consegnare alla comunità e ai posteri l’immagine di un connubio intimo tra i condottieri e i soldati, i guerrieri e il Paese, il nuovo cimitero monumentale del Grappa sarà un ottimo esempio. Nella sistemazione del nuovo impianto, inaugurato solennemente nel settembre 1935, protagonisti del colpo d’occhio saranno non più la statua della Madonna (riparata in un nuovo sacello molto meno visibile) ma la grande immagine del fante di vedetta, protetto da un gigantesco simulacro della Patria alto 12 metri, vero e proprio baricentro figurativo del complesso. La sua ingombrante presenza avrebbe affermato iconograficamente la preminenza di una nuova religione patriottica talmente assolutista da oscurare (anche concretamente) la rilevanza della religione cattolica. Un rilievo imbarazzante, e non sfuggito ai presenti (civili, religiosi, militari) alla grande cerimonia di consacrazione, tanto che il generale Cei, il nuovo commissario dell’ente voluto da Mussolini in persona, cercò di minimizzare la portata dell’ affronto portato al presunto monopolio del sacro detenuto dalla Chiesa sul Monte Grappa, sottolineando come nella nuova struttura la statua della Madonna avrebbe abbracciato idealmente tutti i caduti, disposti concentricamente attorno ad essa[41]. Benché la colossale statua del fante oggi non esista più, il progetto «mussoliniano» di sistemazione dell’area sacra e di gestione del monumento segnò il fallimento del progetto «bassanese» e l’avocazione a Roma della direzione dei lavori, e con questo il tramonto di una volontà, giocata tutta sul livello della memoria della “piccola patria”, di imporre una propria visione del ricordo. Bassano diventò del Grappa, luogo simbolico della guerra nazionale e del discorso pubblico che sul conflitto verrà costruito, ma non realizzò mai una raffigurazione della propria guerra, del proprio lutto comunitario. Il Sacrario del Monte era concepito come monumento nazionale: la collettività a cui si rivolgeva era l’intera nazione italiana, non quella locale. Il Tempio Ossario, che originariamente avrebbe dovuto essere destinato a nuovo Duomo di una città in espansione, verrà invece riutilizzato come tempio collettore delle spoglie di migliaia di caduti, senza un legame effettivo con la realtà cittadina se non quello di essere stati sepolti in uno dei numerosi piccoli cimiteri montani (fig.3; tav.7).

3TempioOssario1945

3. Interno del Tempio Ossario colpito da bombe alleate nel 1945. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.  Le spoglie di migliaia di caduti, ora drammaticamente esposte, testimoniano ancora una volta la brutalità della guerra.

In sostanza, Bassano rinunciò al suo monumento, che raccontasse i propri morti, lasciando lo spazio urbano privo di concreti punti di riferimento per un itinerario della memoria autonomo, slegato non solo dalle retoriche di regime ma anche dal più complessivo assorbimento del ricordo dei figli della “piccola patria” nel più vasto mare del mito nazionale. Bassano del Grappa vivrà, da quegli anni, una riconosciuta e importante (ma retoricamente fragile) simbiosi con il “suo” monte. Non è un caso se la coda più polemica e velenosa lasciata in eredità dal contrastato processo di costruzione della memoria di guerra sia legata proprio alla vicenda dell’inumazione della salma del generale Giardino[42]. Morto il 21 novembre 1935, Gaetano Giardino aveva disposto ormai da anni la successione delle tappe pubbliche del proprio funerale: dopo le solenni onoranze di stato la salma avrebbe dovuta essere traslata a Bassano e di lì nella tomba predisposta all’interno del Sacrario. In attesa che il sepolcro della nuova struttura venisse definitivamente completato, tuttavia, le spoglie del “Comandante del Grappa” vennero provvisoriamente ospitate nel Tempio Ossario, che poco più di un anno prima, nel maggio 1934, era stato completato grazie alle generose sovvenzioni del Governo. Bassano viveva, in quegli anni, la prima esplosione di un “turismo bellico” che subentrava al più mesto e sparso recarsi sulle tombe dei primi anni della pace. Le associazioni dei reduci assicuravano ormai la volontà di coltivare costantemente le memorie di guerra, in nome e con la benedizione di una ormai diffusa pedagogia nazionale ufficiale, e i pellegrinaggi patriottici si stavano velocemente trasformando in canali sicuri di un precoce turismo di massa, di cui la pubblicazione e la diffusione di guide e opuscoli sul Monte Grappa tra metà anni Venti e anni Trenta sono un’efficace testimonianza[43]. Fu così che la città divenne ben presto la meta di visitatori, curiosi e moderni pellegrini che giungevano a rendere omaggio al “Comandante del Grappa”. Bassano si stava trasformando, per la prima volta, in una meta turistica vera e propria e da più voci venne richiesto di trasformare in definitiva quella che avrebbe dovuto essere una tumulazione solamente provvisoria, facendo della città, e non più del Monte, il sepolcro ideale del culto individuale del «primo artefice» della Vittoria. In una realtà che stava riscoprendo altre potenzialità economiche (gli anni Venti sono l’epoca, vale la pena ricordarlo, della prima concentrazione industriale nell’area bassanese, a partire dalla fondazione nel 1924 delle Smalterie)[44], l’appeal di una potenziale fonte di reddito come il “turismo patriottico” (un fenomeno ampiamente incoraggiato dal regime) non poteva non suscitare comprensibili attrazioni[45]. Tuttavia, la coniugazione tutta bassanese di memoria e moneta non andò in porto e il corpo del Maresciallo Giardino fu inumato durante la quindicesima commemorazione dei caduti del Grappa, il 4 agosto 1936, nella tomba al centro dei resti della “sua” Armata. 

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