Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Bassano, ancora raccolta all’interno delle proprie mura medievali e molto simile a come veniva rappresentata nei primissimi anni del Seicento nella cosiddetta “Mappa dalpontiana”, e il suo comprensorio entrarono a fare parte del napoleonico Regno d’Italia, in modo ufficioso ma molto concreto, nel mese di novembre del 1805. Le avanguardie del maresciallo Massena erano giunte in città provenendo dall’Altopiano di Asiago già nel pomeriggio del 7 novembre, ma fu dal 25 novembre con l’arrivo in città di un reparto di lancieri polacchi che iniziò la seconda e più lunga occupazione francese, durata, con la cesura della primavera del 1809, per sette anni fino all’inizio di novembre del 1813. La città e il territorio da essa dipendente (le cosiddette Ville al Piano — Rosà, Rossano, Cartigliano, Cassola - e Ville al Monte - Pove, Solagna, San Nazario, Cismon, Primolano con la frazione di Fastro) che dal 1405 al 1797 e, ancora, dal 1798 al 1805 avevano formato la podesteria di Bassano e ne avevano condiviso le vicende compreso il trasferimento alla provincia di Treviso, stabilito dal Governo austriaco il 12 marzo 1803, rimase alle dipendenze del Capitaniato provinciale di Treviso fino al 29 gennaio 1806, quando quest’ultimo venne sostituito dal Governo provinciale provvisorio dopo che la Pace di Presburgo, stipulata il 26 dicembre 1805, aveva sancito ufficialmente il passaggio dell’Italia nord-orientale, dell’Istria e della Dalmazia a Napoleone. I nuovi padroni del Veneto mantennero al loro posto provvisoriamente fino alla fine dell’inverno del 1806 gli amministratori, a livello locale e provinciale, che avevano dimostrato propensione alla collaborazione (affiancandoli talvolta a esponenti della stagione democratica del 1797-1798 ritornati ora alla ribalta) sia per gestire il passaggio da un regime all’altro senza pericolosi vuoti di potere civile sia per avere come riferimento logistico degli organismi territoriali a cui delegare l’onere di soddisfare le continue ed esose richieste di viveri, casermaggio, alloggi e trasporti da parte dell’esercito[1]. Bassano mantenne tuttavia per un tempo più lungo il suo Maggiore Consiglio formato negli ultimi tempi da settanta esponenti della nobiltà locale e la Banca (chiamata anche Deputazione civica), ossia la giunta municipale, composta da diciotto consiglieri eletti annualmente tra i settanta e guidata da un presidente nominato mensilmente tra loro.
Questi amministratori erano l’espressione di una ristretta aristocrazia, frutto a sua volta della riforma del Consiglio varata nel 1726, che aveva inteso limitare la mobilità sociale verso l’alto, filtrando rigidamente l’accesso al ceto dirigente costituito da centoquarantanove famiglie appartenenti a sessantasette casati. In tale modo, le famiglie che detenevano le cariche cittadine all’inizio del Settecento erano in gran parte le stesse che governavano Bassano e il Bassanese novant’anni dopo. Solo pochi esponenti della ricca borghesia o nobili immigrati da altre città (una decina) erano riusciti a entrare nel gruppo dirigente e soltanto in sostituzione di famiglie estinte o trasferitesi altrove. L’unica apertura era stata l’allargamento dagli originali sessanta a settanta dei membri del Consiglio nel giugno 1796, attuato però con l’ammettervi due esponenti per famiglia anziché uno come era in precedenza. Sarebbe tuttavia errato presentare l’aristocrazia bassanese come un corpo statico, legato alla rendita agraria e alle funzioni di governo. Almeno un terzo dei suoi componenti (il 31,4%) era, o era stato, attivamente impegnato nelle attività imprenditoriali (lanifici, setifici, concerie, ceramiche, stamperie) e nell’esercizio delle professioni liberali (prevalentemente avvocati e medici) come gli Antonibon che, entrati nella nobiltà cittadina a fine XVIII secolo, cedettero la direzione delle loro fabbriche di maioliche e porcellane a imprenditori borghesi, il conte Giuseppe Perli Remondini che invece gestiva direttamente, prima con il fratello Antonio e, in seguito ai dissapori insorti tra loro, col figlio (premortogli nel 1810) Giambattista, le cartiere, le stamperie e le altre attività di famiglia; Pasquale Golini occupato a produrre e commerciare la seta, come facevano anche Girolamo Capovilla, Bortolo Caffo e Domenico Negri; Nicolò Negri era a sua volta titolare di una filanda di seta. Dal commercio provenivano i profitti maggiori di Antonio Albertoni, e Basilio Baseggio (aggregato al Consiglio nobile nel 1790) era proprietario di una stamperia ed esercitava la professione medica, come Giacomo Mimiola e Giovanni Locatelli. Avvocati e notai erano Andrea e Valerio Tattara, Giovanni Maria Sale, Giovanni Calderi (di famiglia aggregata nel 1784), Nicolò Compostella, Giovanni Mimiola (nel Consiglio dal 1791), Giovanni Battista Crestani; a costoro si deve aggiungere il conte Ernesto Bellavitis che svolgeva la professione di ragioniere comunale. Venivano poi i due ultimi accolti nella nobiltà cittadina (aprile 1801) per il sostegno economico offerto all’amministrazione durante l’occupazione francese di quell’anno: i borghesi Domenico Maello e Francesco Parolin (poi Parolini). Il primo era proprietario di concerie, setifici e manifatture di pannilana, che gestiva assieme al figlio Bartolomeo, il secondo affiancava l’attività imprenditoriale manifatturiera (dal 1781 al 1802 tenne in affitto le fabbriche di ceramiche degli Antonibon, passate poi al rossanese Giovanni Baroni) a quella agricola con la gestione nel 1808, parte in proprietà e parte in affittanza, di mille campi vicentini e l’allevamento di una sessantina di bovini. Altri nobili avevano sovente delle compartecipazioni di capitale con imprenditori o commercianti borghesi, praticavano il notariato (fino alla riforma delle norme per accedere alla professione varata il 17 giugno 1806 da Napoleone) e traevano guadagno dall’affitto di immobili che possedevano sia in città che nei dintorni. A fianco di tutto questo c’era naturalmente anche la rendita agraria[2]. La preminenza nobiliare era comunque in questo periodo iniziale tacitamente avallata dal Governo, che era orientato ad un conservatorismo moderato basato sul censo e non più sul sangue e perciò voleva ridurre l’ostilità ideologica delle vecchie classi dirigenti, per farne progressivamente uno strumento proprio amalgamandole ai ceti emergenti della borghesia professionale, imprenditrice, proprietaria terriera e intellettuale, coi quali nel bassanese esistevano da tempo solide relazioni. La prima operazione in tale direzione si ebbe nel 1806 con l’applicazione del decreto organico dell’8 giugno 1805, in esecuzione del quale il Maggiore Consiglio modificò il suo nome in Consiglio comunale e, soprattutto, ridusse i suoi componenti da settanta a quaranta, traendoli dall’elenco dei cento maggiori contribuenti del territorio comunale. Veniva in tal modo a cessare l’elezione per privilegio di nascita, sostituito dal requisito della ricchezza che apriva le porte alla borghesia, alcuni membri della quale erano più doviziosi di diverse famiglie della nobiltà, che sparirono definitivamente dal nuovo organismo di governo cittadino. Da quell’anno e fino alla fine dell’età napoleonica venne progressivamente alla ribalta un nuovo gruppo dirigente, costituito da esponenti della borghesia imprenditoriale come Bombardini, Chemin, Rizzo, Barbieri, Ferrari, di quella mercantile con i Serraglia, Bordignon, Fasoli, Brun, Cantele, del ceto delle professioni liberali quali i dottori Larber, Bartolomeo Gamba, Antonio Gaidon, Giovanni Bernardi, Giovanni Battista Cimberle e altri ancora. A costoro, con l’espandersi del territorio comunale nella campagna circostante si unirono alcuni importanti borghesi locali, i quali oltre alle attività manifatturiere e commerciali possedevano vaste proprietà fondiarie gestite con metodi capitalistici, come facevano i veneziani Comello, i rossanesi fratelli Lando e Giovanni Baroni ed il bassanese Domenico Berti che aveva vasti possedimenti agricoli tra Rosà e Cassola. Tra il 1808 e il 1810 la loro presenza nel Consiglio passava da un quarto ad un terzo del totale dei componenti e nel 1811 vedeva aumentare il numero degli eleggibili con l’aggregazione a Bassano di Angarano e Solagna, dove il ceto dirigente era prevalentemente borghese. Questo non intaccava definitivamente il predominio della vecchia classe dominante, ma ne poneva al suo fianco una nuova con cui confrontarsi e cercare un’intesa, avviando il processo di amalgama che durante l’Ottocento vedrà l’incrociarsi sempre più fitto tra le famiglie dei due gruppi, i quali finiranno per adottare, almeno in parte, i rispettivi valori, facendo causa comune per la difesa della loro preminenza politico-sociale.
L’apertura verso la borghesia, che ne fece così la naturale alleata della vecchia aristocrazia nella difesa degli interessi della rinnovata classe di potere, si ripercosse nei paesi del territorio sfavorevolmente sul ceto contadino. Le nuove leggi stabilirono, infatti, che le cariche comunali fossero riservate tutte a coloro che avevano i redditi maggiori e ciò, se a Bassano non cambiava nulla, nei paesi del circondario escludeva i contadini e gli artigiani locali che per secoli avevano partecipato attivamente mediante l’istituto della "vicinia" alla gestione dei loro comuni, eleggendo gli "uomini di comun" e i "sindici" e "merighi" tratti dalla loro stessa classe. Ora la difesa, concreta o ipotetica, delle proprie prerogative che costoro erano riusciti a svolgere, non raramente in unione a qualche borghese proprietario terriero, nei confronti della nobiltà cittadina veniva a cessare definitivamente.   In forza della norma che permetteva l’elezione anche dei non residenti che avevano però nel territorio una adeguata proprietà terriera, nel Consiglio bassanese entrarono gli ex patrizi veneziani Almorò Grimani, Paolo Antonio Erizzo, Girolamo Ascanio Molin (che era stato inquisitore della Serenissima e direttore della polizia austro-veneta), Girolamo e Leonardo Dolfin che andarono a unirsi ai già presenti Bartolomeo Mora, Filippo Cappello (residente a Cittadella) e Tommaso Moro. La loro partecipazione ai lavori consiliari era però molto rara, data la saltuaria presenza nel bassanese[3]. Il 30 marzo 1806 Napoleone (fig.1)

1ThomasJonesBarker

1. Thomas Jones Barker – Charles George Lewis, Napoleone ammonisce i suoi ufficiali nei pressi di Bassano (part.), granito. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. 3366. Particolare di grande resa ed effetto per il mito napoleonico.

decretava l’unione del Veneto al Regno d’Italia e il 29 aprile dello stesso anno la provincia di Treviso (di cui Bassano faceva parte) assunse il nome di dipartimento del Tagliamento, a capo del quale venne nominato il prefetto milanese Giuseppe Casati che aveva retto prima il dipartimento del Lario (Como), poi quello del Serio (Bergamo) e offriva la garanzia di un’esperienza necessaria per amalgamare le terre venete al resto del Regno. Il Bassanese divenne contemporaneamente uno dei cantoni del dipartimento e componente assieme al confinante cantone di Asolo di un distretto, del quale Bassano doveva svolgere la funzione di capoluogo in maniera sempre più evidente con il passare dei mesi, ma che all’inizio fu molto sfumata per non alimentare ulteriormente le resistenze municipalistiche asolane già percepibili.   Venivano istituiti, sempre nel 1806, l’ufficio di stato civile (molto importante per il regime per motivi fiscali e militari) e il primo ufficio postale cittadino, con l’assunzione di alcuni portalettere che provvedevano a portare la posta fino al capoluogo dipartimentale al posto dei carrettieri, come fino ad allora era stato. Il 21 maggio venivano nominati dal dirigente dipartimentale i componenti delle municipalità dei comuni di terza classe cha comprendevano tutti i paesi del cantone bassanese con l’esclusione di Rosà, formato allora da dodici quartieri con una popolazione di 8.535 abitanti, che superava di alcune centinaia di individui la stessa Bassano. La città nei primissimi anni del secolo contava 11.755 abitanti, ma la crisi economica coincidente col cambio di regime aveva provocato una contrazione delle attività manifatturiere e artigianali, inducendo artigiani e lavoranti a trasferirsi altrove con le proprie famiglie e nel 1807 la popolazione, compresi i residenti dei sobborghi esterni alla città, era pertanto stimata sulle 8.700 unità (il cantone superava di poco i 30.000 residenti). La città fu nominata comunque dal Governo comune di prima classe (unica nel dipartimento del Tagliamento assieme a Treviso), con l’intento di ridisegnare in seguito i confini tra essa e Rosà, e le venne assegnato provvisoriamente di sovrintendere al funzionamento delle amministrazioni dei comuni di terza classe, fino alla nomina del viceprefetto e del cancelliere del censo. Furono accorpati tra loro in quella occasione i paesi di Primolano e Cismon, Pove e Solagna, Rossano e Cassola, inizio di una serie di alchimie territoriali che sarebbero durate per tutta l’epoca napoleonica, mentre mantenevano i loro confini Cartigliano e San Nazario. Nello stesso periodo la Municipalità bassanese riuscì a convincere il magistrato civile di Treviso, Bernardo Pasini, (il prefetto Casati non si era ancora insediato) a non effettuare il trasferimento di Rossano dal suo territorio al cantone di Castelfranco, dimostrando i forti legami economici esistenti tra Bassano e Rossano. Gli agricoltori e i commercianti rossanesi portavano i loro cereali, bovini e le biade a Bassano per venderli tanto alla città che ai residenti dei paesi della vallata del Brenta, i quali inviavano ai mercanti rossanesi, attraverso il fiume e i canali da esso derivati, il legname tagliato sui monti circostanti. Dei 2.332 campi censiti nel territorio rossanese la metà circa apparteneva a Bassanesi e nemmeno uno ai cittadini castellani; le strade verso Bassano erano solitamente comode e ben praticabili, quelle per Castelfranco mal tenute e spesso impraticabili per le esondazioni del torrente Muson[4]. La primavera del 1807 iniziò con l’ampliamento della circoscrizione comunale di Bassano, per garantirle una popolazione adeguata al suo ruolo di comune di prima classe (che dal 14 luglio sarebbe stata fissata in tutto il Regno in almeno 10.000 persone). Si procedette pertanto a trasferire ad essa i quartieri rosatesi di Revoltella, Villa, Prè, Baggi e una parte di Ca’ Dolfin, che la circondavano da Sud-Ovest e a Nord-Est, come era stato richiesto dai Bassanesi stessi alla prefettura nel gennaio di quell’anno, con la motivazione che sulla città gravava l’onere di essere contemporaneamente capoluogo di distretto e di cantone e sede di una numerosa guarnigione militare. La prefettura, riconoscendo valide le motivazioni presentate, concesse lo stesso 20 marzo sia le aggregazioni dei quartieri che l’ampliamento del cantone a spese di quello di Asolo, che si vide sottrarre Romano, Mussolente e Casoni. L’amministrazione rosatese non era disposta ad accettare passivamente la perdita di una così ampia fetta di territorio e si appellò tanto alla prefettura che al viceprefetto, il veronese Luigi Anselmi, il quale era appena stato insediato e dovette subito occuparsi di dirimere la diatriba che si trascinò per qualche mese. Alla fine le richieste dei Rosatesi non vennero accolte e furono confermati i confini tra i due comuni stabiliti il 5 maggio, ma non si aggregarono a Bassano il rimanente del quartiere Ca’ Dolfin, il quartiere Chiesa (dove sorge la chiesa parrocchiale di Rosà) e il paese di Cassola, come da essa richiesto.
L’insistenza da parte bassanese di ampliare il proprio territorio comunale si può comprendere se si osserva che nell’ottobre del 1807 gli abitanti cittadini erano scesi a 8.100 (14.637 con le recenti aggregazioni territoriali) data la continua fuga di residenti, numerosi dei quali preferivano trasferirsi ad Angarano, allora comune autonomo del cantone di Marostica dipendente dal dipartimento del Bacchiglione e pertanto meno gravato da imposte e servitù militari. Un’altra conferma delle difficoltà bassanesi è data dal bilancio consuntivo del comune per il 1807 che riportava un introito totale di 52.127 lire italiane e 97 centesimi: la spesa per l’amministrazione civile ammontava a 29.909 lire e 57 centesimi e le rimanenti 22.563 lire e 40 centesimi furono tutte destinate (senza essere sufficienti) alle spese militari, cosicché nel gennaio del 1808 non restavano in cassa più fondi disponibili. C’era inoltre la questione del debito di 103.520 lire che il comune aveva coi cittadini per i prestiti da loro fatti nelle vicende belliche svoltesi tra il 1796 e il 1805 e da esso non restituiti, che gli costavano 4.918 lire venete annue di interessi[5]. Tra il 1806 e il 1807 si era provveduto a modificare progressivamente l’apparato giudiziario e di polizia del cantone. Il tribunale di prima istanza, gli uffici giudiziari e l’archivio sussidiario notarile furono trasferiti dal piano ammezzato del Palazzo Pretorio all’ex monastero di San Giovanni verso la fine del 1807, mentre il tribunale civile continuava a tenere le sue sessioni nell’attiguo Palazzetto pseudo Bonfadini. La sede del giudice di pace di prima classe venne anch’essa spostata dalla sala del Consiglio comunale ad un edificio posto nella vicina Piazza San Francesco (oggi Piazza Garibaldi). Il 21 agosto 1807 il viceprefetto Anselmi veniva nominato commissario generale di polizia del dipartimento dell’Adriatico e a sostituirlo venne chiamato il viceprefetto di Asiago, il trentenne vicentino Antonio Quadri, figlio di un esattore delle imposte, entrato nell’amministrazione pubblica a Vicenza nel 1800 con gli Austriaci e destinato a divenire qualche decennio dopo uno dei maggiori studiosi italiani della scienza statistica. Quadri si insediò ufficialmente il 27 settembre, andando a risiedere nell’appartamento della casa che la Municipalità aveva scelto come sede della vice prefettura e dato in subaffitto per la spesa annua di 242 lire italiane e 63 centesimi da Girolamo Marinoni. L’edificio, ancora oggi esistente, era posto sul lato orientale della Via Nova (Via Roma) e apparteneva a certo Domenico Pallavicini. Nel 1812 la vice prefettura veniva trasferita nel Palazzo Pretorio, dove rimase fino all’avvento della seconda dominazione austriaca. La presenza di Quadri in città doveva protrarsi per oltre sei anni, ma il suo rapporto con la Municipalità e i consiglieri non fu facile, data la tendenza del viceprefetto a porsi spesso in una posizione diffidente, critica e sbrigativa nei confronti degli amministratori civili, ai quali non risparmiava rampogne e minacce se non veniva eseguito al più presto ciò che lui chiedeva. La popolazione sembrava non averlo molto in simpatia, anche per aver egli abbandonato la città per due volte consecutive nel giro di un mese nel corso della guerra del 1809, lasciandola ad arrangiarsi con gli Austriaci. Non gli giovava certo l’avere intentato una causa di adulterio alla moglie, quando era molto chiacchierata una sua presunta relazione con una donna bassanese sposata. Il ritratto che ne fece nell’ottobre del 1809 l’ispettore generale della gendarmeria, il generale Pietro Polfranceschi, ci presenta un uomo intelligente e ambizioso, consapevole delle proprie capacità al punto di sopravvalutarle talvolta, ma anche politicamente infido e disposto a servire qualsiasi governo per favorire la propria carriera, cosa che probabilmente gli venne impedita, o rallentata, proprio dalla relazione al Governo di Polfranceschi. Così Bassano, che all’inizio per lui rappresentava una promozione promettente, si trasformò in una specie di confino.   Essendo stato introdotto nel 1807 il nuovo codice di procedura penale che separava i compiti di polizia da quelli giudiziari e faceva nascere la figura del commissario, che doveva occuparsi di questioni di polizia amministrativa e criminale e della sorveglianza delle opinioni politiche dei cittadini, a Bassano si dovette abolire la carica di giudice criminale e delegato di polizia (ricoperta ininterrottamente dal 1798 da Paolo Agostinelli), i cui compiti giudiziari passarono alla camera correzionale del tribunale di prima istanza, mentre quelli di polizia furono assegnati ad un commissariato che ebbe sede nel Palazzo Pretorio. A capo di questo istituto fu nominato l’11 novembre il giovane Giuseppe Bombardini (fig.2),

2MartinoDeBoni

2. Martino De Boni, Ritratto di Giuseppe Bombardini. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 90. I compiti di polizia furono assegnati ad un commissariato che ebbe sede nel Palazzo Pretorio. A capo di questo istituto fu nominato l’11 novembre il giovane Giuseppe Bombardini.

sostituito circa un anno dopo dal nobile settantenne Francesco Navarini. Di quest’ultimo era nota l’avversione mal celata verso il nuovo regime, tanto da essere accusato nel 1811 di avere esercitato il proprio incarico svogliatamente, eludendo gli obblighi di sorveglianza affidatigli dalla Municipalità, tenendo costantemente sotto organico e inefficienti le pattuglie comunali e permettendo una gestione dell’annona lacunosa, per indifferenza o corruzione, tale da permettere la speculazione sui rifornimenti alimentari da parte di commercianti e fornitori disonesti. La sua morte avvenuta nell’autunno dello stesso 1811 lo sottrasse ai provvedimenti che la prefettura voleva prendere nei suoi confronti. Agli inizi di dicembre la Municipalità nominerà al suo posto il commissario Tommasoni e questa volta la scelta sarà indovinata perché egli si dimostrerà un funzionario abile e onesto. Nell’aprile del 1808 venne inoltre aperta una infermeria all’interno del carcere, perché il tribunale aveva proibito il ricovero dei detenuti nell’ospedale cittadino[6]. Il 22 dicembre 1807 (ufficialmente, perché l’effettivo cambio avvenne il primo marzo 1808), con la riorganizzazione territoriale dei dipartimenti veneti, il distretto bassanese assieme a quello di Castelfranco veniva assegnato al dipartimento del Bacchiglione. In tale occasione il bassanese inglobò il cantone di Quero, passato nel 1811 al dipartimento del Piave, e una porzione di territorio vicentino appartenente al cantone di Marostica, che si estendeva dalle pendici dell’Altopiano di Asiago fino a comprendere a Sud Sandrigo e a Ovest Breganze e confinare con il distretto di Schio. La popolazione del nuovo distretto salì a 86.663 persone e si formò un Consiglio distrettuale che comprendeva i bassanesi Giuseppe Perli Remondini, Antonio Negri, Valerio Tattara, Bartolomeo Caffo, Paolo Compostella, il rosatese Pietro Antonio Chiminello, gli asolani Giacomo Perosini, Luigi Trieste, Florio Bevilacqua, Niccolò Malombra, Marcantonio Antonelli. Nella stessa data veniva però staccato dal bassanese Mussolente (802 abitanti) che fu riassegnato all’asolano, mentre restava assoggettata a Bassano la frazione di Casoni. Alla fine del marzo 1808 il comune di Bassano inglobava altri due quartieri rosatesi: Travettore e San Zeno e i paesi di Romano e Pove (che veniva staccato da Solagna), mentre Cassola veniva provvisoriamente unita a Rosà. Quest’ultimo comune (aveva dismesso ufficialmente l’antico nome di "Università della Rosà" il 20 marzo 1807) continuò ad appellarsi alla nuova prefettura per ottenere la ricostituzione della sua estensione originaria e ciò trascinò Bassano in una lunga vertenza sulla divisione dei beni comunali, conclusasi nel febbraio 1811, che sancì la definitiva divisione del quartiere Ca’ Dolfin tra i due comuni. Dei 384 campi vicentini e 153 tavole censiti, a Bassano andarono 168 campi e 788 tavole di terra più due case d’affitto situate in città, a Rosà rimasero 215 campi e 275 tavole.
Molto sentito dall’amministrazione imperiale francese era il problema delle strade e della loro manutenzione. Lo stesso Napoleone prestò sempre attenzione a che fossero realizzate o migliorate le reti stradali italiane, ben consapevole dell’utilità di avere delle buone strade per far procedere speditamente gli eserciti, i decreti e l’ideologia del suo regime. Bassano rientrava appieno nelle attenzioni governative, dato che attraverso il suo territorio si poteva giungere brevemente nel Trentino e da lì all’Austria. Un censimento del 1808 rilevava che il territorio comunale era intersecato da una rete viaria dall’estensione di 83.308 pertiche bassanesi (178 chilometri e 612 metri), in gran parte larga dai dieci ai tredici piedi (da tre metri e mezzo a quattro metri e mezzo circa). Vi erano contenuti i tronconi di quattro strade nazionali: la "Imperiale postale" che da Bassano risaliva verso la vallata del Brenta, ampia 14 piedi (5 metri), un ramo secondario della stessa "Imperiale" che attraversava Romano e si dirigeva verso Castelfranco, della larghezza di 20 piedi (7 metri circa); la "Via Nova" che iniziava dalla Piazza San Giovanni (ora Piazza Libertà) e attraversava la parte meridionale del centro diretta verso Cittadella e Padova, e si allargava fuori della città; infine la strada che partendo dalla Porta delle Grazie si dirigeva a Est verso il cantone asolano, larga 14 piedi (5 metri). Le condizioni in cui versavano molte strade erano però preoccupanti. Le vie dei quartieri rosatesi aggregati erano perlopiù in cattive condizioni, soggette a impaludarsi e spesso invase dalle acque che straripavano dagli argini mal tenuti delle molte rogge irrigue, le maggiori delle quali erano la Comello, la Cappello, la Moranda e i diversi rami della rosta Battaggia derivate dal Brenta, che le costeggiavano e sovente le intersecavano, scavando nei guadi buche profonde e pericolose. I ponti erano pochi e costruiti quasi tutti in legno, senza parapetti e troppo stretti mentre i pochi manufatti di muratura erano in condizioni precarie e con i piloni sbrecciati ed erosi dal passaggio continuo delle zattere di legname. Anche le strade cittadine erano bisognose di interventi di livellamento, rifacimento delle pendenze e riselciatura. Nel 1810, pertanto, fu affidato all’ingegnere comunale Pietro Bressan l’incarico di redigere il progetto degli interventi immediati da farsi per alcune strade e piazze che comportarono una spesa di 885 lire italiane, mentre le strade dei quartieri aggregati furono risistemate a spese dei proprietari delle rogge. Una seconda tranche dei lavori per il centro cittadino che prevedeva la sistemazione di tutte le strade e le piazze venne iniziata nel 1812, ma pochissimo fu alla fine fatto. Furono inoltre avviati e parzialmente realizzati tra il 1810 e il 1812 i lavori di due strade (le quali in parte si sovrapponevano a dei percorsi già esistenti) che partendo da Bassano si dirigevano verso il Piave e sono ancora oggi, con alcune modifiche, le arterie di traffico principali del territorio. La prima (la Strada del Molinetto) correva ai piedi del Massiccio del Grappa, l’altra (oggi Schiavonesca Marosticana) si snodava a Sud della fascia collinare fino ad Asolo per poi proseguire verso Maser e Cornuda. Direttore dei lavori era l’architetto Antonio Gaidon e la spesa fu di 22.838 lire italiane da ripartire tra i paesi da esse attraversati. Dopo il rifacimento della chiesa di San Giovanni Battista, la realizzazione di alcuni interessanti edifici privati quali, ad esempio, i palazzi Bonfadini, Scolari (1770 ca) (fig.3),

3AntonioGaidon

3. Antonio Gaidon, Progetto per casa Scolari all’Angelo. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Il palazzo Scolari costituisce una delle poche realizzazioni civili successive al 1770.

Ferrari-Sturm (post. 1750) e la trasformazione secondo i dettami classicisti di alcuni altri edifici più antichi nel periodo compreso tra il 1747 e la fine del XVIII secolo, quali Palazzo Apollonio Chiminelli, Palazzo Negri e Casa Ronzani, il fervore edilizio che in altre città caratterizzò il dominio napoleonico si fece invece poco sentire a Bassano, dove venne istituita la Commissione all’Ornato ma poco di nuovo si progettò e ancor meno fu realizzato. Così il progettato loggiato ad archi da erigere nella piazza San Francesco per collocarvi il mercato delle biade rimase sulla carta, come il loggiato previsto per il mercato delle verdure da costruire nella contrada Borghetti. Gran parte dei lavori pubblici furono rivolti all’adattamento a caserme, magazzini militari, uffici giudiziari o scuole di monasteri soppressi e chiese sconsacrate, del Palazzo Pretorio e del Fontico dentro il castello superiore. Attenzione fu posta anche al completamento del Passeggio Pubblico alle Fosse, con il quale alla fine del secolo precedente Bassano aveva voluto mostrare, nel suo limitato respiro, l’adesione ai nuovi canoni urbanistici adottati da alcune grandi città europee. Si provvide ad eliminare alcune strutture che lo deturpavano, a piantare nuovi alberi, a collegarlo con il boschetto posto a Sud dell’ex convento dei Riformati (corrispondente oggi a Via Chilesotti), abbattendo una parte del muro di cinta verso le Fosse ed erigendo un muro a Nord del boschetto per separarlo dagli orti dell’ex convento. L’unico, ma il più importante intervento edificativo ex novo fu in quel periodo il teatro progettato dall’architetto e costruttore Bauto, il cui cantiere era stato avviato nell’estate del 1804 e fu completato nel 1812, mentre un’altra sua opera (modesta in realtà), il Corpo di guardia austriaco addossato alla parete settentrionale della chiesa di San Francesco, veniva realizzato entro il 1805[7]. Dal punto di vista amministrativo, si è già rilevato in precedenza che la vecchia Deputazione civica col cambio aveva modificato il proprio nome in Municipalità secondo i voleri del nuovo regime ma aveva mantenuto gli stessi componenti aristocratici, continuando imperturbata in questo modo fino al 1808 con la sola novità della nomina nel luglio 1806 di un podestà incaricato, l’avvocato Andrea Tattara presidente di turno della Municipalità, eletto sempre all’interno dello stesso consesso e che mantenne la carica ufficialmente fino al 30 novembre 1807, ma in realtà fino al primo gennaio 1808 quando divenne podestà Giuseppe Baroncelli. Essa distribuiva tra i suoi componenti le cariche fondamentali per la vita della città quali la sorveglianza dei rifornimenti alimentari, della sanità, delle finanze e imposte comunali e territoriali, affidandone contemporaneamente più di una ai propri membri e lasciando agli altri consiglieri quelle poco più che onorifiche. Gli uomini della Municipalità appartenevano ad un gruppo di famiglie che compare con gli stessi esponenti in tutte le giunte a partire almeno dal 1798 (Agostinelli, Baggio, Baseggio, Caffo, Capovilla, Compostella, Crestani, Golini, Gosetti, Remondini, Roberti, Stecchini, Tattara), affiancati a dei consiglieri che cambiavano ad ogni elezione per dare l’impressione della rotazione delle cariche. L’idea che se ne evince è che, all’interno del ristretto ceto dirigente nobile, esistesse un gruppo di individui che formava una elite primeggiante non tanto per le proprie sostanze ma per il prestigio e l’autorevolezza di cui godevano all’interno dei clan parentali nobiliari, delle cui istanze si facevano portavoce nell’amministrazione. La lunga sopravvivenza della stessa giunta fu dovuta anche alle molte difficoltà incontrate dal prefetto Casati nel portare il dipartimento del Tagliamento al livello di organizzazione di quelli lombardi ed emiliani, di più antica costituzione. Dopo un biennio, delle molte cose avviate ben poche erano in via di completamento e ciò consigliò probabilmente di lasciare al proprio posto nella seconda città dipartimentale degli amministratori con una buona esperienza di governo e disposti a collaborare, che avevano dato ripetute garanzie di moderazione sociale. Tutto ciò almeno finché non fosse stato possibile inserire tra le loro file la borghesia emergente, cosa che si iniziò a fare proprio nel 1808 [8]. All’inizio di quell’anno si giunse finalmente ad applicare la legge che prevedeva per i comuni di prima classe una giunta formata da sei savi e un podestà, destinata a durare tre anni e a rinnovare parte dei savi annualmente. In realtà, data la continua espansione territoriale di Bassano, la mole di impegni da espletare diveniva sempre più gravosa e ai sei savi previsti erano affiancati degli “aggiunti” nominati in numero variabile dal Consiglio. La prima Municipalità allineata alle normative del regno risultava formata nella primavera del 1808 dal podestà Baroncelli e dai savi e aggiunti Andrea Tattara, Nicolò Compostella, Girolamo Capovilla, Tiberio Roberti, Gabriele Michieli, Jacopo Vittorelli (il noto poeta al quale fu affidata la pubblica istruzione), Giulio Golini. Si trattava però di una giunta di transizione, dato che tutti costoro avevano fatto parte dal 1805 della precedente amministrazione, e il 3 giugno successivo si ruppe anche in questo organismo il monopolio nobiliare con la nomina a savio della IV sezione municipale (stato civile, popolazione, coscrizione militare) del mercante di sete dottor Giacomo Bernardi (rappresentante ufficiale del "corpo mercantile" assieme a Giacomo Villa), a fianco dei soliti Andrea Tattara, Paolo Agostinelli, Girolamo Capovilla, Giovanni Battista Baggio, Bartolomeo Maello e degli aggiunti Basilio Baseggio, Nicolò Compostella e Leonardo Stecchini. Quest’ultimo venne designato nel mese di luglio dal podestà Baroncelli, che versava in condizioni di salute precarie, suo sostituto nella direzione amministrativa della città. Il Governo decise di avallare la scelta del podestà e nominare ufficialmente lo Stecchini come suo successore il 6 settembre, ponendo alla guida della città un esponente di quelle famiglie locali che dopo gli ex patrizi veneti Elisabetta Corner Grimani, Girolamo Dolfin, Paolo Erìzzo e Girolamo Ascanio Molin avevano la maggiore rendita prediale annua del cantone bassanese[9]. Toccherà allo Stecchini e alla giunta eletta il 3 giugno, che si dimostreranno affidabili per il Governo italico non schierandosi dalla parte degli Austriaci, affrontare dalla primavera all’autunno del 1809 la grave emergenza causata dalla guerra austro-francese combattuta anche dentro la stessa Bassano, le conseguenti rivolte popolari nei paesi del distretto e le incursioni di bande di insorti tirolesi, che la costringeranno a pensare a ben poco che non sia la continua ricerca di rifornimenti per le truppe amiche e nemiche e la popolazione, per cui le casse comunali risulteranno prosciugate e si dovrà ricorrere ai prestiti dei cittadini. Nell’autunno dello stesso 1809, infatti, non era ancora stato possibile raccogliere completamente l’imposta censuaria e la tassa personale che avrebbero parzialmente coperto il disavanzo del bilancio, data l’esasperazione della popolazione. Questa si manifestò chiaramente quando gli incaricati del ricevitore comunale della diretta si recarono nelle abitazioni di oltre quattrocento morosi per pignorarne i beni e ne furono malmenati e scacciati in modo tale da costringere la Municipalità a chiedere l’intervento della gendarmeria e della guardia nazionale.   Sempre nello stesso anno venne riformata completamente la Municipalità, con l’ingresso di ulteriori appartenenti alla borghesia, che nel corso degli anni successivi con il rinnovarsi delle giunte finiranno per formarne un terzo dei componenti e mantenersi in tale misura fino ad oltre la fine del Regno italico. Il 1810 rappresentò l’anno del ritorno graduale all’ amministrazione ordinaria, tuttavia le conseguenze economiche della guerra da poco trascorsa si facevano ancora sentire, come dimostra la difficoltà che si incontrava nel reperire cereali alimentari i cui prezzi erano notevolmente aumentati, tanto da fare imporre un calmiere dei prezzi e ricorrere a continui controlli per evitare le possibili speculazioni, nel timore che si riaccendessero le contestazioni popolari. L’insicurezza era tale che le gare di appalto per l’assegnazione della ricevitoria comunale delle imposte per il triennio 1811-1813 andarono deserte. Solo con grande fatica fu possibile trovare un appaltatore per l’anno 1811 e solamente dopo che la prefettura aveva minacciato di rendere d’ufficio ricevitori i maggiori contribuenti della tassa prediale del cantone con lo scaglione di rendita da 2.500 lire italiane in su (nel bassanese erano in tutto trentasette). Dal primo gennaio 1811 entrarono a fare parte del comune di Bassano i paesi di Solagna, Cassola e Angarano, portando l’estensione comunale intorno alla metà di quella dell’intero cantone e accrescendo la popolazione di circa altre 5.000 unità (quella cittadina, compresi i borghi Margnano e Leon, veniva censita nello stesso anno in 6.600 abitanti). La tradizionale predominanza bassanese sul territorio circostante è provata dall’elenco stilato in quella occasione per eleggere i quaranta componenti del nuovo Consiglio comunale. Degli ottanta nominativi riportanti i maggiori proprietari terrieri delle località neo aggregate, la stragrande maggioranza era data da residenti bassanesi (tra cui numerosi ex appartenenti al cessato Maggiore Consiglio) ai quali si univano alcuni possidenti veneziani. L’unica eccezione era quella di Solagna che presentava in lista sette suoi abitanti già membri del locale Consiglio comunale[10]. Il podestà Stecchini si dimostrò un buon amministratore per la sua città con l’eccezione della sua fuga momentanea del 3 giugno 1809, quando Bassano subì l’incursione di una colonna di soldati austriaci e rivoltosi tirolesi, ma dalla fine del 1811 in poi egli fu sempre più costretto a delegare le proprie funzioni a qualche savio a causa del peggioramento della sua salute, cominciando a chiedere ripetutamente che venissero accolte le sue dimissioni. Il 30 aprile 1812, pertanto, assumeva la carica podestarile Bartolomeo Maello il quale, tuttavia, adducendo i molti impegni della sua casa commerciale, delegava a suo sostituto il savio trentunenne Giuseppe Bombardini. Dopo qualche mese di compresenza nella gestione degli affari municipali, il Maello si defilò totalmente lasciando tutto nelle mani del giovane sostituto, che divenne di fatto il podestà di Bassano fino al 1814. Assumendo il nuovo incarico, Bombardini ben rappresentava la rapida ascesa della borghesia e l’influenza che essa ormai esercitava nel territorio, tanto da avere un proprio esponente (di un’età tra l’altro nettamente inferiore a quella media degli altri amministratori che si aggirava sui cinquant’anni) alla guida del capoluogo distrettuale.   Il nuovo "pro podestà" si mise con entusiasmo a svolgere il proprio incarico, fornendo ripetute prove di dinamicità. Forti furono, ad esempio, il suo impegno per l’ampliamento della rete di scuole elementari pubbliche create ex novo dal 1808 e per la rinascita del ginnasio cittadino (nucleo del futuro liceo classico) e l’attenzione all’ampliamento e al miglioramento dell’assistenza sanitaria comunale. A lui si deve l’illuminazione pubblica in città che prima non c’era mai stata, costituita con l’installazione di lampioni alimentati a olio lungo le strade del centro e dei borghi Leon e Margnano, mantenuti con l’imposta di un centesimo di lira per ogni libbra di olio acquistata dai cittadini. Interessante è il fatto, poco usuale, che il progetto fu sottoposto al parere di tutta la popolazione e attuato solo dopo averne ottenuto il consenso. Durante il 1813 il distretto venne coinvolto nelle vicende che si accompagnarono alla caduta del Regno italico e negli ultimi giorni di ottobre il cantone bassanese fu teatro di combattimenti tra i Franco-Italiani in ritirata e gli Austriaci, i quali alla fine rimasero padroni del campo. Costoro mantennero al loro posto tutti gli amministratori, tranne i giudici del tribunale di prima istanza e il viceprefetto Quadri che si erano allontanati al seguito dell’Armata italica. Quadri, rendendosi conto dell’errore commesso, era poi ritornato a Bassano ma dopo poco tempo, verso la metà del marzo 1814, venne ufficialmente dimissionato. Nel frattempo il Bombardini aveva affrontato le continue emergenze legate al conflitto e sostenuto anche le funzioni di viceprefetto, carica che gli fu affidata formalmente come viceprefetto delegato il 20 marzo 1814. Al suo posto venne nominato podestà provvisorio un altro borghese, Giovanni Battista Cimberle (Maello era ormai fuori questione), che resse la città e il suo territorio fino al mese di novembre, tra i savi c’erano i commercianti Carlo Cantele e Pietro Mercante, quando fu sostituito da Luigi Caffo, confermato dal Governo austriaco nel maggio del 1816. L’ordinamento amministrativo napoleonico rimase in vigore anche dopo l’unione del Veneto all’Austria avvenuta il 12 giugno 1814, fino all’emanazione dell’Atto costitutivo del Regno Lombardo-Veneto del 7 aprile 1815 che, ristabilendo le circoscrizioni comunali nei confini in cui erano al primo gennaio 1813, annullava le aggregazioni disposte il primo marzo 1814 che avevano unito a Bassano i paesi di Rosà, Rossano, San Nazario, Cismon e Primolano, portando la popolazione comunale a 32.661 abitanti.     Successivamente venne ripristinata l’autonomia di tutti i comuni inglobati a Bassano dal 1807 con l’eccezione di Angarano e dei quartieri rosatesi, tranne San Zeno, che rimasero stabilmente assegnati alla città. Nel febbraio 1816 l’organizzazione amministrativa italica fu definitivamente sostituita da quella austriaca che in diversi aspetti le assomigliava. Il nuovo Consiglio cittadino, (Bassano ebbe in quell’anno il titolo di "Città Regia"), fu composto da trenta individui scelti per due terzi tra i cento maggiori proprietari fondiari e per il terzo restante tra i principali imprenditori e commercianti e durava in carica per tre anni. La Municipalità modificò un’altra volta il nome divenendo Congregazione Municipale e alla sua guida fu posto un podestà; anche questi organismi duravano in carica tre anni. Gli Austriaci presero atto, inoltre, che oramai si era formata anche a Bassano una nuova classe dirigente locale, costituita dalla commistione sempre più evidente tra nobiltà e alta borghesia, lasciando a quest’ultima l’accesso alle cariche pubbliche, cosa che permetterà a Giuseppe Bombardini di compiere una lunga e brillante carriera che andrà ben oltre alla dimensione locale[11](fig.4).

4ProcessoVerbale

4. Processo Verbale. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Deliberazioni consigliari 1808-1820, 25 settembre 1809. Giuseppe Bombardini figura in questo atto del Consiglio del 1809, come nei successivi del 1814.

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