Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Bassano aveva sempre gelosamente custodito la prerogativa del giuspatronato comunale sulla Collegiata di Santa Maria in Colle, che si concretizzava con l’elezione dell’arciprete da parte del Consiglio cittadino e lasciava al vescovo di Vicenza il solo diritto di collazione. Il controllo laico sull’organizzazione del culto (conservato fino alla fine della prima dominazione austriaca) era esercitato con l’elezione di consiglieri comunali a incarichi di presidenza o di patronato delle chiese e delle case religiose cittadine, mentre tra i chierici (compreso l’arciprete bassanese) erano nominati tre presidenti alle chiese. Il ceto dirigente controllava in modo incisivo la vita religiosa cittadina e l’avvento del Regno italico da una parte rese ancora più evidente la preminenza laica, dall’altro provocò però dei, pur contenuti, malumori in tutti i ceti per la decisa riduzione e riutilizzo di chiese, conventi e monasteri. Già nella primavera del 1806 cominciarono le operazioni di chiusura dei monasteri femminili di San Giovanni Battista (posto a Sud dell’omonima chiesa) e di Santa Chiara (in contrada Rigorba, oggi via Jacopo da Ponte) col trasferimento il 9 ottobre delle agostiniane di San Giovanni nel monastero di San Sebastiano nel Margnan e l’11 dicembre delle clarisse a Vicenza. Soppresso fu anche nel 1806 il monastero benedettino di San Fortunato, situato nella omonima località, che era già da qualche tempo utilizzato prima come ospedale militare austriaco e poi come caserma dai Francesi. Nel 1807 toccò al convento di San Bonaventura (l’ex Ospedale civile) alle Fosse, mentre i francescani riformati che lo occupavano furono mandati anch’essi a Vicenza. Il 2 novembre venne inoltre imposta la soppressione di tutte le confraternite e compagnie religiose (le tradizionali "scuole" devozionali diffusissime in epoca veneziana) ad eccezione di quella del SS. Sacramento, posta sotto la direzione dei parroci e autorizzata solo nelle chiese parrocchiali. Contemporaneamente si esercitava una costante pressione sui sacerdoti, perché oltre al proprio ministero svolgessero anche funzioni di appoggio allo stato, chiedendo loro di esortare i coscritti a non sottrarsi alla chiamata alle armi e di compilare gli elenchi dei giovani delle classi soggette all’arruolamento, traendoli dagli stati delle anime conservati nelle parrocchie (dal 1807 questo incarico era stato affidato agli ufficiali dello stato civile, ma questi facevano riferimento ancora alle tabelle fornite dalle parrocchie perché ritenute più attendibili). I parroci affiancavano inoltre gli amministratori municipali nell’esame delle richieste di esenzione dalla tassa personale per povertà o malattia, collaboravano con la Congregazioni di Carità per l’accertamento dei poveri aventi diritto ad accedere alla beneficenza pubblica, con le commissioni scolastiche come insegnanti pubblici (in questo caso si trattava di cappellani o religiosi). L’amministrazione bassanese provvedeva con una apposita voce del bilancio annuale al mantenimento delle chiese della circoscrizione comunale e di quelle dei comuni aggregati alla città e allo stipendio di parroci, sacrestani e campanari[30]. Nella fine del 1808 le chiese bassanesi (comprese quelle dei comuni aggregati) aperte al culto erano una dozzina e si dividevano in tre gruppi: la Collegiata di Santa Maria in Colle con l’antistante chiesetta di San Giuseppe (adibita alla dottrina domenicale dei ragazzi e alla celebrazione di battesimi e funerali nel periodo invernale) e le sussidiarie San Giovanni Battista, Santa Maria della Misericordia (dove venivano battezzati i bambini esposti accolti nell’adiacente orfanotrofio) nel Borgo Leon, Santa Croce nella campagna meridionale di Bassano, Santi Vito e Modesto a Nord della città. Venivano poi le chiese annesse a monasteri e conventi: San Girolamo nel monastero delle benedettine (vi si conservava la tomba della Beata Giovanna Maria Bonomo) nel Borgo Leon, San Sebastiano annessa al monastero agostiniano e usata anche dagli abitanti del Borgo Margnano e, infine, la chiesa di Ognissanti appartenente al convento cappuccino posto a qualche centinaio di metri a Sud delle mura cittadine. Il terzo gruppo era dato dalle chiese dei quartieri e paesi aggregati nell’ultimo biennio: San Zeno nell’omonimo paese, Santa Maria a Romano con la sussidiaria del SS. Redentore a Fellette, San Vigilio a Pove. Un netto esempio del controllo esercitato dall’amministrazione pubblica (e conseguentemente dal ceto dirigente cittadino) sulla gestione ecclesiastica lo si trova in occasione dell’elezione del nuovo arciprete nel marzo 1809, in sostituzione del defunto Valerio Tattara. Dei tre sacerdoti presenti due erano bassanesi, Giuseppe Chemin e Paolo Luigi Vittorelli, e uno proveniva dal trevigiano, Lorenzo Crico (a noi noto per avere pubblicato degli interessanti saggi sulla pittura veneta). L’elezione fu effettuata dai componenti del Consiglio municipale sotto la presidenza del viceprefetto Quadri e a spuntarla fu il Vittorelli, appartenente all’aristocrazia bassanese (Chemin era in realtà di Angarano, allora ancora comune autonomo dalla città) e fratello del poeta Jacopo, che si sarebbe dimostrato sempre disponibile alla collaborazione col potere laico e acquiescente col regime napoleonico e successivamente con quello austriaco, fino alla sua morte avvenuta nel 1826. Egli va ricordato per i lavori di restauro della canonica arcipretale, con l’installazione in essa di una ricca biblioteca ancora oggi esistente[31]. Alla fine di aprile del 1810 Napoleone decretava la soppressione di tutti gli ordini e le corporazioni regolari e il 13 maggio l’atto fu reso pubblico nel bassanese direttamente dai parroci locali. Nello stesso giorno due savi municipali si presentarono al monastero di San Sebastiano per intimare alle ventidue monache lì presenti di uscire definitivamente entro tre mesi, oppure di assumere la gestione di una scuola femminile pubblica che l’amministrazione aveva intenzione di realizzare nel complesso. La proposta non venne accettata e due mesi dopo le monache lasciarono il monastero per sempre, portando con loro i vestiti, la biancheria personale e il mobilio delle loro celle mentre tutto il rimanente (mobili, suppellettili, quadri, strumenti presenti nel monastero) venne inventariato per essere venduto all’incanto. La stessa sorte toccava in seguito al monastero benedettino femminile di San Girolamo, chiuso ufficialmente il 22 marzo 1811 e acquistato dai nobili Baggio, il cui palazzo era situato poco più a Sud.
Se la soppressione dei monasteri si svolse senza intoppi e in tempi brevi, maggiori ostacoli si ebbero a riguardo della soppressione della Collegiata, organo prestigioso dotato di interessanti prebende e solitamente occupato da sacerdoti appartenenti alle maggiori famiglie cittadine. Vi fu infatti inizialmente una confluenza di interessi tra Municipalità e canonici titolari delle prebende, con il ricorrere alla prefettura perché essa non fosse soppressa; in seguito, essendo evidente l’intenzione governativa di procedere alla soppressione, vi fu il tentativo della Municipalità di ottenere che fossero posti nel suo bilancio i beni che erano assegnati alla collegiata, in quanto sua legittima proprietaria. Alla metà di novembre la prefettura rispondeva che i benefici con cui erano costituite le rendite dei canonicati erano stati istituiti da famiglie private alle quali avrebbero dovuto ritornare[32]. Restava comunque una certa diffidenza dello Stato verso il clero, che si concretizzava in una costante attenzione sulle opinioni e sul comportamento di religiosi e sacerdoti. Un esempio di ciò lo fornisce l’ordine impartito il 16 febbraio 1811 dal vice prefetto Quadri al podestà cittadino di convocare tutti i predicatori presenti nel territorio, esclusi i parroci e i loro coadiutori, per ammonirli di non fare propaganda antigovernativa durante le loro omelie. La soppressione del monastero di San Girolamo e la chiusura della chiesa omonima avevano creato un certo malcontento tra la cittadinanza perché era stato impedito ai fedeli di andare a pregare sulla tomba della Beata Giovanna Maria Bonomo, oggetto di una secolare venerazione non solo bassanese. Lo stesso podestà Stecchini il 9 febbraio 1812 si era fatto portavoce della richiesta di riapertura al culto di San Girolamo e che non venisse traslata la salma della Beata nella chiesa di Santa Maria della Misericordia, posta qualche centinaio di metri a Sud o in quella di San Sebastiano nel Margnano. Nonostante le sollecitazioni dei Bassanesi, le autorità decisero di non riaprire San Girolamo e alla fine del mese di maggio il neo podestà Bartolomeo Maello dispose l’inizio dei lavori per l’erezione sul fianco della chiesa della Misericordia della cappella destinata ad accogliere la salma della Bonomo. Nel 1811 don Marco Cremona aveva intanto acquistato dal Comune il complesso del convento cappuccino di Ognissanti, per trasferirvi l’orfanatrofio femminile da lui istituito nel 1798 nella sua casa. All’inizio del 1812 la sua richiesta venne accolta. Altri edifici di culto ebbero invece una sorte diversa: la chiesa di San Francesco nel 1813 era adibita a magazzino militare di biade e paglia, la contigua San Bernardino era un magazzino privato di fieno e fascine, la chiesa di San Filippo Neri era utilizzata come caserma. Era comunale anche la chiesa di San Giorgio ad Angarano, nella quale era ospitata una scuola primaria[33]. L’ultimo periodo del Regno italico fu caratterizzato dall’aumento delle richieste di collaborazione del potere civile al clero nel controllo dell’ordine pubblico, anche se permaneva la diffidenza del primo verso i propri interlocutori, perché la situazione era così difficile che non si poteva evitare di rivolgersi a quelli che potevano intercettare gli umori popolari e, magari, condizionarli. Così veniva imposto nel 1813 all’arciprete Vittorelli di celebrare il 13 giugno una messa solenne alla presenza delle autorità cittadine per festeggiare la vittoria di Napoleone a Lutzen, come era già successo negli anni precedenti per altre vittorie napoleoniche, e il 31 agosto il podestà Bombardini convocava l’arciprete e i parroci di Bassano, Angarano, Pove, San Zeno e Solagna per sapere se nelle loro parrocchie si manifestavano sentimenti antigovernativi e su come sorvegliare i campanili per evitare che fossero usati “con mire insurrezionali”. Mentre si richiedeva loro di controllare i propri parrocchiani i sacerdoti erano a loro volta discretamente spiati, dato che alla metà del precedente mese di aprile il viceprefetto Quadri aveva incaricato il Bombardini di sorvegliare attentamente i possidenti, i medici, gli speziali, gli affittanzieri e i sacerdoti del circondario comunale, per evitare che fossero propalate notizie ostili al regime. Il ritorno della dominazione austriaca fu accolto con favore dal clero, al quale i vincitori affidarono nel primo periodo delle mansioni simili a quelle svolte negli anni precedenti, ma la collaborazione fu senz’altro più spontanea dato che non esistevano più i molti motivi che avevano alimentato l’ostilità, aperta o velata, dei sacerdoti verso il dominio appena cessato. Nei primi anni della Restaurazione alcune delle istituzioni religiose cittadine soppresse risorsero, riformandosi così una ventina di confraternite (chiamate ora Pie Unioni) alcune delle quali ripresero i nomi delle scuole abolite nel 1806. La riapertura delle case religiose fu invece un processo che si snodò per un lungo periodo nel corso del secolo ed ebbe per protagonisti ordini diversi da quelli precedentemente presenti (il monastero di san Girolamo venne acquistato dalle agostiniane, restaurato sommariamente e riaperto nel 1880), con l’eccezione dei cappuccini i quali nel 1824 si insediarono nell’ex monastero agostiniano di San Sebastiano[34]

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