Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Si è già anticipato come durante i primi quattro decenni del secolo all’interno del gruppo di governo bassanese si andò a formare una nuova oligarchia di potere che alla fine di questo percorso si consolidò con una stabilità che le consentì di mantenersi compatta fino al secolo successivo. A Bassano non vennero promulgate leggi volte a chiudere l’accesso a nuovi consiglieri, tuttavia il sistema descritto nella prima parte ed una coesione capace di superare i conflitti interni amministrarono la vita istituzionale ed economica del territorio consentendo il raggiungimento del Consiglio solo a pochissime selezionate famiglie, fra quelle in ascesa negli ultimi anni del ‘400. Il tutto avvenne in un ambiente sociale che né all’inizio né alla fine del secolo poteva essere, nella sostanza politica o finanziaria, paragonato ai grandi casati dei capoluoghi vicini. La formazione di questo gruppo “chiuso” seguì ad un primo periodo di estrema permeabilità fra le fila delle fazioni al potere, nel momento di assestamento del territorio dentro la Terraferma, quando uomini di recente immigrazione (provenienti dai territori vicini e dalla Lombardia) si inserirono nel novero dei consiglieri e sembrarono raggiungere con grande velocità i vertici del potere scalzando famiglie di Consiglio di più vecchia data, in seguito a meccanismi di cooptazione ed a rapidissime ascese economiche. Un processo che non fu dovuto solo alle fortune delle alleanze in momenti di guerra, ma anche ad un rinnovo che era prima di tutto interno alle fazioni. Questo sistema di cooptazione risulta particolarmente evidente nelle reti di clientele e rapporti privilegiati che alcuni vecchi casati di Consiglio crearono intorno a sé in maniera precoce, a favore di quelle famiglie, soprattutto di ricchi artigiani immigrati o di comitatini di sostanza, che nei primi decenni del secolo migliorano considerevolmente il proprio status finanziario, o come personaggi di spicco della nascente manifattura tessile o come scaltri intermediari fra la montagna ed i commerci di pianura all’interno delle nuove vie commerciali dello Stato veneziano. Dei legami che si manifestarono con evidenza a partire dagli anni ’20, attraverso le fideiussioni presentate dai membri del ceto dirigente a favore dell’assegnazione della cittadinanza a questi nuovi bassanesi. Del 1427, ad esempio, furono le presentazione al Consiglio di Giovanni da Oriago da parte di Benvenuto Rossignoli, di Giovanni de Balista da parte di Giacomo da Santa Croce ed infine di Oliviero Betini per Odorico furlanus[66], mentre fu Giacomo Carli a garantire in favore della cittadinanza per il maestro condotto comasco Abbondio, capostipite di quella famiglia Broconi Abbondio che di lì a pochissimi anni avrebbe preso saldamente in mano i vertici della politica locale[67]. Un sistema efficace di alleanze che avvantaggiava sia i nuovi entrati che le vecchie famiglie che li appoggiavano, come nel caso del lanaiolo Antonio da Como (anch’egli capostipite di una delle famiglie di subitanea fortuna), il quale dopo aver acquisito la cittadinanza nel 1408 divenne consigliere nel 1423, avendo già occupato un suo posto negli schieramenti locali, come prova il suo sostegno all’elezione di Benvenuto Rossignoli nel 1426 e di Benedetto Forcatura nel 1428[68]. I nuovi eletti e le loro famiglie andavano a ricoprire, quindi, il ruolo di elettori sicuri o nel caso di personaggi di maggiore sostanza quello di nuovi dirigenti. Se controlliamo i rinnovi del Consiglio durante le varie annate è possibile vedere in progresso come con questo processo lento, e senza la necessità di scossoni a livello sociale, si venne a formare un nuovo gruppo dirigente dal quale restarono escluse anche alcune delle famiglie di tradizione che nei primi decenni sembravano ancora fra le più attestate[69]. È il caso dei Compostella o dei del Baio, la cui presenza andò a diradarsi lentamente, a favore di ingressi importanti come quello dei Campesan, da poco cittadini ed in arrivo dalla vicina Campese, fin da subito al comando dell’élite locale[70]. Saranno quelle stesse famiglie escluse che negli ultimi decenni del Quattrocento, e con maggior vigore nel XVI secolo, guideranno la contrapposizione fra i rurali della Rosà ed il governo locale, forti delle loro sostanze, della rete di relazioni che avevano intrecciato coi proprietari fondiari veneziani e forse memori dell’estromissione dal gruppo dirigente subita in questa fase. Un processo di rifondazione dell’élite che venne definitivamente siglato dalla complessa vicenda che sorse intorno al rinnovo del Consiglio per l’annata 1443-1444, e che finì col diventare un punto di svolta. L’elezione in quel mese di agosto si presentò già nelle fasi preliminari assai complicata, quando molti consiglieri sembrarono barare sul quartiere di residenza al fine di assicurarsi il rinnovo del posto in Consiglio[71]. Un conflitto che rimase latente anche dopo la complessa elezione a sindaci di Zeno Paradiso e Lorenzo Broconi Abbondio e che alla fine fu la stessa Venezia a dover risolvere attraverso un intervento diretto. Gli effetti dei malumori e dei giochi fra i gruppi contrapposti arrivarono in laguna e portarono alla promulgazione di una ducale con la quale si ordinava di annullare l’elezione e di procedere ad una nuova ballottazione, che riportasse l’assegnazione delle cariche alla legalità, ponendo solo il vincolo dell’accettazione dell’elezione per chiunque si fosse guadagnato più della metà delle approvazioni. Un’ingerenza veneziana che per la prima volta si faceva sentire su una materia di così stretta competenza dell’amministrazione locale. Tuttavia la situazione si complicò ulteriormente con l’uscita allo scoperto delle correnti avversarie, guidate già a questa data da famiglie di recente cittadinanza: le accuse maggiori ricaddero sull’ex sindaco Lorenzo Broconi Abbondio, che Bonturella Campesan denunciò come non legittimato a sedere in Consiglio, in quanto non aveva vissuto a Bassano per almeno 15 anni consecutivi.
Il Broconi Abbondio fu costretto ad ammettere la veridicità dell’accusa, ma cercò di porvi rimedio portando a scusante i suoi incarichi come ufficiale per alcuni rettori veneziani e ribadendo la presenza e la corresponsione delle imposte da parte del padre e del fratello, coi quali era unito in fraterna. Una spiegazione che, insieme all’urgenza di risolvere il momento di impasse, convinse il rettore veneziano, il quale optò per una votazione estemporanea che diede ragione alla fazione del Broconi, riconfermato nel novero dei consiglieri in carica. Un tentativo che però si rivelò fallimentare ed ai primi di novembre, dopo tre mesi di stallo, il podestà Donato Priuli si vide costretto a riannullare l’elezione, per indirne una terza. La contrapposizione emerse ulteriormente ed in una concitata seduta Bonturella Campesan ed Antoniobono Novello lasciarono la sala, mentre Antonio da Como eleggeva fra i consiglieri da confermare Lorenzo Broconi Abbondio. A questo punto non è chiaro se per appoggio alla fazione del Broconi o in un disperato tentativo di mediazione (prima di una rottura definitiva dannosa a livello sociale e per gli interessi veneziani) il rettore impose il proseguimento delle operazioni di voto: le consorterie si erano mal spartite i quartieri ed il rinnovo era nuovamente messo a rischio dalla mancanza di papabili in alcun quartieri, ma alla fine si arrivò ad un compromesso. La fazione vincente ottenne la rielezione a sindaco di Lorenzo (insieme a Todeschino da Semonzo), ma agli avversari venne concessa la presenza in Consiglio, con l’elezione in contumacia del Campesan. Una vicenda complessa e nella quale esplosero per la prima volta in maniera evidente le rivalità latenti, ma che ebbe anche una funzione catartica, poiché – fatti salvi alcuni brevi strascichi – fissò la composizione del Consiglio, con la definitiva entrata fra i maggiorenti delle nuove famiglie di recente immigrazione; a loro volta esse giocarono poi un ruolo determinante nell’accettazione dei pochi ingressi del periodo seguente. Si delineò, insomma, il ristretto gruppo di famiglie al potere, che nei decenni successivi fece pesare la sua presenza in modo sempre più netto con la multipla elezione di affini di primo grado in una stessa annata. Già nel 1440 nel numero dei 32 erano entrati tre componenti dei dall’Amico e due dei Novello ed in quello stesso burrascoso 1443 si eleggevano due dall’Amico e due fra i da Como[72], ma la pratica diventò quasi una prassi nel secondo Quattrocento, con ad esempio i da Romano, i dall’Amico, i Campesan ed i Nigro a spartirsi un terzo dei posti nel 1471[73]. Un restringimento del potere in mano ad un gruppo elitario riconosciuto e riconoscibile dunque. Ma chi erano questi uomini? È impossibile seguire in queste breve spazio le loro vicende, bastino quindi delle tendenze generali che aiutino a definire la composizione del ceto dirigente. Il primo punto da chiarire è la natura di queste famiglie, che per tutto il Quattrocento continuò ad essere una commistione di piccola nobiltà e soprattutto borghesia e ceto artigiano. Molti degli uomini del ceto dirigente bassanese erano figli (quando non loro stessi) di lavoratori meccanici o di mercanti di media tratta, una condizione diversa da quella dei membri dei grandi casati delle città maggiori; i Roberti, ad esempio, discendevano da un conciapelli attivo nella prima metà del Quattrocento, gli Stecchini erano arrivati da Angarano per migliorare la loro condizione di mercanti di carne su scala regionale[74] ed i da Como, come abbiamo visto, giungono sul territorio con l’arrivo ad inizio secolo del loro capostipite Antonio, lanaiolo comasco che fu in grado di acquisire subito grande fortuna. Per alcune famiglie di più lunga storia, come i Carli o i da Santa Croce[75], già nel Trecento vi era stato un salto verso le professioni liberali ed un’attenzione rivolta principalmente all’investimento fondiario, ma anch’esse non erano nel frattempo sembrate in grado di raggiungere un livello superiore. A loro si affiancarono le famiglie di recente immigrazione entrate nell’élite e si ripropose quindi anche a Bassano il consueto processo di miglioramento sociale delle famiglie emergenti del periodo, passando per l’istruzione universitaria e soprattutto il notariato, come per i Campesan, dove Marco figlio di Bonturella studiò legge e diventò notaio. L’aspetto più caratteristico è però l’estrema velocità con la quale nel bassanese avvenne questa ascesa nel prestigio e nel potere familiare, senza che fosse necessario raggiungere effettivamente reputazione ed una comprovata solidità economica per accedere alle stanze del potere; i due aspetti sembrarono piuttosto procedere parallelamente, con l’acquisizione di prestigio e capitali soprattutto dopo l’accesso, sostenuto da consorterie consolidate, fra gli uomini del potere locale. Sotto questa luce va letta anche la frequentissima attribuzione di titoli quali ser o nobilis vir all’interno degli atti notarili, in favore degli uomini di Consiglio o dei bassanesi più in vista: anziché conferire all’attribuzione un innalzamento ormai raggiunto dello status (che forse in alcuni casi poteva dipendere dall’attribuzione di qualche feudo) si pensi piuttosto al valore che esso acquistava all’interno di dinamiche prettamente locali di qualificazione delle fasce sociali dentro la podesteria. Ciò spiega anche la loro estrema instabilità, con l’assegnazione della qualifica in modo discontinuo o per famiglie prive di continuità: ad esempio per i Campesan l’episodica attribuzione del titolo nobiliare al capostipite Bonturella veniva già assegnata nel 1439, appena arrivato a Bassano, mentre ai Botton il titolo risulterebbe conferito senza apparente criterio di persistenza in occasionali circostanze lungo tutto il secolo[76]. Un gruppo quindi tutto sommato omogeneo e che, come abbiamo visto, a metà Quattrocento trovò un equilibrio nella sua rete di relazioni. La buona solidità dell’intreccio di rapporti venne cementata anche da una rete di matrimoni che siglò a livello familiare gli interessi politici ed economici. Un uso massiccio delle alleanze matrimoniali non è certo una peculiarità bassanese, ma va comunque rilevato come nel processo di acquisizione di controllo sul territorio anche questo strumento si andò ad affiancare alle dinamiche istituzionali e commerciali, con strategie precise che dimostrano come il gruppo dirigente fosse cosciente della necessità di tenersi unito.
Quasi tutte le famiglie d’élite portarono avanti una politica maritale che ramificò le parentele in maniera ampia, con casati di lungo e nuovo corso pronti ad incrociare il futuro delle proprie discendenze. I primi si assicuravano la compattezza delle alleanze, mentre i secondi vedevano riconfermato il loro ingresso nella cerchia di potere. Una famiglia come quella dei dall’Amico stringeva allora patti nuziali con le case dei Rossignoli e dei Betussio, di vecchia presenza bassanese, ma anche con le nuove in ascesa dei Campesan e dei Raniero[77]. Infine un ultimo aspetto che va sottolineato per comprendere il contesto in cui quelle famiglie erano inserite e come in esso cercarono di giocare: la ricerca di alleanze anche in direzione centrifuga rispetto al polo bassanese, che consentissero loro di superare i limiti locali lungo il percorso di progressivo miglioramento della propria condizione. Una serie di collegamenti che servivano a far saltare di livello i rapporti commerciali, ma anche ad essere introdotti presso i più influenti gruppi dirigenziali dei capoluoghi vicini. In questo senso la tendenza fu a stringere sodalizi familiari, per mezzo dei matrimoni, con i casati dei grandi centri, dimostrando scarso interesse per quelli degli altri centri minori, quando non di affiancarli all’acquisizione in quelle città della cittadinanza, che avrebbe consentito nell’immediato di ottenere privilegi mercantili e fiscali ed in futuro un’eventuale ascesa verso i vertici della società urbana. Una ricerca che sfuggiva a quel canale preferenziale che era stata fino ad allora Padova, per diramarsi anche verso Vicenza e Treviso e spingersi fino alla stessa Venezia. Le famiglie bassanesi compresero come fosse più conveniente, anche in questo caso, cercare di mantenere un’apertura verso tutte le aree vicine che potevano fornire dei vantaggi, ma al contempo dimostrarono una tensione verso lo scavalcamento dei legami di potere vincolati alla sola Terraferma per giungere al cuore dello Stato; un percorso parallelo all’orientamento che caratterizza la nuova condizione bassanese anche dal punto di vista giurisdizionale ed economico. Abbiamo visto che i dall’Amico strinsero parentele interne al tessuto locale, ma altrettanto cercarono di fare al di fuori, unendosi a famiglie vicentine e riuscendo anche ad apparentarsi coi veneziani dal Molin[78]. Pietro Paolo da Santa Croce utilizzò il matrimonio della figlia per imparentarsi coi vicentini dal Tonso prima e, una volta rimasta vedova, con gli Orsenigo[79]; l’estinzione della discendenza maschile dei Rossignoli portò addirittura all’ingresso nelle loro influenze e proprietà da parte del ramo dei padovani da Rio, erede dell’asse femminile della famiglia[80]. Strategie che in alcuni casi furono accompagnate dal raggiungimento di quelle doppie cittadinanze (ad esempio i Novello conseguirono quella trevigiana ed i Botton addirittura quella veneziana)[81] che seppero dare un più ampio respiro a questa èlite ancora periferica e giovane.     

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