Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La capacità che, nonostante la relativa immaturità, il ceto dirigente bassanese dimostrò nella gestione autonoma e nella ricerca di nuovi equilibri al suo interno, come nel saper prendere velocemente pieno controllo della gestione del centro urbano e delle sue risorse, non trovò un parallelo a livello di amministrazione del distretto. Durante il secolo il peso di una mancata tradizione di governo diretto sulle ville del territorio si fece costantemente sentire senza che il gruppo di governo locale riuscisse a trovare una risposta soddisfacente e definitiva. Le ville del distretto si dimostrarono invece capaci di un’opposizione forte al capoluogo e con esiti più fortunati di quanto potessero sperare le loro omologhe all’interno dei comitati delle grandi città. Al distretto bassanese appartenevano le comunità di Primolano, Solagna, Pove, Cismon, Rossano e Cartigliano, amministrate sulla base di vicinie composte dai capifamiglia dei rispettivi territori. All’interno di una podesteria così piccola il controllo del capoluogo su di esse era diretto, privo di filtri intermedi quali vicariati o feudi, tuttavia per tutto il secolo il gruppo di governo di Bassano non sembrò in grado di imporsi nè con una forza pari a quella che le città dimostravano abitualmente sui territori nelle loro immediate vicinanze nè su due punti di fondamentale importanza amministrativo-politica, quali il delinearsi dei confini e l’imposizione della ripartizione fiscale. Ciò portò ad un costate stato di tensione fra le parti. Il problema di giurisdizione territoriale venne sentito soprattutto in pianura, dove il capoluogo e le ville de piano si contendevano quote dei suoli più fertili[26]. Fu il caso della lunga questione che per due decenni vide contrapposti il Consiglio bassanese e la comunità di Rossano, intorno alla definizione del confine fra la campagna di Bassano ed il territorio rossanese, a seguito di una sentenza del podestà che aveva ridefinito il tracciato della strada, ledendo anche i diritti di decima appaltati al Comune capoluogo dal vescovo vicentino[27]. Fu quest’ultimo a muoversi per primo, seguito dal Comune bassanese che però di fronte all’incapacità di ottenere ragione davanti ai rossanesi (che continuavano ad occupare e lavorare le terre contese) fu costretto a rivolgersi agli Auditori Novi, senza restarne comunque soddisfatto, visto che successivamente preferì continuare a ricercare un accordo privato più favorevole[28]. Lo scopo del capoluogo era impadronirsi di terreni economicamente vantaggiosi, come conferma l’ingresso nella questione del patrizio veneto Nicolò Miani, uno dei maggiori affittuari del Comune. Il Miani decise di intervenire in prima persona, citando la comunità di Rossano presso il foro del rettore di Castelfranco, e ciò che ci interessa in questo caso fu che lo stesso Comune di Bassano decise di opporsi all’azione del veneziano, nel timore che il ricorso ad un esterno minasse ulteriormente il suo ruolo di governo del distretto[29], col rischio quindi che la sua posizione di controllo apparisse incerta e poco efficace. Una vicenda destinata ad ingarbugliarsi con l’ingresso in campo di un altro patrizio, Giovanni Malipiero, e con la constatazione dell’incapacità bassanese di imporsi davanti ad una comunità rossanese che aveva scavalcato i tentativi di accordo appellandosi alle magistrature centrali e portando la controversia in Quarantia. Una vicenda che alla fine fu Venezia a dover sbloccare, con la sentenza di Andrea dal Molin, in accordo coi XL, che imponeva al capoluogo di recedere dalle sue pretese e far riposizionare i vecchi confini, palesando l’incapacità del ceto dirigente locale di imporsi sul suo immediato distretto[30]. Uno scontro altrettanto duro oppose le ville al capoluogo anche in materia fiscale, all’interno dell’annoso ed universale problema di ripartizione dei carichi d’imposta. A Bassano, come agli altri capoluoghi, spettava l’amministrazione fiscale interna al distretto, che Venezia aveva delegato ai singoli distretti sia nella ripartizione che nella riscossione[31]. Il tentativo da parte del capoluogo di seguire la tendenza delle altre città nel caricare sempre più, con una ricalibrazione delle quote, il carico della colte reali e delle collette sui rurali del distretto in favore dei cives trovò una netta ed organizzata opposizione, non riuscendo a questa data il Comune bassanese ad imporre le sue direttive completamente, come accadrà solo nel secolo seguente. A muoversi per prima fu la comunità di Solagna, indirizzando la propria azione come ormai i rurali bassanesi sembravano fare spesso e con un intento preciso: si rivolse immediatamente alle magistrature centrali per scavalcare il centro amministrativo locale. Era una strategia chiara e che si ripropose nel tempo, dando luogo ad una serie di appelli presso le magistrature centrali inframmezzati da tentativi di accordo promossi dal Consiglio, nella speranza di evitare sentenze sfavorevoli che solitamente finivano col premiare le insistenze dei distrettuali. Un sistema che in questo caso portò ad un punto di svolta nel 1460, quando un ceto dirigente incapace di imporre le sue decisioni siglò una convenzione favorevole in gran parte alle ville, che ritornavano a godere delle limitazioni di imposizione previste dagli Statuti viscontei[32]. Si trattava di sanare una situazione diventata insostenibile, dove la comunità di Rossano aveva visto aumentare da £ 50 a £ 110 d’estimo la propria quota nel biennio 1458-60[33]. Ad essa si erano aggiunte nel tempo recriminazioni sulla contribuzione per il medico ed il maestro condotti, sulle proprietà dei cittadini nel distretto che venivano comprese nell’imponibile con l’aliquota cittadina, sul non aver accesso alla documentazione fiscale e persino sulla cessione dei terreni comuni, oltre che sulle truffe perpetrate dai bassanesi durante l’elezione dei consiglieri. Accuse pesanti che il Comune di Bassano non volle e non seppe affrontare fino in fondo, preferendo un nuovo accordo che riportava la contribuzione dei distrettuali ad 1/3 del totale, rinunciando per il momento alla sua condizione privilegiata. Una debolezza ed una necessità di ricorrere alla mediazione preventiva che, come abbiamo visto, tornava a palesarsi ogni volta che i rurali riuscivano a fare un balzo verso il potere centrale e che veniva amplificata dalla poca influenza anche a livello personale che il ceto dirigente bassanese riusciva ad esercitare sulle ville.  

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