Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Durante il Quattrocento il territorio bassanese visse un’esplosione demografica che in pochi anni vide la modesta popolazione iniziale crescere in maniera esponenziale. Durante il suo viaggio in Terraferma alla fine del secolo Sanudo parla per Bassano di una popolazione di circa 3000 persone[52], una cifra molto inferiore a quella degli altri capoluoghi di distretto, ma allora in linea con la realtà della altre maggiori terre venete, pari ad esempio a quella rilevata per Rovigo e un po’ sottostimata rispetto ai 3750 abitanti attribuiti a Conegliano[53]. La lettura degli elenchi d’estimo superstiti per il Bassanese sembrerebbe confortare il dato, visto che i 499 fuochi registrati nel 1490 rimandano ad una popolazione di circa 2500-3000 individui, ma ciò che risulta notevole è la crescita costante e veloce dei nuclei familiari durante questi decenni[54]. Dall’estimo del 1431 sappiamo che in quell’anno a Bassano si contavano solo 296 fuochi, saliti a 395 nel 1444 e che si assestavano in 362 quattro anni dopo. In mezzo secolo, ritenendo credibile un calcolo di 5-6 persone per fuoco, la popolazione crebbe da circa 1500 a 2500 unità, con un deciso incremento negli anni ‘30, pari ad un aumento che si aggirò intorno all’80% . Dati simili non possono che rimandare anche ad una grande ristrutturazione del tessuto sociale del centro urbano e del distretto e furono la conseguenza di una massiccia ondata immigratoria che investì il territorio all’interno dei nuovi equilibri statali. L’incremento demografico non può essere disgiunto da aspetti amministrativi ed economici, coi quali si fonde, fornendo risposte ai loro stimoli, prima di generarne a sua volta di nuovi. Il robusto arrivo di uomini da altri territori fu il nodo centrale della riorganizzazione sociale del bassanese, l’aspetto che la caratterizzò e la qualificò, segnando tappe precise della sua evoluzione[55]. Un trasferimento che rispose anche ad una precisa esigenza di potenziare l’economia, sia manifatturiera che agricola, entrambe sostenute dalle politiche attuate dal ceto dirigente. Esso coadiuvò l’arrivo in pianta stabile di nuove famiglie, fornendo loro costanti agevolazioni fiscali, concedendo l’esenzione dalle imposte per il primo lustro di residenza o fino a quando non avessero acquisito beni immobili; vantaggi che nel 1425 si pensò di prolungare ad un decennio[56]. Sono quattro le tendenze che disegnarono l’evoluzione dell’immigrazione nel bassanese durante il Quattrocento, riunite in due coppie che ne indicano aspetti qualitativi precisi: tipologia dei lavoratori e loro origine. Il primo binomio divide per professione gli uomini giunti a lavorare sul territorio, i quali nel tempo fecero riferimento a categorie diverse, così se nella prima metà del secolo furono soprattutto gli artigiani dediti alle manifatture a stabilirsi nel centro urbano e nei sobborghi, con la successiva riorganizzazione agricola della seconda metà del Quattrocento ed il raggiungimento di una certa solidità manifatturiera, quelli furono sostituiti dai contadini impiegati nelle aziende a conduzione colonica. Se si scorrono le concessioni di trasferimento o di cittadinanza deliberate in Consiglio (se ne contano circa 140 durante il secolo, delle quali 33 solo fra il 1404 ed il 1430) questa tendenza risulta evidente e la loro approvazione conferma il sostegno dato da parte dell’amministrazione locale. Nel 1408 fu concessa la cittadinanza ad un lanaiolo comasco (quell’Antonio che avremo modo di incontrare più volte all’interno del ceto dirigente e nei maggiori affari economici bassanesi) e nel 1442 la ottenne anche uno dei più grandi lanaioli del bassanese, Ambrogio da Brescia[57], uomini che di fatto crearono il lanificio locale, ma fra i nomi si incontrano anche calzolai e conciapelli, attratti dalla crescita di quel settore[58]. L’apporto di artigiani foresti risulta un aspetto di grande rilievo poiché esso fu sempre accompagnato dall’introduzione di migliorie ed innovazioni tecniche nella produzione, un interesse che coltivavano anche i ceti dirigenti che per questo motivo facilitavano il loro arrivo[59]; agevolazioni che vedremo furono utilizzate più volte per migliorare l’arte tessile. La ristrutturazione dei fondi agricoli e la sempre maggior diffusione di un sistema di colonìa rese invece più impellente l’esigenza di importare braccia per le campagne a partire dagli anni ‘40-‘50. Gli atti notarili registrano con aumentata frequenza uomini provenienti dalle vicine aree rurali del vicentino, del padovano o del trevigiano, quando non da più lontano, fra i coloni intenti a sottoscrivere patti agrari coi proprietari bassanesi, delineando la campagna bassanese come un punto di confluenza di lavoratori per una sfera economica in crescita ed un luogo di incontro per persone dedite al medesimo comparto, ma con nascita e legami familiari assai diversificati (fig.3).

3-RaphaelSadeler

3. Raphael Sadeler da Jacopo o Francesco Bassano, Estate (1598-1600), acquaforte e bulino.
Il quadro richiama il lavoro agricolo offerto anche a famiglie esterne al capoluogo.L’incisione eseguita nel soggiorno veneziano dell’incisore fiammingo si differenzia dagli esemplari bassanesi noti, ma reca la firma “Bassan pinxit” al centro, sulla pietra.

Furono queste le famiglie che andarono a costituire le basi delle comunità della Rosà e di Granella, che a fine Quattrocento erano già ormai formate (come dimostrano la creazione della parrocchie e l’assegnazione di compiti per gli affari campestri)[60] anche se non ancora pienamente ufficializzate. Su di loro si giocavano anche le capacità di influenza del ceto dirigente sul territorio, per mezzo dei rapporti di forza tenuti coi propri affittuari; uomini questi ultimi che del resto erano stati spesso gli stessi maggiorenti ad incentivar e facilitare nel loro arrivo[61]. Il secondo aspetto riguarda la provenienza degli immigrati, visto che su Bassano confluivano, come in altre parti del Veneto, due correnti molto diverse: migranti italiani che si mescolavano con i lavoratori che in quei decenni stavano abbandonando l’area tedesca in cerca di fortuna in Italia. La presenza di teutonici nel Veneto del XV secolo è un fatto noto e di portata significativa, a partire dalla consistente comunità veneziana[62]. I tedeschi giunti in Veneto si insediarono preferibilmente nell’area pedemontana e trevigiana, allo sbocco delle vie d’accesso in Italia, dove la loro presenza era facilitata dalle tratte di collegamento con il nord; dal punto di vista professionale si indirizzarono preferibilmente ad attività tradizionali delle loro zone d’origine, come la concia, o di intermediazione fra la popolazione ed i mercanti che viaggiavano fra le due sponde delle Alpi, in direzione della piazza veneziana. Caratteristiche che si riscontrano fuori dallo Stato a Trento, un’altra città vicina a Bassano e sede di una consistente comunità tedesca[63], come pure nel bassanese[64]. Inoltre sul bassanese confluivano anche quelli che todeschi erano detti per la loro lingua, ovvero tutta quella popolazione alpina che in forma stagionale o in pianta stabile scendeva dalle Alpi per lavorare nei comparti di pianura o per interagire con essi, in settori come la pastorizia ed il commercio del legname, comparti che detenevano un ruolo cardine in questo territorio. Si trattò però di uomini che non riuscirono ad entrare pienamente nel tessuto locale, confinati in specifici ambiti non trovarono accesso ai vertici istituzionali e dell’economia, frenati probabilmente dalle difficoltà linguistiche e di tradizione, ma ancor più da una resistenza locale verso uno “straniero” più identificabile e a sua volta dalla poca propensione ad inserirsi in reti a trama locale. Fu diverso l’approccio degli immigrati italiani, che provenivano da due aree abbastanza precise: da una parte i territori limitrofi al bassanese (sia all’interno del suo distretto che da quelli confinanti in pianura o in montagna), dall’altra coloro che erano giunti dalla Lombardia, in particolare dal bergamasco e dal bresciano, zone tipiche dell’emigrazione italiana in epoca rinascimentale e moderna[65]. Queste famiglie ebbero maggiore fortuna sul territorio e, come vedremo fra poche righe, alcune di esse raggiunsero in breve posti di potere. Ma per chiudere questo veloce excursus sul rinnovamento demografico e sociale del bassanese si vuole sottolineare come proprio gli immigrati della montagna lombarda, provenienti dagli estremi lembi della Terraferma, presentino delle peculiarità: a differenza dei comaschi, dei lombardi di pianura o degli italiani giunti dalla montagna alpina veneta, essi non riuscirono ad essere incorporati nei posti di comando del territorio e pur facendo fortuna dal punto di vista manifatturiero (come nel caso del lanaiolo Ambrogio o dei suoi colleghi Montini) preferirono mantenere i legami con i territori d’origine piuttosto che crearne di nuovi più solidi sul bassanese. Quasi tutti furono artigiani specializzati, che decisero di anteporre i loro interessi in un sistema di rete a medio-larga scala e giocare sul piano commerciale anziché quello politico, trovando la loro collocazione in un sistema di manifatture e traffici, piuttosto che nella rincorsa al privilegio locale. 

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