Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Nessuna “chiusura” formale per l’accesso al consiglio cittadino nel corso del Trecento, dunque; ma al contrario, uno spettro sociale piuttosto ampio, perché anche discreta rappresentanza di artigiani ne fece parte. In città c’erano medici, speziali (tre dei quali sono in consiglio nel 1328)[132], cirologi[133] e cerusici, macellai, calzolai, sarti, fabbri, conciatori, vaselarii, muratori[134] e altri operatori economici di cui non siamo in grado di precisare, in assenza di fonti analitiche (matricole corporative, oppure estimi) il numero. Nel consiglio, coloro che esercitavano un mestiere erano ad ogni modo in netta minoranza rispetto ai presumibili proprietari fondiari, o a chi esercitava le professioni liberali. Nel 1328, per esempio, a parte Nicolò speziale di Soave, un professionista forestiero che figura in consiglio certamente per volontà del governo scaligero (sarà presente anche nel 1335), troviamo tra ufficiali e consiglieri Daniele figlio del magister Simeone, Matteo cirusicus, Uliviero fabbro, Zanino speziale, Carlo e Giovanni di Olvradino sarti, il magister (non altrimenti specificato) Balatrono di Ottolino e Lorenzo figlio del magister Benedetto. Tenendo conto del fatto che in questo tipo di fonte le indicazioni professionali - non indispensabili all’identificazione - possono essere omesse, sette individui appartenenti alle professioni su settantaquattro consiglieri non sono pochissimi: in quegli anni una media simile si ritrovava anche a Vicenza[135]. Nel 1335 troviamo in consiglio ancora sette magistri, che sono peraltro, in buona parte, gli stessi presenti nel 1328 (oltre a 17 notai: una presenza molto cospicua e non inattesa). Ben più consistente la presenza di esponenti del “popolo” (ci si passi il termine) tra i sapientes del 1349-50: vi figurano due cerdones e un guantarius, un sarto, un falegname, un macellaio, oltre a sei magistri non meglio identificati. Chi incontrava all’inizio ostacoli, in effetti, era l’immigrato, perché le norme per l’ottenimento della cittadinanza e il conseguente possibile accesso al consiglio erano piuttosto severe, visto che occorreva essere habitatores terre Baxani da almeno venticinque anni, pena la nullità della nomina;[136] anche se poi, come si è accennato sopra, i limiti di censo erano abbastanza modesti. Di fatto, erano esclusi dal consiglio gli immigrati di prima generazione, e si determinava una sorta di ius soli: il figlio nato a Bassano da un immigrato, se ha fatto anche moderatamente fortuna, può entrare in consiglio. Ciò consente ragionevolmente di ipotizzare un flusso di lavoratori forestieri verso Bassano tra Due e Trecento, in coincidenza con la favorevole congiuntura economica e l’estensione della pax patavina sul bassanese. Come prima e non sorprendente constatazione, si rileva che una certa quota proveniva dalla Valsugana e dal Tesino, il retroterra montano di Bassano. Caratteristiche diverse ha poi l’immigrazione toscana, probabilmente legata anche in Bassano (come in tutta l’Italia nord-orientale, dal Friuli[137] al Trentino e a Verona) alle attività di prestito, e indirettamente dunque al potere degli Scaligeri e dei Carraresi, sempre spasmodicamente alla ricerca di risorse monetarie. «Et nunc habitat in Baxano»: questa specificazione accomuna Baronto del fu Toscanello e Guido, originari di Pistoia, la domina Fresca del fu Losi originaria di Firenze, Giovanni del fu Dolcetto di Verrucola in Lunigiana, sicuramente legato ai Malaspina, e altri. Almeno alcuni tra costoro, così come altri immigrati legati alla cerchia podestarile e signorile, si integrarono nella società locale grazie a legami matrimoniali. Ma non mancano tra i “nuovi bassanesi” vicentini (Giacomo Pulzati, Giovanni da Montemerlo), padovani, mantovani, veronesi, romagnoli: lo possiamo dedurre dal pur modesto gruzzolo di testamenti conservato nei fondi dei conventi mendicanti della Bassano trecentesca (San Francesco e Santa Caterina) che è particolarmente ricco per l’età scaligera.[138] Anche nel primo consiglio cittadino – ormai ristretto a soli 24 effettivi – del quale conosciamo la composizione durante la dominazione viscontea figurano un “immigrato” (o per meglio dire, un cittadino bassanese proveniente da Imola), e un paio di artigiani (un «piliparius» e un «callegarius»). Accanto a costoro, naturalmente, esponenti dei Trabucco, dei Bovolini, dei Forzadura, dei Rossignoli, e dunque delle famiglie “storiche” di Bassano trecentesca. Le principali componenti dell’élite locale sono rappresentate: questo consiglio del 1401 dunque chiude simbolicamente una fase e ne apre un’altra[139], sulla quale sono state svolte recentemente ricerche di grande spessore[140].

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