Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Già nei decenni finali del Duecento, dopo la crisi e il disfacimento del sistema di relazioni feudo-vassallatiche sul quale si era imperniata (nel contesto locale) l’autorità di Ezzelino da Romano, si andò formando un nuovo gruppo dirigente bassanese, di pari passo con la organizzazione e la strutturazione del comune cittadino e del suo organismo collegiale, il consiglio maggiore.[67] Emersero nuovi protagonisti: modesti proprietari fondiari, medici, notai, commercianti;[68] inoltre l’immigrazione, anche qualificata, non fu scarsa. Come cercheremo di mostrare, l’evoluzione trecentesca portò avanti questo processo, nella direzione di una definizione di gerarchie e dell’individuazione di un gruppo relativamente ristretto di famiglie che esercitarono un controllo di fatto egemonico sulle istituzioni comunali. La qualità della documentazione (ed è difficile ipotizzare che ne possa emergere di nuova e significativa) è modesta: come accennato manca infatti ogni tipo di “fonte riflessa” (testi cronistici, o fonti di un qualche spessore ideologico come sono talvolta - è solo un esempio - i proemi degli statuti). Ciò rende impossibile la risoluzione di un problema cruciale: qual era, se questi uomini e queste famiglie ne avevano uno che fosse condiviso e che andasse al di là dell’affermazione della famiglia e del clan, il progetto politico di questa élite in formazione? Coltivò essa (ed eventualmente, con quanta consapevolezza) il progetto di ritagliare per Bassano una certa autonomia amministrativa e giurisdizionale nei confronti delle città maggiori? Considerò realistica la possibilità di poter essere una «costola separata»[69]dalle altre città della Marca Trevigiana anche nel difficile contesto veneto trecentesco? Nel tentare delle risposte, è giocoforza limitarsi a ricostruire una sorta di “anagrafe sociale”, approfondendo nei limiti del possibile le origini e le caratteristiche socio-economiche delle famiglie più importanti; e mancando, pure, archivi familiari antichi, è soltanto attraverso l’archivio comunale che possiamo leggere alcuni tratti che le caratterizzano (anche nella prospettiva di un raccordo con le indagini dedicate al ceto consiliare bassanese dei secoli successivi). La tipologia delle fonti comunali bassanesi è in effetti quella consueta per i centri minori dell’Italia centro-settentrionale, che imitano l’assetto istituzionale e conseguentemente le pratiche documentarie dei comuni cittadini[70]. Certo, anche di questa documentazione corrente trecentesca quello che sopravvive non è moltissimo (meno, per esempio, di quanto sopravvive a Conegliano o a Monselice): i verbali del consiglio comunale di un paio d’anni a metà secolo (1348-49),[71] e la serie delle pergamene dell’archivio comunale (sulle quali lo scarto archivistico attuato nei secoli successivi, e gli accidenti della conservazione, hanno inciso duramente). Tutto questo non è molto, ma abbastanza, perché sia nei verbali che nelle pergamene sopravvivono diversi elenchi di cives, che agiscono in qualità di consiglieri, o presenziano in qualità di testimoni, ad atti pubblici di rilievo, che hanno un forte significato identitario e di patriottismo civico (come l’investitura delle «decime terre Bassani» che il vescovo di Vicenza concede alla comunità tutta). Né mancano ovviamente le menzioni dei funzionari più importanti, come gli iusticiarii (così denominati a imitazione di Padova) competenti in materia economica (controllo dei pesi e misure, soprattutto), e i notai (addetti alla documentazione giudiziaria e fiscale/finanziaria, ecc.), in ottemperanza agli statuti del 1295. Di una prima “foto di gruppo” dell’élite bassanese disponiamo per gli inizi del secolo. Nel 1304 infatti si accese la causa per il «feudum consistens de proventibus, reditibus, iuribus et obventionibus decimarum terre Bassani» – che Bassano riteneva una propria inviolabile prerogativa, e che nel 1295 Bonifacio VIII aveva confermato al nobile romano Giovanni Saraceni, nipote del vescovo di Vicenza Pietro Saraceni –.[72] La complessa vicenda ebbe il suo apice tra il 1305 e 1306, e si risolse alla fine con successo per Bassano. Fu gestita ovviamente dai tecnici del diritto, ed è proprio in occasione di alcune udienze svoltesi nel palazzo vescovile di Vicenza, il 23 gennaio e il 6 febbraio 1305, che i procuratori del comune di Bassano dichiarano di agire a nome di 71 e 119 cittadini, nominativamente elencati. Il notaio Delavanzo Blasi redasse il secondo atto di procura tenendo sotto gli occhi quello steso pochi giorni prima dal collega Guido «de Fabris»: disposti nella pergamena originale su due colonne, i nomi si susseguono infatti a blocchi, esattamente nello stesso ordine anche se in diversi casi con lievi varianti onomastiche (non tali da impedire le identificazioni). Tutti i nomi del primo elenco, meno due, ricompaiono nella lista del 6 febbraio, che comprende anche 5 donne.[73] Un secondo punto di riferimento è costituito da due riunioni del maius conscilium del comune, convocate durante la signoria scaligera (a comprova del fatto che le istituzioni municipali funzionano regolarmente per l’ordinaria amministrazione, pure durante un regime del quale la mitografia storiografica successiva ha sottolineato in modo esclusivo le caratteristiche tiranniche). Secondo gli statuti del 1295 (fig. 6),

Statuti 1295 2r

 6. Statuta, 1295. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, vol. 13, fasc.5.
Gli statuti del 1295,  in vigore sino al 1389, disponevano che potevano essere eletti membri del Consiglio gli uomini di età superiore ai venticinque anni – uno per ogni domus - proprietari di beni immobili per un valore di 200 lire.

in vigore sino al 1389 (quando la nuova redazione viscontea intervenne anche sul consiglio maggiore, riducendone gli effettivi a 24 soltanto), potevano essere eletti membri del Consiglio gli uomini di età superiore ai venticinque anni - uno per ogni domus - proprietari di beni immobili per un valore di 200 lire (un livello non particolarmente alto).[74] La data è quella del 1328: 80 cittadini (74 consiglieri e 6 «consules et officiales» del comune) deliberano all’unanimità (nemine discrepante) sul già menzionato acquisto di cereali sul mercato vicentino – una questione di sopravvivenza dunque, che tutti coinvolge. Nel 1335 si tratta ancora di designare i procuratori, per l’investitura decimale da parte del nuovo vescovo di Vicenza, e questa volta agisce formalmente il consiglio, non un’assemblea in qualche modo informale come nel 1305; sono presenti 71 consiglieri, che con un solo voto contrario designano come procuratore Bovolino Andolfi. Ovviamente non si può chiedere a elenchi di questo genere rigidezza nelle denominazioni professionali; basti ricordare che alcuni consiglieri, menzionati con la qualifica di notaio nel 1328, sono indicati nel 1335 col solo nome e patronimico, e anche le indicazioni toponomastiche sono oscillanti. Ciononostante, le risultanze sono significative. Nel 1305, 51 sono presenti soltanto nella prima occasione e 38 soltanto nella seconda; e su un totale di 122 soltanto 33 cittadini presenziano al consiglio tanto nel 1328 quanto nel 1335. Una decina di famiglie sono in realtà rappresentate, nelle due circostanze, da esponenti diversi (il padre o il figlio in alternativa, oppure un altro esponente della casata, come accade per due stirpi eminenti quali i Blasi e i Carezati). La società bassanese si presenta comunque, nel suo insieme, aperta e fluida.[75] Abbiamo compilato questi elenchi anche in funzione di future ricerche prosopografiche, che mettano a confronto la situazione della prima metà del Trecento con l’assetto del ceto dirigente della prima età veneziana (ricostruibile con precisione sulla base di fonti seriali, anche di carattere fiscale) e anche con l’immagine delle proprie origini che le famiglie più in vista del patriziato bassanese sei-settecentesco proporranno. Un primo tentativo in tale direzione verrà compiuto nelle pagine seguenti, sia disegnando il profilo di alcune casate sia descrivendo gruppi professionali diversi, ovviamente valorizzando tutte le diverse informazioni disponibili sia “a monte” (la seconda metà del Duecento) che “a valle” (per la seconda metà del Trecento, e dunque per il periodo della dominazione carrarese e viscontea). Sono indispensabili tuttavia alcune osservazioni preliminari, a partire da quella, già accennata, dei margini di errore inevitabili nella procedura di identificazione dei cittadini presenti in entrambe le liste da noi artificialmente fuse. Si tratta di considerazioni ben note a chi abbia familiarità con l’onomastica medievale e con la progressiva generalizzata diffusione del sistema onomastico a due elementi. Come è noto, la presenza di un cognome strutturato (de + ablativo) è essa stessa un indicatore significativo della riconoscibilità di un ceppo familiare; ma la maggior parte dei cittadini bassanesi viene menzionata dai notai (sia i notai pubblici che redigono gli elenchi, sia più in generale nelle fonti trecentesche e quattrocentesche) soltanto con l’indicazione del mestiere, o con il mestiere e la provenienza, e con l’aggiunta (irregolarmente presente) del patronimico. Ma è proprio su questi elenchi indiscriminati che occorrerà lavorare in futuro, per ricostruire un profilo più attendibile del ceto dirigente bassanese. Come ultima osservazione preliminare, offriamo infatti qui un dato d’insieme banale, ma di estrema importanza, che nel riordinamento alfabetico va perduto. Il gioco delle precedenze, la disposizione stessa dei nominativi negli elenchi del 1305, e con maggior evidenza in quelli del 1328-35, suggeriscono che già a quell’altezza cronologica avessero raggiunto visibilità e prestigio alcune casate destinate a una lunga permanenza nell’élite bassanese. Sono infatti menzionati tra i primi Blasi, Bovolini (fig.7;tav.15),

guarient

 7. Guariento di Arpo, Croce (part.), 1331 ca. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Stemma della famiglia Bovolini.

 stemmaTrabucchi

8. Stemma Trabucchi (sec.XIV). Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, facciata. Lo stemma attesta l’esistenza in facciata di tombe della famiglia Trabucchi.

Trabucchi (fig.8), Carezati, Pescatori, della Nogara, Forcadura (fig.9),

forcadura - Copia

9. Stemma Forcadura (Sec. XVI). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Lapidario del chiostro. Stemma di una delle più eminenti famiglie bassanesi in epoca carrarese.

Falcerio, Compostella: tutti cognomi ben noti a chi studia la società bassanese dal Quattrocento in avanti. In particolare, poi, la “testa di lista” del 1335 ricalca con qualche margine di variazione l’elenco di sette anni prima; ritroviamo in ambedue le occasioni Alberto Compostella, Andrea Forcadura, Giacomo Blasi, Giacomo de Amico, Pace Trabucchi e così via[76]. E una conferma, nella direzione della salda “presa” che alcune famiglie già esercitano sulle istituzioni comunali, l’abbiamo infine dalla graduatoria che è stato possibile ricostruire delle presenze dei sapientes eletti bimestralmente nel biennio 1348-1349: ordiniamo i nomi dei sapientes più citati come sono stati rilevati in quel saggio: Andreas Floravanti, 13 volte; Petrus iudex de Forchatura, 12 volte; Iohannes domini Beraldi de Beraldis, 11 volte; Iohannes ser Laymonis, 10 volte; Iacobus de Blaxio, 9 volte; Zaffonus ser Ruxignoli, 8 volte; Federicus sartor magistri Guidi, 8 volte; Iacobus de Amicho, 8 volte; Iohannes ser Bassani, 8 volte; Benedictus de Baligantis, 7 volte; Iohannes notarius de Normaninis, 7 volte.[77] In atto (nel senso che il cognome è già consolidato) oppure in potenza, ritroviamo dunque nomi eccellenti come i Forcadura, i Rossignoli, i Blasi, i Beraldi[78]

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