Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Conseguito nel 1311 il vicariato imperiale, per quasi vent’anni Cangrande I della Scala combatté nella Marca Trevigiana contro Padova e i suoi alleati guelfi, riuscendo infine ad assoggettare l’intero territorio poco prima della morte («saevo Marte totam Marchiam subegit», recita il testo del suo epitaffio). Da subito il comune di Padova gli si oppose; sin dal 1312 prese provvedimenti «pro custodia terre Baxani et aliarum villarum circustantium dicte terre»[6], e richiese ai Bassanesi contribuzioni “spontanee” (come nell’agosto 1312 il versamento immediato «speciali gratia» di cento fiorini d’oro, «ut possint viriliter facere guerram inimicis communis Padue»)[7]. Va sottolineato il fatto che i Bassanesi furono in questa circostanza chiamati a combattere in prima persona, sotto il comando del podestà padovano Marsilio Polafrisana, un personaggio piuttosto autorevole nella società cittadina (come in genere furono i podestà padovani in Bassano). Oltre all’attacco a Marostica e alle scorrerie nel pedemonte vicentino, particolare soddisfazione dovette dar loro la distruzione del castello di Angarano[8], località percepita come parte integrante del territorio bassanese e riconosciuta come tale anche dal comune di Vicenza, ma assorbita ormai nell’area di controllo scaligera[9]. Dirette ripercussioni si ebbero riguardo alla difesa della città. Nell’ottobre del 1314 i Padovani concessero ai Bassanesi - «cum ipsi homines… ad maximam inopiam devenerunt propter guerram»[10] - l’esenzione da ogni tributo, affinchè potessero costruire nuove mura e bastioni[11]; non fu che il primo di una serie di provvedimenti in materia. Nel 1315 infatti il comune di Padova destinò mille lire per la costruzione di «una torre con girone presso la torre di Bassano, con barbacani e porte saracinesche simili a quelle di Cittadella» (fig.1),

torre

1. Torre civica. Bassano del Grappa, Piazza Garibaldi. Eretta con la seconda cinta delle mura a partire dal 1312, le venne aggiunto il coronamento merlato nella seconda metà del XIX secolo.

e ordinò l’innalzamento e il rinforzo di altre torri e mura ai due capi del ponte sul Brenta e dalla parte della porta Oriola, nonché l’ adattamento del Cassero della Torre bianca (l’attuale complesso del Palazzo Pretorio) a palazzo fortificato (fig.2)

02 PRETORIO2

2. Palazzo Pretorio. Bassano del Grappa, piazzetta Guadagnin. Sede dei Pretori veneziani a partire dal 1404, vi veniva amministrata la giustizia. Affrescato nel XV secolo, subì nel 1638 un disastroso incendio dal quale si salvarono dipinti ed affreschi, oggi in Museo.

del podestà e del capitano inviati da Padova[12]. Furono i giri di valzer della politica veneta, nella quale operava attivamente anche l’aristocrazia transalpina (Federico d’Asburgo, re dei Romani e dunque aspirante alla carica imperiale, e soprattutto Enrico II conte di Gorizia)[13], a consegnare Bassano nelle mani di Cangrande I, pochi anni dopo. Nel novembre del 1319 infatti il comune bassanese (allora retto da Dusio Buzzacarini), secondando le aspettative del Comune padovano, si affidò alla tutela di Enrico II conte di Gorizia: sicché nelle trattative di pace che costui avviò con lo Scaligero Bassano fu ceduta (dicembre 1320) al signore di Verona, in cambio di Asolo e Montebelluna, più attraenti per chi allora governava Treviso, appunto Enrico II. L’avvicendamento avvenne entro il 14 gennaio 1321, ed è importante notare che i medesimi quattro capitani «ad racionem faciendam» eletti dal conte di Gorizia (si tratta di Bartolomeo Bovolini, Durello Alberti, Giovanni phisicus e Alberto Carezati) poche settimane dopo reggevano la città per il signore scaligero[14]. La successiva occupazione scaligera di Feltre[15] spostò ulteriormente gli equilibri territoriali; nella prospettiva bassanese per un verso si riaprirono le vie dell’Altopiano e per l’altro crebbe l’importanza del canale di Brenta e dell’area alpina oltre il Monte Grappa. Ovviamente, l’esercito composto dai cives bassanesi spostò da allora in poi la sua aggressività verso oriente, e dunque verso obiettivi trevigiani: nel 1324 attaccò Castelfranco e San Zenone[16], in verità senza molto successo, e nel gennaio 1325 guidato dal capitano scaligero Ribaldo (nomen, omen) distrusse il castello di Brusaporco (ora Castelminio di Resana) che apparteneva ai Tempesta, i grandi Avogari trevigiani. Del resto, la tensione tra Bassano e Treviso a proposito dei confini era latente, e il problema rimase aperto anche all’interno dello “stato” scaligero (che come tutti gli stati trecenteschi e quattrocenteschi non superò mai il municipalismo, un’idea di territorialità legata alla città e solo alla città). Nel 1328 una lettera del comune di Treviso a Enrico di Carinzia re di Boemia denuncia l’occupazione bassanese della località alle Forche nel territorio di Romano[17]. Tutto faceva gioco in queste rivendicazioni contro la città vicina, anche l’eredità ezzeliniana alla quale forse i Bassanesi si richiamarono nel 1331[18].Il contrasto andò perciò crescendo negli anni successivi e degenerò quando Treviso passò sotto la dominazione veneziana (1339), mentre Bassano entrò a far parte dei domini carraresi. È impossibile qui seguirne le tappe, ma è significativo che questi contrasti di confine non si compongano in via definitiva che nel 1570: in quella seconda metà del Cinquecento nella quale la Terraferma veneta divenne (in un certo senso, ma senza in realtà superare neppure allora i municipalismi!) qualcosa di più simile a uno Stato nel senso moderno del termine[19]. Pochi anni più tardi, la guerra veneto-fiorentino-scaligera del 1336-1339 fu un evento-chiave della storia regionale: il dominio di Mastino II e Alberto II della Scala fu definitivamente ridimensionato, e Venezia si impegnò nel primo esperimento del governo di un territorio cittadino esteso e politicamente complesso come il Trevigiano (ben diverso dai singoli castelli che sino ad allora aveva acquisito, e diverso anche dalle città della costa istriana e dalmata). Il territorio bassanese fu teatro di scontri, perché da sud attaccò l’esercito alleato guidato da Rolando Rossi, e da nord – avvisaglia di una minaccia militare destinata a perpetuarsi anche quando la Valsugana divenne asburgica – Siccone da Caldonazzo. Formalmente, con la pace di Venezia (23 gennaio 1339) Bassano fu ceduta ai Veneziani, e furono loro che ne cedettero il controllo al neo-signore di Padova Ubertino da Carrara, badando ovviamente a garantirsi il libero transito di uomini e beni sul Brenta, cioè tra territorio vicentino e bassanese, «sine impedimento aliquo, exactione vel gravamine»[20]. Al momento della stipula della pace, già da qualche giorno i rappresentanti carraresi erano entrati in Bassano (14 gennaio 1339)[21]. Fu l’inizio di un periodo sostanzialmente pacifico, o per lo meno privo di guerra guerreggiata, e sottolineato come tale dalla storiografia locale in contrapposizione al bellicismo scaligero[22]. Ma non mancò, all’inizio, una fase di delicato assestamento, che mise in luce una novità grossa (già se ne erano viste le avvisaglie) della storia non solo bassanese ma veneta del tardo medioevo, e cioè il ruolo attivo, attivissimo, delle famiglie signorili prealpine e trentine in ispecie. Si trattava di famiglie che potevano avvalersi di quelle fedeltà armate e di quella capacità di mobilitare uomini, che le casate aristocratiche delle città venete avevano ormai perduto o venivano perdendo[23]. Dietro di loro, poi, si intravedeva la potenza tirolese, presto sostituita da quella asburgica, sorrette l’una e l’altra dall’argento delle miniere alpine e centroeuropee non meno che da un serbatoio illimitato di cavalieri e di armati. Anche se respinto da Marostica, Siccone da Caldonazzo aveva infatti continuato a controllare le chiuse del Brenta tra Primolano e Cismon, mentre a Feltre e Belluno governava il vicario imperiale Engelmaro di Villanders, un energico miles tirolese originario di Chiusa[24]. Giacomo da Carrara intervenne subito per mediare la pace tra i due contendenti, ottenendo per sè la fortezza del Covolo di Butistone che controllava lo stretto passaggio della Valsugana: una fortezza che il carrarese considerava essenziale per proteggere Bassano[25]. Per breve tempo, anzi, il signore padovano passò all’offensiva e conquistò, addirittura nell’alta Valsugana, Pergine, Levico, Selva e Roccabruna. Ma questi possessi furono presto perduti a seguito di una importante battaglia a Levico (maggio 1356), nella quale i padovani (era ora signore Francesco il Vecchio) furono sconfitti dall’esercito di Ludovico marchese di Brandeburgo, il figlio di Ludovico il Bavaro, che allora era al potere a Trento[26]. Bassano in ogni caso rimase la testa di ponte avanzata dello stato carrarese, un luogo militarmente importante, base di partenza delle spedizioni padovane[27]; e per qualche tempo, intorno al 1363, secondo qualche fonte[28], Francesco il Vecchio elesse a propria dimora la cittadina sul Brenta, per evitare i rischi della peste ma forse anche per la consapevolezza dell’importanza strategica che la cittadina rivestiva. In effetti, nel decennio (1360-1373 c.) nel quale governò anche Feltre (e Belluno)[29], il progetto politico di Francesco il Vecchio di costruire un dominio territoriale imperniato sulla Valsugana, che avrebbe conferito a Bassano un’importanza politico-militare grandissima, sembrò prendere consistenza o quanto meno fu portato avanti con convinzione. Un capitano carrarese era presente nel 1364 a Castel Tesobo, e a Ivano operò Ottobono dal Legname, vicario «in partibus Valsugane» di Francesco il Vecchio «Ivani, Grigni, Taxini dominus generalis»: la signoria padovana controlla dunque per alcuni anni l’intero medio corso del Brenta[30]. Ma negli stessi anni (1363), Margherita Maultasch di Tirolo cedette i diritti sulla contea di Tirolo agli Asburgo, rappresentati da Rodolfo IV (e dopo la sua morte nel 1365 dai fratelli Leopoldo e Alberto), ponendo le premesse per l’inserimento anche della Valsugana nell’orbita territoriale della casata alpina[31]. Le conseguenze di questa scelta si sarebbero viste però sui tempi lunghi; nel breve periodo, il protagonista fu ancora Francesco il Vecchio (fig.3).

Scarmoncin Varanini 3

3. Stemma di Francesco I da Carrara, in Liber cimeriorum dominorum de Carraria. Padova, Biblioteca Civica, ms. B.P. 124/XXII, c. 19r., codice membranaceo. Il codice, parte della libreria voluta da Francesco Novello da Carrara, porta otto medaglioni a cornice mistilinea miniati con lo stemma della famiglia ed i diversi cimieri adottati.

Nel 1372, i nuovi orientamenti (decisamente antiveneziani) della sua politica coinvolsero Bassano in un’altra guerra, la celebre “guerra dei confini” combattuta tra Padova e Venezia prevalentemente nella bassa pianura veneta, ma anche qui ai piedi del massiccio del Grappa. In effetti Veneziani (in quanto signori di Treviso) e Padovani avevano fatto a gara per costruire muraglie e castelli sui confini tra Romano e Solagna. L’attacco del comandante veneziano Taddeo Giustinian, che anche con l’uso di artiglierie si impadronì della rocca costruita sul monte Cornon all’imbocco della Valbrenta,[32] mirava ad impedire al signore carrarese di ricevere rinforzi militari dal Tirolo e a porre le premesse di un attacco diretto contro Padova anche da nord. La difesa di Bassano fu subito rinforzata; vi si ammassarono le truppe poste agli ordini del comandante Arcoano Buzzacarini e vi giunsero pure 1600 soldati inviati dal re d’Ungheria.[33] A conti fatti si può ritenere che l’esercito stanziato nella città e nei suoi dintorni fosse, almeno per un certo periodo, più numeroso della cittadinanza stessa. Il tentativo veneziano di corrompere (nel febbraio 1373) la guarnigione della porta del borgo di Mazzarolo fallì[34] e i responsabili furono puniti con esemplare e cruenta (ma consueta, in casi analoghi) spettacolarità: arrostiti e mangiati dai cani, tormentati con tenaglie roventi, ammazzati a sassate dai bravi bambini di Bassano, e infine catapultati fuori del borgo[35]. Forse non è infondata la lettura che danno, dell’episodio, i cronisti padovani, che addossano la responsabilità del fallito tradimento solo ad alcuni soldati di professione, e scagionano i bassanesi. In quegli stessi giorni (6-11 febbraio 1373), nel tentativo di coprirsi le spalle in funzione anti-veneziana, con l’assenso del re d’Ungheria, Francesco il Vecchio cedette agli Asburgo Feltre, Belluno, il Primiero e la bassa Valsugana: e fu una svolta importante nella direzione della definitiva attrazione del bacino del Brenta nella sfera di potere asburgica[36]. Comunque sia, la guerra finì presto, e con un nulla di fatto per quel che riguarda Bassano; ma il controllo del Brenta era davvero strategico, e la bastia di Solagna – rimasta ai Veneziani – fu di nuovo attaccata dai Padovani e dai Bassanesi nel 1378[37]. E sempre nella nevralgica zona di confine i bellicosi Bassanesi l’anno successivo (giugno 1381) attaccarono e presero il castello di Romano d’Ezzelino, ancora sotto la guida di Arcoano Buzzacarini. Decisivo fu l’intervento dell’ingeniarius Fasolla, che scavò sotto le mura e le fece crollare; in queste guerre trecentesche, infatti, il ruolo della tecnologia è sempre più cruciale[38]. Nella stessa linea si colloca, nel marzo 1381, durante la guerra che coinvolse Venezia, Padova e gli Asburgo e portò alla breve (1381-1384) dominazione di Leopoldo II su Treviso, l’assedio (con forte bombardamento) e la capitolazione di Asolo, sotto la guida del comandante padovano Ugolino Ghislieri[39].

La mancanza di fonti prodotte sulla base di una “memoria consapevole”, come potrebbe essere una cronaca prodotta localmente, e la scarsità di fonti documentarie (l’archivio comunale è per questi anni molto povero), impediscono di percepire il grado di adesione dell’élite bassanese a questa politica carrarese: un dovere, o anche un “piacere”, o per meglio dire la condivisione di obiettivi di “conquista del contado” che erano intimamente sentiti come propri dal ceto dirigente cittadino? Impossibile dirlo, certo è che la vita civile fu pesantemente condizionata, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, da questa tensione continua, e da questa mobilitazione ripetuta (anche se non sempre si trattò di guerra guerreggiata). E fatto sta che la cittadina posta sulle rive del Brenta fu uno degli epicentri militari anche nella decisiva crisi veneta degli anni 1385-1387, che portò alla scomparsa della signoria scaligera e alla conquista da parte di Giangaleazzo Visconti (fig.4;

04 Stemma

4. Aquila imperiale. Bassano del Grappa, Porta Dieda. La porta sud della città fu affrescata a partire dal 1396 per volontà del nuovo signore della città, Giangaleazzo Visconti, che si fregia delle insegne imperiali a partire dal 1395.

tav.17) delle partes ultra Mincium, cioè di Verona, Vicenza, Belluno, Feltre e appunto Bassano.[40] Fu la definitiva conclusione di un rapporto con Padova che (salvo il ventennio 1320-1339) aveva segnata la storia bassanese per 130 anni. E ancora una volta furono i problemi alpini a scatenare l’incendio. La repubblica veneta infatti chiese ad Antonio della Scala (signore di Verona e di Vicenza) un appoggio militare a vantaggio della città di Udine, ribelle contro il patriarca di Aquileia, il filocarrarese Filippo d’Alençon; ma Francesco il Vecchio negò il transito per i suoi territori al di là del Brenta, e presidiò Bassano con 1000 cavalieri comandati dal fido Arcoano Buzzacarini. La guerra tra Venezia e Padova fu inevitabile. Antonio della Scala, sostenuto finanziariamente dai Veneziani, nell’ottobre del 1386 giunse a conquistare Bassano, e con le sue artiglierie espugnò persino il Covolo di Cismon. La guerra restò quindi in equilibrio fino a quando Gian Galeazzo Visconti si alleò con Francesco da Carrara e approfittando anche di una quinta colonna interna all’élite veronese pose fine alla signoria scaligera, tenendo per sé – nonostante gli accordi – anche Vicenza. Nel 1388, inoltre, attaccò Padova che conquistò e governò per un biennio; Francesco il Vecchio fu costretto ad abdicare. Bassano, circondata da un grosso esercito visconteo, alla fine del 1388 deliberò di consegnarsi al Conte di Virtù. Intorno al 15 dicembre la città ospitò per l’ultima volta Francesco il Vecchio, che da Treviso vi giunse per recarsi a Milano e consegnarsi a Gian Galeazzo. Nel 1390, quando risorse la signoria carrarese con Francesco Novello, Bassano restò fedele al Visconti fino alla successiva dedizione a Venezia. Quel ruolo di “fortezza di frontiera” che si era progressivamente profilato nella seconda metà del Trecento, restò così, ancora, la sua cifra politica dominante.

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