Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

A Bassano l’eco dei “cannoni d’agosto”, quelli che nel 1914 dovevano affossare una pace generale europea durata, tra una guerra locale e l’altra, quasi cent’anni, si fece udire molto presto. Il timore di udirla era stato forse avvertito anche prima. L’aveva sentita l’ignaro curioso che, alla stazione ferroviaria, aveva osservato l’arrivo e lo scarico dei pezzi Schneider da 149 mm destinati all’armamento dell’opera fortificata in costruzione sulla cima del Lisser[1]. A che scopo tanti sforzi tecnici, e tante spese, in un bilancio statale già “magro” e falcidiato, sulla frontiera con un paese da decenni ormai “alleato”, se non proprio amico? Non potevano ignorare quell’eco i 15 “volontari ciclisti ed automobilisti”, che nell’estate dello stesso anno erano saliti – sulle loro biciclette, ben’inteso – fin sull’Altopiano. Sotto la guida del ten. Marino Reatto, e con la benedizione del loro presidente, Giulio Vanzo Mercante, si erano arrampicati sulle montagne di casa, in divisa e fasce mollettiere, per esercitarsi alla guerra[2]. E l’avevano fatta propria le maestranze nei cantieri delle nuove opere fortificate in costruzione, Campolongo, Verena, Lisser, a poche ore di marcia da quel confine con l’Impero Austro-Ungarico, che perfino la stampa non temeva di definire “iniquo”. Percepivano l’imminenza del conflitto come il vero scopo della loro presenza, gli alpini della compagnia del “Bassano”, che lasciava ogni estate la Caserma “Cimberle-Ferrari”, o più semplicemente la caserma degli alpini, per andare a presidiare Forte Interrotto. Nel solido casermone in pietrame che sovrastava la conca di Asiago, come nella sottostante batteria del Rasta o nella Tagliata stradale della Val d’Assa si avvertiva palese quanto poco “amore di confine” corresse con chi a sua volta aveva fortificato, o stava tuttora poderosamente armando, gli altopiani delle Vezzene[3]. Le dichiarazioni di guerra incrociate, tra Austria, Serbia, Russia, Germania, Francia, Inghilterra, che recitavano il de profundis per il sistema diplomatico dell’‘800, tolsero ogni dubbio residuo. Bassano Veneto, per la sua vicinanza al confine di stato, veniva a trovarsi ai margini dell’uragano che stava investendo l’Europa. La presenza militare in città era sempre stata consistente. Accanto agli alpini, di cui il comprensorio urbano ed i suoi dintorni costituivano il bacino privilegiato di leva, non era raro incontrare elementi del 2° Reggimento genio o artiglieri del 29° artiglieria da campagna, che occupavano la nuova caserma, la futura “Monte Grappa”. Non mancavano nemmeno i lancieri del 10° Reggimento “Vittorio Emanuele II”. La fine di marzo del 1914 aveva visto a Bassano la cavalleria “pesante” impegnata appunto in una serie di manovre “per quadri”, che lasciavano intuire come il nostro comando supremo non trascurasse nessuna “opzione”[4]. L’estate vedrà però l’afflusso di reclute alpine in un numero che non si ricordava dalla mobilitazione per la campagna libica. Tutto faceva temere che anche il nostro paese sarebbe presto stato della partita (fig.1).

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1.  Il sacello del Grappa durante la Prima Guerra Mondiale. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Il Grappa durante tutti i mesi di guerra è stato testimone della "passione" dei soldati. La stessa Madonnina è stata colpita da una granata.

E la presenza di tanti uomini in divisa, nonostante la gravità dell’ora, poteva persino risultare “ingombrante”. Soprattutto se essa andava a gravare sulla viabilità. Capita infatti di trovare, indirizzate al sindaco Antonibon, anche lettere di questo tenore: «Da qualche tempo trovasi accasermato nei paraggi di Via Alberto Parolini un dislocamento di artiglieria e, pure da qualche tempo, dei soldati si permettono, quando si trovano soli e a cavallo, di coprire tutta la lunghezza dell’abitato lungo la suddetta via con una corsa tanto sfrenata degna di una carica di cavalleria in guerra. Questa mattina appunto poco mancò che la mamma del sottoscritto rimanesse investita e se ne tornò a casa in uno stato da far pietà…»[5]. Come vedremo, non sarà la sola protesta e nemmeno la più grave nei confronti di una realtà che, prima ancora di essere legittimata dal conflitto, costituiva d’altro canto una fonte di reddito tutt’altro che trascurabile per un numero notevole di cittadini e di attività commerciali. Erano altri però i fattori che facevano toccare con mano, prima di tutto all’amministrazione, ma anche ai privati più attenti allo svolgersi degli eventi, la gravità inusitata della guerra che si stava svolgendo appena oltre i confini nazionali. Il primo è testimoniato, con drammatica evidenza, dalle lettere e dai telegrammi inviati dal podestà di Levico al sindaco di Bassano all’inizio dell’autunno. In essi si chiedeva di garantire l’approvvigionamento granario del centro termale della Val Sugana, che i primi tre mesi della guerra europea avevano già messo seriamente in crisi. Il deputato on. Giuseppe Roberti venne investito della faccenda, solo per sentirsi ribadire dalla Presidenza del Consiglio che «la scarsa quantità di granaglie esistente nel Regno» e le difficoltà di approvvigionamento sui mercati tradizionali, primo fra tutti quello russo, non consentivano di evadere la richiesta trentina. In un’altra lettera, toccante nei toni non meno che nei contenuti, lo stesso podestà, in data 20 dicembre, rispondeva al rifiuto ricevuto: «Benché le pratiche circa l’approvvigionamento di questa Città non abbiano avuto esito favorevole come era purtroppo a prevedersi date le speciali disposizioni in merito prese dal R. Ministero, tuttavia mi sento in dovere di porgerLe i miei migliori ringraziamenti per la cura da Lei avuta nell’oggetto e per i disturbi che da ciò Le derivarono. Vorrei poter ricambiare in qualche modo la gentilezza e la cortesia da Lei usatami ma nell’impossibilità di farlo al presente, La prego per ora di accettare i sensi della mia maggior riconoscenza»[6] .Del resto lo spettro della penuria di macinato, se non la penuria stessa, non era prerogativa solo dei trentini, che stavano sperimentando il conflitto col gigante russo. Il numero di domenica 13 settembre del «Prealpe. Giornale di Bassano e del circondario», in un articolo di fondo dal titolo quanto mai esplicito Il pane per tutti, ribadiva che alla relativa scarsità del raccolto di cereali dell’estate 1914 si erano appunto aggiunte le difficoltà sul mercato internazionale causate dalla guerra. Invitava quindi gli agricoltori a sfruttare, «approfittando della nostra benefica neutralità», tutti i terreni disponibili, ignorando le normali rotazioni agrarie e massimizzando l’uso degli strumenti (seminatrice al posto dell’aratro) e delle concimazioni su cui ancora si poteva contare[7]. Il secondo fattore era ancor più tangibile, costituito com’era dagli ex-emigranti che si aggiravano giornalmente, privi di occupazione, per le strade e le vie del centro. Lo stato di belligeranza e l’incertezza delle scelte politiche dell’Italia aveva reso precaria la loro posizione in molti paesi europei; a molti non era restato che salire sui treni diretti in patria, spesso senza nemmeno i soldi per pagarsi il trasporto del bagaglio. Come osservano G. Favero e M. Mondini, in un loro breve quanto denso contributo sulla Bassano in guerra, si trattava per lo più di emigranti stagionali e temporanei, il cui ritorno non sarebbe stato drammatico se non si fosse concentrato nello spazio di pochi mesi, se non di alcune settimane[8]. L’ufficiale sanitario, dott. Brocchi-Colonna, incaricato di censirli, ne registrava 269 al solo 25 agosto[9]. Si può facilmente immaginare quanto questo rientro in forze potesse gravare su una situazione occupazionale tutt’altro che rosea e le cui sole risposte sembravano poter venire dalla pubblica amministrazione. Bassano dava bensì vita ad un comitato “pro disoccupati bassanesi”, che raccoglieva l’adesione di pressoché tutta l’élite borghese, e investiva del problema l’on. Roberti. La realtà doveva ciò nonostante mantenere toni molto cupi, se il citato numero del «Prealpe», dopo aver ricordato che, proprio grazie ai buoni uffici del citato onorevole, era stato possibile far assumere 40 operai bassanesi per la realizzazione dell’acquedotto pugliese, riportava un invito a dir poco “pressante” del governo ai sindaci del comprensorio perché dessero il via a tutta una serie di lavori pubblici: «Si sorvoleranno tutte le pratiche burocratiche pur di far presto, come il parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il parere del Consiglio di Stato; basterà solo quello del Genio Civile della Provincia. Adunque Strade, Strade e Strade!». Nonostante “l’Ufficio pro emigranti” avesse evaso entro l’anno 225 domande di lavoro e 60 di disoccupati di altri comuni, prima della fine dell’anno giungeva al sindaco una lettera firmata da 17 richiedenti che si concludeva in modo lapidario: «Disoccupati dal 9 agosto, dopo tre mesi di riduzione di salario, sovvenzionati solo da pochi giorni dal Municipio di Bassano con una paga settimanale di £. 6, avendo esaurita ogni risorsa di economia e di prestiti, impossibilitati a trovar lavoro altrimenti, sobbarcati di famiglia, non sanno più a che santo votarsi per tirare innanzi la famiglia, sia pur nel modo più miserevole. Pregano quindi la S.V.Ill.ma perché voglia prendere in considerazione la loro difficile condizione e procurare che il Municipio li occupi per tutta la settimana, o meglio di vivere in migliori condizioni di ottenere un salario migliore dell’attuale, che è di £. 6, ed aver modo di dare almeno il pane ai figli»[10]. I rimpatriati della zona pedemontana, dell’Altopiano e della Val Brenta risultavano essere 8447 e 6245 di loro, cioè il 73,93%, risultavano privi di mezzi di sussistenza, mentre 6414 (il 75,93%) si dichiaravano in cerca di occupazione. Non c’è da stupirsi se più di un esponente della vecchia classe liberale vedeva in tutto questo l’anticamera di una possibile “catastrofe” civile, a scongiurare la quale tutti i mezzi disponibili – non esclusa la costruzione del nuovo ponte sul Brenta ed il cantiere per l’erigendo duomo cittadino[11] - apparivano inadeguati in modo ridicolo. D’altro canto la città, o quanto meno la sua classe dirigente, non aveva dimenticato i propri precedenti risorgimentali e quanto essi comportavano nella situazione che si andava delineando. In settembre il Consiglio Comunale commemorava la scomparsa di Marco Melchiorazzo, con Garibaldi ed i Mille nell’impresa delle Due Sicilie[12]; registrava la concessione della medaglia di bronzo in Libia a Sebastiano Zampierini dell’11° Bersaglieri; conservava con diligenza nel protocollo il promemoria delle associazioni interventiste, riunite in Congresso a Napoli il 20 dello stesso mese. Purtroppo non è dato sapere quanti e chi fossero, ma certamente non mancarono i bassanesi al comizio tenuto a Vicenza il 15 ottobre da Cesare Battisti, su invito della “Trento e Trieste”, un sodalizio irredentista nato nella città del Palladio e che annoverava tra i soci il sen. Luigi Cavalli, ex-garibaldino di San Nazario, ed oltre un centinaio appunto di cittadini di Bassano[13]. Non si trattò di un intervento scontato, né del trionfo del patriottismo favorevole al conflitto con l’Austria, come il “mito” della Grande Guerra e del martire Trentino ameranno descrivere in seguito. Come riferiva il «Giornale di Vicenza» del 17 ottobre, non mancarono i fischi sia di parte socialista, sia di provenienza cattolico-clericale. Il comizio fu così agitato che lo stesso Battisti se ne uscì ad un tratto con la frase: «Una volta sola mi fu impedito dagli avversari di parlare. E fu ad Innsbruck, dai tedeschi. Non vorrei che la seconda volta fosse questa»[14]. Il 28 novembre la chiamata alle armi della classe del 1895 faceva affluire a Bassano 700 alpini, che la Cimberle-Ferrari, sede del battaglione “Bassano”, non era nemmeno in grado di contenere[15]. Nulla era però ancora realmente deciso e l’inverno che stava arrivando garantiva - a militari e civili - comunque qualche altro mese di pace. Saranno gli ultimi. 

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