Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il nuovo anno cominciava là dove era finito il precedente: con i vigili del fuoco a bivaccare sopra la torre civica, col compito di dare l’allarme nel caso di insidia aerea. All’avvistamento di un velivolo nemico avrebbero dovuto suonare la campana, mentre uno di loro scendeva per le vie cittadine, azionando una tromba e ricordando agli esercenti l’obbligo loro imposto dal Comune (dal 2 dicembre precedente) di lasciare socchiuso l’uscio dei negozi, per consentire a chiunque di trovarvi riparo. Suscita un po’ di tenerezza questa Bassano che affronta un conflitto mondiale con espedienti d’altri tempi[28]. Tanto più che la guerra inaspriva il suo volto di settimana in settimana. Le vicende del fronte occidentale, dove il 21 febbraio era iniziato il carnaio di Verdun, il pregiudizio di Cadorna che la ridotta viabilità avrebbe impedito al suo avversario qualsiasi grande offensiva a partire dal Trentino, le stesse operazioni iniziate l’11 marzo in accordo con gli alleati sul fronte dell’Isonzo (quinta battaglia) lasciavano supporre per Bassano il mantenimento di una vita accettabile, almeno dati i tempi. In realtà il vecchio “distaccamento d’Armata Rohr” si era nel frattempo trasformato nella 10ª Armata, congiunto sull’Isonzo alla 5ª Armata di Boroevic: già così il teatro di guerra sud-occidentale vedeva schierate oltre 24 Divisioni austro-ungariche, e non era che l’inizio[29]. A dispetto del rifiuto oppostogli da Falkenhayn di condurre un’azione congiunta sul fronte italiano, Conrad non aveva rinunciato alla sua idea di “punire” l’Italia per il suo tradimento, con un’offensiva che prendesse alle spalle la 2ª e la 3ª Armata e gli consentisse di entrare a Venezia da trionfatore. Bassano era uno degli obiettivi che le sue forze avrebbero dovuto raggiungere fin dai primi giorni. Le nuvole che si addensavano all’orizzonte non avrebbero potuto essere più nere. Cesare Battisti ed il magg. Tullio Marchetti, capo del servizio informazioni della 1ª Armata, cercheranno invano di mettere sull’avviso il nostro Comando Supremo. Nemmeno i presagi erano incoraggianti. Il 13 marzo una valanga di neve, caduta dalle rocce del Verena, spazzava via le baracche degli operai civili adibiti alla costruzione delle linee di difesa dell’Altopiano: due bassanesi, Angelo Bittante e Leone Ferraro, vi trovarono la morte. La classe dirigente non mancava ciò nonostante di credere nella vittoria, e faceva sentire in modo tangibile il suo sostegno. Il primo prestito nazionale, su esplicito invito di Antonibon, intervenuto sul «Prealpe», aveva portato nelle casse dello Stato £. 30.375; quello del gennaio 1916, che aveva visto la nascita di un apposito Comitato promotore cui era stato invitato lo stesso arciprete mons. Gobbi, £. 17.791. La città aveva inoltre contribuito con gli alloggi riservati agli ufficiali in transito, aderendo ai vari comitati che venivano costituiti a livello nazionale, buon ultimo quello a favore dei mutilati di guerra. Il contado aveva risposto in modo sollecito alle requisizioni dei prodotti agricoli chiesti dal Comando Supremo, in particolare del fieno per i quadrupedi. Non è un caso se un giornalista francese, inviato sul fronte italiano quale corrispondente di guerra, notava che la nostra era «una delle città che meglio si era adattata al nuovo ruolo» e l’aveva definita, con una certa esagerazione napoleonica, «Bassano la guerrière»[30]. È innegabile però che si cominciasse ad avvertire anche il peso che il conflitto comportava per tutti, soprattutto per i più deboli. Bassano aveva già fornito la sede per quattro ospedali militari, rinunciando di fatto non solo alle nuove scuole cittadine, le “Principe Umberto ” nell’attuale piazzale Trento (fig.3),

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3. Veduta delle scuole elementari “Principe Umberto” adibite ad ospedale. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Le aule sono occupate dai feriti.

ma anche alla Scuole Tecniche, allora forti di 500 alunni. Solo a prezzo di un grosso sacrificio economico si era riusciti a salvaguardare il regolare svolgimento dell’anno scolastico. Erano state affittate, e ben pagate, le aule del Patronato San Giuseppe; le esigenze belliche richiederanno presto anche questi spazi e solleveranno le risentite proteste del sindaco[31]. Non è un caso che il ten.gen. Luciano Secco, bassanese di origine e all’epoca comandante della 16ª Divisione, mandasse ad Antonibon una lettera di questo tenore: «E vittoria sarà, deve esserlo, a qualunque costo, a prezzo di qualsiasi sacrificio. Ci accompagni, ci sorregga il Paese, sia con noi la sua anima. Questo è necessario, indispensabile.Allorché questo immane flagello sarà terminato e la pace tornerà ad irradiare la sua benefica luce sulla nostra Italia, io verrò certamente alla mia diletta Bassano, non per raccogliere il plauso dei miei concittadini, che nessun plauso merita chi non fa che il proprio dovere, ma bensì per festeggiare con essi la più grande Italia, per inneggiare alla nostra ottenuta vittoria…»[32]. In effetti di incoraggiamenti c’era bisogno un po’ per tutti. Ne necessitavano i cittadini, che tra la fine di marzo ed aprile si vedranno esposti a sempre nuove incursioni aeree, tanto gravi da provocare, il 9 aprile, un telegramma di solidarietà dallo stesso presidente della Camera dei Deputati, On. Marcora. Ne aveva non di meno bisogno l’amministrazione, pressata da una crescita esponenziale delle richieste, da parte di tutti: autorità militari, concittadini richiedenti sussidi e pensioni di guerra, bassanesi in armi che dal sindaco dipendevano persino per la possibilità di andare in licenza. La moglie del soldato Gaetano Balice, di Taranto, caduto in combattimento, interessava Antonibon per avere una foto che il marito si era fatto fare, poco prima della fine, presso la Foto Artistica di Guglielmo Finatti… e non è nemmeno l’istanza più strana, fra quelle rivolte al primo cittadino![33] Non potevano fare a meno di un sostegno le famiglie degli alpini del “Bassano”, che ai primi di maggio avevano meritato la medaglia d’argento alla bandiera del proprio battaglione, riconquistando la cima del Cucla, sopra la conca di Plezzo, persa mesi prima dai piemontesi del “Pieve di Teco”; molti di loro avevano lasciato nell’impresa un braccio, una gamba, qualcuno la vita[34]. Il Comando austro-ungarico era naturalmente di parere diverso, quanto meno riguardo a chi spettasse la vittoria. A metà maggio, appena lo spessore della neve lo consentì, scatenò «l’offensiva di primavera dal Tirolo meridionale»[35]. L’obiettivo di raggiungere Venezia rimase un pio desiderio; gli orgogliosi Corpi d’Armata messi agli ordini dell’erede al trono, Arciduca Carlo, e del gen. Krautwald non poterono che affacciarsi sulla pianura. La resistenza opposta sulle montagne di Schio e dell’Altopiano, unitamente all’offensiva scatenata dal gen. Brussilov in Bucovina, obbligavano già l’8 giugno il comando di Teschen a sospendere ogni azione d’attacco. Pochi giorni dopo iniziava il previsto ripiegamento sulla “linea di resistenza”, che correva dal Pasubio alla Val Sugana. Il 6 agosto Cadorna poteva attaccare Gorizia ed annunciare al mondo la prima città delle Potenze Centrali che veniva “conquistata-liberata”, l’ossimoro è d’obbligo, dalle forze dell’Intesa. Gli austro-ungarici erano però arrivati sulla sommità delle Melette, da lì avevano visto la laguna di Venezia ed avevano ammirato Bassano letteralmente ai loro piedi. E la città era stata in quei mesi letteralmente stipata di truppe. Prima l’avevano occupata quelle della 5ª Armata, costituita da Cadorna con i reparti a riposo del fronte isontino, per affrontare gli austriaci che avessero raggiunto lo sbocco in pianura. Poi vi erano transitati gli alpini del Gruppo Stringa, destinati ad arginare sul lato orientale dell’Altopiano l’ultimo conato offensivo degli uomini di Conrad, i fanti sardi della “Sassari” e quelli della “Piacenza”, infine ancora gli alpini dei battaglioni di casa, il “Bassano” ed il “Sette Comuni” (nato dal primo alla fine del 1915 come battaglione “monte”), che ritirati dal fronte dell’Alto Isonzo, invece del riposo, avevano chiesto di battersi sui monti di casa. L’avevano saturata infine, occupando quasi ogni spazio disponibile, pubblico o privato che fosse, enti e comandi: il tribunale di guerra del XXII C.d.A. che faceva pubblicare dal Comune le sue sentenze di condanna a carico dei disertori; quello del XX che chiedeva all’amministrazione più spazi per un carcere che, fatalmente, si andava riempiendo troppo in fretta; o infine quello del XIV, che celebrò in città uno dei suoi processi più clamorosi[36]. Bassano si riempie però anche dei feriti e dei malati prodotti dal conflitto. La trasformazione dell’ospedale delle scuole “Principe Umberto” in contumaciale, destinato cioè alle malattie infettive, provoca anzi le più che giustificate proteste di Antonibon[37]. Gli uffici comunali ricevono costantemente l’elenco di nuove perdite: prima della fine dell’anno i nomi dei soli soldati caduti sfiorano la cinquantina, ma il numero dei morti era certamente più alto. Accanto a loro compaiono anche alcuni ufficiali: il magg. Morello (in realtà di Marostica), spirato ai Pini Mughi, poco lontano dal Cucla, il cap. Antonio Finco del 1° Reggimento alpini, il s.ten. Giovanni Cavalli del 45° Artiglieria da campagna, caduto sull’Altopiano durante l’azione controffensiva italiana, il s.ten. Eugenio Testolini, alpino, deceduto il 13 novembre[38]. L’affollarsi dei reparti ed ancor più quello dei convogli ferroviari, costretti dall’artiglieria austriaca a non inoltrarsi nel Canale di Brenta e a fare di Bassano la stazione capolinea costituiva un’attrattiva quasi irresistibile per un’aviazione, quella imperial-regia, che conservava ancora una sostanziale predominanza nei cieli. Il 4 agosto, un singolo biplano con la croce nera scollinava dal Grappa intorno alle 8 e picchiava decisamente sulla stazione ferroviaria, le sue bombe innescavano immediatamente una serie di incendi e di esplosioni. Il bilancio fu grave, ma avrebbe potuto essere disastroso se il gen. Luigi Basso, presente all’incursione, non avesse obbligato “pistola alla mano” un macchinista, che stava già fuggendo, a risalire sulla sua motrice e ad allontanare dagli incendi un intero convoglio carico di munizioni. Il generale, che sarà fra i pochi a non perdere la testa a Caporetto, difendendo la città dagli slesiani di von Lequis, e finirà il conflitto al comando del XVIII C.d.A., ne riceverà in cambio la cittadinanza onoraria e l’intitolazione di una via[39]. Tra le tante contraddizioni di questa guerra, non ultima è quella del nuovo ponte in cemento. Non ancora completato, esso rappresentava già un bersaglio sensibile, un’opera che i nostri comandi, in caso di sfondamento nemico, non potevano lasciare intatta in mano agli austriaci. Il progetto di demolizione, messo a punto dal Comando Genio Truppe Altopiano il 12 agosto, prevedeva un complesso sistema di cariche, distribuite tra arcate e pilastri, che avrebbero richiesto 1025 kg di esplosivo. Nel caso più sfortunato la maggior opera pubblica cittadina del ‘900 sarebbe “morta” prima ancora di “nascere”[40]. Anche se in seguito verrà centrato da una granata austriaca e da una bomba d’aereo, il ponte veniva comunque inaugurato nel giugno dell’anno successivo. Eppure nemmeno un conflitto tanto globale e non previsto, almeno nelle dimensioni e nella sua carica distruttiva, era privo di note positive. In settembre Cadorna dava il via alla strada che doveva congiungere Romano d’Ezzelino con la cima del Grappa, certamente una delle sue realizzazioni più durature e meno criticate. Nell’Italia “in movimento” che la guerra faceva confluire e defluire da Bassano, sono molti i personaggi destinati a recitare un ruolo importante che intrecciano una parte dei loro destini a quello della città. Comincia qui, ad esempio, attraverso la mediazione della figura della “madrina di guerra”, il rapporto molto stretto fra Maria Teresa Guerrato ed i giovani ufficiali della Brigata “Sassari”, impegnata sull’Altopiano dei Sette Comuni. Tra tutti, il legame più importante, destinato a durare nei trent’anni seguenti, sarà quello con Emilio Lussu, idolo ed eroe dei fanti sardi, futuro esponente di spicco dell’antifascismo militante, della resistenza romana e ministro nei governi del dopoguerra[41]. Non sarà l’ultimo “grande nome” a sfilare sotto i portici di Piazza Venezia con le arcate ormai protette dai sacchetti a terra o a pernottare nelle comode camere del “Mondo”.

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