Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Nella seconda metà del Novecento, il fenomeno dell’espansione diventa visibile fagocitando sempre di più aree un tempo destinate all’agricoltura: con l’era della motorizzazione di massa, la crescita si accentua lungo le principali direttrici stradali, per poi giungere a saturare anche le porzioni interne. In questo modo, nel corso dell’ultimo ventennio del secolo scorso, il non vasto territorio comunale verrà ad essere quasi completamente edificato specie nelle sue parti meridionale e orientale. Anche nella città del Grappa, nel corso degli anni sessanta, una serie di fattori nuovi incentivano l’espansione a macchia d’olio: nel centro più antico, all’aumento dei costi e al processo di terziarizzazione si aggiunge la perdita di attrattiva di un contesto legato alla tradizione o comunque percepito come tale. In un quadro ormai dominato dall’automobile e da modelli di comportamento orientati al consumo di massa, la popolazione del nucleo storico inizia a calare bruscamente, mentre cresce vistosamente nelle fasce esterne. Qui andrà attestandosi l’intero contingente demografico che corrisponde all’aumento di oltre 10.000 unità. registrato tra il 1961 e il 2001[30]; a questo si aggiungerà poi il flusso delle oltre 6.000 persone che, nello stesso periodo, abbandonano il centro città. Quale risultato finale, oggi i 4.630 abitanti del centro storico rappresentano soltanto l’11% del totale: a questi dovremmo però aggiungere i 3.600 abitanti del borgo di Angarano che ha caratteristiche simili a quelle del centro storico. Non ha caso, quanto a popolazione anziana, i due distretti condividono il record rispetto a tutti gli altri quartieri cittadini, ivi comprese le frazioni isolate come Valrovina. In altre parole, nell’arco di un cinquantennio, ciò che una volta si identificava con la città intera ne è diventato soltanto una parte. Oggi la Bassano di un tempo non è che un “quartiere” (e neanche il più popoloso) di una città che, sul lato orientale e meridionale, abbraccia la quasi totalità del territorio comunale. Diverso è il destino del settore settentrionale e di quello situato al di là del Brenta, specie della porzione nord-occidentale: sia gli ostacoli naturali, sia la persistenza di brani di paesaggio rurale attenuano gli effetti di quella crescita “a macchia d’olio” che soltanto qui appare con i caratteri della discontinuità. Di un piano di ricostruzione si parla già nel 1946 , ma occorrerà attendere fino al 1957 perché sia definitivamente adottato[31]: passa quindi troppo tempo perché uno strumento urbanistico, già di per sé limitato come questo, possa avere capacità di correggere, modificare o indirizzare i processi in corso. Nel settembre 1954, quando lo schema di ricostruzione è ancora in discussione, viene affidato un incarico per un nuovo piano a Giuseppe Piccinato, “urbanista illustre” e docente presso lo IUAV di Venezia. Per la prima volta, lo scopo principale è quello di definire i caratteri dell’espansione, dal momento che lo schema in corso di approvazione è da considerarsi come strumento riguardante quasi esclusivamente i nodi principali del centro città. Auspicando l’inclusione nel piano anche dei comuni limitrofi, Piccinato fissa subito alcuni punti irrinunciabili[32]: parla della necessità di "decentrare" le funzioni direttive dal nucleo storico e, contemporaneamente, di allontanare definitivamente il traffico di transito. Sottolinea il bisogno di "azzonare", ovvero di delimitare aree esclusivamente destinate alla residenza, all’artigianato e all’industria. Il terzo è l’obiettivo più qualificante: si tratta di creare nuclei residenziali autonomi, ciascuno dei quali dovrà essere dotato di un proprio centro civico: si intende, in questo modo, invertire la tendenza già in atto verso un’espansione indiscriminata e “a macchia d’olio”. Per prevenire questa condizione, prende forma un’idea di sviluppo selettivo che si materializza, tra il 1955 e il 1959, in uno “schema a ventaglio”: in altre parole, risulterebbero edificabili soltanto alcune aree collocate attorno ad una serie di nuclei semi-autosufficienti. Alcuni proprietari di aree ne sarebbe stati avvantaggiati, altri fortemente danneggiati: tanto più che molti tra di loro posseggono terreni anche nel vicino Municipio di Cassola. Il progetto di Piccinato si inabissa nella convinzione, da parte degli amministratori, che il piano avrebbe depresso l’attività edilizia entro i confini municipali mentre l’avrebbe indirettamente favorita nei comuni contermini. Indipendentemente dal risultato, attraverso le proposte di Piccinato, Bassano si interroga per la prima volta sui modi e sulle forme di un’espansione ormai destinata a sconvolgere gli assetti e gli equilibri urbani. Lo schema di piano apre una fase di discussione che, sotto la guida di Quirino Borin prima sindaco poi deputato, porterà alla realizzazione di alcune significative iniziative di importanza sovra-locale. Sulle ceneri dello schema Piccinato e sotto la spinta della “nuova dimensione”, nel 1964 viene bandito un concorso di idee per un piano intercomunale che comprenda anche i tre Comuni di Pove, Cassola e Romano d'Ezzelino. Il suo esito potrà fungere da cornice allo schema di piano regolatore che dovrà necessariamente corrispondere alla dimensione municipale. Vincitore sarà il progetto di due giovani neo-laureati della Facoltà di Architettura di Venezia (Franco Mancuso e Germano Zen), a cui si aggiunge un professionista vicentino (Antonio De Luca). Con un motto da raduno degli Alpini (“Fora de la Val Sugana”), il piano assegna al centro città il ruolo «[….] rappresentativo di funzioni che ritrovano fuori [….] la possibilità di soddisfare le proprie esigenze funzionali»[33]. Nel maggio del 1965, anche grazie all’attivismo di Borin, viene promosso un “Convegno di studi sull’urbanistica veneta”, espressamente dedicato a centri medi come Portogruaro, Chioggia, Este, Valdagno, Vittorio Veneto e Asolo. In questo modo Bassano intende diventare capo-fila di un movimento che rivendica, anche per le città non capoluoghi di provincia, la possibilità di pianificare in una dimensione allargata. Nonostante la generosità dei propositi, tutto questo non avrà seguito in mancanza di un quadro legislativo che obblighi i comuni ad adottare un piano comprensoriale: in particolare non costringe i più piccoli ad assoggettarsi al disegno inevitabilmente tracciato dai municipi più grandi, come Bassano. In realtà, alla grande scala, la scelta più incisiva sarà compiuta tra il 1968 e il 1975, con la realizzazione della superstrada Valsugana e del suo naturale proseguimento, la tangenziale[34]. Nello stesso periodo, il processo di espansione è andato dilatandosi ben oltre i confini amministrativi, interessando anche i comuni di prima fascia situati a nord-est, a est e a sud-est della città. Anche in questo caso, oltre alla viabilità ordinaria e straordinaria, sono stati i servizi a rete ad agire da battistrada: come settanta anni prima, l’ampliamento dell’acquedotto e la fognatura crea le condizioni perché la città si dilati oltre i suoi limiti tradizionali. La realizzazione di entrambi in forma consortile consente di ampliare il quadro degli interventi[35]; a questo si aggiungerà, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, una serie di decisioni riguardanti la localizzazione del PIP e dei PEEP, ovvero gli ambiti privilegiati per insediamenti produttivi e abitazioni a buon mercato[36]. Investendo le fasce più esterne, l’espansione ha finito per coinvolgere il quadro comprensoriale, specie nei territori confinanti di Cassola e di Romano degli Ezzelini. Si tratta di un fenomeno generato da un triplo flusso demografico: soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta, nei due comuni, oltre all’incremento naturale, vanno a collocarsi sia i sempre più numerosi immigrati, sia la quote di popolazione che abbandonano il centro città. Se dunque consideriamo la crescita demografica nei due centri circumvicini, questa deve essere ascritta in buona parte a Bassano e al suo sistema economico-relazionale. Tra il 1951 e il 1981 il trend appare molto sostenuto: qui la popolazione passa da 8.840 a 20.300 unità mentre nella città maggiore sale, nello stesso periodo, da quota 26.450 a 35.130 [37]. A partire dal 1981, i ritmi di espansione diventano più blandi ma aumenta la forbice tra i due termini del confronto: nel ventennio successivo, se Bassano segna un aumento del 15%, Cassola e Romano vantano una crescita del 30% raggiungendo quota 26.300 nel 2001[38]. Questo significa che una parte del surplus accumulato nel centro principale va ora a collocarsi nella fascia più esterna. Un altro comune confinante, Pove del Grappa, segue un diverso andamento demografico, perdendo popolazione nel primo trentennio per poi riguadagnare nel ventennio successivo[39]; è il chiaro effetto dalla nuova superstrada che la connette rapidamente al centro maggiore. Complessivamente, la popolazione dei quattro comuni a suo tempo inclusi nel piano del 1964 oggi ammonta a settantamila abitanti; la cifra rende ben più efficacemente la dimensione attuale di Bassano. Ma già alla fine degli anni Settanta si è realizzato un rapporto di continuità fisica con i due comuni limitrofi della banda orientale. Poi, con il consolidarsi di una città sempre più diffusa, si instaura un sistema di relazioni ancora più vasto che oltrepassa i tradizionali confini amministrativi. A cavallo dei due millenni, viene così a disegnarsi una nuova, possibile “Grande Bassano” che comprende una serie crescente di entità municipali. Alla fine questa dilatata dimensione territoriale non trova adeguato riscontro né in un quadro politico-amministrativo adeguato, né in strumenti urbanistici appropriati: il Piano Regolatore generale viene definitivamente adottato nel 1968 e riadottato nel 1969[40]. Il piano avvia una politica per il centro storico, blocca l’espansione nell’area golenale del Margnan e definisce il tracciato delle superstrade Valsugana e Pedemontana; contrariamente alle prime indicazioni dell’ANAS e della Provincia, queste due fondamentali arterie passeranno rispettivamente ad est e a sud della città, configurandosi di fatto come nuova circonvallazione. Costituiranno un nuovo limite lungo i due lati più interessati dalla crescita edilizia (fig.8).

8SindacoBassanoPietroFabris

8. L’allora Sindaco di Bassano, Pietro Fabris, illustra alle autorità provinciali il Piano Regolatore Generale, 1968. La superstrada Valsugana e la tangenziale sud, Pedemontana, sono le architravi di questo strumento urbanistico, che detterà le regole dello sviluppo della città negli anni futuri.

A metà degli anni Settanta, l’istituzione del comprensorio sembra dare speranze a Bassano: originariamente includeva 28 comuni, con anche Asiago e Marostica. Nell’ultimo trentennio del Novecento, si realizzeranno consorzi finalizzati a soddisfare un bisogno specifico: nei campi dei trasporti urbani, della salute, dello smaltimento dei rifiuti[41], dei servizi a rete. Sono queste le uniche cornici istituzionali ove trova riscontro il concetto di “Grande Bassano” pur secondo una dimensione di volta in volta variabile. Su tutto questo ha certamente pesato il fatto che la città non è divenuta capoluogo di provincia, nonostante le numerose e reiterate richieste nel corso del Novecento: grazie a questo status, molti centri hanno potuto allargare i confini del proprio territorio di pertinenza, fino ad inglobare una corona di comuni contermini. Messo in atto nel periodo tra le due guerre, l’ampliamento è spesso avvenuto in modo talmente generoso da potere assorbire gli effetti di quella grande crescita poi manifestatasi nell’epoca della motorizzazione di massa. La città svolge comunque il ruolo di catalizzatore territoriale rispetto ad una serie di servizi in grande espansione, soprattutto a partire dagli anni settanta: ci riferiamo soprattutto al comparto della sanità, a seguito della nascita del servizio nazionale[42], ma anche al settore dell’istruzione superiore che assume in quel periodo dimensioni di massa[43]. Tutto questo si materializza anche in una serie di edifici di grande dimensione: alludiamo ai centri scolastici polivalenti e al nuovo complesso ospedaliero (tav.8), il quale segna un definitivo e sostanzioso decentramento della funzione sanitaria. Dopo avere saturato il suo territorio a est del Brenta, Bassano oggi si interroga sugli effetti della immane crescita che ha avuto luogo nella seconda metà del secolo scorso; la città ha subito un processo di “scavalcamento del limite” che ne ha profondamente mutato forma, dimensione e identità. Letto in una prospettiva di lungo periodo, il fenomeno rappresenta la ripetizione di quel che si era prepotentemente manifestato in età medievale, in particolare nel corso del Duecento. Analogo è stato allora l’andamento topografico: chiusa ad ovest dalla presenza del fiume e a nord dall’area golenale, l’ampliamento extra-moenia che ha proceduto in entrambi i casi secondo la direzione sud-est che accompagna gli assi di maggior e importanza strategico-commerciale: soprattutto lungo la via nova, in asse con la strada regia che proviene da Castelfranco. In accordo con la visione biologica che li ha accompagnati tra Otto e Novecento, gli studiosi di topografia urbana avrebbero paragonato l’ingrandimento di Bassano a quello di un tronco d’albero con la sua sequenza di anelli: più che concentrici si potrebbero definire, in questo caso, semi-concentrici. Dunque, il processo si è concentrato in due fasi di particolare intensità: l’epoca comunale e l’età tardo-industriale. Se la prima volta, Bassano ha saputo definire una sua precisa identità tagliata sulla nuova dimensione, oggi la “Grande Bassano” sembra ben lungi dall’avere trovato una sua fisionomia.  

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