Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Jacopo Vittorelli, per comune sentire, fra gli altri autori qui considerati, che scrissero versi, può fregiarsi del vanto di essere universalmente noto come il poeta di Bassano, e non tanto per essersi dedicato solo ed esclusivamente alla poesia, quanto per gli straordinari risultati conseguiti e da tutti riconosciuti. Pur essendo vissuto per un lungo periodo di tempo, dal 1749 al 1835, e aver attraversato epoche di profondi mutamenti, rimase sempre un letterato di vecchio stampo settecentesco, chiuso nel proprio mondo di convenzioni poetiche, quasi al di fuori della realtà, senza essere mai coinvolto in problematiche storiche, sociali o politiche. Fu la sua una vita povera di eventi (fig.7).

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7. Angelo Balestra dis. - Gaetano Bonatti inc., Jacopo Vittorelli, acquaforte e bulino.Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. 4522.

Di famiglia nobile, studiò al Collegio dei Nobili di Brescia, visse e operò per qualche tempo a Venezia e a Padova, ma fu legato soprattutto alla sua Bassano, di cui condivideva gli atteggiamenti conservatori e di cui si incaricò di celebrare i fasti di cronaca nella maggior parte delle sue poesie. La sua vasta produzione di versi nell’ultima edizione moderna, che risale però all’inizio del secolo scorso, è stata ripartita per generi in quattro sezioni, secondo la volontà manifestata dallo stesso poeta[21]. Al primo posto c’è la sezione dei Sonetti, 148 componimenti scritti nella forma metrica più antica e praticata della letteratura italiana. Si tratta in massima parte di poesie d’occasione, legate non alla grande storia di quegli anni tumultuosi, ma alla cronaca spicciola di un centro minore, qual era allora Bassano. Vengono presentati con fastidiosa insistenza di elogi esagerati, sempre però ravvivati dal meticoloso esercizio dello stile, gli eventi che hanno a protagonista la nobiltà locale: ingressi o partenze di parroci o magistrati, nozze, prime messe, monacazioni. Tra i pochi sonetti che riflettono sentimenti più personali bisogna però annoverare i sette finali dedicati alla Vergine, che il Vittorelli compose negli ultimi anni di vita sotto la pergola della sua casa bassanese. Nel sonetto più bello e noto intitolato Teneri affetti a Maria, che tanto piacque a Carducci, il desiderio d’amore accarezzato per tutta la vita trova, nell’imminenza della morte, la sua sublimazione in una preghiera alla Madonna pervasa di mistico ardore. Nella seconda sezione intitolata Anacreontiche, Canzonette, Odi, vengono presentate al primo posto le Anacreontiche a Irene, il capolavoro indiscusso del poeta. In questa raccolta completa e definitiva ci sono 42 odi, con un evidente doppione perché la n. 30 e la n. 42 sono per metà uguali, mentre nella prima edizione Remondini del 1784 le odi erano solo 18. Ciascuna sviluppa un momento dell’eterna commedia dell’amore, nella stessa struttura metrica breve di due strofe, composte da due quartine di settenari unite tra loro dalla rima tronco dell’ultimo verso. Nei loro limiti di poesia povera di contenuto originale e tutta pervasa degli stereotipi del genere arcadico, sono cose mirabili che restano nella memoria con la dolcezza di un incanto perfetto, isolato nel suo cristallino splendore. Esse ottennero un successo strepitoso, testimoniato da un numero di edizioni pari solo a quello delle opere del Metastasio. Alcune, notissime, come Guarda che bianca luna, Non t’accostare all’urna, In solitaria stanza, furono musicate da grandi compositori, primo fra tutti Giuseppe Verdi. Nella sottosezione successiva di 47 componimenti, tra cui anche le Anacreontiche a Dori, dove la struttura metrica si dilata spesso in più strofe, l’esito raggiunto, talora, appare meno felice. Composizioni giovanili, di taglio narrativo in ottave, sono quelle raccolte nella terza sezione intitolata Poemetti e stanze. Al primo posto è collocato Il tupé, il poemetto d’esordio, stampato la prima volta nel 1772. Si tratta di una satira di costume, suddivisa, nell’edizione definitiva, in quattro canti a sé stanti, che prende di mira la mania di uomini e donne per le parrucche. Sempre sulla vanità di apparire insiste anche il poemetto Lo specchio. D’ispirazione bernesca e particolarmente riusciti risultano i poemetti Il naso e Il farnetico, entrambi di 26 ottave. Nel primo l’estro comico del poeta celebra il vanto del suo «bel nason di sagoma romana», che Giove ha predestinato alla vocazione poetica; nel secondo si lancia in una fiera invettiva contro Tumido, un poetastro barocco che si rifà all’Achillini di «Sudate, o fochi, a preparar metalli». Segue poi l’unico poemetto giovanile ad essere più volte ristampato dal poeta, che andava fiero del plauso ricevutone dal Pindemonte, I maccheroni, rimarchevole anche per il virtuosismo tecnico delle rime, tutte sdrucciole, che lo portano talora a inventarsi qualche nuova parola. Vi si racconta di come Pulcinella, per le sue nozze con Simona, abbia approntato un nuovo tipo di pasta da servire ai commensali intriso «di butirro e di formaggio». Da ricordare inoltre anche la bella traduzione in ottave della Batracomiomachia, il poema eroicomico pseudomerico sulla battaglia dei topi e delle rane. Pur non conoscendo il greco, ed utilizzando perciò una versione latina, Vittorelli riesce a fare un’opera convincente, la sola, fra le tante fatte tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, che possa competere con quella mirabile traduzione del poema che fece il giovane Leopardi. Nella quarta e ultima sezione, Poesie di vario metro e argomento ed epigrammi, infine, oltre a una serie di 21 liriche sempre riconducibili all’intento celebrativo, si segnalano per freschezza e inventiva i 64 epigrammi, composti in prevalenza da misure metriche brevissime, quartine o addirittura distici, e con un linguaggio meno convenzionale e più immediato, che in un paio di casi non disdegna neanche il ricorso al dialetto. In essi è sempre presente il desiderio di compiacere l’uditorio con qualche verso rimato, ma accanto alla lode non mancano anche punte di critica più mordace. Singolarmente, fra i tanti epigrammi dedicati ad altri, ce n’è uno, il n. 39, rivolto «Ad un elegante e modestissimo poeta», che pare appropriatissimo per il Vittorelli stesso e che può bellamente far da suggello a questa veloce disamina delle poesie del più noto e più amato (fig.8)

8UrnacuoreJacopoVittorelli

8. Urna con il cuore di Jacopo Vittorelli. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. S213.

astro letterario di Bassano:

Non temer degli ardori e non dei verni:
fiori del tuo giardin son fiori eterni.

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