Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

L’ingresso nel secolo ventesimo vede Bassano vivere una modificazione degli assetti politici decisiva che ne segnerà la storia seguente. Sulla scorta della spinta della Democrazia Cristiana di Romolo Murri, il mondo politico del cattolicesimo cittadino, nella piena maturazione del suo impegno sociale e nel mondo del lavoro, tramite le Unioni professionali, riesce ad espandere la propria influenza nella società e tra le classi più povere. Neppure la condanna del modernismo promulgata da Pio X riuscirà a frenare la crescita di rappresentatività e i tentativi - molto più pragmatici che teorici - di una conciliazione de facto tra orizzonte democratico e vissuto cattolico. L’impegno sociale della chiesa locale, nata nel contesto anti-risorgimentale in contrapposizione alla tentazione del cattolicesimo liberale, aveva operato una lenta mutazione anche nei suoi propugnatori, aprendo la strada ad una prospettiva sinceramente versata nel miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti. Il cattolicesimo bassanese di questa nuova stagione trovava in una nuova generazione di militanti gli esponenti che organizzavano la vita culturale e politica cittadina: Don Giuseppe Bertoncello, Virgilio Andreatta, Pietro Busnardo, Ernesto Azzalin, Agostino Zanchetta, Giambattista Zen, Aristide Stefani e Giuseppe Roberti, tutti sulla scia dell’impegno politico e sociale della democrazia cristiana di Romolo Murri. E fu attorno ad un settimanale, «Il Prealpe», che questa nuova generazione trovò il suo perno, un periodico lontano ormai dai toni accesi della «Riscossa» degli Scotton ma che certamente non si poneva neppure in continuità con il cattolicesimo liberale de«Il Brenta». «Il Prealpe», il cui primo numero uscì il 15 aprile del 1906, fu fondato da un triumvirato di cattolici: Alfredo Lorenzoni, Silvestrino Silvestrini e Giovanni Ferraro. Questo gruppo ebbe la grande intuizione di non accontentarsi del mero sostegno dell’opinione pubblica, seppure fu estremamente capace di formarla e di penetrare in tutte le classi sociali, ma capì, a differenza della generazione dell’intransigentismo anti-risorgimentale, la necessità di avvalersi e confrontarsi con il mondo intellettuale. E infatti il primissimo direttore de «Il Prealpe» sarà un professore molto stimato a Bassano, Lelio Spagnolo, come pure non di rado le pagine del settimanale accoglieranno gli interventi del poeta Giovanni Vaccari. A Spagnolo seguirà nella direzione, a partire dal 1909, Silvestrino Silvestrini, che ne sarà per oltre mezzo secolo il direttore. L’influenza che questo settimanale eserciterà nella vita bassanese si farà sentire soprattutto nel primo dopoguerra, quando contribuirà in maniera decisiva all’affermazione locale del Partito Popolare. Il fronte cattolico cittadino, visse solo una difficoltà degna di nota, quando, nel 1911, si accese una tensione tra monsignor Gobbi, l’arciprete di Bassano, e il nuovo vescovo di Vicenza, Ferdinando Rodolfi. Se il primo infatti condivideva la linea scottoniana, il secondo aveva un’impostazione più disponibile alle istanze conciliatoriste. Questo ebbe ripercussioni nei gruppi dirigenti cattolici, divisi tra l’appoggio al vescovo e quello all’arciprete[66]. Per quanto riguarda i socialisti, la loro presenza a Bassano, pur incrementata nell’ultimo decennio del XIX secolo, non riuscì a diventare mai davvero pericolosa in età giolittiana. Gli esponenti di rilievo in questo inizio secolo erano Libero Sandini, Antonio Venzo, Giuseppe Munerato, Angelo Zonta, Geremia Zilio. La strategia di egemonizzare la Società di Mutuo Soccorso fra gli Artigiani non riuscirà mai, per la mancata maggioranza nelle elezioni del presidente. Sarà piuttosto la Lega degli Orefici il bacino d’utenza della militanza socialista, capace con essa di organizzare nel 1904 uno sciopero che destò un certo scalpore in quanto fu il primo esempio che Bassano visse di lotta di classe. Un risultato importante che i socialisti riuscirono a conseguire fu la creazione di una Camera del lavoro. È interessante notare però che questa presenza non solo non riuscì ad espandersi nella Bassano di inizio secolo, ma, dopo una iniziale fase sostanzialmente positiva, tenderà a collassare rapidamente divenendo, all’inizio degli anni ’10 una realtà insignificante, più incline ad una astratta propaganda ideologica che non ad un concreto confronto con i problemi delle classi lavoratrici bassanesi. Ma a patire di più il nuovo clima politico era, a livello locale, la famiglia liberale, divisa al suo interno, orfana della spinta risorgimentale, la cui parte maggioritaria si mostrava via via più incline ad una generico conservatorismo. L’assassinio del re Umberto I il 29 luglio del 1901 per mano dell’anarchico Gaetano Bresci non fece che accelerare un processo di schiacciamento del moderatismo bassanese su posizioni lealiste, monarchiche, nazionaliste e irredentiste (di questi anni la nascita dell’associazione Trento-Trieste) che non solo non compose, ma anzi aumentò la divisione che intercorreva con l’ala di Vendramini[67]. Il rinnovo del consiglio comunale del 1902 aprì alla conferma a sindaco di Antonio Giaconi Bonauguro, grazie alla sostanziale continuità dell’asse tra liberali moderati e liberali clericaleggianti. Questa però non sarà sufficiente a proteggere il primo cittadino dallo scandalo degli ammanchi al Museo Civico, in quel momento ufficialmente sotto la responsabilità diretta del sindaco, cosa che lo porterà alle dimissioni. Nel 1903 sarà sostituito da Carlo Remondini, ma un nuovo scandalo, questa volta di natura ideologica, scoppiato a causa di un manifesto della giunta comunale che inneggiava al “libero pensiero” e che produsse un tale clamore da costringere a tornare alle urne. Si arrivò dunque alle elezioni del 1904, in cui la vittoria dei cattolici fu schiacciante, e che per la prima volta vide eletti quattro consiglieri socialisti; ma si trattò di una vittoria di Pirro, di fatto prodottasi per l’astensione del voto liberale e per il rifiuto di presentare proprie liste: si voleva cioè obbligare i cattolici a prendersi le responsabilità dell’amministrazione, mostrando la sostanziale immaturità politica e incapacità tecnica a sostenere tale onere. Ed in effetti la strategia liberale, in questo caso, ebbe successo: dopo soli due giorni dall’elezione, tutti gli eletti dovettero dare le dimissioni perché ben coscienti di non poter seriamente far altra cosa che non fosse l’ostruzionismo. Alla forza rappresentativa che poteva vantare il mondo cattolico non corrispondeva una cultura politica e amministrativa altrettanto forte. Si uscì da questa impasse, per la quale i cattolici avevano una maggioranza elettorale ma non erano in grado di assumersi responsabilità pubbliche, mentre i liberali, che erano in grado, non avevano un sufficiente sostegno elettorale, tramite una nuova elezione, nel 1905, che produrrà una breve giunta clerico-liberale, che durerà fino al 1906. L’ultima vittoria del liberalismo bassanese si avrà con le elezioni del 1907, che vedranno l’elezione a sindaco di Carlo Remondini[68].  

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