Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La Bassano post-unitaria non si presentava soltanto come il sorprendente covo del vivace gruppo dei preti liberali di Malucelli, uno dei più avanzati nella nuova nazione, ma, al contrario, vivrà con molta più forza la presenza del cenacolo agguerrito e ferocemente reazionario - tra i maggiormente influenti del clericalismo veneto, se non italiano - che faceva capo ai tre fratelli Scotton, Jacopo, cappellano della parrocchia rurale di San Vito di Bassano, Gottardo e Andrea, (fig.8)

8RitrattodonJScotton

8. Ritratto di don Jacopo Scotton, Litografia, Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc.Bass.4516. Insieme ai fratelli Gottardo ed Andrea rappresentò l’ala più reazionaria del clericalismo veneto, strenua avversaria della civiltà moderna e liberale.

che lo affiancavano nell’opera di predicazione reazionaria. Papisti oltranzisti, infallibilisti, favorevoli ad un accentramento dell’intera esperienza ecclesiale nella figura del papa, strenui avversari della civiltà moderna e liberale, che aveva perduto le «norme eterne della morale» e non discerneva più «il giusto dall’ingiusto, l’atto virtuoso dall’atto vizioso». Per costoro si era consumato un divorzio tra la società moderna e Dio, causa di una vera e propria sovversione dell’ordine naturale e sociale[34]. La prospettiva reazionaria dei tre Scotton si sviluppò in opere collettive, come il testo Il sincero cristiano, ma pure secondo strade diverse. Gottardo si distinse sia per un intervento al vetriolo scagliato nel 1868 niente meno che all’indirizzo dell’insegnante di diritto canonico del seminario vicentino, Giambattista Dalla Valle, a causa delle sue posizioni conciliatoriste, sia per l’invettiva che l’anno successivo, in occasione della sua vestizione sacerdotale, pronunciò contro la Società democratico-progressista e le sue aperture al secolo; Andrea, corrispondente per il periodico «Il Veneto Cattolico», denunciò dalle colonne di quel giornale la linea culturale de «Il Brenta» e si spinse fino a fare opera di discredito di diverse figure di spicco del gruppo dei preti liberali, tra cui lo stesso Malucelli[35]. Questa linea era destinata ad ottenere risultati insperati nel giro di pochi anni. Con la presa di Roma e la fine del potere temporale del Papa, l’appoggio caloroso che la società bassanese aveva garantito al gruppo dei preti liberali negli anni sessanta venne rapidamente scemando, così come le ragioni che avevano tenuto insieme le istanze anti-austriache e quelle anti-temporaliste. Questo concretamente indeboliva la già precaria condizione del gruppo di Malucelli entro la chiesa bassanese. E sarà sull’infallibilità che si giocherà il loro pieno recupero alla comunità ecclesiale, o, come lo interpretarono i loro alleati liberali, il loro tradimento delle istanze liberali: nel 1876, infatti, Malucelli, Ferracina e Marini ritrattarono le loro affermazioni sull’infallibilità pontificia ma, si badi, non quelle sull’abolizione del potere temporale. È interessante notare come sia bastata l’accettazione pubblica dell’infallibilità per essere riammessi a pieno titolo nella chiesa, nonostante costoro fossero stati in prima linea nella battaglia anti-temporalista. Potremmo domandarci se questo non debba esser letto come un piccolo segno rivelatore del fatto che proprio l’infallibilità divenne, nelle chiese locali, l’architettura ideologica fondamentale su cui si ridispose il mito del potere temporale del papa. Il collasso dell’esperienza del cattolicesimo liberale suscitò i risentimenti del circuito anti-confessionale cittadino, che si vedeva voltar le spalle da personalità che ormai nell’ambiente avevano acquisto una certa fama, e il cui abbandono indeboliva di fatto le ragioni di un fronte. Dal canto suo il cattolicesimo cittadino, ricompattato sulle posizioni della curia romana, si presentava alla metà degli anni ’70 come una realtà assai vivace e numerosa: 51 sacerdoti, 11 padri cappuccini, 2 somaschi, un imprecisato numero di suore nei diversi istituti e all’Ospedale civile mostravano un concretissimo presidio cattolico nei vari aspetti della vita cittadina. Un dato che può suggerire la misura della forza sociale della chiesa a Bassano è il numero dei matrimoni celebrati nel 1876 con il solo rito religioso, 300, in rapporto a quelli convalidati anche civilmente, 500: più di un terzo dei cittadini che contraevano le nozze non ritenevano necessario il riconoscimento del nuovo Stato italiano. Le statistiche elaborate dai parroci sugli inconfessi confermano un quadro di forte affezione dei bassanesi alla vita ecclesiale: laddove in altre realtà venete come Vicenza, Schio, Thiene, possiamo notare come la stagione risorgimentale avesse intaccato un poco la sovrapposizione chiesa/società inducendo alcuni segmenti che con maggiore asprezza avevano vissuto l’opposizione papale alla formazione di uno stato unitario a sottrarsi a un sacramento decisivo come quello della confessione, Bassano sembrava al contrario immune ad una diminuzione della frequenza a questo momento saliente della vita cattolica[36]. La forza del clero reazionario nel riuscire a rappresentare le istanze complessive della chiesa aumentarono a seguito del non expedit, a suggello di una lunga battaglia contro la civiltà liberale iniziata molto prima e che nel Sillabo, del 1864, aveva il suo cuore ideologico. Il rifiuto dello stato liberale e la proibizione che i cattolici partecipassero alle elezioni politiche generali favoriva l’ala più radicalmente reazionaria entro la Chiesa veneta, che nell’Opera dei congressi e dei comitati cattolici, istituita a Venezia nel 1874, troverà una organizzazione di riferimento. Lo scontro tra la Chiesa e le Giunte locali, rette dalla élite liberale veneta, era inevitabile. Se durante il mandato dell’arciprete Domenico Villa (fig.9)

9RitrattoDomenicoVilla

9. Ritratto di mons. Domenico Villa, Litografia, Bassano del Grappa, Museo Biblioteca  Archivio, Inc.Bass.1897. Arciprete Abate, chierico liberale, cercava di conciliare istanze patriottiche e religiose; dopo il 1870 si spostò radicalmente su posizioni antiliberali, fino ad arrivare a sostenere il circolo reazionario degli Scotton.

si ricorda la battaglia - più che altro simbolica - che questi condusse contro il finanziamento stanziato dal Comune per contribuire alle spese dell’erezione di una statua in onore di Arnaldo da Brescia nella città lombarda, sarà poi invece proprio con la successione di Villa che vediamo esplodere il conflitto. La parabola della stagione bassanese di Villa, che si concluse nel 1872, quando divenne vescovo di Parma per poi morire nel 1882, oltre a rappresentare bene la più generale tendenza di irrigidimento della Chiesa locale nei confronti del nuovo assetto politico, apriva scenari difficili per la successione: Villa era stato un chierico liberale, seppur di un liberalismo moderato, che cercava di conciliare istanze patriottiche e religiose ponendo queste ultime come condizione necessaria delle prime; ma fu a seguito della conquista di Roma che l’arciprete si spostò radicalmente su posizioni antiliberali, fino ad arrivare a dar man forte al circolo reazionario degli Scotton[37]. Con la sua partenza, al crocevia del declino del cattolicesimo liberale in città, si apriva una battaglia aspra per la successione, durata per diversi anni. Il vescovo Antonio Farina aveva tentato, nel 1873, di proporre niente meno che Andrea Scotton, allora rettore delle Canossiane: una proposta allarmante per l’élite liberale della città, che trovò nel Comune un veto assoluto e un’ostilità tale da suggerire di non ripresentare la candidatura. Dopo un difficile esame nel 1875 Farina optò per l’economo spirituale, l’abate Gobbi (fig.10),

10RitrattoGiambattistaGobbi

10. Ritratto di Giambattista Gobbi, olio su tela. Bassano del Grappa, Arcipretale di Santa Maria in Colle. Arciprete di Bassano, dal 1875 al 1925 fu consacrato da Pio IX in persona per superare le divergenze tra il vescovo di Vicenza e il consiglio Comunale della città.

ma il Consiglio Comunale si oppose anche a questa decisione in quanto Gobbi veniva ritenuto negli ambienti liberali un chierico retrivo e fondamentalmente incompetente. La Chiesa non era disposta a cedere di un passo su questa proposta; scavalcando di fatto sia il vescovo che l’amministrazione, fu Pio IX in persona a consacrare Gobbi arciprete di Bassano. Una tale mossa tuttavia non impressionò eccessivamente la Giunta che solo nel 1878, a seguito di una infiammata seduta del Consiglio, convalidò la nomina, principalmente per motivi di convenienza economica, perché non avallando la decisione del vescovo, il Comune non avrebbe potuto godere di alcuni finanziamenti che lo Stato attribuiva alle parrocchie e che andavano pure a beneficio dei poveri. La tensione che correva tra la municipalità bassanese e la Chiesa proseguì fino all’inizio del secolo XX. La lunga stagione dell’abate Gobbi, che si concluderà nel 1925, fu contrassegnata da un grande attivismo sociale dei cattolici: la nascita del circolo S. Bassiano[38], la fondazione del Patronato San Giuseppe (poi divenuto il Centro Giovanile), l’istituto femminile di sant’Anna, un ricreatorio per i fanciulli, un «club cattolico di lettura e gioco», circoli femminili, una Casa di Ricovero (1843)[39], orfanotrofi maschili e femminili[40]: queste le numerose attività promosse durante il mandato di Gobbi, che modificarono drasticamente il volto della società bassanese[41]. Di questo impegno nella società, che i liberali guardavano con grande diffidenza per la capacità del clero di permeare di ideali cattolici le classi più povere, l’opera più meritoria e di impatto nella vita civile di Bassano fu, nel febbraio del 1884, l’istituzione delle “cucine economiche”. Tale istituzione fu realizzata entro i locali della Casa di Ricovero (ora via Torino) per iniziativa di Bortolo Zanchetta, che si valse dell’esperienza di Gaetana Sterni, fondatrice della congregazione delle suore della Divina Volontà e direttrice generale della stessa congregazione a partire dal 1863[42]. L’assistenzialismo sociale fu il cavallo di Troia con cui la Chiesa riorganizzò la sua egemonia nella società bassanese: figure di spicco di questo impegno sono il nobile Bortolo Zanchetta (fig.11),

11BortoloZanchetta

11. Ritratto di Bortolo Zanchetta, fotografia. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Iconografia bassanese. Nobile, Presidente dell’Orfanotrofio maschile, direttore del Monte di Pietà, membro della Giunta comunale, rappresentava l’ approccio assistenziale del cattolicesimo bassanese ai ceti popolari.

presidente dell’orfanotrofio maschile cittadino, e il già citato Jacopo Scotton. Se il primo, con il suo impegno per il comitato promotore della strada che doveva unire Bassano ad Asiago, con le sue cariche di revisore dei conti della Società di Mutuo Soccorso fra gli Artigiani, di direttore del Monte di Pietà, con la sua presenza attiva nella Giunta comunale, rappresentava un approccio paternalistico e assistenziale del cattolicesimo bassanese ai ceti popolari, il secondo, invece, seppe guidare una fase di organizzazione mutualistico-cooperativa delle realtà associative espressioni della chiesa locale. Scotton, che a partire dal 1881 sarà parroco di Breganze, divenne l’organizzatore della vita politica dei cattolici bassanesi, e attorno a lui si formò un gruppo di influenti personaggi: Francesco Fontana, Antonio Sterni, Sebastiano Gasparotto, Matteo Segaffredo, Andrea Vittorelli, Valentino Favero, Carlo Carli, Valentino Gasparotto e Ernesto Azzalin. Questo gruppo, ribattezzato dal liberale Oscar Chilesotti «i giovani turchi del clericalismo bassanese», costituiva di fatto il comitato elettorale cattolico cittadino. La centralità di Scotton era anzitutto di natura ideologica, egli infatti era direttore del periodico «La Riscossa», vero e proprio organo di stampa della reazionaria Opera dei congressi e dei comitati cattolici, un foglio più papista del papa, giudicato aspramente finanche dal vescovo vicentino Rodolfi per i toni violenti che lo contraddistinguevano. Fu comunque la Rerum Novarum (1891), l’enciclica di Leone XIII che apriva la questione sociale al mondo cattolico, con la sua proposta fortemente critica delle istanze capitalistiche e borghesi, a imporre alla Chiesa locale un’accelerazione verso l’incremento e l’organizzazione delle strutture mutualistico-cooperative. È interessante notare come fu proprio l’ala scottoniana, quella intransigente e infallibilista a recepire con maggiore attivismo il nuovo impegno solidaristico promosso dal papato. Nel concreto, in un contesto prevalentemente rurale, questo si declinava in una politica volta a diffondere la pratica di acquisti collettivi di animali, di sementi e concimi, oltre che la stipulazione di assicurazioni contro malattie del bestiame e contro la grandine. Le Società operaie agricole, costituitesi in tutto il Bassanese, avevano in Scotton il primo artefice. Culmine di questa stagione può essere considerata la fondazione, nel 1896, della Società Cattolica Operaia di Mutuo Soccorso, voluta dall’arciprete Gobbi e da tutta l’area scottoniana[43].

Questo sito usa cookies per il proprio funzionamento (leggi qui...)