Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Per un centro urbano che attraverso un rapido processo di crescita aveva raggiunto dimensioni significative per l’epoca, quasi seimila abitanti alla fine Cinquecento ed oltre ottomila nel Settecento, e che si trovava in una zona poco fertile, ai confini tra l’alta pianura e la montagna, l’approvvigionamento cerealicolo ed il controllo sulla produzione del pane rappresentava un problema di fondamentale importanza per la sussistenza della maggior parte della popolazione e di conseguenza del sistema manifatturiero urbano. L’andamento delle scorte e dei prezzi dei cereali erano sottoposti ad una costante sorveglianza da parte delle autorità comunali, ben consapevoli che dalla gestione della politica annonaria dipendeva il giudizio che la maggior parte dei bassanesi si sarebbe formata sul loro operato. Il comune di Bassano si era dotato di un fontico dei grani sin dal Quattrocento. Nel corso del sedicesimo e del diciassettesimo secolo, in risposta alle ripetute emergenze provocate da acute carestie e da epidemie di peste, il fontico estese e perfezionò la sua attività di acquisto di cereali, ampliandola nei momenti più critici alla produzione di farina e alla panificazione, in modo da poter far fronte in modo diretto e senza dover ricorrere a mugnai e fornai[121]. Del resto la presenza nel consiglio cittadino di numerose famiglie che avevano cospicui interessi in attività manifatturiere e commerciali costituiva un fattore importante in favore di una politica annonaria più incisiva rispetto a quella messa in atto nelle maggiori città della Terraferma, dove l’amministrazione locale era saldamente in mano ad un’elite di grandi proprietari fondiari. Un eccessivo aumento del prezzo del pane avrebbe indotto le associazioni dei lavoratori a rivendicare l’adeguamento di cottimi e salari, ed i singoli artigiani a chiedere prestiti e anticipi ai mercanti che davano loro commissioni, mentre l’inadeguato approvvigionamento dei mercati urbani avrebbe indotto l’esodo della manodopera verso centri meglio forniti. Di fronte ad una congiuntura particolarmente difficile la reazione dei lavoratori del lanificio era quella di rivolgersi alle arti per ottenere prestiti in denaro, con l’impegno di raccogliere i fondi necessari a far fronte all’impegno preso attraverso una trattenuta sui compensi ricevuti dai mercanti[122]. Si trattava di una soluzione efficace nel breve periodo, ma che una volta passata la crisi provocava un aumento della conflittualità sia all’interno delle arti sulla gestione delle somme riscosse, che tra mercanti ed artigiani sull’aumento dei cottimi. Una politica attiva del comune in campo annonario veniva quindi incontro sia agli interessi degli artigiani che a quelli dei mercanti: l’esempio più evidente di questa convergenza è rappresentato dalla fideiussione che il collegio dei mercanti di panni offrì al Maggior Consiglio a garanzia della restituzione di un prestito di 600 ducati che il comune concesse ai lavoratori della lana nel pieno della pestilenza del 1630-31[123]. Il fontico dei grani avrebbe dovuto limitarsi a vendere cereali, e occasionalmente pane o farine, ai bassanesi, ma numerose indicazioni ricavate da fonti diverse, compresi i registri contabili del Fontico stesso, dimostrano che la sua clientela era più vasta. A seconda dell’andamento dei prezzi gli abitanti di Angarano attraversavano il ponte per recarsi a comperare il pane a Bassano, mentre nel 1590, anno di acuta carestia, si registrano vendite di miglio a forestieri, probabilmente trentini[124]. Nel 1630, poco tempo prima che in città giungesse la peste, nel consiglio cittadino venne approvata una delibera in cui si affermava che un atteggiamento troppo restrittivo sulla vendita di pane ai forestieri poteva scoraggiare l’afflusso dei piccoli commercianti e dei contadini che erano soliti smerciare i loro prodotti sul mercato urbani[125]. Acquistando cereali in altre province della Terraferma ed avvalendosi di una dotazione di capitali che ne fece per secoli il cuore finanziario dell’amministrazione bassanese, il Fontico dei grani era in grado di intervenire in modo assai incisivo. Nel corso della grave carestia del 1590-1591 gli officiali nominati dal Maggior consiglio assicurarono il rifornimento del mercato urbano mettendo in vendita partite di 40 staia di farina di miglio e 20 staia di riso ad intervalli di due o tre giorni durante i mesi di marzo ed aprile, mentre in giugno, a fronte di una situazione sempre più grave, vennero ceduti complessivamente 1.450 staia di cereali, un quantitativo sufficiente a mantenere circa un terzo degli abitanti di Bassano[126]. Il commercio di generi alimentari coinvolgeva una moltitudine di figure assai diverse, dalla folla di contadini che quotidianamente si recava nel centro urbano per vendere sulle piazze uova fresche, latticini, verdura e pollame, ai commercianti che nelle loro botteghe offrivano una varietà assai più ampia di prodotti, oltre a salumi e formaggi il pesce salato, di largo consumo nei frequenti periodi di astinenza dalle carni, ai vini navigati, importati dalle isole greche. Ad un livello superiore personaggi come Leon Crestan o Donato Bonomo dovevano gestire la raccolta e la commercializzazione dei prodotti dell’allevamento, formaggi, salumi ma forse anche lana, di una vasta area di territorio per convogliarli sui mercati delle città, offrendo in cambio ai pastori sale, olio e soprattutto credito e sviluppando una rete di rapporti economici utile per lo sviluppo di altre attività, tra le quali, ancora una volta, la lavorazione della seta[127]. Del resto anche ricchi mercanti non disdegnavano di investire nel settore una parte dei loro capitali, come fece attorno alla metà del Seicento Virgilio Brocchi finanziando con qualche centinaia di ducati il bottegaio Francesco Schirato, il quale a sua volta risultava creditore a numerosi abitanti di Valstagna e di Enego[128]

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