Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Un’indagine dei Cinque Savi alla mercanzia svolta nel 1700, a quattro decenni dalla concessione del permesso di esportare gli orsogli alla bolognese, consente di tracciare per la prima volta un quadro d’insieme, esteso a entrambe le rive del fiume Brenta, della diffusione dei mulini per la torcitura della seta. Si tratta comunque di una lista incompleta, nella quale spicca l’assenza di impianti documentati ben prima degli inizi del Settecento, quali il torcitoio Morosini-Capello a Cartigliano e quello degli Zambelli a Solagna. Ciò significa che il dato di 914 persone impegnate nella torcitura della seta nel bassanese, 719 delle quali lavoravano all’interno del centro urbano, come pure il totale di 1.383 occupati che si raggiunge considerando anche le aree sottoposte alla podesteria di Marostica, vanno considerati come dati parziali. Dall’indagine del 1700 si può ricavare la suddivisione della manodopera per sesso ed età, dalla quale risulta che oltre la metà degli impiegati nella torcitura erano donne, addette alla binatura o doppiatura della seta, cioè al trasferimento del filo dalle matasse ai naspi, e dei restanti buona parte erano bambini e bambine addette agli incannatoi meccanici, le macchine azionate dalla stessa ruota idraulica che muoveva il torcitoio nelle quali il filato da trasformare in orsoglio veniva trasferito dai rocchetti della prima torcitura agli aspi che sarebbero stati utilizzati per la seconda torcitura. A confronto della situazione bolognese studiata da Poni, spicca il maggior impiego di manodopera femminile che derivava dalla minor diffusione dell’incannatura meccanica nel bassanese. Riguardo questo aspetto però va notato come i torcitoi dotati di incannatura meccanica si trovassero in prevalenza fuori dal centro urbano, segno che la scelta di meccanizzare questa operazione non era dovuta al costo o alla mancanza di manodopera, fattori che sicuramente si facevano sentire di più a Bassano, dove si concentrava la maggior parte delle attività manifatturiere, che nelle campagne.TABELLA6Da una serie di dichiarazioni presentate al podestà di Bassano dai gestori dei torcitoi si ricava che nei primi mesi del 1760 erano in attività 11 impianti sulla riva sinistra del Brenta con una produzione complessiva che nel corso dell’anno precedente aveva superato le 80.000 libbre tra orsogli alla bolognese, orsogli alla rasera ed altre tipologie di filato. Due anni dopo il podestà di Bassano trasmise ai Cinque Savi alla mercanzia una lista aggiornata e, si presume, più completa nella quale figurano in tutto 28 torcitoi da seta, 10 dei quali godevano dei privilegi riconosciuti ai mulini alla bolognese.TABELLA7Confrontando questi dati con quelli raccolti nel 1760 sulla produzione dell’annata precedente si può notare come in un triennio la produzione di filati fosse aumentata a 105.600 libbre, delle quali 63.250 erano costituite da orsogli alla bolognese e alla rasera, e le restanti 42.350 da filato di trama o da cucito. Un incremento significativo, la cui importanza non va però troppo enfatizzata, perchè la produzione di seta grezza variava in misura considerevole da un anno all’altro a seconda delle condizioni climatiche, più o meno favorevoli all’allevamento del baco. Mettendo a confronto la produzione dei torcitoi idraulici e quella delle macchine manuali si può osservare come i primi si mantenessero su livelli più elevati, da un minimo di 3.500 libbre per il mulino dei Priuli ad un massimo di 8.000 per quelli dei Capello di Rossano. Ma vi erano impianti manuali in grado di trasformare in orsogli e trame quantità di seta pari o superiori a quelle lavorate negli impianti idraulici, com’è il caso del torcitoio Scudellari di Bassano, se le 10.000 libbre attribuite dalla fonte non sono il frutto di un errore dell’estensore del documento, o delle 5.000 libbre del mulino dei Bombardini. In generale, comunque, i mulini manuali producevano meno di quelli idraulici, una differenza che si spiega probabilmente con le minori dimensioni dei primi, ma anche con le diverse modalità di utilizzo di queste macchine. I proprietari dei torcitoi manuali potevano avviare e sospendere il lavoro a loro piacimento, senza dover far fronte ad elevati costi fissi in caso di inattività, perchè il torcitoio manuale poteva essere smontato e riposto in una cantina o in un granaio, e l’investimento necessario per acquistarne uno, per quanto elevato a confronto con quello necessario per avviare altri tipi di attività, si manteneva su livelli piuttosto modesti in assoluto, variando da alcune decine a poche centinaia di ducati. Diverso il caso dei torcitoi idraulici, che rappresentavano un consistente immobilizzo di capitale, spesso superiore al migliaio di ducati se si tiene conto anche del valore dell’edificio che ospitava la macchina, ed esponevano i loro proprietari a esborsi significativi, in genere parecchie decine di ducati all’anno, per mantenere in buono stato le ruote ad acqua e le relative opere di canalizzazione. Gli elevati investimenti iniziali e i costi fissi imponevano agli imprenditori di mantenere in funzione i torcitoi idraulici con continuità per raggiungere un volume di produzione elevato, mentre i torcitoi manuali si adattavano meglio a far fronte alle variazioni nell’approvvigionamento di seta greggia e nella domanda di filato torto. Le dichiarazioni di alcuni torcitori portano elementi a sostegno di questa tesi, ad esempio Giovanni Ferrari dichiarava che i due molini da lui gestiti, uno in proprietà e l’altro in affitto, avevano una capacità produttiva di 12.000 libbre all’anno, ma che per mancanza di seta, di maestranze o di commissioni la produzione effettiva difficilmente superava le 10.000 libbre. Dai dati riportati in tabella risulta evidente come le macchine manuali si concentrassero soprattutto in città, mentre quelle idrauliche erano distribuite sul territorio, prevalentemente su derivazioni del Brenta anzichè direttamente sul corso del fiume, collocazione che le mettevano al riparo dai danni inferti dalle piene del fiume.

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