Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Gli ultimi anni del Seicento videro la comparsa ad Angarano, a Marostica e a Nove, delle prime filande. Mentre nel resto del territorio vicentino era raro trovare più di due fornelli riuniti sotto uno stesso tetto, nell’area compresa tra Marostica ed i confini con il Bassanese sono documentate delle importanti concentrazioni di queste macchine: così Giacomo Angaran disponeva di dodici fornelli a Marchesane in aggiunta ai tre eretti ad Angarano, Lucrezia Molin Memmo di addirittura trenta ad Angarano, Giorgio Priuli di sei a Marostica, Roberto Roberti di nove. Si trattava, salvo quest’ultimo, di patrizi veneziani che, come rivela l’elenco dei fornelli in attività nell’estate del 1694, erano semplicemente gli intestatari dei permessi di trarre la seta. Infatti i trenta fornelli attribuiti a Lucrezia Molin Memmo si dividevano in otto posti in un edificio di Giovanni Antonio Remondini, il fondatore della celebre tipografia bassanese, due che si trovavano in casa di Stevan Stevan, nove in un immobile affittato alla famiglia Golin ed altri undici in un edificio a disposizione di Gaspare Manari. Da un processo istruito in quegli stessi anni dal podestà di Vicenza si comprende il motivo di questo ruolo, in apparenza preminente, dei patrizi veneziani: i dipendenti del dazio sulla seta temendo l’inimicizia di personaggi appartenenti al ceto dominante e forti di parentele ed amicizie tra i magistrati della Serenissima evitavano di controllare, ed anche solo di entrare, nelle abitazioni dei loro protetti, che quindi potevano sottrarsi ad ogni sorveglianza e all’obbligo di accordarsi sul pagamento del dazio a giornata cui erano sottoposti gli altri setaioli vicentini. Grazie alla protezione fornita dai patrizi, che figuravano come intestatari di quasi tutti i fornelli impiantati in Angarano, gli impianti posti sulla riva destra del Brenta eludevano una normativa daziaria, quella vicentina, che li avrebbe pesantemente penalizzati a confronto di chi lavorava sulla sponda opposta del fiume, a Bassano. Nel 1742 il conduttore del dazio seta stimava, sulla base del numero dei fornelli attivi, in tutto 120, che la produzione locale di seta grezza ammontasse a 12.000 libbre[90]. Nel 1769 un’indagine condotta sempre sulla base delle rilevazioni daziarie riporta il numero dei fornelli attivi tra città e territorio ed il nome di chi li faceva lavorare. Si nota una forte polarizzazione tra i numerosissimi conduttori di uno, due o tre fornelli ed i proprietari di vere e proprie filande, che da soli accentrano il 53% dei 191 fornelli[91]. Spiccano in particolare la filanda di Giovanni Gerolamo Sebellin a Rossano, con 44 fornelli, quella di Giovanni Ferrari, sempre a Rossano, con 41 fornelli, quelle di Bortolo Stangherlin con 10 e di Bernardin Sernaglia con 12 fornelli in villa di Bassano. É evidente dal confronto con le liste dei torcitoi che le due grandi filande rossanesi dovevano almeno in parte servire ad alimentare i grandi torcitoi idraulici alla bolognese che si trovavano in quel comune. 

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