Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Nei secoli dell’età moderna la possibilità di eludere del tutto o in parte il pagamento dei dazi e di altre forme di prelievo fiscale costituiva un fattore di vantaggio per le zone di confine, che in questo periodo si presentavano come delle fasce di territorio assai permeabili, e per quelle aree periferiche nelle quali l’autorità dello Stato giungeva solo in forma assai debole. Era il caso di Bassano e del suo distretto, posto ai margini di una zona montuosa e direttamente confinante con il principato vescovile di Trento, sotto il controllo asburgico. I podestà e capitani di Bassano non disponevano delle forze necessarie per controllare il territorio sottoposto alla loro giurisdizione: non vi era una compagnia di campagna a vigilare sulle aree rurali, come nel Vicentino e nel Trevigiano, e soprattutto la podesteria non poteva contare sull’assegnazione stabile delle milizie albanesi, i cappelletti, considerati dai rettori lo strumento piu’ efficace per combattere criminalità e contrabbando. Ad aggravare questa situazione di debolezza del potere pubblico, ma al tempo stesso a rendere più appetibile la scelta di Bassano come luogo in cui impiantare un’attività economica, era la particolare situazione che si era venuta a creare dopo il 1566, quando la locale camera fiscale era stata trasferita a Treviso[87]. La camera fiscale era l’istituzione che fungeva da tesoreria per le amministrazioni veneziane in Terraferma. Oltre a ricevere il gettito delle imposte dirette dalle comunità, che procedevano per proprio conto alla ripartizione tra i contribuenti e alla esazione, i funzionari della camera fiscale, sotto l’autorità di un patrizio veneziano che portava il titolo di camerlengo, bandivano le aste per l’appalto dei dazi e, nel caso queste fossero andate deserte, procedevano alla riscossione per conto pubblico o, come si diceva all’epoca, «per Serenissima Signoria». I fondi così raccolti venivano utilizzati per far fronte alle spese di funzionamento di quella parte dell’amministrazione che dipendeva direttamente dai rettori veneziani e il sovrappiù veniva inviato a Venezia. Una visita compiuta a Bassano dai Sindaci inquisitori in Terraferma, magistrati veneziani inviati in ispezione nei domini italiani della Repubblica per verificare il buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni, aveva messo in luce le diseconomie che derivavano da un eccessivo numero di camere fiscali, troppo piccole per essere sottoposte ad un’adeguata vigilanza. Il Senato aveva accolto il suggerimento di riunire a Treviso la gestione di alcuni enti di piccole dimensioni per garantire risparmi e miglior controllo sulle spese. Naturalmente i bassanesi fecero immediato ricorso alla Serenissima Signoria perchè fosse tutelata la loro autonomia dalle città vicine, garantita dalla Repubblica all’atto della dedizione, ed ottennero la conferma della piena giurisdizione attribuita al loro podestà. Da questa decisione, in apparenza scontata, derivò una divisione di competenze del tutto irrazionale, almeno dal punto di vista dell’efficienza dell’amministrazione statale. Infatti se la camera fiscale di Treviso aveva il compito di sovrintendere agli appalti e di riscuotere i pagamenti, le rate, dovute dai dazieri, al podestà di Bassano spettava quello di istruire i processi ed applicare le condanne per i reati legati al contrabbando. Il rettore veneziano di Treviso si trovava quindi a dover rispondere di fronte alle autorità della capitale anche dell’andamento delle entrate daziarie nel bassanese, ma senza avere il potere di ordinare arresti o perquisizioni a Bassano e nei comuni del suo territorio, dove i ministri trevigiani non potevano entrare se non su invito del locale podestà o in seguito ad una delega speciale di poteri da parte delle autorità centrali. Il confine tra bassanese e vicentino posto lungo il corso del Brenta divideva la Valsugana in due parti, sottoposte a giurisdizioni diverse e indipendenti, con l’effetto di rendere ancor più ardua la repressione del contrabbando in una zona impervia e di confine. Ne derivavano continui screzi tra le due podesterie per gli sconfinamenti dei rispettivi ministri e reciproche accuse tra vicentini e bassanesi di non fare abbastanza per bloccare i traffici illegali, soprattutto l’esportazione di cereali verso il Trentino in tempo di carestia, che si svolgevano tra le comunità sottoposte alla Repubblica e quelle che si trovavano sull’altro lato del confine, tutte peraltro dotate di amplissimi privilegi in materia fiscale. In questa situazione gli stessi rettori del centro urbano potevano essere spinti ad assumere un atteggiamento quantomeno distratto nei confronti della normativa daziaria. Mettendo a confronto la corrispondenza che i rettori di Vicenza e il podestà di Bassano mantennero con i Cinque Savi alla mercanzia nel corso del Settecento, si nota come i primi, di fronte a richieste di informazioni sullo stato delle manifatture e dei commerci, tendessero a rivolgersi ai governatori dei dazi, quindi a personale dipendente dalla locale camera fiscale, e solo se questi non sapevano rispondere ricorrevano ai sindaci delle comunità o ad altre figure in grado di fornire le notizie cercate. In situazioni analoghe la pratica corrente a Bassano era quella di emanare un proclama che invitava gli interessati a presentare delle dichiarazioni, vale a dire delle autocertificazioni, per poi inoltrarle a Venezia, nella maggior parte dei casi senza effettuare verifiche. Fu così, ad esempio, che parecchi torcitoi manuali ottennero di godere dei privilegi accordati ai molini alla bolognese senza averne alcun diritto. Tutti questi fattori, se da un lato indebolivano la capacità delle autorità statali di applicare la normativa daziaria e le scelte di politica economica della Repubblica, dall’altro costituivano altrettanti fattori attrattivi agli occhi degli imprenditori che, da Venezia o da altre parti della Terraferma e da fuori di essa, giunsero a Bassano per dedicarsi alla lavorazione e al commercio della seta. 

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