Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Giovanni Vaccari è l’unico autore bassanese di un certo rilievo nel panorama letterario dell’ultimo Ottocento e del primo Novecento. Nacque nel 1861 dal farmacista Bortolo e da Maria Dalla Riva e frequentò le scuole elementari e il ginnasio comunale nella nostra città. Nel 1879 sostenne e superò a Vicenza gli esami di maturità liceale; poi si iscrisse alla facoltà di legge all’Università di Padova e quattro anni dopo si laureò. D’indole meditativa, appassionato di letteratura, cominciò a pubblicare versi e prose su varie riviste. Con altri scrittori, come Pasquale De Luca e Luigi Conforti, fondò il movimento degli ‹‹Avveniristi››, che si proponevano di ottenere una radicale trasformazione linguistica, coniando nuove parole e nuove locuzioni. Questa ricerca sperimentale si arenò ben presto, ma fu proficua al giovane bassanese per una più approfondita conoscenza della nostra lingua. Intanto egli diede con successo gli esami di notaio, ma non esercitò mai quella professione e neppure quella di avvocato. Si dedicò invece, nell’ultimo decennio di quel secolo, all’insegnamento negli Istituti privati cittadini come il Collegio maschile Vinanti, avendo ottenuto per speciali meriti letterari il diploma di professore dal Ministero della Pubblica Istruzione. Di quegli anni ricordiamo le pubblicazioni in versi Sonetti ed Odi (1883), Fiori di sangue (1897) poemetti dedicati al terremoto di Calabria e all’ecatombe di Amba Alagi e Adua, e in prosa Jacopo da Ponte (1897) pregevole studio storico-critico sul grande pittore bassanese, Liberi orizzonti (1897) lavoro di genere descrittivo-naturalistico in cui rivive il paesaggio pedemontano tra Bassano e Possagno, Giacomo Leopardi e la donna (1898) studio sugli amori del poeta di Recanati. Dal 1903 al 1909 trascorse un periodo di fecondo lavoro editoriale a Milano, dov’era stato chiamato dalle case editrici Sonzogno e Vallardi. A lui venne affidata per alcuni anni la direzione del grande Dizionario Corografico dei Comuni Italiani e del Lessico Femminile Illustrato. Nel frattempo collaborò con alcuni giornali e riviste tra cui ‹‹Natura e Arte››, il ‹‹Secolo››, lo ‹‹Staffile›› e compose versi in lingua e in vernacolo. Nel 1909 tornò volentieri a Bassano, a cui si sentiva profondamente legato, per ricoprire l’incarico di bibliotecario del Museo Civico, da lui vinto per concorso. L’anno dopo diede alle stampe L’anima di Milano - Canti di Vita - Canti di Gloria - Quadretti rusticani, un volume di versi uscito coi tipi di Remo Sandron di Palermo, impreziosito da illustrazioni del pittore Rodolfo Paoletti, che trovò favorevole accoglienza presso la critica. Svolse con dedizione il nuovo lavoro, che gli imponeva, essendo l’unico impiegato dopo il direttore del Museo, di provvedere a tutto, dalla schedatura dei nuovi libri all’aiuto agli studiosi nelle ricerche e perfino alla distribuzione. Con articoli e poesie collaborò al ‹‹Bollettino del Museo Civico di Bassano›› fondato nel 1904 dall’allora direttore Giuseppe Gerola. Nel 1910 scrisse la breve guida Bassano e dintorni per cura della ‹‹Società del Bene Economico››. Nel dicembre del 1917, dopo l’infausta vicenda di Caporetto, dovette lasciare la città natia, ormai sotto tiro dell’artiglieria austriaca, e andarsene profugo a Milano. La sua collaborazione poetica si concentrò allora quasi esclusivamente sulla rivista ‹‹Varietas››, dove pubblicò i Canti di guerra, dodici odi, una per ciascun mese dell’anno, dedicate alle vicende della guerra che sconvolgeva l’intera Europa, mentre la sua attività editoriale si esplicava nella direzione dell’‹‹Enciclopedia Popolare Sonzogno››, fino a quando, nell’autunno del 1918, si ammalò di cancro. I medici erano stati tutti d’accordo nel ritenerlo inoperabile, ma con una pietosa bugia gli avevano consigliato di tornare a respirare le arie natie per rimettersi in forze, dopo di che sarebbe stato operato. Ai primi di gennaio del 1919 tornò dapprima nella sua casa, dove fu assistito da una vecchia zia e dall’amico fraterno Giovanni Albertoni, poi fu ricoverato all’Ospedale Militare dei Pilastroni, passò quindi all’Ospedale del Patronato dei Giuseppini e alla fine all’Ospedale Civile. Visse negli ultimi mesi in continue sofferenze, che seppe sopportare con rassegnazione, confortato dall’affettuosa compagnia degli amici. Si spense il 29 maggio dello stesso anno. Ai suoi funerali svolti a spese del Comune parteciparono autorità, amici e una grande folla. Nel primo anniversario della scomparsa, sulla facciata della sua casa cinquecentesca in via Umberto I (l’attuale via Matteotti) venne murata la lapide commemorativa, che ancor oggi vediamo. Il 29 maggio 1924, alla presenza di una folla commossa fu inaugurato nel giardino Parolini il monumento a lui dedicato: un busto bronzeo, donato dallo scultore bassanese Luigi Fabris, posto sopra un piedistallo di marmo. A commemorarlo fu l’amico Lelio Spagnolo che nel 1922 aveva raccolto nel volume Canti, edito dalla Libreria Bassanese Editrice, composizioni per lo più già stampate in opuscoli o in fogli volanti e qualche inedito; nella prefazione lo Spagnolo traccia la prima biografia del poeta accompagnata da un breve profilo critico della sua produzione. Nel 1926 Bassano gli tributò un altro omaggio dando il suo nome a ‹‹La Casa della Scuola››. Il ricordo del Vaccari in città si rinnovò, nel 1945, con l’intitolazione al suo nome dell’Istituto tecnico-commerciale di Ragioneria, voluta dai fondatori, i professori Luigi Di Gallo e Giorgio Ferraro il quale con la sua tesi di laurea Giovanni Vaccari e l’opera sua (1936-1937) offre il primo e, fino a oggi, unico studio organico compiuto sul nostro scrittore, pubblicato integralmente nel volume Giorgio Ferraro. Scritti, a cura di Paolo Baggio, stampato per iniziativa dell’Associazione Ex Allievi “G. Vaccari” nel 1989. La sua figura potrà essere messa maggiormente in luce dall’esplorazione del fondo ‹‹Giovanni Vaccari›› pervenuto al Museo di Bassano nel 1943 in donazione da parte degli amici Giovanni Albertoni, Antonio Baggetto, Lelio Spagnolo e il nipote Antonio Vaccari, figlio del fratello Domenico. Come si legge nella registrazione, era formato da 664 autografi (le lettere dei suoi corrispondenti), 459 pubblicazioni, 24 fotografie, tutto materiale subito catalogato, e 78 manoscritti vari che attendono ancora il riordino: tra essi le carte private utili per una precisa ricostruzione delle vicende biografiche e le minute autografe di componimenti in versi e in prosa con varianti e correzioni, indispensabili per esplorare i segreti del laboratorio del poeta. Uscì postuma, nel 1920, la sua maggiore opera in prosa, una volgarizzazione del poema virgiliano, dal titolo Le avventure di Enea che faceva parte della Biblioteca della Gioventù e del Popolo italiano ‹‹I Grandi Autori››, diretta da Ettore Fabietti: è una indovinata rievocazione del mondo classico che pur in una trasposizione romanzata, si discosta poco dall’originale, scritta in una forma limpida e facile senza espressioni ricercate ed enfatiche, di facile comprensione per la massa in conformità coi fini della collana. Questo stile libero da certe ridondanze e da certi vezzi linguistici è proprio dei lavori più tardi come alcuni articoli scritti per vari periodici: ne è un esempio la pubblicazione Vicenza, Bassano e gli Altipiani apparsa nel primo volume della rivista ‹‹Italia nostra›› nel 1918 edita dalla Casa ‹‹Risorgimento›› di Milano. Con la perdita del Vaccari Bassano restò priva del suo poeta, del cantore dei suoi colli e del suo fiume, di colui che aveva celebrato coi suoi versi negli innumerevoli opuscoli occasionali stampati dalle tipografie locali (Fontana & Minchio, Pozzato, Roberti, Silvestrini, Sterni) ogni evento: dall’inaugurazione, il 20 settembre 1883 della lapide-ricordo di Giuseppe Garibaldi a quella dell’epigrafe bronzea di Dante sul Colle di Romano il 21 aprile 1914, alla commemorazione del 75° anniversario della morte di Antonio Canova nel 1897. Scrisse, perché fosse rappresentato al Teatro Sociale, il dramma lirico in tre atti Nunziella (1897) musicato dal maestro Alfonso Miglio e il monologo lirico per baritono Martire Novo (1899). La poesia del Vaccari, eclettica e versatile, sa trattare con arte squisita tutti i generi, dalla lirica all’epica, dall’idillio all’elegia e, pur essendo sciolta da legami con scuole e schemi, rivela un’originale imitazione del Carducci. Il Carducci e il Pascoli furono tra i suoi ammiratori e gli inviarono saggi di opere con affettuose dediche. Godette dell’amichevole stima dei poeti contemporanei Bertacchi, Marradi e Mazzoni e dell’apprezzamento della critica e della migliore stampa italiana: lusinghieri i giudizi di Teodoro Rovito nel suo ‹‹Dizionario››, di Giuseppe Molteni sulla ‹‹Lettura››, di Calogero Saieva nell’‹‹Italia intellettuale e contemporanea›› soprattutto per la sua opera più significativa che gli diede notorietà in campo nazionale L’anima di Milano - Canti di Vita - Canti di Gloria - Quadretti rusticani. Il volume, già ricordato, con quattro raccolte di componimenti poetici ciascuna con il proprio titolo. La prima evoca i monumenti, le feste più memorabili e i costumi più caratteristici e pittoreschi di Milano in cui vibra l’anima dell’osservatore acuto e originale. La seconda accoglie poesie di ispirazione civile e sociale come Vigilia di Natale, le odi Il Brenta, A teatro, Il canto del fiume. La terza contiene canti patriottici, sociali e altri ispirati dall’attualità e da care memorie: qui confluiscono le odi A Garibaldi, A Mazzini, A Felice Cavallotti e le liriche sui grandi poeti e scrittori antichi e contemporanei, da Dante a Goldoni a Carducci. L’ultima di un sapore virgiliano canta gli animali domestici, le vette alpine, le voci dei grilli, le lucertole, la pioggia, il bosco e i frutti.  

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