Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Sarà tuttavia la presenza di Gian Galeazzo Visconti a Bassano tra il 1388 ed il 1404 a segnare in maniera innovativa la ricostruzione di molti degli edifici di fondazione medievale, l’arredo e la decorazione pittorica della città[117]. A lui si deve l’aspetto attuale di Porta Dieda (tav.17), che il restauro del 2005 ha rivelato nella sua spettacolarità e nel complesso palinsesto, documento eccezionale del periodo visconteo della città. La porta è l’emergenza più significativa della seconda cinta muraria della città, avviata nel 1312, definitivamente compiuta nel 1390[118], con la faccia affrescata a sud, da dove provenivano le truppe di Francesco Novello da Carrara, al quale il Visconti aveva strappata la città. L’esecuzione degli stemmi araldici che ne segnano in maniera incontrovertibile l’epoca della decorazione, riquadrata in una cornice cosmatesca a colori differenti, prende l’avvio nel settembre nel 1394 per espressa volontà di Giangaleazzo Visconti. La rappresentazione dell’aquila a sinistra in posizione prevalente rispetto ai gigli, dalle ali a volo abbassato, con le fila di penne distinte e la testa sul collo vigoroso ornato di piume e cinto di un cerchio d’oro, incrostato di gemme policrome, segnala la preminenza dei Visconti, vicari dell’Impero, dal 1394. L’assenza dello stemma del Ducato di Milano, al quale Giangaleazzo accede nel 1395, segnala l’anticipo rispetto a quella data della decorazione bassanese. La presenza del giglio di Francia inquartato al biscione Visconti è strettamente legato al privilegio ottenuto dal Visconti da parte di Carlo VI di inquartare la propria arma con quella di Francia, privilegio ottenuto nell’agosto del 1394 e formalizzato con diploma del gennaio del 1395, privilegio legato alle sue prime nozze con Giovanna, figlia di Giovanni II e del matrimonio della loro figlia Valentina con un fratello di Carlo VI. Tre anni dopo una seconda fascia di stemmi veniva sottoposta alla prima. Vi si riconoscono infatti in sequenza da sinistra un primo, coperto dal successivo stemma del Podestà Zane del 1405 (fig.36),

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36.37.38. Stemmi del Podestà Zane (1405), del capitano Gerardo Aldighieri, del podestà Moschino Rusconi (ante 1395), affreschi. Bassano del Grappa, Porta Dieda.
Gli stemmi costituiscono la porzione centrale della figurazione araldica della torre sud della città, commissionata da Giangaleazzo Visconti prima del 1395.

che è stato ipotizzato poter essere per la posizione di importanza un biscione dei Visconti, duca di Milano, un secondo elmo con un seminato di scudetti con una croce rossa in campo d’argento ed un G ed E in maiuscola gotica, con un leone d’argento che regge lo scudo. Vi è stato riconosciuto da Petoello l’emblema di Gerardo Aldighieri, capitano nella città di Bassano documentato nel 1391-1392 e nel 1399-1402, forse continuativamente nel decennio (fig.37). Il terzo è l’emblema di Moschino Rusconi (fig.38), presente anche sulla facciata della chiesa di San Francesco, con l’emblema del cercine, forse concessogli dal suo signore, e due fasce con l’aquila ed il leone ed una O forse la seconda lettera di Moschino. L’ultima arma è quella della città di Bassano (fig.9, pag. 190), ora sull’intonaco corrispondente al periodo veneziano di cui si accennerà di seguito, ma che con ogni probabilità nasconde un emblema uguale di epoca precedente: risulta impensabile infatti che l’emblema della città non figurasse in facciata anche in periodo visconteo. Al passaggio della città alla Repubblica di Venezia, prontamente gli stemmi viscontei vennero ricoperti dal grande leone di san Marco con il doge Michele Steno, in posizione di offerente, con il vessillo e l’emblema del primo podestà veneziano Andrea Zane; il resto venne con ogni probabilità intonacato a calce a damnatio memoriae di una vicenda di grande spettacolarità e di grande qualità esecutiva, alla cui esecuzione è difficile dare un nome per il suo carattere decorativo. Non credo, tuttavia, di errare di molto nel vedere all’opera, com’era consueto per il signore di Pavia, quelle maestranze lombarde che lo seguivano nelle sue terre di conquista per costruirgli intorno una delle più alte espressioni di arte di corte. Non sappiamo se riferire ancora alla committenza di Giangaleazzo Visconti o a quella del Rizzardo Pusterla di Vicenza quale “sindaco” del convento di san Francesco tra il 1392 ed il 1409[119] una decisa ripresa decorativa dell’intero complesso. Il primo momento di questa decorazione dovette essere costituito dal polittico dell’Aula Capitolare, affiancata alla sagrestia, dov’è ricordata dal Verci nel 1775 un’opera a nove comparti, formata ora solo da quattro tavole con San Giacomo, San Giovanni Battista, San Pietro e San Nicola (fig.39),

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39. Battista da Vicenza (Vicenza, 1375?-1438?), San Giacomo, san Giovanni Battista, san Pietro e San Nicola, tempera su tavola. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Parte di un originario polittico a nove comparti, era collocato nell’Aula Capitolare del Convento di San Francesco, ora spazio museale.

conservato in Museo, assemblate eliminando porzioni forse ammalorate ma forse anche alienate. Riferito dal Tua a Battista da Vicenza, è sottratto al suo catalogo dal Dani, che lo assegna al padre Luca per gli innegabili rapporti con la pittura del figlio ma gli altrettanto evidenti arcaismi stilistici, mentre Magagnato giustifica gli arcaismi presenti collocando l’opera nell’attività giovanile di Battista, influenzato da Lorenzo Veneziano e Jacobello di Bonomo. Più drastica la posizione di Lucco, che ci vede all’opera un artista di formazione veneziana, che mostra “poveri, smunti” riflessi della produzione di Battista, ma non chiarisce gli indubbi riferimenti alla produzione vicentina con tangenze con la prima produzione dell’artista[120]. Di certo il polittico presenta notevoli rigidità e incongruenze costruttive, particolarmente nelle estremità, forti bizantinismi nei vestiti, nei capelli e nelle mani del Battista, bizantinismi confermati dall’uso del verdaccio negli incarnati e dal disegno soggiacente, ma nei volti mostra affinità anche con la prima produzione di Battista, senza rivelarne i debiti veronesi. Si tratta del primo dei brani della vasta produzione in Bassano degli ultimi anni del Trecento, primi del Quattrocento, che la critica ha associato alla produzione di Battista da Vicenza. Per comprendere meglio il suo catalogo, anche negli edifici bassanesi, giova ripercorrere la sua produzione dalla prima opera, attestata in base a documenti, nel 1400, in territorio veronese, a Montecchia di Crosara, dove egli affresca accanto a Martino da Verona un Santo vescovo (fig.40),

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40. Battista da Vicenza (Vicenza, 1375?-1438), Santo vescovo, affresco. Montecchia di Crosara, chiesa di San Salvatore, cappella Maltraversi.
L’affresco costituisce la prima opera attribuita al maestro vicentino, che affresca a Montecchia nel 1400 con Martino da Verona, suo maestro.

che segna uno spartiacque concettuale tra una pittura connotata da secchezza costruttiva e i grafismi pittorici e la successiva sua produzione, segnata dal polittico in Sant’Agostino a Vicenza del 1404 ed a quello di quattro anni dopo di Velo d’Astico. In questi la vena cortese di derivazione veronese, così tangente con la produzione di Martino da Verona, dà luogo ad una produzione quasi manierata nelle fisionomie, nei modi, negli atteggiamenti, nelle scelte coloristiche, tanto da rapprentare il fronte “popolare” del linguaggio cortese tardogotico[121]. In anni recenti alcuni studi hanno approfondito l’iter esecutivo delle sue opere, individuando elementi che rompono la tradizionale attribuzione all’artista di buona parte della produzione vicentina a cavallo tra Trecento e Quattrocento. La Cozzi e Lucco individuano in alcuni cicli già attribuiti a lui, in particolare in quello di san Giorgio a Seghe di Velo d’Astico (fig.41),

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41. Maestro di san Giorgio, San Giorgio e la principessa, affresco (1408). Velo d’Astico (fraz. Seghe), chiesa di san Giorgio.
Già attribuito a Battista da Vicenza, l’affresco viene ora riferito ad un artista maggiormente legato alla lezione di Altichero da Zevio per la definizione lineare e il particolare contrasto luministico.

datato al 1408, una mano diversa per l’alta qualità esecutiva, e particolarmente nei debiti qui più evidenti nella definizione lineare e nella «intrusione luminosa» nei confronti della lezione veronese e padovana di Altichiero da Zevio[122], mano diversa che il Lucco, in particolare, ipotizza nella figura di Luca da Vicenza[123]. Chiara Rigoni, nel più recente catalogo della Pinacoteca di Vicenza, sottolinea ripetutamente il limite innovativo del maestro e gli «impercettibili cambiamenti» che intervengono nelle opere documentate dell’artista e la sua «fedeltà nel tempo a modelli figurativi consolidati» sottolineando nelle tavolette con le Storie di San Silvestro del 1408 ca l’«impercettibile accelerazione in senso gotico», che Elisa Avagnina aveva già ravvisato nel polittico di Velo d’Astico[124]. La nuova recente lettura dell’opera di Battista da Vicenza, che nega un suo ruolo di innovatore e ne limita fortemente la qualità, non consente più l’acritica attribuzione a lui di tutta la produzione bassanese tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento. Una prima fase della revisione critica ed attributiva richiede tuttavia un riordino e una collocazione diacronica, che orienti e definisca i tempi esecutivi, che possa poi consentire, in chiusura una valutazione attributiva. Esaminiamo le diverse opere separatamente. Passamani, la Cozzi, Lucco e più recentemente Rigon mantengono a Battista da Vicenza la primitiva attribuzione di Cavalcaselle e Gerola della grande Annunciazione con offerente (fig.42)

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42. Maestro di San Giorgio (Giovanni Badile?), Annunciazione con offerente (Moschino Rusconi?), affresco. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, facciata.
La peculiare raffigurazione dell’Annunciazione, con il Bambino Gesù portato in grembo alla Vergine da un rivo d’acqua potrebbe figurare l’incarnazione di Cristo e l’Immacolata Concezione.

che occupa il lato sinistro della facciata della chiesa di San Francesco[125]. Una prima contestazione attributiva viene dalla Cozzi e da Lucco[126], che accostano l’affresco bassanese al ciclo freschivo di Velo d’Astico, ove viene riconosciuta, come abbiamo visto, una raffinatezza esecutiva estranea al fare di Battista. A quel ciclo l’affresco bassanese si apparenta per il fondale di rocce, di matrice veronese. Esiste inoltre un innegabile legame stilistico con gli affreschi della cappella Maltraversi in San Salvatore a Montecchia di Crosara del 1400 (fig.43),

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43. Martino da Verona (?), Dio padre in gloria (part.), affresco, 1400. Montecchia di Crosara, chiesa di San Salvatore.
L’affresco presenta notevoli consonanze con i brani presenti sulla facciata della chiesa di san Francesco e nella chiesa di Santa Maria delle Grazie.

soprattutto nei particolari esecutivi dei chiari del volto del Dio Padre e del peculiare ductus del pennello che traccia sottili segni paralleli verticali per eseguire le sopracciglia. Per questi affreschi l'antica attribuzione a Martino da Verona è stata recentemente messa in dubbio per la loro distanza stilistica dalla produzione veronese certa di Martino, sempre più rigido e meno espanso volumetricamente rispetto alle figure di Montecchia[127]. A fronte di una notevole modernità di linguaggio, va sottolineato che la composizione dell’affresco bassanese, con le due figure sulle quinte laterali, lo spazio centrale occupato da rocce stilizzate sul retro, il grande leggio con il Bambino Gesù in aria su un rivo d’acqua e la figura del committente, abrasa, appare schematica e poco matura. Giustifica in parte una certa rigidità compositiva il fatto che la sistemazione spaziale è resa difficile dall’assenza di modelli figurativi anteriori della singolare iconografia, una delle iconografie mariane più intriganti del Medioevo italiano. L’artista infatti inscena una particolare lettura dell’incarnazione di Cristo che Brentari vuole illustrata qui a Bassano «secondo l’eresia dei Valentini […], i quali sostenevano che Gesù non s’è incarnato nel ventre di Maria, ma bensì in cielo, donde già completo era sceso nel ventre della Vergine, e passato per esso come un canale d’acqua»[128]. dato il contesto religioso francescano e la loro espressa missione di evangelizzazione cristiana contro le sette ereticali, l'affresco può essere uno dei modi della raffigurazione dell’incarnazione di Cristo e del tema dell’Immacolata, che stava così a cuore ai seguaci di San Francesco, sin dal Medioevo e che prendeva e prenderà fino al Cinquecento modi iconografici non lontani da iconografie ereticali, ma non per questo tali[129]. Un artista, dunque, che usa una composizione non lontana da modelli veronesi, in maniera schematica ma capace di interessanti interpretazioni iconografiche. Interviene, ad aiutarci nella risistemazione critica, la recente lettura araldica da parte di Giamberto Petoello[130]dei due stemmi presenti nell’affresco, non ben leggibili nelle partizioni colorate, quello sotto il leggio della Vergine, di fronte al committente inginocchiato e quello sul bordo destro in basso, lettura che ci offrirà, soprattutto, alcuni elementi cronologici utili ad un migliore inquadramento del problema. Il primo, uno scudo a tacca, di forma usata da personaggi che, pur non essendo militari di professione, «avevano esperienza per ragioni d’ufficio o per educazione cavalleresca, del combattimento a cavallo o con la spada», perdute le partizioni coloristiche, lascia intravvedere un cercine bianco di stoffa. Il secondo è “interzato in fascia” e vi si legge, nella porzione superiore, un volatile ad ali spiegate, presumibilmente un’aquila monocipite, in quella sottostante un leone in rosso in campo bianco, nella terza un campo d’argento caricato da quattro sbarre di rosso (fig.44).

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44.45. Stemmi di Moschino Rusconi. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco e Porta Dieda.
Il confronto evidenzia il medesimo stemma “interzato in fascia” con un’aquila monocipite, un leone in rosso in campo bianco e, in basso, un campo d’argento caricato da quattro sbarre di rosso, riferito al podestà Moschino Rusconi.

E’ lo stesso stemma che compare sulla facciata di Porta Dieda ed è identificato con quello di Moschino Rusconi, podestà di Bassano per conto di Giangaleazzo Visconti (fig.45), dal quale ottenne l’impresa del cercine, impresa adottata da Giangaleazzo Visconti quando divenne signore di Milano nel 1395. Petoello, in assenza di documenti, ipotizza che Moschino della stirpe dei Rusca o Rusconi, originaria di Como, collocato da Giangaleazzo nella carica, rivestisse l’incarico di podestà in un periodo compreso tra il settembre 1395 e l’ottobre – novembre 1399 quando è nominato podestà di Belluno. Tale precisazione documentaria costituisce un elemento importante collocando in maniera certa il brano della facciata ancora alla metà del decimo decennio del XIV secolo, cioè in anni anteriori al primo documento che interessa Battista da Vicenza. Tanto più interessante è la definizione cronologica dell’affresco esterno della chiesa di San Francesco se messo in relazione con la decorazione absidale dell’edicola della chiesa di Santa Maria delle Grazie, che risulta adibita alle funzioni religiose a partire dal 1393, tre anni dopo lo scontro d’armi tra Carraresi e truppe viscontee in prossimità della porta omonima[131]. L’ingrandimento dell’edicola tardo duecentesca doveva essersi realizzato in un piccolo capitello chiuso, la cui struttura cuspidata appare nella mappa bassanese del 1654 (fig.46),

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46. Pianta ideale e schematica di Bassano (part.), penna e inchiostro su carta, 1690-1691. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Storico del Comune, ingr. 107.774.
La mappa, eseguita per Pietro Venier nel 1690-91, è considerata copia di un esemplare quattrocentesco. Accanto alla porta delle Grazie vi è un capitello gotico.

copia di una precedente mappa quattrocentesca. Vi era stato dipinto, sopra l’immagine della Madonna duecentesca, un Dio padre in mandorla tra gli Evangelisti (fig.47),

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47.48. Giovanni Badile (Verona, documentato tra il 1379 ed il 1448/1451) (attr.); Martino da Verona (?), Dio padre in mandorla. Bassano del Grappa, chiesa di Santa Maria delle Grazie; Montecchia di Crosara, chiesa di San Salvatore.
Il confronto tra le due figurazioni evidenzia la matrice comune veronese e la lieve distanza stilistica che separa i due brani.

occultato alla fine del Quattrocento dall’edicola lombardesca, di cui si parlerà più oltre, da lì parzialmente strappato nel 1952, per essere collocato su una parete adiacente. Il brano ricalca ancora come impostazione e come iconografia il riquadro absidale della cappella Maltraversi di Montecchia, nel Dio padre entro mandorla raggiata con gli Evangelisti (fig.48), dipinto sopra un’immagine mariana in un prato di verzura. La mano è anche inconfondibilmente la stessa, che accentua i contorni con una linea bruna fortemente segnata, elegante nell’andamento, che segna i particolari dei capelli e delle sopracciglia con un accento fortemente grafico, che riempie gli spazi del colore con velature dai toni tenui e trasparenti, elementi stilistici estranei al linguaggio rigido e “popolareggiante” di Battista da Vicenza. In un momento ancora entro il XIV secolo, ma senza riferimenti documentari, sono stati riferiti ancora a Battista da Vicenza da Passamani nel 1978[132] per la continuità stilistica con gli affreschi del sacello di Sant’Antonio e con gli affreschi della chiesa di San Giorgio a Velo d’Astico, gli affreschi eseguiti nella chiesa di San Bartolomeo di Pove, che in questa fase si sovrappone parzialmente al complesso palinsesto iniziato con gli affreschi duecenteschi sui quali ci siamo già soffermati. Quattro piccoli brani, le teste di San Bartolomeo, della Vergine, di Cristo crocefisso e di t vennero staccate abusivamente, con un’operazione selettiva tipica dell’epoca, da una Crocifissione sulla parete absidale della chiesa nel 1909, sequestrate e depositate in Museo. Ad esse è stata recentemente ricollegata la cornice originale ed il braccio del Cristo, strappati nel 1966, ricomponendo la spazialità dell’immagine originale (fig.49).

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49. Giovanni Badile (Verona, documentato tra il 1379 ed il 1448/1451) (attr.), Crocifissione (part.). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
L’affresco, strappato ai primi del Novecento dalla chiesa di San Bartolomeo di Pove, è stato recentemente ricomposto con alcune sezioni di contorno.

Ma è nell’Aula Capitolare anche sacello di Sant’Antonio Abate, ove avevano luogo, appunto, i Capitoli della comunità francescana, com’è attestato già nel 1396[133], che viene realizzato in quegli anni il ciclo più importante e qualitativamente più alto del nostro artista. Una cornice imitante un traforo e sormontata da rami di quercia intrecciati e divisi da cartelle mistilinee ospita, sulla parete di fronte all’entrata una teoria di figure entro arcate gotiche. La Madonna in trono, Sant’Antonio Abate e i due cavalieri offerenti (tav.21) costituisce l’episodio centrale della serie, a cui si accompagnano due santi cavalieri, San Sigismondo e san Dionigi e i due apostoli, San Giacomo maggiore e minore (fig.50),

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50. Artista guarientesco padovano, San Giacomo maggiore, affresco. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Porzione del grande affresco che decorava l’aula capitolare del Convento di san Francesco, ora negli spazi museali, rivela una mano diversa rispetto agli altri riquadri.

venerati dalla congregazione di Sant’Agostino, alla quale facevano capo gli antoniani a partire dal 1297. San Francesco, compare, insieme a Gesù Cristo, San Giorgio, un Apostolo, nelle cartelle mistilinee superiori. Entro una medesima cornice, sulla parete di entrata trovano posto quattro scene della vita di Sant’Antonio Abate, da riferire all’ambito di bottega (fig.51).[134]

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51. Artista a, Storie di sant’Antonio Abate (part.), affresco. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Le Storie di sant’Antonio Abate della sommità della parete di fronte si differenziano dalla maggior parte degli affreschi dell’Aula Capitolare e rivelano i modi di un artista di formazione guarientesca.

Gli affreschi della parete di fondo rivelano gli evidenti debiti nei confronti della pittura veronese, in particolare dalle figure stanti entro le finte nicchie. L’impostazione, la scelta della linea di contorno sottile ed elegante, i toni pastello, la soluzione di sottolineare le creste delle vesti con toni chiari tonalmente accompagnati alle campiture delle ombre rivelano la matrice altichieresca del linguaggio dell’autore e la sua tangenza con i modi di Martino da Verona. Tali modi risultano tuttavia illeggiadriti in toni più tenui e pastello e in soluzioni lineari che superano la secchezza delle figure con una linea di contorno armonicamente delineata, la morbidità tonale degli incarnati e delle campiture delle vesti con esiti di raffinata eleganza. Particolarmente curata appare anche la scelta dei santi raffigurati, con una predilezione verso l’elemento cavalleresco, probabilmente richiesto dai committenti, aggiornati alle novità del gotico internazionale[135]. Stilisticamente diversa appare, come già segnalato dal Gerola, la figura di San Giacomo, eseguita da un altro artista, lo stesso a cui devono essere assegnate le scene della vita del santo, caratterizzate da una verve narrativa simpaticamente popolaresca, ma anche da un segno greve e da un’impaginazione spaziale che risente di esempi padovani della seconda metà del Trecento, non esenti da influenze emiliane. Non meraviglia, in questo caso, l’antico riferimento di Fogolari a Guariento[136] ora più spiegabile per gli evidenti richiami alle storie di San Francesco della seconda cappella destra nella chiesa degli Eremitani, tarda opera dell’artista[137], alla quale fa riferimento il nostro artista, collaboratore del capobottega. Al momento dello stacco dei brani sulle pareti, all’inizio degli anni ’70 del Novecento, sono stati recuperati al di sotto dello strato pittorico strati di intonachino con disegni a pennello nero e rosso raffiguranti torri e armi decorate[138](fig.52),

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52. Cimiero, affresco. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Strato sottostante agli affreschi dell’Aula Capitolare, con schizzi per stemmi araldici.

che devono considerarsi documenti dell’uso dell’intonachino come “foglio per schizzi”, sul quale l’artista o gli artisti al lavoro nella sala capitolare hanno lasciato testimonianza della torre grande della piazza di San Francesco (tav.14), costruita intorno al 1312 insieme al secondo giro delle mura e documentata a partire dal 1349 con funzione civile[139] e degli stemmi dipinti con cimieri che ne decoravano con ogni probabilità le pareti esterne, prima della consueta demolizione degli intonaci nei restauri puristi di Otto e Novecento. L’uso dell’intonaco umido quale foglio per disegni costituisce una prassi in uso nella bottega di Altichiero, la si trova sugli intonachini del capobottega per essere poi utilizzata, per quanto ci è noto, da Martino da Verona ed altri artisti dell’entourage dello stesso Altichiero[140]. Quanto poi al riferimento attributivo del ciclo freschivo, esso è stato collocato in un momento avanzato del catalogo di Battista da Vicenza, per l’accresciuto decorativismo, irrobustimento e movimento delle figure, nonché per una matura ricerca di profondità. Questo momento è stato ipotizzato in un momento più avanzato rispetto alle sue prove datate ed in particolare alla Madonna con il Bambino del Museo di Vicenza, datata 1412[141](fig.53).

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53. Battista da Vicenza (Vicenza, 1375?-1438), Madonna con Bambino (primo decennio del XIV secolo), tavola. Vicenza, Pinacoteca Civica.
La tavola è tradizionalmente riferita a Battista da Vicenza in una data vicina al 1408 e costituisce riferimento stilistico e cronologico per gli affreschi della chiesa di San Francesco.

Il confronto tra il nostro ciclo e la tavola vicentina, che appartiene stilisticamente ad una stagione artistica ancora trecentesca e fondamentalmente veneziana, prova l’assoluta estraneità dell’artista bassanese a quegli stilemi arretrati e la sua apertura fortemente caratterizzata nei confronti del nuovo linguaggio del gotico internazionale. Ma è invece con altri affreschi della chiesa di san Francesco, il primo collocato nella cappella dello Spirito Santo, nel transetto sinistro, una Madonna in trono, Sant’Antonio Abate e Santa Caterina (fig.54),

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54. Battista da Vicenza, Madonna in trono, Sant’Antonio Abate e Santa Caterina, affresco. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, transetto sinistro.
Il brano e quello strappato con Le nozze mistiche di Santa Caterina ora in Museo costituiscono i brani riferibili a Battista, stilisticamente riferibili alla produzione documentata e datata.

contemporaneo al più recente strato sopra la porta della sagrestia, già descritto e con le Nozze mistiche di Santa Caterina[142], anch’esso strappato da una parete della sagrestia nel 1881, ora nelle raccolte museali, che si ritrova la mano di quel Battista da Vicenza attestato nelle tavole documentate e datate. In questi brani, infatti, l’indulgere nei caratteri della moda dell’acconciatura della Santa Caterina, un coazzone arrotolato sulla sommità del capo, una pittura più sommaria e più fusa si apparenta strettamente con le tavole eseguite da Battista da Vicenza per il Duomo di Vicenza, ora in Museo Civico a Vicenza[143], distinguendosi dai modi ben più moderni e raffinati dell’altro artista. L’artista che lavora sulla facciata di San Francesco, nell’aula capitolare e nella cappella di Santa Maria delle Grazie, infatti – che non è Battista da Vicenza- esegue anche una Sant’Agata[144], recuperata nel 2005 dopo lo stacco dallo stipite della porta della medesima chiesa (tav.22). Rispetto agli affreschi interni di San Francesco e il ciclo del sacello di sant’Antonio, la Sant’Agata si segnala per un più accentuato hanchement della figura, che consente di scalare già entro il primo decennio del Quattrocento la sua esecuzione, anche se i caratteri mondani del linguaggio dell’artista, la raffinata linearità del profilo del volto e le velature trasparenti dell’incarnato difficilmente possono collegarsi all’imbambolata interpretazione della lezione gotica di Martino da Verona offerta da Battista da Vicenza e si legano, invece, alla personalità del “Maestro di Velo d’Astico”. Ma chi è il “Maestro di Velo d’Astico” che lega il suo nome agli affreschi eseguiti in quella chiesa nel 1408[145] e che tra la fine del Trecento ed il primi anni del Quattrocento esegue le più raffinate decorazioni bassanesi? La sua modernità rivela i modi di un artista di nuova generazione che affonda le sue radici nella lezione di Altichiero, ma di cui non riconosciamo i caratteri perché forse evolve in modi differenti per successive esperienze. La sua presenza andrà ricercata tra i numerosi veronesi della stagione di fine Trecento, indagando tra particolari esecutivi e elementi “morelliani” di quella vasta schiera di artisti che riempiono le chiese di Verona, Vicenza e Padova fino al primo decennio del XV secolo e sui quali hanno richiamato attenzione, e prudenza attributiva, la Sandberg Vavalà e la Moensch [146]. L’edicola trilobata, su colonne con capitello corinzio, dell’Aula Capitolare presenta consonanze disegnative ed esecutive con l’architettura dipinta dell’affresco con San Pietro Martire della parete sinistra della chiesa di San Giorgetto a Verona (fig.55),

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55. Giovanni Badile (Verona, documentato tra il 1379 ed il 1448/1451), San Pietro Martire (part.), affresco. Verona, chiesa di San Giorgetto.
Il brano costituisce una delle prime opere del catalogo dell’artista veronese, stilisticamente vicino agli affreschi bassanesi.

assegnata dalla Cuppini al corpus del Maestro di Bussolengo e più recentemente al pennello, con “scrittura minuta” di Giovanni Badile[147]. Giovanni Badile, figlio e nipote di pittori, nasce a Verona nel 1379 e risulta già morto nel 1451. I documenti ricordano una sua costante presenza a Verona tranne almeno tre soggiorni a Vicenza nel 1418, 1419 e 1433. Il suo catalogo, oggetto di recente revisione e accrescimento[148], prende le mosse in anni avanzati del suo percorso artistico, dal Polittico dell’Aquila del 1420 ca, in modi che rivelano la lezione di Michelino da Besozzo, conosciuto nel cantiere della cappella Thiene in Santa Corona a Vicenza tra il 1404 e il 1418 e trova la sua più alta espressione nella cappella Guantieri in Santa Maria della Scala a Verona, alla fine della sua carriera, tra il 1443-1444, connotato stilisticamente in modi moderni tra Michelino di Besozzo e Pisanello. Nella bottega paterna o dello zio Bartolomeo dovrebbe aver iniziato a lavorare intorno ai 16 anni e quindi intorno al 1395, in modi che evolvono il naturalismo modulato nei toni e dalle cadenze sofisticate documentate nel gruppo mariano di San Giorgetto, firmato dallo zio[149](fig.56),

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56. Bartolomeo Badile (Verona, documentato dal 1362 al 1389), Madonna con il Bambino, san Giorgio, Santa Caterina e devoto (part.), affresco. Verona, chiesa di San Giorgetto.
La pittura di Bartolomeo costituisce il riferimento per il giovane Giovanni Badile ed alcuni particolari delle figure (mani, padiglioni auricolari) ritornano negli affreschi bassanesi.

nel quale il volto della Madonna, sottolineato da sottilissimi tratti tra campiture diafane evidenzia il grande padiglione auricolare, carattere che è sempre in evidenza nelle figure del più giovane nipote e in particolare in quelle della sala Capitolare bassanese, tanto da connotarsi come un carattere “morelliano”, cioè un segno firma nei modi del fare del nostro artista. Altro aspetto che caratterizza la produzione veronese della bottega paterna e che ritornerà in tutta la produzione di Giovanni Badile, tanto da costituirne una costante, è la manierata posizione delle braccia e delle mani; anche negli affreschi bassanesi, se si ricerca un limite qualitativo nella costruzione delle figure, questo è nella costante impressione che l’artista avesse reali difficoltà a capire “dove mettere le mani” delle nostre figure… Ma è nelle scelte della linea e del colore che il giovanissimo Giovanni Badile si rivela erede della tradizione trecentesca veronese ed apre le sue esperienze alla lezione tardogotica di Pisanello e Gentile da Fabriano, prima di essere segnato dalle prove di Michelino da Besozzo a Vicenza. Ma questo è un capitolo diverso. Bassano è a monte di queste esperienze e rappresenta, secondo la proposta qui avanzata, un capitolo totalmente inedito della sua attività giovanile. 

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