Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il regime fascista crollò il 25 luglio tra manifestazioni di gioia: non tanto e non solo per la fine di un regime, quanto, e molto di più, per la speranza della fine di una guerra non sentita che si era fatta sempre più dura. Anche in città, come nel resto dell’Italia, ci fu qualche comizio improvvisato, i fascisti noti sparirono, ma senza particolare clamore, trattandosi di personaggi che si erano limitati a occupare ogni carica pubblica e a organizzare le continue manifestazioni, di comandato consenso, previste dal regime[1]. I quarantacinque giorni fra la caduta del regime e l’annuncio dell’armistizio, un tempo sospeso in cui la guerra continuava, ma c’era nell’aria qualcosa di nuovo che ancora non si sapeva definire, permisero agli antifascisti di ritrovarsi, con cautela, e all’amministrazione civile di segnare il nuovo periodo con il cambio di denominazione di alcune vie della città: quelle intitolate a Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono e alla data fatidica del 28 ottobre assumevano più tranquille denominazioni topografiche. L’ultimo podestà del regime, Giacomo Bertizzolo, squadrista della prima ora e fedele a Mussolini, si dimise alla fine di luglio. Il prefetto di Vicenza, cui spettava la nomina, non inviò nessun altro podestà in città, che sarebbe stata retta fino alla fine dell’aprile 1945 da commissari prefettizi: prima dal vice prefetto Gino Romano, poi dal cav. uff. Andrea Morelli, infine dal dott. Rolando Stecchini[2]. L’amministrazione civile dunque era affidata a un commissario, nessun podestà venne nominato per tutto il periodo: segno sia della difficoltà di trovare persone adeguate al ruolo per una città delle dimensioni di Bassano, sia della scarsa importanza che quel ruolo – già di poco rilievo durante il regime - avrebbe avuto nel periodo dell’occupazione tedesca. Il periodo sospeso dopo il 25 luglio si interrompeva bruscamente la sera dell’8 settembre, con l’annuncio radiofonico dell’armistizio con gli angloamericani e l’assoluta mancanza di ordini per le forze armate italiane, impegnate sui diversi fronti fino a quel momento a fianco dei tedeschi. L’annuncio di Badoglio, come si sa, provocava ovunque sbandamenti e generava incertezza: l’unica cosa sicura era che ‘la guerra continua’. Chi si era illuso che stesse per finire doveva fare i conti con una realtà ancora più brutale. I tedeschi non avevano aspettato l’armistizio per occupare l’Italia: dalla fine di luglio avevano spostato ingenti forze nella Penisola, allo scopo dichiarato di aiutare l’alleato fascista di fronte all’avanzata nemica in Sicilia, ma soprattutto con il fine di occupare le zone di importanza strategica, di tenere sotto controllo le vie di comunicazione essenziali. Qualche giorno più tardi, Mussolini fondava un nuovo stato, dai confini mobili: uno stato, la Repubblica sociale italiana, soggetto al Terzo Reich e dal Reich dipendente per la sua sicurezza[3], ma che legiferava e combatteva con estrema violenza i suoi nemici interni, gli italiani antifascisti. A Bassano il fascio repubblicano venne ricostituito ufficialmente a metà ottobre del 1943, con circa un centinaio di iscritti: c’erano ancora vecchi squadristi come Giovanbattista Comis, Gianfranco Baccin, Giuseppe Stevan, Lelio Spagnolo, il segretario era il primario dell’Ospedale civile, il dott. Nino Velo[4]. Di nuovo si cambiarono nomi di strade e scuole, cancellando i riferimenti alla casa regnante d’Italia, ritenuta colpevole di aver fatto cadere Mussolini: così viale Regina Margherita e via Umberto I diventavano viale della Repubblica e via Ettore Muti. Venne revocata la cittadinanza onoraria conferita nel 1938 a Emilio De Bono, uno dei firmatari dell’ordine del giorno che aveva sfiduciato il duce. Il fascio repubblicano invitò tutti i bassanesi a continuare l’alleanza e la collaborazione con i tedeschi, amici che non si dovevano abbandonare, pena la perdita dell’onore. L’appello non fu molto ascoltato, alcuni dei vecchi squadristi si tennero in disparte, non ci fu nessuna adesione di massa, ma un preoccupato distacco, un silenzioso e inerte aspettare; come in altre città venete, il fascio locale sarebbe stato diretto soprattutto da fascisti provenienti da fuori: i fratelli Mario e Amerigo Lulli con la loro “squadra azzurra”, collaboratori della Flak tedesca, il vicentino Innocenzo Passuello della Brigata nera che avrebbe preso il nome di Antonio Faggion - un colonnello collaboratore dei tedeschi - o il capitano Piras, comandante del presidio bassanese della 42ª legione della Guardia nazionale repubblicana, uno dei più feroci collaboratori di Perillo dall’estate del ’44. Commissario prefettizio e cittadini si trovarono ad affrontare nuovi disagi, come l’aumento esponenziale dei costi degli uffici comunali, sommersi dal gran numero degli sfollati dalle città vicine e di quanti arrivavano dal centro Italia con i funzionari ministeriali che avevano deciso di seguire Mussolini, e avevano bisogno di abitazioni e tessere annonarie. In poco tempo, alberghi e case vennero requisiti e occupati, i viveri previsti per la città non bastavano più, né bastava la legna da ardere: controllare i rifornimenti e il mercato nero diventava prioritario, e nello stesso tempo l’amministrazione civile si trovava di fronte a un brusco e pericoloso aumento dei poveri, tanto da essere nella necessità di mettere un limite ai ricoveri gratuiti nei locali delle Opere Pie Riunite[5]. I tedeschi entrarono in città il 14 settembre, una settimana dopo l’annuncio dell’armistizio. Avevano occupato prima i capoluoghi, e già stabilito i Comandi di piazza che avrebbero controllato militarmente e amministrativamente il territorio italiano rimasto, sulla carta, sotto il controllo della neonata Repubblica Sociale. Bassano dipendeva dalla Militärkommandantur 1009, di stanza a Verona con competenza anche sulla provincia di Vicenza, e vi trovarono sede in edifici requisiti sia la Orstkommandantur, dipendente dalle SS, comandata prima dal maresciallo maggiore Rüstdortfer poi dal s.tenente Matajka, sia la Sicherheitsdien (SD) Polizei, diretta dal colonnello delle SS Heichmann. A Ca’ Cornaro si trovava il reparto di controspionaggio Adler del capitano Papisch, alla caserma “Reatto” venne sistemato un centro addestramento della contraerea tedesca, la Flak[6]. Anche la Repubblica Sociale si costruiva progressivamente, con il non facile spostamento di personale, carte e uffici da Roma nel Nord Italia. Verso la fine del 1943 a Bassano venivano stabiliti alcuni uffici ministeriali. Il più importante era il sottosegretariato all’Aeronautica del Ministero della difesa nazionale, che aveva alcuni uffici anche ad Asolo. A Crespano, Paderno, Onè di Fonte trovavano sede per qualche mese altri sottosegretariati dell’esercito, spostati in Lombardia nell’estate del 1944, perché troppo esposti agli attacchi – ripetuti, talvolta vincenti – delle bande partigiane. Anche il sottosegretariato all’Aeronautica venne trasferito a Bellagio nell’ottobre del 1944[7]. Certo lo spostamento non provocò rimpianti in città: il comportamento dei dipendenti dal sottosegretariato, apparentemente privi di ogni sentimento patriottico, soggetti agli obblighi di leva ma distaccati in uffici lontani dai fronti, sicuri dell’impunità perché protetti, che requisivano generi alimentari anche nei paesi vicini per consumarli negli alberghi di Bassano dove erano stati sistemati con famiglie e amiche, aveva provocato lamentele e proteste – quel che era possibile, naturalmente – nella popolazione. Le denunce sulle continue scorrettezze degli addetti ministeriali e di molti ufficiali repubblicani, gli attriti con gli alleati tedeschi venivano denunciati dal capo dell’Ufficio politico investigativo della 42a Legione della Guardia Nazionale Repubblicana, spedito a Bassano nel febbraio del ’44 per compiervi accertamenti[8]. Il progressivo ampliamento del controllo militare del territorio italiano da parte delle forze armate tedesche avrebbe portato al trasferimento della maggior parte degli uffici dei ministeri italiani in Lombardia, un po’ più lontani dai rapporti continui con i tedeschi che l’importanza di alcune zone strategiche del Veneto, in primis di Bassano, comportava. Non c’erano solo i ministeriali e i loro comportamenti “non patriottici”: c’erano anche le forze armate della Rsi. Verso la fine del 1943 alla caserma “Reatto” trovò stanza il battaglione alpino intitolato alla città, affidato al capitano Giovanni Zilio. Il battaglione “Bassano” faceva parte della divisione “Monte Rosa”, una delle quattro divisioni costituite in Germania dai tedeschi con ufficiali e soldati italiani fatti prigionieri dopo l’8 settembre che avevano deciso di giurare fedeltà a Mussolini e a Hitler, ottenendo così di tornare in Italia, col compito di combattere non gli angloamericani, ma le formazioni partigiane. C’era il Centro addestramento reparti speciali – i militari che venivano preparati ad affrontare la guerriglia partigiana – e un presidio della Guardia nazionale repubblicana. Dall’estate del 1944, con l’espandersi della resistenza, l’aggravarsi della situazione economica, i ripetuti e sempre più disertati richiami dei giovani alle armi nella Rsi, venne distaccato in città un presidio della 22a Brigata nera “Faggion”, comandata a Vicenza da Innocenzo Passuello, che sarebbe diventata ancor più tristemente nota durante e dopo il rastrellamento[9]. Nella stessa estate l’Ufficio politico investigativo della Gnr, quello che aveva compiuto l’accertamento ispettivo sui dipendenti del Ministero della difesa, venne affidato al tenente Alfredo Perillo (fig.2),

2tenenteAlfredoPerillo

2. Il tenente Alfredo Perillo, in divisa italiana, assieme ad un ufficiale SS. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Il ten. Perillo è stato un protagonista in negativo delle terribili vicende del 1944-45.

e da allora riferì direttamente al comando di polizia delle SS. In ottobre del 1944 arrivò nel territorio di Bassano, a La Longa, anche un reparto della ‘banda Carità’, chiamata nel Veneto dal capo della provincia di Padova, Federigo Menna, con compiti precisi di repressione antipartigiana; la banda di fascisti toscani guidata da Mario Carità rispondeva direttamente al comandante della SD di Padova, Friedrich Bosshammer[10]. Alle formazioni organizzate vanno poi aggiunte quelle, come l’Ovra, che agivano in maniera più subdola, con spie e collaborazionisti in ogni settore della vita civile, e anche con l’aiuto di diverse donne, apparentemente meno pericolose e perciò più facilmente infiltrabili nei gruppi politici di varia specie e nelle formazioni armate[11]. Insomma, un certo spiegamento di forze, che andò aumentando nell’estate del 1944, essenzialmente a causa dell'importanza della zona per le comunicazioni tedesche attraverso la Valsugana. Il controllo della valle che si congiunge a Trento con la valle dell’Adige ed era la principale e più comoda via di comunicazione con il Terzo Reich era fondamentale per l’esercito tedesco, e non solo: per la Valsugana passavano anche i trasporti dei più diversi materiali – dai prodotti agricoli alle materie di prima lavorazione ai macchinari industriali requisiti all’alleato italiano – e degli operai e operaie italiani che in momenti diversi, e spesso a seguito di rastrellamenti davanti alle fabbriche, venivano trasportati a lavorare in Germania. Ne derivava che i versanti montuosi che salgono dalla valle verso l’altopiano di Asiago, da una parte, e il massiccio del Grappa, dall’altra, dovevano essere sicuri, cioè liberi da forze nemiche. Lo stesso problema, rovesciato, valeva per le forze partigiane: era fondamentale rendere il nemico sempre insicuro, costretto a guardarsi alle spalle, costretto a usare le sue forze per combattere una battaglia incerta contro formazioni invisibili, ma pronte a colpire, a sabotare strade e vie ferrate, a far crollare gallerie, rendendo i trasporti sempre più difficili, l’approvvigionamento sempre più problematico. Questa funzione della guerriglia, meno eclatante certo di uno scontro frontale, ma tanto più utile ai fini della sconfitta del nemico, toccò in sorte ai partigiani del Grappa, e in genere ai resistenti del Veneto, regione di frontiera quant’altre mai. 

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