Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il senso di una scelta[1]

Comunque siano andate le cose, qualcuno decise di fregiare due pareti della loggia con un tema per certi versi originale, per altri antico, gotico, quasi barbarico, perché la consuetudine di usare scudi e vessilli in ambienti di rappresentanza proveniva dalla cultura medievale. Le prime raccolte di stemmi a noi note risalgono infatti al XII-XIII secolo ed erano legate all'araldica usata nei tornei, nelle parate militari e nelle battaglie campali. Vengono anche in mente i muri di scudi dei guerrieri normanni, le navi con le fiancate difese dai clipei, le sale d'armi dalle pareti decorate con gli stemmi dei vassalli.
Ma a Bassano il suo impiego fu originale, in quanto non c'era l'intenzione di esaltare le imprese di nobili guerrieri, ma di ribadire che la città era legata a Venezia da una lunga serie di governatori che vi avevano prestato servizio. Gli scudi infatti non sono personalizzati, ma rappresentano i casati di provenienza dei vari podestà e si ripetono allorché rettori appartenenti alla stessa famiglia si sono succeduti in tempi diversi. Se i Bassanesi dovevano trovare un senso in questa rappresentazione, esso era di carattere civile: la memoria di una fedeltà durata nel tempo. Serviva insomma a far presente che da centinaia d'anni il Comune, coi suoi organi di autogoverno e i suoi Statuti, viveva sotto la protezione di uno Stato forte e organizzato, garante della sua, limitata, ma pur sempre preziosa autonomia locale. L'affresco però, proprio perché era dedicato alla memoria degli antichi podestà, era implicitamente anche un monumento all'ente comunale e agli uomini che l'avevano gestito, nonchè alla loro nobiltà, espressa attraverso i simboli dell'araldica.
Osservando l'affresco della loggia nel suo insieme si ha però la sensazione che esso avesse più un valore decorativo che commemorativo, che fosse insomma una scenografia severa e dal forte impatto cromatico per i rituali della giustizia e del potere che si svolgevano nella loggia, luogo simbolico nella topografia del potere cittadino, spazio nel contempo riservato e pubblico, chiuso e trasparente.
La composizione fu ideata come una serie di scudi ordinati in modo rigoroso e disposti su venti colonne, di quattro file ciascuna lungo la parete più lunga, quella rivolta a Est, e su dieci colonne di quattro file su quella rivolta a Nord. Essi dovrebbero quindi essere 120, ma non è così. A dimostrazione che l'opera aveva una funzione decorativa sta anche il fatto che dopo la sua stesura furono inserite le due lapidi commemorative di podestà Cappello e del Soranzo e, in una data imprecisata, una "bocca di leone"[10] e un paio di porte. Questi elementi architettonici riducono di diciotto elementi le arme effettivamente visibili.
Ci sono poi altri dettagli che ci portano a pensare che l'affresco sia stato eseguito come un'opera decorativa e non per essere un monumento commemorativo. In almeno un punto due stemmi risultano invertiti nell'ordine di successione – sono quelli di Benedetto Erizzo (1445-46) e Andrea Calbo (1444-45) -,[11] ma non per questo il pittore rifece il lavoro. Molte figure araldiche furono inoltre disegnate frettolosamente, in maniera grossolana, senza sfumature e ombreggiature ed è difficile sostenere che ciò sia sempre dovuto a restauri mal eseguiti. Inoltre le partizioni del campo degli scudi, che dovrebbero seguire regole rigorose, non sempre sono correttamente dimensionate e nella parte conclusiva del dipinto si incontrano errori di attribuzione e ordinamento che denotano una crescente sciatteria.
La pratica di adornare con simboli araldici alcuni edifici pubblici non era affatto una novità del Cinquecento; il palazzo del Bo a Padova, ad esempio, era stato abbellito tra XVI e XVII secolo saldando alle pareti del loggiato e dell'Aula Magna circa tremila scudi di pietra appartenenti a nobili studenti e professori che lo avevano frequentato. Anche in molte altre città d'Italia, e si può citare ad esempio il Bargello a Firenze o il Palazzo Pretorio ad Arezzo, era invalso l'uso di esporre sulla facciata dei palazzi le armi dei Rettori che si erano distinti, e per restare nel nostro territorio ricordiamo i numerosi stemmi che ancora adornano le pareti del Castello inferiore di Marostica.[12]
Chi realizzò la serie degli emblemi nella loggia bassanese non imitò tuttavia tali esempi, peraltro scolpiti, ma cercò un effetto sobrio e massiccio, quasi marziale. Il formato scelto per disegnarli fu quello detto "gotico antico", uno stile che venne molto impiegato dal Trecento, ma che è attestato anche in età successiva. Può essere questo un elemento utile alla datazione? Tra Cinquecento e Seicento erano di moda forme più elaborate, come gli stemmi a targa, sagomati a curve e spigoli o accartocciati; ma a partire dal XVII secolo lo stile più usato fu il sannitico, impiegato anche nell'araldica moderna.[13] Si può dire pertanto che lo scudo gotico aiuterebbe a datare il dipinto più tra il XV e il XVI secolo che nel XVII. Però resta anche il sospetto che la scelta di questo formato risponda ad un desiderio di accentuare l'antichità delle immagini ed esaltare così la durata della presenza veneziana sul territorio.

FORME DEGLI SCUDI

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D'altronde la forma dello scudo gotico antico, detto anche francese antico, se disposto in file compatte, con la sua austerità consegue un indubbio effetto estetico di ordine, diremmo quasi di disciplina.[14] Probabilmente il pittore aveva a disposizione anche uno stemmario, cioè una raccolta effigiata di emblemi delle famiglie nobiliari veneziane,[15] o un blasonario, contenente la loro descrizione nel linguaggio dell'araldica, da cui ricavare le informazioni necessarie per disegnare correttamente gli stemmi. La disciplina era infatti molto complessa ed era necessario conoscerne bene il linguaggio, fatto di misure, proporzioni, partizioni, metalli, smalti, pezze, simboli e tante altre parole che hanno significato soltanto per gli esperti. E guai a sbagliare! Lo stemma, ossia lo scudo completo dei suoi ornamenti (cimiero, corona, manto, sostegni, motti, divise, lambelli), conteneva molte informazioni sulla nobiltà di un signore, sulla sua origine, posizione politica ed economica, sulle alleanze familiari e sulle imprese compiute, ed era compito degli araldi riconoscerle. L'araldica era allora una disciplina tenuta in grande considerazione, poi diventò appannaggio di aristocratici cultori, dediti allo studio delle genealogie di chi voleva fregiarsi dei titoli nobiliari.[16] Benché la sua importanza con il passare del tempo sia diminuita, non si creda che sia scomparsa; il suo interesse si è però spostato dalle famiglie agli stemmi comunali, provinciali, regionali e a quelli dei quartieri. Ancora adesso l'uso dei simboli araldici è controllato e regolamentato, nonché coltivato da numerosissimi appassionati.
Ogni scudo che compone l'affresco della loggia è inserito in un anello circolare bianco con spessi bordi neri, e lo sfondo del cerchio interno è colorato alternativamente di porpora e verde scuro. Il tutto è come posato su un fondale giallo, che in araldica indica l'oro, e nei rombi vuoti che rimangono tra gli anelli sono intercalati fiori a cinque petali (rose?) di color porpora o violetto. L'insieme è racchiuso nella parte superiore e ai lati dentro una cornice a racemi, cigni e putti, che collega l'affresco al soffitto, evitando spazi vuoti.
Sopra alcuni scudi si legge, scritta in caratteri di color bianco pallido e di foggia moderna, la data che dovrebbe corrispondere al "millesimo" in cui prestò servizio il corrispondente podestà, in qualche caso si vedono anche lettere maiuscole ai lati: le iniziali del suo nome. Non sappiamo chi le abbia scritte, ma non risalgono al tempo della pittura, perché i caratteri sono sicuramente moderni: potrebbero essere stati dunque i restauratori che dopo la scoperta hanno indicato la corrispondenza tra alcuni scudi e i governatori di Bassano.
La loggia ricordava quindi circa un secolo e mezzo di governo veneziano. Ma quale periodo!
Tra XV e XVI secolo Venezia aveva esteso la sua ala sulla terraferma e sul mare, poi aveva dovuto lottare contro tutti per non essere annientata ed era riuscita infine a ricostruire i suoi domini. Nella seconda metà del Cinquecento aveva contrastato l'avanzata dei Turchi, che a partire dal 1529 (primo assedio di Vienna) avevano cercato di conquistare l'Europa, finchè non era riuscita a sconfiggerli il 7 ottobre 1571 nella battaglia di Lepanto.
Era stata dunque un'epoca di successi, ma anche di grandi sofferenze per tutti, e chi si era affidato alla sua protezione, sperando nella pace e nella prosperità, si era suo malgrado trovato coinvolto in un'epica lotta, che agli inizi del XVI secolo raggiunse l'apice con la difesa contro due eserciti invasori, quello imperiale e quello francese.

 

 

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