Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

All’aprirsi del nuovo secolo Marco Molin, membro della Confraternita dei lanari faceva eseguire da Andrea Michieli detto Andrea Vicentino, per conto della sua Confraternita e per l’altare della Santissima Trinità in San Francesco, la pala con La Trinità, san Pietro e san Paolo[1] (fig.1).

1AndreaMichieli

1. Andrea Michieli detto Andrea Vicentino, La Trinità, san Pietro e san Paolo, olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 447. Fatta eseguire nel 1600 da Marco Molin per conto della sua Confraternita dei lanari, per l’altare della Santissima Trinità in San Francesco, il dipinto costituisce una novità nel panorama cittadino totalmente appaltato alla bottega dei Dal Ponte.

Il pittore, attivo a Venezia, continua la grande tradizione della pittura veneziana di secondo Cinquecento, sugli esempi di Veronese e Tintoretto, anche se nella tarda maturità – era nato nel 1542 – indulge in segni di impasto ed in forti sbattimenti di ombre e di luce. La sua pittura, per quanto ancora interprete di una illustre tradizione, in corso di superamento, doveva costituire a Bassano, impregnata della grande lezione di Jacopo Bassano, una novità di moderato impatto e pertanto ampiamente accettabile dalla committenza locale. Le due pale di Leandro Bassano per due chiese bassanesi ancora nell’assetto tardoquattrocentesco, infatti, il Crocifisso con gli angeli che raccolgono il sangue di Cristo (fig.2)

2LeandroBassano

2. Leandro Bassano, Crocifisso con gli angeli che raccolgono il sangue di Cristo, 1600-1610. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 38. Il dipinto fu eseguito per la chiesa di San Giovanni Battista su una precedente tela del medesimo soggetto ed impostazione iconografica, forse del padre.

per la chiesa di San Giovanni Battista, eseguita da Leandro su una tela già dipinta probabilmente dal padre eseguita non oltre il primo decennio del nuovo secolo[2] e lo Sposalizio mistico di santa Caterina tra vari santi (fig.47, p.254),

47LeandroBassano

47. Leandro Bassano (Bassano 1557 – Venezia 1622), Sposalizio mistico di santa Caterina tra altri Santi. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 33. La tela costituisce l’ultima opera dipinta da Leandro per una chiesa della città natale e quella dell’altare maggiore di Santa Caterina è rappresentazione di spirito seicentesco dove l’attenzione è rivolta allo studio della mimica piuttosto scontata dei personaggi, che mantengono una certa forza ritrattistica.

per la chiesa di Santa Caterina già nel decennio successivo[3] rappresentano la continuazione di un’epopea famigliare, sia nei soggetti che nei modi pittorici della rappresentazione, anche se il secondo appare aggiornato al nuovo naturalismo dell’artista, cupo nei toni e ritagliato con durezza nel disegno. Come già sottolineato[4], è infatti il perpetuarsi della bottega bassanesca che caratterizza quasi interamente il Seicento a Bassano: dei figli del grande maestro, assente Leandro, divenuto ritrattista ufficiale della Serenissima e con bottega a Venezia, assente anche Girolamo, che a Venezia nella bottega in contrada San Cassiano portava avanti i modi e i soggetti del padre, interprete, in modi provinciali, delle disposizioni tridentine del ruolo della pittura al servizio del messaggio da impartire ai fedeli, spetta a Giovanni Battista continuare nella città degli avi fino alla morte nel 1613, la lezione paterna[5]. Quello che caratterizza la sua pittura sono proprio i modi materici del colore intriso di luce che viene perpetuata in opere fortemente carenti dal punto di vista compositivo, perlopiù paratatticamente impostate intorno a gruppi di santi, secondo le disposizioni tridentine, ma pittoricamente piacevoli, vicine al fare di Gerolamo, più adatte al pubblico del contado che a quello della città[6]. Dopo di lui la tradizione della bottega sarà portata avanti da Jacopo Apollonio, dai fratelli Martinelli e dagli Scajaro. A loro spetta la dotazione di poche pale per le chiese cittadine, nel generale rinnovamento posttridentino degli altari e nel potenziamento delle confraternite laicali, senza che questo, almeno fino alla fine del secolo, costituisca un significativo rinnovamento architettonico degli edifici chiesastici. Ma la loro attività è concentrata soprattutto nei molti quadri di genere, che Verci ricorda come «vari quadri e specialmente per mercanti, che ne facevano traffico»[7]. Interviene nella cappella della palladiana villa Bianchi Michiel ad Angarano Jacopo Apollonio con la giovanile Crocifissione, acerba compositivamente e attenta alle modulazioni del colore in modi appresi dallo zio Gerolamo. Nato intorno al 1584 dalla figlia del grande Jacopo, Marina Benedetta, ne portava il nome, trascorse la sua intera vita a Bassano, dove rivestì la carica di iudex nel 1602, nel 1604 e nel 1644, perpetuò il ruolo che era stato del nonno nelle committenze civili e religiose della città, che beneficò di lasciti, moriva nel 1654 e fu sepolto, nel pantheon della città, la chiesa di San Francesco[8]. La sua precoce attitudine artistica è attestata dalle parole del nonno che assegna a lui nel testamento del 1592 «cinque rotoli di disegno sive pezzi num(ero) 15 da esserli dati perché si diletta di pittura». Tra il primo e il secondo decennio del secolo esegue due dipinti per chiese bassanesi, il San Bonaventura, datato 1611 (fig.3),

3JacopoApollonio

3. Jacopo Apollonio (Bassano 1584 – 1654), San Bonaventura (datato 1611). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Il San Bonaventura costituisce l’unico dipinto residuo dei tre eseguiti dal nipote di Jacopo per l’omonima chiesa dei padri Osservanti Riformati di San Francesco, consacrata al pubblico il 19 aprile 1610.

unico dipinto residuo dei tre eseguiti per l’omonima chiesa dei padri Osservanti Riformati di san Francesco, aperta e consacrata al pubblico il 19 aprile 1610[9], e la Santa Maria Maddalena, firmata, in Museo Civico, anch’esso unico residuo dei tre eseguiti per la chiesa di San Francesco[10]. L’operazione di recupero affettuoso del linguaggio dell’avo e di riproposizione in modi popolari si comprende nella più strutturata Trinità, la Madonna con il Bambino e i santi Monica, Giambattista e Lorenzo della parrocchiale di Cittadella dello stesso momento, datata 1611, proveniente dal convento agostiniano, soppresso, fuori Porta Padova[11], nella quale egli rielabora opere del nonno Jacopo e dello zio Leandro in una composizione paratattica e semplificata, ma con un naturalismo che indulge nei particolari, particolarmente ritrattistici, ed è esaltato dalla colorazione timbrica. I dipinti eseguiti per gli edifici bassanesi segnalati da Verci[12], l’ Adorazione dei Magi per la cinquecentesca chiesa servita di Santa Maria delle Grazie, demanializzata nel 1656, due tele con la raffigurazione dei rappresentanti veneziani nella città per Palazzo Pretorio, una «Santissima Trinità con molti puttini» per l’oratorio di san Filippo Neri sul sagrato del Duomo, non sono stati finora rintracciati. Avrebbero documentato, insieme al perduto Ritratto di Mattio Zamberlan, firmato, visto in collezione privata, nella casa del protomedico Antonio Larber, collezionista delle opere dei Bassano, i modi della sua ritrattistica, evidentemente appresa dallo zio Leandro. Il Martirio di San Sebastiano (fig.4),

4JacopoApollonio

4. Jacopo Apollonio (Bassano 1584 – 1654),  Martirio di San Sebastiano (post 1632). Bassano del Grappa, Chiesa di San Sebastiano. Il dipinto eseguito per l’altare maggiore dell’omonima chiesa del convento agostiniano di Bassano dopo il 1632 è l’ultima opera nota del suo catalogo, dai colori vivi  e timbrici, esemplificati sulla lezione dello zio Leandro.

eseguito per l’altare maggiore dell’omonima chiesa del convento agostiniano di Bassano dopo il 1632 prima dell’aggiunta, dieci anni dopo, del portico anteriore, si è rivelata negli studi più recenti[13] l’ultima opera nota del suo catalogo, nella quale l’artista mette in scena un naturalismo tutto giocato su colori vivi e timbrici, ereditati dalla lezione dello zio Leandro, dal disegno robusto e sottolineato da linee di contorno accentuate, esaltato in una luce chiara e trasparente. Nelle composizioni affollate di santi esaltati da una colorata evidenza, con esiti quasi di romanzo popolare ante litteram, trovano entusiastica accoglienza i desiderata della committenza controriformata. Un recente rinvenimento presso l’ Orfanotrofio maschile di Bassano[14], la tela con Maria Incoronata ed i santi Giovanni e Francesco (fig.5),

5JacopoApollonio

5. Jacopo Apollonio (Bassano 1584 – 1654), Maria Incoronata ed i santi Giovanni e Francesco. Bassano del Grappa, ex-Orfanotrofio maschile (ora fondazione Pirani Cremona). La tela, attesta ancora nella prima metà del XVII secolo la semplificazione del linguaggio dalpontiano in un  naturalismo semplificato ma di facile presa sul fedele.

di probabile provenienza chiesastica, forse da un edificio demanializzato (San Francesco o San Giovanni Battista), attesta ancora nella prima metà del XVII secolo la semplificazione del linguaggio dalpontiano in proposte arcaicizzanti nel loro naturalismo semplificato ma di facile presa sul fedele. Ancora giovanile è la pala per la chiesa di San Nazario, recentemente aggiunta al suo catalogo[15]. Nel perpetuarsi delle formule tipologiche e compositive della tradizione dalpontiana e soprattutto nella qualità del suo fare pittorico, Jacopo Apollonio crebbe gli artisti che portarono avanti nella seconda metà del secolo la lezione cinquecentesca, Marcantonio Dordi, Nicola De Nicoli e Giambattista Zampezzi. Tra i pittori imparentati con i Bassano dev’essere ricordato anche Antonio Scajaro, nato ad Asiago intorno al 1586, genero di Giambattista, avendone sposato la figlia Chiara nel 1613. Al pari del coetaneo Apollonio, ma forse con minori capacità pittoriche, si dimostra un eclettico imitatore di Jacopo e lavora principalmente per le chiese dell’Altopiano[16]. In città esegue e firma nel 1604 la pala per la chiesa di Santa Croce, La Madonna tra i santi Lazzaro e Bellino (fig.6),

6AntonioScajaro

6. Antonio Scajaro (Asiago 1586- 1630), La Madonna tra i santi Lazzaro e Bellino (firmata e datata 1604). Bassano del Grappa, chiesa di Santa Croce. Lo Scajaro riprende semplificandoli i modi di Girolamo con una pennellata schematica e schiarita con esiti dal sapore popolare.

ove la composizione riprende semplificandoli i modi di Girolamo, la pennellata è schematica e schiarita con esiti popolareggianti, per il Duomo, nel 1624, una pala perduta[17], e per la chiesa della Santissima Trinità di Angarano, l’anno prima di morire nel 1630, la Santissima Trinità distribuisce grazie al popolo (fig.7),

7AntonioScajaro

7. Antonio Scajaro, La Santissima Trinità distribuisce grazie al popolo (1629). Bassano del Grappa, chiesa della Santissima Trinità. La caratteristica della pittura dello Scajaro,  toni chiari e lucenti, si accentua nell'ultimo dipinto eseguito prima di morire.

nella quale la scelta coloristica degrada in toni divenuti chiari e lucenti. I suoi due figli, Giacomo (1616-1650) e Carlo (1615-1651), svolsero la loro attività come copisti mimetici delle opere dalpontiane, tanto che il primo, giocando sull’omonimia con l’illustre avo, si firmava “Giacomo da Ponte detto il Bassano”, ed il secondo, che possedeva una buona collezione di opere dei Bassano, pervenutagli per eredità famigliare, eseguì una copia della Natività di san Giuseppe che il Ridolfi[18] ritenne originale. Ancora con Gerolamo si forma Luca Martinelli[19]. La sua prima opera documentata al 1591 è L’Annunciazione con un frate inginocchiato per la chiesa di San Donato. Due anni dopo collabora con l’ultimo dei figli di Jacopo nelle pale con I santi Valentino, Lazzaro e Bovo ed I santi Martino, Rocco e Pancrazio di Rosà del 1593 (fig.8),

8GerolamoBassano

8. Gerolamo Bassano e Luca Martinelli, I Santi Valentino, Lazzaro e Bovo, Martino, Rocco e Pancrazio (1593), Rosà, Parrocchiale.  Eseguita in collaborazione con  Gerolamo Bassano, la pala fu eseguita con i medesimi modi pittorici luminosi e franti del maestro.

rivelando i modi luminosi e franti di Gerolamo. A lui spetta, secondo la testimonianza del Verci, la decorazione della chiesa di Sant’Eusebio in Angarano, eseguita nel 1610, demolita nel corso del rifacimento settecentesco della chiesa[20] e la lunetta datata 1613 sopra la porta di entrata della chiesa di San Francesco, con la Madonna con il Bambino tra i Santi Francesco e Bernardino (fig.9),

9LucaMartinelli

9. Luca Martinelli,  Madonna con il Bambino tra i Santi Francesco e Bernardino (1613), Bassano del Grappa, chiesa di san Francesco, portale. L'affresco sul portale della chiesa francescana attesta la sua abilità di frescante in una pittura schiarita nei toni, che ricorda nella rotondità dei volti la lezione di Gerolamo.

nella quale la sua abilità di frescante si rivela, nella chiesa conventuale più importante della città, in una pittura che ricorda nella rotondità dei volti la lezione di Gerolamo, schiarita nei toni, come faceva in quegli stessi anni l’Apollonio. L’anno precedente aveva realizzato, per la chiesa di San Girolamo, un dipinto con San Girolamo che adora il Crocefisso, disperso dopo le demanializzazione della chiesa. Le successive opere, ed in particolare La Trinità e Santi, eseguita per la Scoletta di Sant’Antonio a Marostica, firmata e datata 1617, accentuano l’accuratezza formale, ispirata dalla lezione di Leandro, come in quegli stessi anni facevano l’Apollonio e lo Scajaro. Al fratello Giulio, secondo il Verci il più geniale dei fratelli, spettò il compito di decorare la parrocchiale di Enego dopo l’incendio del 1613, riprendendo i soggetti del soffitto di Jacopo e Francesco, distrutti in quell’anno da un incendio, in 28 riquadri, anch’essi distrutti. Ma è nella pala con La Vergine, san Bassiano e sant’Antonio Eremita della chiesa di san Fortunato, rubata, che Giulio dimostra di aver assimilato la lezione manierista di Jacopo in figure allungate e sottili e flessuose, con grandi barbe bianche nei volti maschili. Entrambi i fratelli lavorarono consistentemente per il mercato con dipinti di soggetto profano e molti di questi dipinti sono ricordati dal Verci nelle case bassanesi che ricordavano «il loro genio per la pittura e il loro merito nel conservare quest’arte e farla fiorire con ogni modo possibile nella Patria» [21]. Un documento importante della Bassano della prima metà del Seicento sono i due teleri residui dei quattro dipinti eseguiti per le feste dopo la peste del 1630, commissionati l’anno successivo dai francescani per il Convento di San Francesco[22], ora nella Sala Consiliare della Città, eseguiti dall’allievo dell’Apollonio, Marcantonio Dordi (1598-1663), documentato anche nel 1661 “l’elenco dei contribuenti cittadini”. Nei due teleri residui l’attenzione documentaria prende il sopravvento rispetto alla ricerca pittorica: la processione gira intorno alla piazza San Giovanni davanti alla chiesa quattrocentesca sullo sfondo degli edifici della piazza, mentre in primo piano soldati dalle divise spagnoleggianti accendono i fuochi contro il contagio. L’impostazione compositiva richiama i più antichi esempi narrativi delle processioni e le cerimonie documentate da Andrea Vicentino o dal Dolabella, con un aggiornamento alla vicina produzione di Damini, resa in una pittura con bagliori di superficie, tardo omaggio al bassanismo locale. Uno dei pochi edifici di nuova costruzione è la chiesa dell’Angelo, eretta nel 1655 per volere di Domenico Veggia, confessore della Beata Giovanna Bonomo, con l’intenzione di dedicare l’edificio all’Angelo Custode che l’aveva comunicata e si segnala, per il valore storico e quale documento dell’affermarsi del nuovo linguaggio barocco (tav.15). L’edificio, dalla facciata di impianto classico con due paraste doriche che affiancano il portale, sormontate da trabeazione e timpano, rivela, nel vano ellittico centrale interno, scandito da semipilastri di ordine gigante, con sei arconi che si aprono in alto in finestre termali con piccolo presbiterio absidato dell’interno, la conoscenza delle novità barocche e più in specifico borrominiane. Per l’altare maggiore Giambattista Volpato[23] eseguiva nello stesso anno, la pala con L’Angelo custode (fig.10),

10GiovanniBattistaVolpato

10. Giovanni Battista Volpato, L’Angelo custode (1655). Bassano del Grappa, chiesetta dell'Angelo. Nella pala dell’altar maggiore l’artista segnala tutti i suoi debiti nei confronti di Giambattista Novello da Castelfranco, suo maestro, un palmesco attardato, ma anche della pittura tardocinquecentesca.

ed, in collaborazione con pittori minori locali, il Cozza, Cristiano Menarola, il Tomasini ed i Miozzi, trentanove tele con Santi, collocate nella cornice superiore della navata (figg.11-12),

11-12GiovanniBattistaVolpato

11-12. Giovanni Battista Volpato e collaboratori, Santi, Bassano del Grappa, chiesetta dell'Angelo. L'intera fascia di coronamento della chiesa viene decorata con 39 piccole tele entro lesene ad opera di artisti aggiornati alla cultura veneziana del momento con un’attenzione particolare ai tenebrosi.

inframmezzate da lesene. Nella pala dell’altar maggiore l’artista segnala tutti i suoi debiti nei confronti di Giambattista Novello da Castelfranco, suo maestro[24], un palmesco attardato, ma anche nei confronti della pittura tardo cinquecentesca, mentre le telette del coronamento sono aggiornate alla cultura veneziana del momento con un’attenzione particolare ai tenebrosi. Giambattista Volpato, figlio di Bernardin, mercante di seta e filatore, era nato nel 1633, in una Bassano che usciva dalla grande peste, con le conseguenze economiche ed occupazionali altrove in questo volume delineate. Il ricordo che il pittore fa di se stesso, un uomo senza radici e senza famiglia, votato per inclinazione naturale alla pittura, énfant prodige senza maestri, autodidatta, rappresenta probabilmente un topos letterario per creare un personaggio non più legato alla grande tradizione della pittura di Jacopo ed ai grandi pittori del Cinquecento veneziano. Alla prima produzione appartiene anche il suo Autoritratto, datato 1650[25], su rame (fig.13),

13GiovanniBattistaVolpato

13. Giovanni Battista Volpato, Autoritratto (firmato e datato 1650), Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 83. Il piccolo ritratto su rame, proveniente da casa Parolini, è eseguito nei modi della tradizione ritrattistica cinquecentesca con una pittura filante, debitrice a Palma il Giovane.

eseguito con una pittura filante, debitrice a Palma il Giovane, già in casa Parolini, ora in Museo Civico, riutilizzato per un’acquaforte riprodotta nel suo trattatello postumo “Del preparare tele, colori ed altro spettante alla pittura”, pubblicato nel 1787. Già nel 1664 e nei due anni successivi, nonché nel 1668 i pittori ricordano come loro capo Giambattista Volpato, e contribuiscono anche a suo nome. All’impresa della chiesetta dell’Angelo, segue l’esecuzione, nel 1670, di quattro teleri per la Santissima Trinità di Angarano, il San Giorgio e Sant’Eusebio (fig.14)

14GiovanniBattistaVolpato

14. Giovanni Battista Volpato, San Giorgio e Sant’Eusebio (1670). Bassano del Grappa, Chiesa della Santissima Trinità. La tela fu eseguita insieme al suo pendant raffigurante San Michele e Santa Apollonia, con un’attenzione compositiva e coloristica alla pittura di Leandro Bassano.

e il San Michele e Santa Apollonia, il primo ancora legato alla pittura di Leandro Bassano, il secondo eseguito dal suo collaboratore Gerolamo Bernardoni[26], mentre la sua prima attività fuori della città natale lo vede impegnato in un ritratto collettivo del Podestà G.A.Boldù con i rappresentanti della Città di Feltre, del Municipio della città, ancora di impostazione tardo cinquecentesca. Ancora negli anni ’70 lavora a Feltre e nel Feltrino, dove esegue, nel 1572, i sei teleri della cappella del Santissimo nel Duomo di Feltre, con l’Adorazione dei pastori, Adorazione dei Magi, la Vergine Annunciata, l’Angelo annunciante, il Padre Eterno con lo spirito Santo, e l’Ultima Cena, nei quali vi rivela tecnica e stile ormai maturi, con una commistione tra eleganze veronesiane, riflessioni sulle opere di Jacopo, invenzioni palmesche, raffinate scelte coloristiche tra modulazioni neomanieriste e campiture smaltate nei modi di Leandro Bassano. Due anni dopo, nel 1674, egli sottraeva dalle parrocchiali di Tomo e Rasai, sul versante feltrino del Grappa, due capolavori di Jacopo per restaurarle e le sostituiva con due copie eseguite da lui. Per Rasai esegue, forse a titolo di risarcimento, anche una Madonna del Rosario. La sostituzione fu scoperta appena dieci anni dopo da Carlo Ostij, suo “amico” e Volpato fu bandito per dieci anni dal Bassanese e dal Feltrino, anche se si ipotizza che il bando non venne rispettato per il potente appoggio dei Bellegno. D’altra parte l’attività di copista, anche per il mercato, costituiva una prassi molto usata tra gli artisti in particolare del secondo Seicento, come momento di conoscenza critica e tecnica, approfondita dal Boschini. Sulla sua scia il Volpato sviluppava l’attenta osservazione dell’originale quale momento di approfondimento critico sull’opera dei grandi maestri, speculazione che portò alla redazione, tra il 1670 ed il 1685 de La verità pittoresca[27], un’ erudita indagine sui modi pittorici degli artisti con l’individuazione delle diverse “maniere”, e, nel caso di Jacopo Dal Ponte, delle sue quattro “maniere”, un secolo prima della codificazione critica di Verci. L’aggregazione nel 1682, al momento della sua fondazione, nel Collegio dei pittori veneziani, fondato da Pietro Liberi, costituisce una spia della sua modernità di concezione dell’arte e della validità delle sue posizioni critiche. Suo è infatti ancora il manoscritto de La Natura pittrice[28], un trattato di ottica per pittori in forma di dialogo secondo la moda del momento, nel quale Volpato rivela la sua conoscenza della filosofia cartesiana. Durante la permanenza veneziana eseguiva una serie di dipinti per la Chiesa di Santa Maria del Giglio, l’Adorazione dei pastori, e la Pentecoste, eseguite nei modi del manierismo di Jacopo, con un linguaggio «desueto, teso e sofisticato» (Pallucchini). Rientrato a Bassano, dopo il 1687 decorava il soffitto della arcipretale di Bassano con l’Assunta e la Trinità, il San Bonaventura fra il popolo e il Martirio e Gloria di San Clemente (fig.15; tav.13)

15GiovanniBattistaVolpato

15. Giovanni Battista Volpato, Martirio e gloria di san Clemente (1687). Bassano del Grappa, Collegiata di Santa Maria in Colle, soffitto. Il bel dipinto, accostato alle tele con l’Assunta e la Trinità e il San Bonaventura fra il popolo, costituisce il superamento dei modelli bassaneschi da parte del Volpato ed il recupero della lezione neoveronesiana in modi usuali alla cultura pittorica veneziana di fine Seicento.

ed eseguiva per la nuova chiesa di San Vito, ricostruita a partire dal 1704 e consacrata nel 1712[29], una tela con Sant’Ignazio di Loyola e San Gaetano con la Vergine e putti. La sua attività nell’ultimo decennio di vita risulta consistente ed eclettica e comprende anche il soffitto con una Caduta dei Giganti, di grandi dimensioni e di complesso impianto compositivo per il soffitto del grande salone di Villa Rezzonico, probabilmente progettato in loco e impostato stilisticamente in modi memori del manierismo di Domenico Brusasorci in Palazzo Porto Festa a Vicenza. Il corpo centrale della villa (tav.18) venne costruito dal patrizio veneziano Giambattista Rezzonico tra il 1702 ed il 1703 sulla base di un progetto di Francesco Zaghi, ricordato nei documenti come proto. Esclusa dalla critica più recente una preesistenza barocca o un intervento diretto, prima della sua morte (1682), di Baldassarre Longhena, l’edificio primitivo deve considerarsi una casa domenicale, come peraltro recitano i documenti, più bassa del corpo centrale, ma comprendente, all’interno, il salone e le due scale laterali, che sarà alzato unitamente all’ ampliamento con le quattro massicce torri angolari, la costruzione delle barchesse e dell’oratorio di San Giovanni Battista entro il 1740 ad opera di Giorgio Massari[30]. Giambattista Volpato conclude qui con un recupero di immagini cinquecentesche effettuato con il consueto tramite delle incisioni, rese in una pittura in controluce con ombre profonde nello spirito tardoseicentesco dei tenebrosi, una carriera di osservatore della grande pittura veneziana. Si devono a Francesco Trivellini (Bassano 1660-1735), suo allievo, due dipinti ora in Museo, che decoravano la chiesa della Misericordia, l’Annunciazione, firmata con le iniziali, “Franc.Triv.” e la data MDCXXXVIII (fig.16),

16FrancescoTrivellini

16. Francesco Trivellini, L’Annunciazione (firmata e datata 1688). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 47. Proveniente dalla chiesa della Misericordia, il dipinto ha ancora i modi della grande tradizione bassanesca, rinnovati da una razionalizzazione formale, ma non pittorica.

e il Ritratto di Giovanna Maria Bonomo[31], che riprende ingrandendolo un dipinto di minori dimensioni. I modi sono ancora quelli della grande tradizione bassanesca, innovati da una razionalizzazione formale, ma non pittorica, nel primo dipinto, che risente del recupero classicista di Carpioni. Nel 1708, portando nel nuovo secolo un linguaggio ormai superato, il Trivellini continuerà l’opera del maestro (fig.18)

18FrancescoTrivellini

18. Francesco Trivellini, Cristo crocefisso e i Santi Francesco e Antonio (1702). Borso del Grappa, chiesa parrocchiale. Attestata dal Verci, l’opera costituisce una testimonianza importante dell’opera dell’allievo di Volpato, per l’alta qualità disegnativa e la raffinata modulazione della tavolozza coloristica.

anche per la nuova chiesa di San Vito, con tre tele, il soffitto con La Santissima Trinità con Angeli e Santi (fig.17)

17FrancescoTrivellini

17. Francesco Trivellini, La Santissima Trinità con Angeli e Santi (1708). Bassano del Grappa, chiesa di San Vito, soffitto. Il Trivellini lavora con il maestro Volpato nella chiesa appena costruita in forme e pose caricate.

e due dipinti con Sant’Osvaldo e L’Arcangelo Gabriele e la Vergine in ginocchio per il presbiterio. Accanto ai pittori sono presenti sulla scena bassanesca, nel momento in cui iniziano la loro attività in città i Remondini, anche artisti che lavorano il rame. Mentre Cristiano Menarola risulta autore di bulini dal tratto «duro e stentato»[32], suo figlio Pietro è ricordato autore nel 1685 di una Natività di San Giuseppe, in Foglio Reale, dedicata all’abate di santa Giustina. Ma è certamente la scultura la protagonista della seconda metà, fine del XVII secolo in città, grazie all’importante presenza dei Marinali. Figli di Francesco Marinali, intagliatore, Orazio (Angarano 1643- Vicenza 1720) , Angelo (Bassano 1654 – Vicenza (?) post 1720) e Francesco (Bassano 1649- Vicenza, post 1713) muovono i primi passi nella bottega paterna. Orazio è ancora a Bassano nel 1665, quando sposa Lucia Bricito, figlia di Giovanni Battista Bricito, il maggiore architetto del Seicento attivo in città, con il quale probabilmente collaborò prima del matrimonio quale garzone di bottega[33]. Spostatosi a Vicenza con la famiglia due anni dopo, già nel 1671 paga i contributi alla locale Fraglia dei Tagliapietra, alla quale risulta iscritto solo tre anni dopo. Angelo, nato nel 1654 e Francesco due anni dopo, risultano iscritti alla medesima Fraglia nel 1681. L’anno dopo, in occasione della festività patronale della loro città natale, Bassano, come ricorda l’iscrizione[34], Orazio monta la statua del patrono San Bassiano (tav.14) su un’alta colonna in biancone di Pove, sull’angolo a Nord-Est della piazza San Giovanni, ora Libertà, verso Piazzotto Montevecchio, sulla linea che divideva la piazza maggiore dalla piazzetta dei Signori, affiancata al pilastro con il Leone di San Marco[35]. L’anno precedente, mentre l’esecuzione era in corso “Domino Orazio et fratelli Marinali bassanesi”, sono ricordati come «illustri scultori della città di Venezia», documentando l’attività della bottega nell’ottavo decennio nella città lagunare, dove Orazio esegue, tra le prime opere del suo catalogo, il paliotto con l’Incontro di Cristo e della Veronica, il Crocifisso e due Santi per la chiesa delle Vergini a Castello, i primi due, rispettivamente al Bode Museum di Berlino e nella parrocchiale di Budoia, dove, accanto ad un risentimento muscolare e patetico mutuato dalla produzione veneziana di Josse De Corte, il fiammingo arrivato a Venezia da Roma nel 1655, il modulato svolgersi dei piani, il non accentuato aggetto delle figure e l’armonica composizione sembra fare riferimento al classicismo di Alessandro Algardi. Pochi anni dopo, invece nella scultura bassanese del San Bassiano (fig.19)

19OrazioMarinali

19. Orazio Marinali, San Bassiano (1682). Bassano del Grappa, piazza Libertà. La scultura costituisce la prima grande commissione ai Marinali da parte della Città di Bassano. Impostata su stilemi neocinquecenteschi e su un modello tizianesco sembra un omaggio ai modi di Jacopo Bassano.

la stesura piana delle superfici, l’assenza di forzature muscolari, la finitura pittorica delle superfici - in parte accentuata dalle abrasioni della pietra sottoposta alle aggressioni dell’atmosfera, nei tre secoli di esposizione all’aperto - rivela modi diversi con una più certa attività di bottega: non appartiene in toto alla produzione del più vecchio dei Marinali, emulo del naturalismo del De Corte, ma, come attesta la sequenza documentaria, anche dei fratelli, o meglio forse solo al fratello Francesco. La collaborazione di Orazio con Francesco è peraltro esplicitamente attestata negli anni della formazione nell’Angelo dell’Annunciazione, firmato da Orazio e Francesco, eseguito nel 1675 per l’oratorio di san Domenico a Villa di Colognola ai Colli (Verona)[36] (fig.20).

20OrazioeFrancescoMarinali

20. Orazio e Francesco Marinali, Angelo (firmato e datato 1675). Colognola ai Colli (Verona), fraz. Villa, Oratorio di san Domenico. La scultura fu eseguita congiuntamente dai due fratelli e costituisce un punto di riferimento stilistico per la loro prima produzione bassanese.

Fatti salvi i limiti di conservazione sopra ricordati, nel movimento del manto del San Bassiano ritroviamo peraltro la forza della produzione più consistente del suo catalogo, ma più tarda, tra il 1690 ed il 1703, di Orazio per la Basilica di Monte Berico, mentre la rigidezza della veste intorno alle gambe introduce alla Madonna ora a Sovizzo Alto, forse proveniente ancora dal coronamento della basilica vicentina. Quanto conosciamo peraltro di Angelo, anche dagli studi più recenti[37], dovrà essere confrontato con un catalogo assolutamente diseguale e che necessita di conseguenza di un approfondimento documentario e critico ma si può sintetizzare, sin d’ora, nell’analisi della Semenzato Paris: «si esprime attraverso un rilievo dal tratto più leggero, senza violente contrapposizioni chiaroscurali ed anzi portando in superficie una luminosità diffusa e morbida». Riesce difficile pensare, tuttavia, che proprio in questa occasione, che rivestiva particolari significati istituzionali, sentimentali e religiosi, Orazio abbia demandato totalmente l’esecuzione del gruppo. Per quel che ci è dato sapere, tra l’ottavo e il nono decennio, cioè tra il 1679 ed il 1681 il suo impegno era concentrato nella Basilica di Santa Giustina a Padova, in continuità con l’opera lì svolta, prima della morte nel 1674, dal maestro De Corte, in compagnia di tutta la compagine decortiana, Michele Ongaro, Bernardo Falconi, Enrico Meyring, Giovanni Comin[38]. Tanto più che da quello stesso anno, fino al 1686, invece – e quindi contemporaneamente all’impegno bassanese, della piazza, e probabilmente, del Ritratto di un rettore sullo scalone del Palazzo Comunale, nonchè degli stemmi per Girolamo Ascanio Giustiniani del 1683[39] e per il cittadino bassanese aggregato alla nobiltà veneta Marc’Antonio Zambelli nel 1685[40] - Orazio era impegnato a Vicenza nell’esecuzione, intorno al 1680 dell’ Ercole e l’Idra nella loggia di Palazzo Leoni Montanari, tra il 1681 ed il 1682 delle statue dei Santi Faustino e Giovita per la Confraternita del Santissimo Sacramento dell’omonima chiesa a Vicenza, con assenze ripetute dal cantiere[41], nella decorazione della facciata di Santa Maria in Aracoeli ancora a Vicenza[42] e realizzava, secondo le più recenti acquisizioni critiche[43], le stupende sculture de Il Giudizio di Paride di Palazzo Thiene ed altre opere erratiche, di minori dimensioni. L’allargamento alla bottega dell’incarico bassanese, inizialmente riferito al solo Orazio, è da mettersi in relazione con l’intervenuto cambiamento degli impegni, lo spostamento degli interessi su Vicenza ed alcune importanti commissioni in quella città. Contemporaneamente è lo stesso linguaggio di Orazio a risentire di alcune sollecitazioni stilistiche che emergono proprio nella produzione vicentina di quegli anni, sollecitate dagli spunti pittorici, legati alla collaborazione con il pittore Antonio Zanchi[44] ed ad un occhio di riguardo nei confronti della produzione tardo-manierista degli Albanese[45], che rappresentavano la più alta voce nella scultura a Vicenza prima del suo arrivo. Contemporaneamente si accentuano, a causa del pessimo carattere di Orazio, gli scontri con il fratello Angelo, che sin dal suo matrimonio, in quello stesso 1682, apriva una propria bottega, nella contrada dell’Isola a Vicenza[46]. L’emergere di caratteri pittorici nell’ intaglio di Orazio costituisce dunque un raggiungimento specifico del suo linguaggio a queste date e troverà nella più tarda collaborazione con il de’ Pieri una sua definitiva affermazione[47]. D’altro canto, l’affermazione di stilemi neocinquecenteschi nella scultura del San Bassiano può ricollegarsi, oltre che ad un omaggio al linguaggio del genius loci bassanese, il grande Jacopo Bassano nella sua interpretazione di Tiziano nei santi vescovi della pala di Borso e di Rasai (fig.21),

21TizianoVecellioxilografia

21. Tiziano Vecellio, Sei santi, xilografia. La figura del Santo Vescovo al centro del foglio tizianesco costituisce il modello per la figura patronale del San Bassiano.

anche ad un momento di studio e ripensamento della grande tradizione scultorea vicentina tra Cinquecento e Seicento, forse aiutato dall’interpretazione “classica” della lezione dacortiana da parte di Bernardo Falcone nel comune lavoro padovano. Negli stessi anni Orazio Marinali era chiamato a decorare con le statue de La Giustizia e La Pace (fig.22)

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22. Orazio Marinali, La Giustizia e La Pace. Bassano del Grappa, palazzo Roberti. Per una delle residenze piu importanti della città, appena rimodernata da Roberto Roberti nella contrà di Rigorba in uno stile che richiama i modi di Baldassarre Longhena, Orazio esegue le prime sue sculture da giardino.

il giardino di una delle residenze più importanti della città, appena restaurata e rimodernata da Roberto Roberti nella contrà di Rigorba, il grande palazzo di famiglia che nella trifora centrale richiama stilemi architettonici veneziani nei modi di Baldassarre Longhena e che sarà completato ad opera dell’abate Giambattista Roberti nella seconda metà del Settecento[48]. Alcuni anni dopo ai tre fratelli[49] veniva affidato l’incarico di eseguire il Ritratto di un rettore (fig.23),

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23. Fratelli Marinali, Ritratto di un rettore (1685 ca). Bassano del Grappa, Palazzo Comunale, via Matteotti. La figura, abbigliata alla moda dell’ultimo quarto del XVII secolo, si impone per la determinazione nella posa, la prestanza e la muscolosità della figura.

da collocarsi entro una nicchia sul primo pianerottolo dello scalone del palazzo Comunale di Bassano, eretto nel XVI secolo, restaurato nel 1639 e ricostruito dopo l’incendio del 1682. La figura, abbigliata alla moda dell’ultimo quarto del XVII secolo, con ampio mantello, stivali e folta e lunga parrucca a boccoli, si impone per la determinazione nella posa, la prestanza e la muscolosità della figura. Citato dal Verci e dal Brentari[50], è pubblicato, seguendo l’iscrizione, da Carmela Tua nel catalogo delle opere dei fratelli Marinali[51] e ricondotto all’opera di Orazio e del fratello Angelo per gli spiccati riferimenti stilistici all’opera del maestro del maggiore dei Marinali, il fiammingo Giusto De Corte, al quale fa riferimento costante anche l’opera di Angelo. La scultura si inserisce in una tematica, quella del ritratto, raramente affrontata da Orazio Marinali ma che si affianca alla scultura da lui eseguita per la loggia del Capitanio a Verona, ora a Castelvecchio, riferita dalla Tua ad un momento esecutivo non lontano dal ritratto bassanese[52]. Di certo la tematica era invece una delle preferite del maestro Giusto De Corte e ben si inseriva nelle specialità di un artista fiammingo, che egli svolgerà con una vitalità ineguagliabile. I caratteri stilistici della scultura riconducono alla collaborazione dei fratelli Marinali all’interno del nono decennio, in un momento in cui le commissioni della comunità bassanese risultano, come già visto, numerose. A conferma dello stretto legame progettale che univa pittura e scultura all’interno della bottega marinaliana, attestata dall’Album dei disegni bassanesi[53], l’impostazione della figura trova in quegli anni un preciso corrispettivo pittorico nell’ Autoritratto di Nicolò Cassana, nella Galleria degli Uffizi, datato sulla tavolozza 1683[54]. Stilisticamente, la contiguità con la scultura del Paride in Palazzo Thiene a Vicenza, datato alla metà del nono decennio[55], conferma la datazione. Alla fine di quel decennio Orazio realizzava un’altra impresa bassanese: nel 1689, contemporaneamente al grande ciclo della Basilica di Monte Berico a Vicenza, il più anziano dei Marinali stipulava un contratto con la Confraternita del Rosario della Collegiata di Santa Maria in Colle per la ricostruzione dell’altare cinquecentesco dedicato alla Madonna del Rosario, che prevedeva l’esecuzione, in modi simili all’altare della chiesa di San Nicolò a Treviso, assegnato dal Federici al 1679, ed al progetto del foglio bassanese 19.138.1212[56] (fig.24),

24-25OrazioMarinali

24-25. Orazio Marinali, Progetto per l’altare della Madonna del Rosario. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, dis. Bass. 19.138.1212. La lunga progettazione dell’altare, commissionato dalla Confraternita del Rosario della Collegiata di Santa Maria in Colle, inizia con la commissione a Orazio dei due santi laterali Caterina e Domenico. La conclusione dell’intervento, con l’aggiunta delle altre sculture, dovrà attendere il 1704.

di due santi, Caterina e Domenico (fig.25). L’accordo non ebbe seguito per motivi a noi ignoti ed un nuovo incarico vide al lavoro Antonio e Alberto Bettanelli per l’altare e lo scultore Giovanni Toschini. La mancata consegna delle sculture da parte del Toschini rimise in campo Orazio Marinali con quattro sculture, Domenico e Caterina collocati su due plinti esterni alle colonne, Gioacchino ed Anna seduti in lato sulle ali laterali del timpano spezzato e due Angeli seduti sul timpano curvilineo centrale (tav. 21). La consegna avvenne, con le sculture laterali a partire dal 1704 e con la collaborazione della bottega negli Angeli. In particolare nelle statue del coronamento, nell’intenso ritratto di Anna, con i segnati tratti della vecchiaia nel volto e nei piedi, Orazio lascia a Bassano uno dei capolavori del suo naturalismo barocco. L’intera bottega aveva lavorato nelle more di quel contratto per la cappella dei Nave a Cittadella[57], nella quale alla data del 1689, istoriata a grandi lettere romane in una lapide rettangolare murata al di sopra della porta di facciata, la complessa decorazione scultorea del Cristo Triumphans e dei busti di Cristo, della Vergine e dei dodici Apostoli, quattrordici ritratti a mezzo busto si inseriscono entro un’altrettanto complessa decorazione ad affresco di Louis Dorigny e di un quadraturista[58] in un edificio semplificato ma nel quale il veneziano Gaspari riesce ad introdurre stilemi borrominiani. Nelle sculture, la dicotomia dello stile, irruento nel Cristo, piano nei busti, farebbe ipotizzare momenti di realizzazione differenti, anche se non necessariamente affidati a scultori diversi, che interpretano la lezione di De Corte con una sua possente monumentalità, o un accentuato naturalismo o forse ancora della sua vibrante concezione delle superfici, acquisizione del colorismo della cultura artistica veneta.   

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