Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Nel carnevale 1683 il podestà Emilio Pizzamano concesse ad un gruppo di “Signori nobili” bassanesi e veneziani di erigere un teatro in legno in una sala a levante di Palazzo Pretorio, probabilmente al secondo piano[1]. Il teatro era “bello, tutto dipinto, co i suoi palchetti al modello di quelli di Venezia” e dalla capitale vennero fatti venire gli artisti, riportando in terraferma quello che allora era uno degli svaghi (e delle imprese) più in voga nella città lagunare, a poco più di quarant’anni dall’inaugurazione del San Cassiano, considerato il primo teatro d’opera pubblico. Una novità di importazione che crea qualche malcontento, tanto da far ricordare qualche anno dopo con sollievo la fine di un «incantesimo che non servette altro che per far del malle e spender li denari de cittadini fuori della sua Patria da quella gente forestiera che veniva qui condota, oltre li molti altri inconvenienti che ne succedettero, che non stimo bene ridirli»[2]. Quali fossero questi inconvenienti è facile intuire, dato che l’aristocrazia veneziana aveva adottato l’uso di consumare nei teatri una parte importante della ritualità mondana e sociale, ostentando la propria ricchezza attraverso l’abbigliamento, i cibi e le bevande consumati nei palchi, lo scambio di visite, il gioco, il libertinaggio[3]. Fatto sta che nel settembre 1686, in occasione dei festeggiamenti per la presa di Buda agli ottomani, l’entusiasmo popolare esplode anche a Bassano, ed a farne le spese è proprio il teatro, «dal popolo disfato et portati li materiali in piazza, consumati con il fuoco per allegrezza» [4]. Il rogo degli arredi del teatro sembra una sorta di riappropriazione della dimensione spettacolare legata al rito ed alla festa, prevalenti negli strati popolari della popolazione cittadina e delle campagne circostanti. La spettacolarità popolare si articolava nelle diverse forme della sacra rappresentazione, dalle processioni alla celebrazione della settimana santa[5], oltre che in una serie di mestieri o arti minori esercitati per lo più da girovaghi, che si esibivano nelle occasioni di grandi raduni di persone, fiere, mercati o feste patronali, sempre circondati da quell’aura di diffidenza tipica degli stanziali nei confronti dei nomadi. “Edifizi di burattini” venivano eretti in luoghi popolari di spettacolo come le piazze o le osterie, dove si esibivano anche, soprattutto in occasioni festive o di mercato, compagnie di saltimbanchi, compagnie comiche volanti, saltatori di corda, bande musicali erranti, cantanti girovaghi, conduttori di orsi, di scimmie e di altri animali, giganti, nani, possessori di pulcinelli e marionette con piccole lotterie, ciarlatani. Le forme dello spettacolo popolare si mantengono simili a se stesse per molti secoli come la società tradizionale di cui rappresentano uno degli aspetti, anche se a motivo della loro appartenenza alla cultura orale possediamo scarsa documentazione storica sui modi delle rappresentazioni. Questa teatralità popolare si incontrava con quella dei nobili solo a carnevale, periodo deputato alle rappresentazioni di opere in musica e solo secondariamente di commedie. Dopo il rogo degli arredi teatrali di Palazzo Pretorio, per quasi cinquanta anni non abbiamo notizie riguardanti il teatro a Bassano, fino all’edificazione di un nuovo teatro sul retro di palazzo Brocchi in località Bastion. L’impresa viene avviata da Virgilio Brocchi più o meno negli anni in cui veniva edificato il teatro di Feltre, tra il 1730 e il 1735. Si tratta di un teatro privato, una impresa di cui il Brocchi condivide la proprietà, prima con il socio Castellotti, poi dopo la sua morte ed alcuni passaggi di proprietà, con Marinoni. Ancora una volta influenzate dagli usi veneziani, alcune nobili famiglie individuano nel teatro un modo per investire risorse economiche e trarne degli utili. è la stagione della grande imprenditoria teatrale privata, con la vasta popolarità di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi per la commedia, e di Baldassarre Galuppi e Antonio Vivaldi per l’opera in musica. Le notizie storiche ci raccontano di un classico teatro all’italiana, con 3 ordini di 19 palchi ciascuno, stretti e collocati secondo l’uso veneziano a ferro di cavallo in modo da ricavare il maggior numero di posti nello spazio disponibile. L’impresa Brocchi Marinoni procede per molti anni, e da alcuni indizi sparsi possiamo dire che si caratterizza per una certa attenzione alle novità ed alle mode teatrali. Nel 1741 va in scena l’Orlando furioso di Antonio Vivaldi[6], opera che aveva debuttato nel 1727 a Venezia, ripresa a Bergamo e Vicenza nel 1738 e ad Este nel 1740[7]. In questo caso l’opera è relativamente datata, forse parte del repertorio di una compagnia viaggiante che si spostava di stagione in stagione nei centri della terraferma. Diverso è il caso del libretto di Carlo Goldoni L’Arcadia in Brenta, presentato in una sorta di anteprima al teatro Brocchi nel 1747 nella versione musicata da Vincenzo Legrenzio Ciampi, prima di debuttare con le musiche del più noto Baldassarre Galuppi nel 1749 al Teatro Sant’Angelo di Venezia[8]. Non sappiamo se i proprietari del teatro fossero anche impresari, se si occupassero di scegliere gli artisti e i titoli da rappresentare, come succedeva in alcuni casi a Venezia, oppure se affidassero a dei professionisti la gestione della stagione. Per circa altri cinquanta anni restiamo senza notizie sul teatro a Bassano fino al 19 aprile 1790, quando in una grande sala nelle proprietà Remondini dietro Contrà delle Grazie viene istituita la società Filarmonica. In questa costituzione leggiamo i segni di una trasformazione in atto in quegli anni nella gestione dei teatri, con il raggrupparsi di persone associate per finalità culturali prima che economiche. Il teatro sta in quegli anni tornando ad essere un luogo di elaborazione di idee ed aspirazioni a nuovi modelli che ricercano una parentela con quelli classici, come si legge nel Confronto del teatro antico col moderno pubblicato da Francesco Milizia nel 1771[9]. Proprio a Bassano verrà dato alle stampe il volume di Francesco Riccati, Della costruzione de teatri secondo il costume d’Italia vale a dire divisi in piccole logge,[10] che si colloca nell’ambito di un vivace dibattito sulla forma della sala, le dimensioni e la forma dei palchetti, la presenza di logge o di gradinate “all’antica”, accompagnando la discussione sulle modalità della rappresentazione e le trasformazioni dell’arte scenica nel secolo dell’Illuminismo. La ventata di rinnovamento che attraversa l’Europa soffia pure su Bassano, grazie anche all’influenza di Abbondio Rezzonico. Il nobile veneziano ha seguito a Roma lo zio Carlo, eletto papa Clemente XVII, ricoprendo fin da giovanissimo importanti incarichi, ed ha raccolto intorno a sé un circolo di artisti di cui diviene il mecenate. Tra di loro c’è l’architetto Giacomo Quarenghi, che sta realizzando per lui la Sala da musica in Campidoglio, e il giovane Antonio Canova, che partecipa nel 1778 all’aggiornamento ed alla decorazione di villa Rezzonico a Bassano. A Quarenghi, prima o dopo il suo trasferimento a san Pietroburgo a servizio dello Zar, Abbondio Rezzonico rivolge la richiesta di un progetto per un nuovo teatro a Bassano[11]. Quarenghi elabora successivamente due progetti, di cui il primo è certamente il più innovativo, un ibrido tra il teatro con le gradinate “all’antica” e il teatro a palchi all’italiana. L’architetto ha l’intuizione di scandire i palchi con un ordine gigante di colonne, collocando la cavea con una serie di gradinate al posto della platea. Il palcoscenico è ampio, sopra l’atrio si trova una capiente sala accademica, la monumentalità dell’esterno ne fa un vero e proprio tempio laico delle muse. Il primo progetto si scontra con la realtà dei fatti, dimostrandosi troppo impegnativo secondo le valutazioni dei potenziali finanziatori e troppo ingombrante per l’area a disposizione. Ma la ricerca di una soluzione non si arresta, e si arriva il 19 giugno 1802 alla pubblicazione di un avviso firmato da Giacomo Bauto. «Tramontato essendo il progetto proposto dal Nobile Signor Basilio Dottor Baseggio per la costruzione d’un Teatro esibisco io Giacomo Bauto un disegno simile in figura all’esibito dal suddetto Nobile Signore, colla sola differenza, che l’Area del mio è di soli piedi 100 di lunghezza e di 55 in larghezza. […] Le Loggie saranno fornite come nel primo progetto, e lo Scenario avrà le dieciotto Scene indicate nel mio. Vi saranno 21 Loggie per ordine, e il loro prezzo sarà considerevolmente minore del Primo Progetto. Il Pian-terra avrà 20 Loggie»[12]. Il nuovo teatro verrà edificato nel terreno posto in Contrà delle Grazie, in parte occupato da costruzioni fatiscenti di proprietà di Federico e Pietro Remondini. Sembra però che inizialmente il progetto Bauto sia solo una soluzione provvisoria, per avviare la costituzione del Corpo Accademico e le pratiche per l’acquisizione dell’area e per la richiesta delle autorizzazioni da parte delle autorità, in attesa di un secondo progetto da parte di Giacomo Quarenghi[13] (fig.1).

1TeatroSocial

1. Giacomo Bauto, il Teatro Sociale, facciata esterna. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. L’architetto bassanese presenta nel 1802 un progetto simile a quello non eseguito di Giacomo Quarenghi, con uno spazio interno più piccolo ed una serie di palchi analoghi.

Infatti, il progetto presentato riceve l’adesione di numerosi bassanesi che, acquistando una o più delle 83 logge disponibili, diventano comproprietari dell’erigendo teatro. Anche Bassano si trova a partecipare al passaggio della proprietà dei teatri dai singoli impresari alle società di palchettisti, fenomeno che caratterizzerà l’Ottocento italiano. Quarenghi invia da San Pietroburgo un secondo progetto attenendosi «alla lettera alle dimensioni mandatemi ed alle idee di chi è alla testa di questa faccenda» e chiedendo un supporto operativo all’amico veneziano Gian antonio Selva, vincitore del concorso per la progettazione del Teatro La Fenice di Venezia inaugurato nel 1792[14]. Nell’estate 1803, ottenuta l’autorizzazione dall’autorità e acquisito il fondo Remondini, si arriva però ad un giudizio definitivo di Selva sulla «...impossibilità di adattare tale Disegno tanto per la località stabilita quanto per esser non corrispondente alle viste economiche di questo Corpo»[15]. Si decide allora di riprendere il progetto Bauto, di sottoporlo al vaglio di eminenti architetti come Ottone Calderari e Giovanni Maria Soli per trovare una soluzione che permetta la realizzazione del teatro nell’area scelta e con un investimento accettabile da parte dei finanziatori. A fianco dell’architetto bassanese Bauto il nobiluomo Basilio Baseggio sarà garante dell’impresa di edificazione, ruolo che diventerà sempre più consistente con il procedere del cantiere, spesso in conflitto con le opinioni del pubblico perito nominato dal Corpo Accademico «almeno per verificar le fatture eseguite ogni volta prima di esborsar una rata»[16]. Nel 1804 iniziano i lavori che, tra alterne vicende, perizie, polemiche e solleciti di pagamento, procedono fino al 1807, quando, a fabbrica ancora non del tutto completa, il teatro per la prima volta viene aperto al pubblico per i festeggiamenti in occasione dell’onomastico di Napoleone (fig.2).

2Teatrosociale

2. Giacomo Bauto e Francesco Bagnara. Il Teatro sociale, interno. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. La fotografia documenta il teatro di primo Ottocento, prima della demolizione dei palchi e la sua trasformazione in Cinema Astra.

Alla fine del 1810, il corpo accademico dà il benservito a Basilio Baseggio ed affida ad un nuovo perito, Pietro Bressan, il compito di stimare i lavori necessari per la conclusione dell’opera. Grazie ad un accordo con la società dei Filarmonici, al teatro vengono annessi altri spazi ed un accesso più ampio acquistando parte della proprietà Pilloni che si trovava ad ovest del teatro. Il 21 settembre del 1811[17] si inaugura il teatro con il Don Papirio ossia la donna di più caratteri di Carlo Pietro Guglielmi su libretto di Giuseppe Palomba. La grande aspettativa del pubblico bassanese, che già nel pomeriggio si assiepava davanti ai cancelli, non viene delusa e la rappresentazione vede gli artisti “festeggiatissimi” dal pubblico. La compagnia di canto non comprende nomi di prima grandezza, anche se probabilmente affiatati: Giacinta Guidi Canonici, Luigi Pacini, Giuseppe Galletti, Annunziata Bernichelli, Cesare Massa, Gioacchino Benincasa[18]. La stagione lirica prosegue con regolarità ogni autunno, seguendo l’avvicendarsi delle novità, passando dalla presenza massiccia di Rossini a Bellini e Donizetti, sempre con attenzione da parte del Corpo Accademico a non trascurare i cosiddetti autori minori, Pacini, Mercadante e gli autori della scuola vicentina, da Apolloni ai Coronaro. Nel 1835 terminano una serie di lavori di rinnovamento del teatro, che comprendono una nuova decorazione commissionata al vicentino Francesco Bagnara[19], a cui Fasoli[20] attribuisce già le scene e l’ornato della decorazione per l’inaugurazione del 1811[21]. Alla fine degli anni' 30 inizia anche a Bassano la stagione delle grandi novità verdiane, che ad esclusione di Otello e Falstaff transiteranno tutte sulle scene del Sociale. Durante tutto l’Ottocento, la Presidenza del teatro scelse di evitare di rincorrere i grandi nomi, preferendo seguire le novità in campo musicale, e diede la possibilità al pubblico bassanese di partecipare ai movimenti artistici e culturali dell’epoca. Questo permise anche una attività di opera e balletto tutto sommato regolare, evitando le chiusure così frequenti nella storia dei teatri lirici italiani dell’epoca. Per il balletto segnaliamo Il Conte di Montecristo, su musiche di Paolo Giorza[22] e coreografie di Giuseppe Rota, che nel 1858 raccoglie grande successo in diversi teatri italiani tra cui quello bassanese. Il secolo si chiude con il successo della nuova scuola italiana, con Bohème di Puccini, seguito dalle opere di Mascagni, Leoncavallo, Giordano e Cilea, successo che prosegue alla presenza di orchestre sempre più robuste con Boito fino al Lohengrin di Wagner che nel 1911 celebra il centenario del teatro fino alla sospensione dovuta alla Prima Guerra Mondiale. Il teatro di prosa, secondo la precisa registrazione effettuata da Maria Teresa Bizzotto su documenti ad oggi dispersi[23], vede alcune stagioni fortunate brillare su un andamento medio faticoso, con presenze discontinue. La permanenza delle compagnie, secondo l’uso dell’epoca, durava anche un mese, con un diverso titolo ogni sera, o la ripetizione dei titoli che incontravano favore di pubblico. Gli autori noti, Goldoni, del Bon, Sografi, il patriota Dall’Ongaro, autore del celebre Il Fornaretto di Venezia, si alternavano ad autori sconosciuti che firmavano farse ed arrangiamenti. Nelle cronache tenute puntualmente dal responsabile incaricato della Presidenza si riporta ogni tanto il termine del gergo teatrale “forno”, che significa “Introito al disotto dello zero”[24]. Tale esito poteva essere giustificato dalla cattiva qualità delle compagnie secondarie, se Giobatta Baseggio arriva a scrivere nel 1848 a proposito della Compagnia Panichi-Livini: «Non ho mai avuto Compagnia Comica che mi faccia delirare come questa. Introitarono oltre 8.000 Lire austriache contro ogni merito e non pertanto dilaniavano sempre il paese. Bricconi! Cani tutti... e cani degni d’esser fulminati con pomi e ova toste»[25]. L’altra faccia della medaglia è il grande successo di prestigiose presenze, da Gustavo Modena nel 1840 con la compagnia di Eduardo Majeroni alla “somma attrice drammatica” Adelaide Ristori che il 26 maggio 1841 presenta una sua serata d’onore, a Francesco Augusto Bon che raccoglie il tutto esaurito tornando negli anni Cinquanta con i vari capitoli della trilogia di Ludro. Dalla ripresa delle stagioni nel 1892, dopo una seconda tornata di restauri, per evitare l’incostante qualità delle proposte, le scritture per l’intera stagione vengono sostituite da contratti più brevi ma di maggior qualità con compagnie primarie[26]. Emilio Zago, Giacinto Gallina, Ferruccio Benini, esponenti del teatro veneto, si alternano ad Ermete Zacconi, Ettore Berti, Mario Fumagalli, Ermete Novelli, Virgilio Talli, Irma Gramatica, fino al grande successo, degli anni precedenti la Guerra, del repertorio dannunziano. Nel 1894, il Politeama Donizetti rappresenta una novità nel panorama teatrale cittadino, proponendosi nella nuova forma di un teatro adatto a quelle opere che non poteva ospitare il Sociale, con la sostituzione dei palchetti con i loggioni secondo la tendenza moderna. Ma la mediocrità dell’acustica portò alla chiusura dopo poco tempo senza che la parentesi lasciasse traccia nella vita culturale di Bassano[27]. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la crisi che investe l’organizzazione operistica italiana non risparmia la società del teatro bassanese, che nel 1920 viene commissariata, rinunciando ad una stagione operistica regolare, pur mantenendo illustri quanto più rarefatte presenze come quella di Mafalda Favero interprete nel 1929 della Manon di Massenet. Si salvano gli spettacoli di operetta e soprattutto di prosa, con il grande successo del teatro veneto di Cesco Baseggio e Carlo Micheluzzi. Nel 1940 il teatro viene venduto a Dino Tapparelli[28]. Le ultime serate straordinarie presentano La Lucia di Lammermoor di Donizetti interpretata nel 1941 da Lina Pagliughi, Il Barbiere di Siviglia di Rossini nel 1942 con Toti Dal Monte e la Tosca di Puccini nel 1941 con Tito Gobbi, baritono accolto nel teatro della sua città d’origine da un entusiasmante successo. Riconosciuto come uno dei più grandi baritoni della sua generazione, Tito Gobbi[29], nasce il 24 ottobre del 1913. Trasferitosi a Roma diciannovenne, studia con il maestro Giulio Crimi, ed anche grazie all’incontro con Matilde De Rensis, che diventerà sua moglie, entra nell’ambiente musicale romano. Vince una borsa di studio presso la Scala di Milano, dove compie una intensa stagione di apprendistato, vince nel 1936 il concorso internazionale di canto a Vienna e debutta come attore cinematografico in una produzione italo-tedesca Condottieri di Luis Trenker[30], primo di una serie di 26 film. La sua interpretazione del ruolo di Germont ne' La Traviata di G.Verdi nel 1937 al Teatro Adriano di Roma lo porta al Teatro dell’Opera di Roma, dove forma il suo repertorio con la guida del maestro Tullio Serafin. Celebrato interprete di Verdi e Puccini, Gobbi nella sua carriera interpreterà più di 100 titoli, visitando i più importanti teatri del mondo con allestimenti ai massimi livelli. Sarà accanto tra gli altri a Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Renata Tebaldi e Mario Del Monaco. Alla fine degli anni ’70 abbandonerà le scene, dedicandosi alla regia ed all’insegnamento (fig.3).

3TitoGobbi

3. Tito Gobbi alla fine della sua carriera tiene anche a Bassano una Scuola per cantanti. Qui è ripreso mentre riceve da Pietro Fabris una artistica pergamena redatta da Giorgio Tadiello dopo l’esibizione dei cantanti della sua Scuola al termine del primo corso.

La collezione dei suoi costumi, donati nel 1979 al Museo Civico di Bassano, permette di ripercorrere a ritroso la storia del teatro lirico degli ultimi 50 anni e le tappe della sua luminosa carriera[31] di cantante, interprete ed attore, personalità difficilmente riscontrabile tra le figure del baritono italiano. Morì a Roma il 5 marzo 1984. Nel frattempo, alla fine della guerra il Teatro Sociale, usato come prigione dopo il rastrellamento del Grappa, subisce un radicale intervento di trasformazione. Su progetto dell’architetto Francesco Bonfanti, viene rifatto il palcoscenico, ampliata la platea, vengono eliminati i quattro ordini di palchi e prolungata la galleria con la soppressione della sala delle riunioni posta sopra l’atrio. Nel 1949 viene inaugurato al posto del Teatro Sociale, di cui conserva solo la facciata e poco altro, il nuovo cinema Astra di Bassano, con il film Giovanna d’Arco di Victor Fleming. [32] A fianco della programmazione cinematografica si sono svolte ancora, fino alla chiusura del 2009, stagioni di teatro di prosa promosse dall’ente locale in alcuni periodi in collaborazione con l’Associazione Amici del Teatro, e varie produzioni liriche. A dispetto della mancanza di un teatro storico, o forse proprio per questo, a Bassano dal 1991 si è attivata una formula innovativa di cartellone culturale. Grazie all’impulso di Opera Estate Festival Veneto, Bassano è diventato fulcro di un programma che si diffonde nel territorio, in piazze, giardini, ville e castelli di numerose sedi diverse nel Veneto (fig.4).

4Operaestatefestival

4. Le rappresentazioni di Operaestatefestival sono molto apprezzate dal pubblico. Qui uno spettacolo nell’ex Caserma Cimberle Ferrari .

La chiusura del saggio sul teatro di Bassano che nel 1980 Remo Schiavo stendeva per la Storia di Bassano sembra profetica: “E’ probabile che la futura vita teatrale di Bassano, come di tante altre città, debba ritornare sulle piazze come dalle piazze con le sacre rappresentazioni era partita tanti anni addietro”[33]. Nel 2010 a Bassano le attività teatrali trovano sede in diversi luoghi (fig.5).

5spettacoloOperaestateFestival

5. Uno spettacolo di OperaestateFestival nel teatro all’aperto del Cortile dell’Ortazzo. Il Castello degli Ezzelini consente la migliore fruibilità degli spettacoli in una cornice assolutamente prestigiosa e funzionale.

È il caso delle sale parrocchiali, tra cui la sala J. Da Ponte del Centro Giovanile della parrocchia di Santa Maria in Colle del 1961 e il Teatro Remondini, inaugurato nel 2007 dopo una completa ristrutturazione del teatro parrocchiale della Santissima Trinità e che ospita la stagione di teatro di prosa promossa dal Comune di Bassano, o gli spazi utilizzati da Opera Estate, tra i quali l’allestimento del castello degli Ezzelini per danza (fig.6),

6operaliricaPalazzetto

6. Allestimento di un’opera lirica nel Palazzetto dello Sport di Santa Croce. La scelta del Palasport per gli spettacoli lirici consente un’ampia partecipazione di pubblico durante il periodo invernale e si rivela apprezzato per le possibilità offerte alle diverse regie delle opere.

prosa e musica o il Garage Nardini per il teatro di ricerca, e il palazzetto dello sport di Santa Croce per la lirica. Forse non si tratta in senso stretto di piazze, ma con l’avvento del terzo millennio il teatro è decisamente uscito dai confini dei teatri, esplorando e rileggendo l’ambiente urbano e naturale come luogo di interazione sensibile tra il corpo ed i sensi di spettatore e performer. Gli esiti di questa rilettura hanno portato ad un nuovo approccio verso il recupero dei teatri storici, partendo dal recupero intellettuale prima ancora che materiale, di quella realtà storica rappresentata dall’edificio teatrale, luogo di sedimentazione di specifiche conoscenze tecniche ma anche ambito produttivo di azioni culturali[34], e luogo di tessitura di relazioni attraverso le quali le comunità e le città si rappresentano, sentono ed esprimono la metafora di se stesse.

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