Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Negli ultimi anni di guerra gravissimi danni vennero inferti alle principali infrastrutture viarie e al tessuto urbano, interrompendo le comunicazioni tra le due sponde del Brenta e costringendo molti degli abitanti ad abbandonare gli edifici distrutti o inagibili. L’apparato industriale subì invece danni tutto sommato lievi: i bombardamenti alleati provocarono la distruzione di un calzaturificio e di una fabbrica di componenti per biciclette, danni gravissimi a una fabbrica di ovatta e a uno stabilimento orafo, mentre una segheria e un altro calzaturificio furono colpiti solo leggermente. I nazisti in fuga incendiarono poi alcuni stabilimenti[18], ma le fabbriche maggiori furono risparmiate, in particolare grazie all’azione del Comitato di Liberazione clandestino che alla Smv nell’aprile del 1945 organizzò squadre di vigilanza per impedire la distruzione o il trasferimento degli impianti da parte dei tedeschi in ritirata. Nel 1951 il censimento della popolazione e quello dell’industria e del commercio fotografavano la situazione demografica ed economica della città a più di sei anni dalla fine della guerra. La popolazione risultava aumentata non solo rispetto all’ultimo censimento, quello del 1936, ma anche rispetto al numero di abitanti che l’ufficio anagrafe stimava residenti in città nel 1945[19]. All’interno dei confini comunali, appariva evidente il progressivo spopolamento delle frazioni collinari e di pianura a vantaggio del centro storico. Le cause del processo di urbanizzazione vanno attribuite da un lato al progressivo ridimensionamento delle attività agricole, dall’altro all’affermarsi di nuove necessità legate alla diffusione di stili di vita e di standard abitativi più moderni. Soltanto nel corso degli anni Cinquanta divenne infatti possibile portare l’acqua potabile e la corrente elettrica in tutte le frazioni. Il parallelo miglioramento delle strade comunali e la diffusione dell’automobile contribuirono nei decenni successivi a frenare gradualmente il processo di spopolamento, che comunque non si arrestò. A un calo costante della quota di addetti all’agricoltura, nel corso degli anni Trenta e Quaranta aveva fatto riscontro una crescita degli occupati nell’industria solo di poco superiore alla crescita della popolazione, e una lieve diminuzione della quota relativa al commercio[20]. Il censimento del 1951 coglieva di fatto l’economia bassanese ancora impegnata nella soluzione delle difficoltà del dopoguerra, come mostra l’alto numero di persone che dichiaravano di essere in cerca di occupazione (1306, pari all’11,5% della popolazione attiva), numero che peraltro molto probabilmente sottovalutava la dimensione del problema[21]. Al problema della mancanza di impiego si tentò di dare una soluzione non solo attraverso i lavori pubblici finanziati dallo Stato, ma anche favorendo l’espulsione della manodopera femminile impiegata durante la guerra nelle fabbriche[22]; tuttavia soltanto lo sviluppo economico degli anni Cinquanta avrebbe consentito di superare completamente le difficoltà occupazionali. La quota di addetti all’industria nel comune di Bassano (46,1%) risultava comunque nel 1951 in linea con la media dell’Italia settentrionale, ma decisamente superiore a quella regionale. Il panorama era dominato dalle industrie metallurgiche e meccaniche, tra le quali accanto alla Smv spiccavano la fabbrica di biciclette Wilier Triestina e la Carrozzeria Pietroboni[23]. Altre industrie meccaniche e orafe di piccole e medie dimensioni contribuivano a fare del settore metalmeccanico il comparto principale di attività, con oltre la metà (52%) degli addetti all’industria. Seguiva a distanza il tessile e abbigliamento (18,8%) e soprattutto l’industria delle calzature, che utilizzava pelli e cuoio lavorati dalle numerose concerie presenti in città (8,2%). Anche la lavorazione del legno (5%) e le ceramiche con l’edilizia (7,2%) costituivano settori in espansione[24]. Nel corso degli anni immediatamente successivi, a rafforzare una struttura industriale che nel censimento mostrava ancora i segni della ricostruzione, sorsero nuove aziende, talora fondate da tecnici formatisi all’interno della Smv, in altri casi per iniziativa di imprenditori esterni attirati a Bassano dalla presenza di manodopera specializzata[25] (fig.5).

5Zonaindustriale

5. Zona industriale di viale Vicenza. E’ una delle tante zone produttive previste nel PRG, inserite nelle zone periferiche per meglio consentire lo sviluppo delle stesse, mantenendo le lavorazioni in zona.

Accanto a industrie attive nella produzione di mobili, lavelli, cucine e corpi scaldanti in metallo, spiccava la presenza di fabbriche di macchine utensili e semilavorati metallici, primo segnale della formazione di un distretto meccanico specializzato, capace di sostenere la modernizzazione di quelle attività tradizionali o di nicchia che in quello stesso periodo iniziavano a mostrare notevole vitalità: alle fabbriche di ceramica, alle distillerie, ai mulini e ai pastifici si affiancarono infatti nuove aziende specializzate nella lavorazione del pollame e nella fabbricazione di penne stilografiche, di articoli da fumo, di carrozzerie per auto, e ancora nell’oreficeria e nella riproduzione di mobili antichi[26]. Non mancarono situazioni di difficoltà, come quelle attraversate dalla fabbrica di biciclette Wilier Triestina, che a partire dal 1949 diede avvio a una serie di licenziamenti che ridussero progressivamente a una settantina i cinquecento operai che vi erano impiegati[27]. Ciononostante, nella seconda metà degli anni Cinquanta l’economia bassanese appariva «sana, fiorente e soprattutto sicura per il suo ciclo quasi completo, integrante e continuo in un quasi automatico avvicendamento»[28]. Il problema della disoccupazione risultava di conseguenza decisamente ridimensionato: se nel 1956 i disoccupati residenti nel comune di Bassano iscritti nelle liste dell’Ufficio di collocamento erano circa 900, nel 1960 divennero poco più di 600, tanto che per i cantieri di lavoro organizzati con il contributo dello Stato dall’amministrazione comunale non sempre si trovavano «operai in numero sufficiente»[29]. Alla saturazione della disponibilità di forza lavoro all’interno dei confini comunali corrispose una notevole immigrazione, soprattutto dai paesi della Valbrenta, ma anche da altri comuni della provincia, alla quale si affiancò un forte aumento del pendolarismo. Va sottolineato che il processo di graduale diversificazione e articolazione della struttura industriale avviato in questa fase non fu caratterizzato dalla proliferazione di piccole imprese, quanto piuttosto dalla trasformazione in senso industriale di attività che prima avevano per lo più dimensione artigianale e dall’insediamento di nuovi stabilimenti di media dimensione: un confronto tra i dati dei censimenti industriali del 1951 e del 1961 mostra infatti un deciso aumento della dimensione media delle imprese, che spiega quasi da solo la forte crescita degli addetti all’industria, tale da fare di Bassano un centro dalla pronunciata caratterizzazione industriale, con più della metà della popolazione attiva impiegata nel settore secondario[30]. L’agricoltura conobbe dal canto suo negli anni Cinquanta un significativo aumento della produttività, grazie soprattutto alla razionalizzazione delle colture e dei metodi di coltivazione, cui corrispose un progressivo abbandono delle terre meno fertili, soprattutto in montagna e in collina, e la parallela riduzione della superficie coltivata, anche in seguito alla trasformazione di molte zone agricole in aree fabbricabili[31]. Queste dinamiche trovavano riscontro nei mutamenti registrati nella distribuzione geografica della popolazione all’interno del territorio del Comune, che pure risultava in forte crescita[32]. La popolazione era aumentata soprattutto nel centro abitato cittadino, i cui limiti si venivano progressivamente estendendo fino a saldarsi con le frazioni più popolose della pianura e della valle del Brenta, dove si erano insediate alcune attività industriali (è il caso di Campese) (fig.6);

6ZonaindustrialeCampese

6. Zona industriale di Campese.  La nuova zona industriale fu decisa per mantenere in loco le maestranze della frazione e i lavoratori della Valbrenta. Essenziale la sua vicinanza con la superstrada Valsugana.

le frazioni montane erano invece caratterizzate da un processo di vero e proprio spopolamento, determinato soprattutto dall’emigrazione verso altre regioni o verso l’estero.    

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