Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Come si è visto, nella seconda metà degli anni Cinquanta Bassano appariva decisamente avviata sulla strada di una crescita costante, sia dal punto di vista demografico che da quello economico, complici le prime avvisaglie del “miracolo economico”, come sottolineavano le relazioni presentate al Convegno economico mandamentale tenutosi in città l’8 ottobre 1956, da cui sono ricavati in parte i dati citati nel paragrafo precedente[33]. È possibile chiedersi a questo punto quale ruolo svolse la politica locale in questa fase di sviluppo. Dalla documentazione municipale emerge chiaramente che gli interventi del Comune in campo industriale ebbero negli anni Cinquanta una funzione di semplice accompagnamento di quello che appare uno sviluppo spontaneo: si garantirono, certo, le opere di urbanizzazione necessarie all’insediamento di nuove industrie, attirate dalla presenza in città di infrastrutture e di manodopera specializzata, ma si trattò quasi sempre di scelte operate in risposta alle sollecitazioni provenienti dal mondo produttivo più che di provvedimenti consapevolmente programmati[34](fig.7).

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7. Zona commerciale-artigianale di Quartiere Prè. Prevista in vicinanza della tangenziale sud di Bassano, frutto di un accordo pubblico-privato ed inserita nel PRG.

Contributi a fondo perduto vennero assegnati soprattutto a iniziative volte a contenere la disoccupazione o a risolvere situazioni di crisi, come quella che aveva investito la Wilier Triestina[35]. Considerazioni più articolate merita l’azione svolta dal Comune in campo edilizio e urbanistico: nel corso del decennio, infatti, la città aveva conosciuto una fortissima espansione edilizia, dovuta soprattutto alla decisa ripresa dell’attività privata, che nel solo 1955 aveva aggiunto al patrimonio abitativo cittadino più di un migliaio di nuove stanze[36]. Un maggiore e più articolato sviluppo urbano incontrava però un limite nella «difficoltà di usufruire dei servizi pubblici»[37]. Lo sforzo posto in atto dall’amministrazione negli anni Cinquanta per adeguare infrastrutture e servizi ai bisogni crescenti di una popolazione in aumento e alle moderne esigenze della vita quotidiana appare caratterizzato dall’abbandono dei progetti di estensione della rete tranviaria e ferroviaria concepiti nell’immediato dopoguerra, in favore di un ammodernamento capillare della rete stradale e di un ampliamento dell’acquedotto e della fognatura in risposta al continuo allargamento dell’abitato. In tal modo, l’intervento pubblico si limitava tuttavia ad assecondare le tendenze in corso verso una espansione dei consumi di beni durevoli legata allo sviluppo del trasporto privato e alla corsa all’abitazione di proprietà. I rischi impliciti in questa impostazione apparivano evidenti alla stessa classe dirigente democristiana, che a partire dal 1946 governò ininterrottamente e da sola il Comune fino agli anni Novanta[38]. Apertamente riconosciuta era anzi l’urgenza di predisporre e rendere operante un Piano Regolatore, in quanto «fondamentale elemento organizzatore e coordinatore della forza espansiva di Bassano, espansione che esso si incaricherà di disciplinare e correggere»[39]. Ciononostante, ogni tentativo di adottare questo fondamentale strumento di pianificazione urbanistica negli anni Cinquanta e Sessanta fallì, e il problema fu risolto soltanto nei primi anni Settanta. Proprio il dibattito che precedette e seguì la mancata approvazione del Piano Regolatore a Bassano nel 1959, documentato sia nelle relazioni sull’attività dell’amministrazione comunale che nelle carte dell’archivio municipale e nei verbali della sezione locale della Democrazia cristiana, consente di gettare uno sguardo ravvicinato sulle dinamiche che determinarono il peculiare atteggiamento adottato dagli enti locali di fronte ai problemi creati dallo sviluppo spontaneo degli anni Cinquanta: la vicenda bassanese può offrire in questa prospettiva più di uno spunto per comprendere la complessità e le contraddizioni di una crescita economica che solo apparentemente risulta lineare. Che cosa impedì dunque all’amministrazione comunale di adottare il progetto di Piano Regolatore infine presentato al Consiglio comunale nel 1959? In primo luogo, va detto che un piano comunale non appariva lo strumento più adatto a governare una situazione come quella di Bassano, caratterizzata da uno sviluppo urbano che ormai aveva debordato dai confini amministrativi. Il Piano Regolatore, così come concepito dai progettisti che l’avevano steso, imponeva infatti forti vincoli all’edificazione, limitando lo spazio lasciato all’iniziativa privata. Il rischio era quello di favorire lo spostamento dell’attività edilizia e industriale nel territorio dei Comuni contermini, che non avevano ancora avviato alcun tentativo di regolamentazione degli usi del suolo: questa preoccupazione accomunava i diversi esponenti di quella multiforme coalizione di interessi che concretamente impose all’amministrazione di rinviare l’adozione del piano. D’altro canto, l’amministrazione stessa era fortemente sensibile alla minaccia di una fuga degli investimenti, paventata dai gruppi di interesse più legati alla speculazione edilizia, dalle aziende di costruzioni fino ai grossi proprietari di terreni e immobili e ai liberi professionisti, affiancati con decisione dai tecnici comunali e dagli esponenti politici che quotidianamente si confrontavano con richieste di lottizzazione e di nuove costruzioni[40]. Alla netta opposizione di questi soggetti all’imposizione di norme ritenute antieconomiche si aggiungevano poi le proteste dei rappresentanti delle frazioni esterne al centro urbano e alla sua immediata periferia, che vedevano di fatto bloccata dal piano ogni possibilità di espansione e risultavano condannate a un progressivo spopolamento. L’ostinata indifferenza della programmazione urbanistica verso l’identità delle frazioni si scontrava con la dinamicità di alcune di queste e soprattutto con il notevole peso politico che mantenevano, in quanto sicuro serbatoio di voti per il partito di maggioranza. Alle resistenze provenienti dai gruppi di interesse penalizzati dai freni che il piano avrebbe imposto allo sviluppo edilizio e industriale si sommava quindi l’insoddisfazione di una parte degli abitanti del comune, cui appariva preclusa la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita senza spostarsi in città. Questa contraddizione verrà risolta con l’adozione del Piano Regolatore nel 1969 (fig.8).

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8. Nuovo centro di Sant’Eusebio. Una decisione del PRG è stata il rafforzamento delle frazioni con integrazioni, varianti ed aumento dei servizi onde mantenere l’identità e la consistenza delle frazioni stesse. Questo è valzo anche per San Lazzaro, San Michele, Marchesane, Valrovina e Campese.

Per giungere a una pianificazione dello sviluppo urbano che tenesse conto delle esigenze di tutte le aree comprese nel territorio del Comune si dovette infatti attendere un altro decennio, durante il quale l’espansione edilizia a macchia d’olio continuò a un ritmo incalzante, accompagnata e indirizzata dal potere pubblico soltanto attraverso interventi diretti di acquisto di terreni o attraverso la costruzione di infrastrutture e servizi. Formalmente, l’amministrazione comunale risolse la questione rinviando alla formazione di un Piano Regolatore intercomunale con i municipi di Cassola, Romano d’Ezzelino e Pove: l’avvio delle relative procedure subì peraltro un ulteriore ritardo in seguito a un errore formale[41]. Nel frattempo, Cassola e Romano avviavano in maniera indipendente la stesura di propri piani di fabbricazione, e con l’assegnazione di nuove licenze edilizie nella zona di San Giuseppe di Cassola si chiudeva definitivamente il perimetro di costruzioni lungo il confine con Bassano[42]. Fu la necessità di prevedere nuove opere viarie di circonvallazione del centro urbano, che data la configurazione dell’abitato avrebbero inevitabilmente dovuto attraversare il territorio dei Comuni vicini, a spingere l’amministrazione comunale di Bassano a riprendere l’iniziativa bandendo nel 1964 un concorso internazionale di idee per la stesura di un nuovo piano intercomunale, chiusosi nel marzo 1966. In ottemperanza all’obbligo stabilito dalla legge 765/1965 per tutti i comuni di dotarsi di un Piano Regolatore, nell’ottobre 1967 ai vincitori del concorso veniva infine affidato l’incarico di procedere alla elaborazione di un piano di pertinenza comunale, da stendersi tuttavia tenendo presenti le indicazioni dei progettisti incaricati dai Comuni di Cassola e Romano e da quello di Rosà di redigere i rispettivi piani di fabbricazione. La regolamentazione degli usi del suolo, che negli anni Cinquanta appariva un’occasione per indirizzare lo sviluppo, divenne così alla fine degli anni Sessanta un’esigenza improcrastinabile, non soltanto in seguito alle nuove disposizioni di legge: come si vedrà, nel corso di quel decennio la fisionomia stessa della struttura economica locale si era venuta modificando, ponendo con urgenza la necessità di una programmazione degli interventi pubblici. 

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