Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Se le linee di questa evoluzione possono risultare evidenti a posteriori, va però tenuto presente che la situazione doveva apparire ben più instabile e incerta durante quella che si può ben definire una fase di transizione: di qui l’esigenza fortemente sentita di un governo più consapevole delle trasformazioni in corso, che trovò espressione anche a livello locale nel tentativo di avviare una programmazione economica che coinvolgesse le diverse parti sociali e le amministrazioni comunali del comprensorio. Il dibattito svoltosi in occasione della Tavola rotonda organizzata nel 1968 aveva appunto il «fine ultimo di giungere, se possibile, ad una programmazione economica comprensoriale», della quale furono lì delineate le linee guida generali[59]. Si trattava, da un lato, di contenere il declino dell’agricoltura: l’istituzione di consorzi e di cooperative agroalimentari andava accompagnata con la costruzione delle necessarie strutture di servizio, dal macello comunale alla centrale del latte al mercato ortofrutticolo. Appariva inoltre necessario garantire scuole, strade e uffici pubblici a tutte le frazioni. D’altro canto, le continue minacce di ridimensionamento di organico provenienti dalla direzione della Smv potevano essere scongiurate a breve termine soltanto attraverso la concessione di finanziamenti e di agevolazioni da parte delle istituzioni pubbliche, così come era avvenuto proprio nel 1968. In prospettiva, una risposta più articolata alla crisi sempre più evidente della grande impresa prevedeva invece la valorizzazione del ruolo di Bassano come centro comprensoriale di servizi e come snodo di importanti vie di comunicazione, in quanto tale capace di attirare nuovi insediamenti industriali di dimensioni piccole e medie: valore strategico assumeva quindi la capacità di indirizzare in favore del Bassanese le scelte in materia di infrastrutture e di investimenti sul territorio effettuate a livello nazionale[60]. È in questo contesto che divenne non solo possibile ma anche urgente l’approvazione nel 1969 del piano regolatore, a partire da un nuovo progetto (fig.9).

9ZonacommercialeSCroce

9. Zona commerciale di Santa Croce. La foto aerea documenta la zona sud della città tra la Valsugana e il nuovo Viale De Gasperi in cui ha trovato spazio il maggior sviluppo della città (scuole, ospedale ed attività economiche).

Sebbene emanato in ottemperanza alla legge 765/1965, che imponeva a tutti i Comuni di dotarsi di questo strumento fondamentale di programmazione e regolamentazione degli usi del suolo, quel provvedimento rispondeva di fatto a tutta una serie di esigenze non più procrastinabili. Indispensabile appariva innanzitutto vincolare il tracciato delle nuove arterie stradali: la realizzazione della superstrada Valsugana verso Trento e della Pedemontana verso Thiene, da tempo in corso di progettazione a cura dell’Anas. Si temeva la concorrenza del progetto dell’autostrada della Valdastico, che avrebbe dovuto collegare direttamente Vicenza con Trento. Il Piano Regolatore prevedeva quindi nel dettaglio l’attraversamento del territorio comunale da parte della nuova “circonvallazione” e dislocava in prossimità di questa le aree destinate a nuove attività industriali e commerciali. I nuovi servizi di livello comprensoriale (le scuole superiori e gli impianti sportivi, ma anche la sede del futuro nuovo ospedale) venivano concentrati nell’area di Santa Croce, a sud del centro storico. La definitiva adozione del piano nel 1972 e l’avvio della costruzione del tratto di circonvallazione bassanese della superstrada, con le relative strade di collegamento, segnavano il successo della politica di programmazione perseguita nella seconda metà degli anni Sessanta, successo solo parzialmente inficiato dal mancato prolungamento degli assi superstradali verso sud e verso ovest. Resta da spiegare la capacità dimostrata dalla classe dirigente locale di avviare in breve tempo una politica di programmazione a lungo rinviata, capacità che contrasta con le difficoltà che i tentativi di regolamentazione urbanistica avevano incontrato in precedenza. Che cosa era cambiato a livello politico? Si trattava di un adeguamento a indicazioni provenienti dal centro oppure di una scelta strategica maturata a livello locale? La nuova impostazione data alla gestione dello sviluppo economico era il risultato di quella che appare di fatto una svolta cruciale nella politica bassanese, svolta che risulta invisibile se si considera soltanto la continuità della gestione monocolore democristiana, ma la cui importanza appare innegabile se si tiene conto dell’importanza politica assunta in quella fase dalle divisioni e dalle alleanze fra le “correnti” interne al partito cattolico. L’entrata in giunta dopo le elezioni comunali del 1964 di esponenti della corrente di sinistra sindacale legata alla Cisl, frutto di un mancato accordo sul nome del sindaco all’interno della corrente “dorotea”, tradizionalmente dominante nel Comune ma non nel circondario, aveva aperto la via a sviluppi potenzialmente imprevedibili. Alcuni fra i nuovi assessori premevano per una maggiore programmazione degli interventi pubblici, nella discussione dei quali avrebbero dovuto essere coinvolti anche i partiti di minoranza[61]. Il conflitto interno che ne seguì fu una delle cause, anche se non la principale, della mancata elezione del candidato al Parlamento designato a livello locale nel 1968, il sindaco Pietro Roversi. A quel punto, in una fase in cui decisioni determinanti per il futuro sviluppo della città dovevano essere prese a livello centrale, si poneva in maniera improcrastinabile il problema di individuare nuovi interlocutori nel Parlamento e nel governo sui quali far pressione per attirare risorse e attenzione in favore della città. Il sindaco Pietro Fabris si fece allora promotore di una strategia “unitaria”, fondata su un accordo fra i dorotei e la corrente di sinistra, il cui rappresentante provinciale, Onorio Cengarle, era stato eletto al Senato nel collegio di Bassano[62]. I due gruppi concordarono una ripartizione degli assessorati e delle responsabilità all’interno della giunta comunale, dove sarebbero stati definiti congiuntamente gli obiettivi sui quali tutti si impegnavano a mobilitare i rispettivi referenti nazionali e provinciali. Il governo della città rimaneva quindi stabilmente monocolore, ma finiva per configurarsi come il risultato di una coalizione tra correnti che avevano riferimenti sociali e orientamenti in senso lato ideologici profondamente diversi. L’amministrazione comunale poteva d’altro canto contare, anche in assenza di rappresentanti che fossero diretta espressione dal ceto politico locale, sulla capacità di attivare di volta in volta i legami politici più efficaci per attuare i progetti volti a promuovere lo sviluppo cittadino e a consolidare così il consenso elettorale maggioritario in favore del partito[63]. Leggere la svolta verso la programmazione economica come espressione di una innata capacità di “fare sistema” fondata sulla condivisione di “valori comuni” può quindi forse trovare qualche fondamento se riferita alla volontà di evitare di aprire la gestione della cosa pubblica a esponenti di partiti diversi da quello cattolico, ma non consente di comprendere le reali dinamiche politiche in atto. Queste mettono piuttosto in luce la necessità di individuare formalmente degli obiettivi di intervento condivisi tra le diverse componenti della Democrazia cristiana locale, obiettivi che potevano trovare espressione nel quadro della programmazione, e che diventavano il veicolo attraverso il quale la classe politica locale poteva continuare a esercitare un ruolo di intermediazione nei confronti del potere centrale, attirando verso la città gli investimenti pubblici indispensabili a garantirne lo sviluppo.   

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