Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La situazione economica dell’area bassanese nei decenni che precedono la Prima Guerra Mondiale appariva caratterizzata dal prevalere in città di attività commerciali e manifatturiere di dimensione piccola e media, cui corrispondeva nel circondario la netta prevalenza delle attività agricole, che assumevano carattere maggiormente specializzato nelle zone collinari (viticoltura) e nella Valbrenta (tabacco), ma che diventavano insufficienti a garantire il sostentamento della popolazione nelle zone montane. Accanto alla diffusione di attività manifatturiere a domicilio (in particolare per quel che riguarda la lavorazione della paglia nella zona di Marostica), l’emigrazione temporanea al di là del vicino confine con l’Impero Asburgico svolgeva in questa fase una fondamentale funzione nel garantire l’apporto di risorse esterne[11]. La fragilità di questo equilibrio divenne evidente nel corso dei mesi che separano lo scoppio della guerra in Europa (agosto 1914) dall’entrata dell’Italia nel conflitto (maggio 1915): migliaia di emigranti furono allora costretti a rientrare nei comuni di residenza, ponendo per la prima volta a livello locale la questione di una disoccupazione diffusa[12]. L’avvio della costruzione di un nuovo ponte sul fiume Brenta, in parte concepita in previsione dello sforzo bellico, e soprattutto la successiva chiamata alle armi risolsero solo temporaneamente quello che era un problema strutturale (fig.3).

3Pontenuovo

3. Ponte nuovo in costruzione. Bassano del Grappa. Museo Biblioteca Archivio. L’avvio della costruzione (1916) di un nuovo ponte sul fiume Brenta fu in parte concepita in previsione dello sforzo bellico e pose un limite alla disoccupazione del momento.

Nel dopoguerra, infatti, l’emigrazione non poté facilmente riprendere a causa degli esiti politici del conflitto e della rottura definitiva dell’ampia area economica dell’Impero asburgico. Negli anni successivi alla guerra esplosero inoltre fortissimi contrasti nelle campagne tra i mezzadri, che invocavano la trasformazione del contratto in affittanza, e i proprietari terrieri. La violenza squadrista e la presa del potere da parte del partito fascista imposero lo scioglimento delle leghe contadine “bianche” (legate al Partito Popolare) e la restaurazione degli antichi patti agrari, ma comportarono anche l’espulsione dalle terre di numerosi mezzadri ribelli[13]. Il consolidamento in ambito locale del nuovo regime richiedeva una risposta al problema della disoccupazione che non fosse semplicemente repressiva: la soluzione al problema fu individuata a livello politico nello sviluppo dell’industria locale, sfavorita in particolare dalla scarsità di capitali, ma che mostrava segni di vitalità[14]. È in quel contesto che divenne possibile nel 1924 l’insediamento a Bassano di una grande industria per la produzione di attrezzature e oggetti metallici smaltati, la Smv (o «le Smalterie», come veniva più spesso indicata l’azienda nel linguaggio quotidiano), fondata sul terreno retrostante la stazione ferroviaria dai Westen, imprenditori provenienti dall’area mitteleuropea che era appartenuta all’Impero Asburgico[15]. Alle stoviglie smaltate si aggiunsero fin da subito altri prodotti, dai bidoni per il latte alle vasche da bagno in acciaio porcellanato per l’industria navale, fino ai primi radiatori. Seguirono cucine economiche e a gas, scaldabagno, armadi e cassoni per frigoriferi prodotti su commissione di altre aziende (fig.4).

4CatalogoSmalteria

4. Catalogo di vendita della Smalteria Metallurgica Veneta. Esempio di catalogo degli anni ’50 di cucine e fornelli a gas smaltati.

La guerra in Etiopia e poi la Seconda Guerra Mondiale spinsero in seguito l’azienda a convertire parte della produzione a scopi bellici: casse di cottura, gavette, grandi cucine a carbone e a gas, ma anche elmetti e contenitori per mine. Inizialmente, la Smv utilizzava per i forni e per mettere in movimento le presse combustibili solidi e liquidi; nel corso degli anni Trenta, tuttavia, le esigenze della produzione portarono all’introduzione di forni elettrici e al conseguente aumento del fabbisogno energetico, tanto che nel 1941 i Westen costruirono una nuova centrale sul fiume Brenta, a Campolongo, in collaborazione con la Società Adriatica di Elettricità di Giuseppe Volpi. Accanto all’introduzione di nuovi materiali e processi produttivi, appare evidente lo sforzo di sfruttare le possibili economie di diversificazione consentite dagli impianti per lo stampaggio e il trattamento di lamiere metalliche. La struttura integrata, che copriva l’intero ciclo di produzione a partire dalle barre uscite dalla fonderia e dallo smalto fino al prodotto finito, non escludeva comunque interdipendenze a monte e a valle con altre aziende. La Smv fornì, come si è detto, contenitori e impianti ai cantieri navali ed edilizi, all’industria chimica, ma anche ai primi produttori di cucine economiche ed elettrodomestici. Contemporaneamente, si formava un indotto di piccoli produttori di stoviglie in metallo grezzo che si allargava fino a Conegliano. Ancor prima che prendesse avvio una fuoriuscita di manodopera dalla grande impresa, che in questa fase appariva anzi in grado di attirare a Bassano lavoratori da un’area che si estendeva ben oltre l’immediato circondario[16], la sua stessa presenza diede quindi avvio allo sviluppo di attività a monte e a valle, che si situavano nella maggior parte dei casi ancora a mezza strada tra l’artigianato e l’industria, ma che favorirono lo sviluppo di competenze tecniche diffuse e di un atteggiamento imprenditoriale. Si trattava ovviamente di una imprenditorialità “minore”, soprattutto per quel che riguarda la fornitura di semilavorati, che la Smv acquistava all’esterno soltanto nelle fasi di forte volatilità della domanda e che tese a eliminare progressivamente attraverso l’espansione dei reparti. D’altro canto, la presenza tra i clienti della Smv di piccoli produttori di cucine e altre attrezzature per la casa poneva le basi per una loro progressiva specializzazione, stimolata nel dopoguerra dalle richieste del mercato, che avrebbe gradualmente minato la capacità della grande impresa integrata di soddisfare le esigenze dei consumatori. Ma gli effetti inattesi della crescita della Smv non si limitarono agli aspetti direttamente legati alle dinamiche di sviluppo industriale. La presenza di un grande stabilimento industriale situato nell’immediata periferia a est della città ebbe infatti importanti conseguenze anche sullo sviluppo urbano: la forte immigrazione di forza lavoro dai comuni limitrofi, ma anche dal resto della regione, determinò nel periodo tra le due guerre una notevole domanda di alloggi, che non trovando risposta in una situazione caratterizzata dalla completa stasi delle costruzioni in città, scoraggiate dal blocco dei fitti decretato dal governo fascista, si indirizzò in parte al di fuori dei confini comunali, lungo il prolungamento di viale Venezia nel territorio di Cassola, nella zona detta “del Termine”[17]. La formazione di un agglomerato residenziale continuo a cavallo fra due comuni poneva il problema di adeguare i confini amministrativi alle dimensioni assunte dall’abitato. Sebbene nel corso degli anni Venti molte grandi città avessero ottenuto di allargare i propri confini comunali fino a comprendere i comuni della prima cintura, la richiesta avanzata in quegli stessi anni dal Comune di Bassano per aggregare tutti i territori compresi in un raggio di cinque chilometri dal centro incontrò insormontabili ostacoli a livello provinciale; anche i successivi tentativi di risolvere la questione del “Termine” attraverso un accordo di compensazione territoriale con il Comune di Cassola fallirono, lasciando aperto il problema costituito da un ampio quartiere esterno che continuava a crescere.  

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