Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La città è situata in una posizione strategica, allo sbocco in pianura del fiume Brenta, via privilegiata di collegamento verso Trento e con l’area di lingua tedesca, e all’intersezione con la strada pedemontana che, attraversando il ponte di legno ricostruito nel Rinascimento su progetto di Andrea Palladio, collegava sin dall’Alto Medioevo gli insediamenti collinari, spesso nati come fortificazioni ma divenuti nei secoli successivi centri manifatturieri e commerciali, grazie soprattutto all’abbondanza di acque correnti e allo sviluppo di un’agricoltura specializzata (viti, ulivi, ciliegi). Bassano appare uno dei più importanti tra questi centri: favorita dal facile collegamento fluviale con Padova e Venezia, la città e i suoi immediati dintorni videro fiorire nel corso del Seicento e del Settecento attività legate alla torcitura e filatura della seta, alla produzione di maioliche e alla stampa[1]. Nel corso della lunga fase di dominazione veneziana, Bassano si configura come un tipico caso di «quasi città», vale a dire un insediamento che presenta molte delle caratteristiche proprie di un centro urbano tanto dal punto di vista architettonico quanto da quello sociale ed economico, senza tuttavia ottenere il riconoscimento dello statuto giuridico di «città»[2]. Formalmente riconosciuta come tale soltanto nel 1740, dopo la caduta della Repubblica, Bassano fu tuttavia inclusa nel dipartimento napoleonico del Bacchiglione, e da allora rimase parte della provincia di Vicenza. Nell’Ottocento la città e il comprensorio videro rifiorire attività commerciali e artigianali legate alla produzione di ceramiche e di grappa, accanto all’oreficeria, ai calzaturifici, ai mobilifici e alla lavorazione del tabacco. La situazione economica dell’area venne radicalmente modificata dall’insediamento nel 1924 degli impianti della Smalteria e Metallurgica Veneta (Smv) (fig.1),

1Smalteria

1. La Smalteria e Matallurgica Veneta nel rilievo aereofotogrammetrico dell’area sud-est del Comune di Bassano del Grappa. Si noti l’imponenza dell’investimento che è stato per tanti anni garanzia di lavoro e sicurezza per tanti lavoratori.

che fece della città un vero e proprio centro industriale. La successiva lunga crisi della Smv, iniziata già negli anni Sessanta, si accompagnò dapprima a evidenti fenomeni di gemmazione di nuove attività meccaniche e in seguito alla fioritura di tutta una serie di imprese attive nella produzione di beni di consumo e di macchine utensili. Nel contempo, la trasformazione della città nel centro di servizi per un vasto comprensorio favorì la crescita del terziario commerciale e amministrativo. Le difficoltà create dalla chiusura della Smv nel 1975 poterono così essere superate grazie a una metamorfosi di cui già esistevano le premesse, che nel giro di un decennio portò Bassano a divenire un centro a forte vocazione commerciale, situato nel cuore di un distretto industriale polivalente. Le ragioni che fanno di Bassano un luogo interessante per studiare i meccanismi che stanno alla base dello sviluppo economico della cosiddetta “Terza Italia” stanno nelle peculiarità proprie della storia qui rapidamente delineata, che ne fanno in qualche modo un’eccezione anche all’interno di un contesto come quello veneto, caratterizzato a sua volta da notevoli specificità. Se la crescita industriale diffusa, dominata dall’espansione delle piccole e medie imprese, investì soltanto nella seconda metà degli anni Sessanta, in ritardo rispetto al “boom” delle regioni del “triangolo industriale”, un Veneto ancora in buona parte economicamente depresso[3], la città era invece sin da prima della Seconda Guerra Mondiale uno dei centri propriamente industriali che costellavano la regione, grazie appunto alla presenza dello stabilimento della Smv. La brusca trasformazione seguita alla crisi della grande impresa ha poi fatto del Bassanese un’“area di piccola impresa” dalle caratteristiche esemplari, che hanno contribuito negli anni Ottanta ad attirare l’attenzione di economisti e sociologi interessati allo studio comparativo delle condizioni che avevano favorito la nascita dei distretti industriali. In quella fase, Bassano divenne un “caso di studio” privilegiato nel quadro di una serie di ricerche volte a mettere in evidenza i nessi tra la cultura del lavoro propria di mezzadri e piccoli proprietari, una forte mobilità sociale, la presenza di un tessuto sociale omogeneo e di valori condivisi, la stabilità delle appartenenze politiche e la capacità di dare vita a un modello di sviluppo industriale fondato sulla compresenza di piccole imprese in competizione tra loro che tuttavia cooperavano nel diffondere competenze e innovazione[4]. In quell’analisi vi era del vero, e molte delle previsioni fatte allora si sono mostrate lungimiranti alla prova degli anni. Paradossalmente, il futuro era chiaro; è invece il passato che oggi si presenta piuttosto diverso da come appariva allora. Nell’individuare un collegamento diretto, attraverso la cultura “contadina”, tra le caratteristiche proprie dello sviluppo industriale recente e la struttura agraria tradizionale, quell’interpretazione riprendeva infatti alcuni presupposti propri della storiografia economica dei decenni precedenti, in seguito messi apertamente in discussione da ulteriori studi: quello di un Veneto povero e contadino, privo di significative esperienze industriali prima della trasformazione legata all’industrializzazione diffusa degli anni Sessanta e Settanta, e quello dell’assenza di rilevanti conflitti sociali. Forte importanza era assegnata al ruolo svolto dalla politica locale, che tuttavia appariva il risultato della capacità propria del tessuto sociale di organizzare in maniera coerente gli interessi collettivi. In tal modo, pur mettendo in luce elementi essenziali nello spiegare l’emergere di fenomeni imprenditoriali nuovi, la lettura data all’epoca dello sviluppo del distretto industriale non coglieva quelli che furono i meccanismi concreti attraverso i quali tradizioni manifatturiere di lungo periodo poterono beneficiare della presenza talora “esogena” di moderni insediamenti industriali, dando vita a un modello di sviluppo innovativo, consapevolmente favorito dall’azione degli enti locali soltanto a partire dalla graduale presa di coscienza della presenza di problemi occupazionali e sociali non più risolvibili nel quadro di un’economia fondata esclusivamente sulla grande industria[5]. Di qui la necessità di rimettere in discussione le interpretazioni esistenti e di interrogarsi di nuovo, a distanza, sulle trasformazioni che hanno investito nel corso del Novecento uno dei luoghi simbolo del successo industriale del Nord Est, come è diventato uso comune definire la parte settentrionale della “Terza Italia”.  

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