Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Per la sostanziale omogeneità sociale e culturale di maggioranza ed opposizione, per giunta uniti da un condiviso orizzonte di impegno sociale, e per l’attitudine a mediare, propria di una classe politica formatasi nelle fila dell’associazionismo cattolico, i rapporti in Consiglio Comunale fra la minoranza e la maggioranza democristiana furono, in prevalenza, contrassegnati da una volontà di collaborazione (fig.2).

2CommemorazioneMartiriResistenza

2.Commemorazione dei Martiri della Resistenza. Nella chiesa di San Francesco, durante una cerimonia pubblica, un’ immagine di molte autorità bassanesi: da sinistra a destra, il senatore Cengarle, Bottecchia, Martinelli, il senatore Valmarana, Basso, Vinco da Sesso, il procuratore della Repubblica dott. Longo, il dott. Cosma e la signora Maria Prosdocimo Finco.

Lo stesso Pietro Fabris, consigliere eletto nelle liste della DC dal ’60, da subito assessore, quindi sindaco di Bassano del Grappa dal 1967 al 1975, in regione come consigliere e dal 1977 come assessore, senatore DC dal 1987, ha ricordato apertura e disponibilità della minoranza[35], al di là dei toni talora aspri e accesi che la competizione e la propaganda partitica assumevano nelle campagne elettorali, soprattutto nelle prime consultazioni, come per le amministrative del ’46, o le politiche del 18 aprile 1948 e del ’53[36]. Bisogna peraltro osservare che lo stato di emergenza e le necessità della ricostruzione prima, e della crescita e dello sviluppo, poi, si imposero a lungo per urgenza e gravità, il che spiega l’unanimità di molte deliberazioni, approvate con il voto favorevole della minoranza. Nondimeno, va riconosciuto all’opposizione il merito di non essersi arroccata in genere su rigide posizioni dottrinarie ed ideologiche, né di aver abbracciato sterili battaglie demagogiche, “trincerata”, per così dire, nel proprio status di minoranza: la chiusura settaria e l’estremismo della sinistra erano nel Veneto il frutto abbastanza frequente di una condizione di isolamento e di minorità, che non si riscontra invece nell’opposizione, certo di matrice più moderata, bassanese[37]. Dopo una prima fase segnata dalla necessità di fronteggiare i problemi della disoccupazione e della carenza di alloggi, la ricostruzione delle infrastrutture e degli edifici pubblici, e di ripristinare servizi essenziali per la popolazione come i principali collegamenti viari e tranviari (1945-51)[38], dalla seconda legislatura si era posta all’amministrazione l’esigenza di estendere e adeguare le strutture scolastiche, di ammodernare la rete dei trasporti e non ultima la necessità di potenziare le reti elettriche e idriche (1951-56). Lavori che, richiedendo investimenti di notevole entità, imposero al comune di ricorrere ad alcune modalità di finanziamento, attraverso sottoscrizioni pubbliche o prestiti bancari a lunga o media scadenza, oppure di attingere alle sovvenzioni statali, per le quali risultò determinante l’opera dei parlamentari in vario modo legati a Bassano[39]. Dalla metà degli anni Cinquanta, a partire dall’approvazione del Piano di ricostruzione, sollecitato invero già dalla prima amministrazione elettiva[40], prese avvio l’iter per l’elaborazione e l’approvazione – avvenuta poi soltanto nel 1969 – del Piano Regolatore, che veniva a disciplinare una crescita urbanistica fino ad allora “guidata” soltanto dall’espansione industriale ed economica[41], e quindi disorganica, e con alcuni punti di accentuata criticità, quale la zona di confine con il comune di Cassola[42]. Analogo impegno richiese l’opera di adeguamento e potenziamento dell’acquedotto cittadino, che si avviò a soluzione grazie alle provvidenze previste dalla Legge 29 luglio 1957, numero 635, e con la costituzione nel 1958 di un consorzio fra i comuni di Bassano del Grappa, Campolongo sul Brenta, Cartigliano, Cassola, Rosà, Rossano Veneto, Solagna, e Valstagna[43]. Dopo la piena del Brenta del 4 novembre 1966, che aveva causato notevoli danni anche al civico acquedotto, l’ammodernamento della rete idrica ebbe definitiva attuazione con il sindaco Fabris, che successe appunto a Roversi nel 1967[44](fig.3).

3sindaciconPresidentedelConsiglioMarianoRumor

3. Alcuni sindaci del comprensorio bassanese  ritratti assieme al Presidente del Consiglio, Mariano Rumor (al centro), agli onorevoli Gui e Bisaglia ed al senatore Cengarle dopo l’inaugurazione del restaurato Ponte degli Alpini (1969). Da sinistra a destra: Luigi Gui, Severino Bragagnolo di Cassola, Severino Todesco di Solagna, Onorio Cengarle, Giorgio Tadiello, Mariano Rumor, Ercole Costa di San Nazario, il prefetto Moscato, Mario Caberlon, presidente del Consiglio di Valle, Antonio Bisaglia, Pietro Fabris di Bassano, Francesco Caffi di Pove del Grappa e Angelo Bresolin di Cartigliano.

Nella prima metà degli anni Sessanta, Bassano conosceva una fase di sviluppo demografico e di trasformazione economica[45]. Il Censimento del 1961 registrava 30.497 residenti, contro i 26.454 del censimento del ’51; rilevava un aumento del livello di scolarizzazione, con una percentuale di diplomati nella scuola media inferiore o professionale pari al 20% (erano il 15% nel 1951), e un crollo della percentuale di disoccupazione dall’11,5 al 3%. Erano cresciuti gli addetti al settore secondario e terziario, passati i primi dal 40,8% al 53,8%, e dal 28,3 al 34,2%, i secondi, con un aumento rispettivo del 42 e del 30%. Dimezzati invece gli addetti all’agricoltura, che dal 19,5 scendevano al 9,1%[46]. Nondimeno, l’amministrazione comunale eletta nel 1960 – sindaco Roversi – si trovò ad affrontare le prime avvisaglie di un’incipiente crisi economica, contrassegnata da una stasi nelle assunzioni alle “Smalterie” e dai primi espliciti accenni a possibili licenziamenti da parte della direzione dell’azienda, che furono temporaneamente procrastinati per l’azione congiunta dei sindacati e dell’amministrazione comunale[47]. Al riguardo, va sottolineato come la giunta operasse ora in stretto collegamento con la sezione democristiana, sulla base delle esigenze organizzative e di programmazione che si andavano affermando nella DC, e che richiedevano una maggiore integrazione fra amministrazione e partito. La sezione DC di Bassano iniziava quindi a superare la funzione prevalentemente ‘elettorale’ che aveva svolto negli anni Cinquanta[48]. È dallo spoglio e dalla lettura dei verbali del consiglio comunale dal 1946 agli anni Sessanta che si può ricostruire la genesi dei processi decisionali e quindi l’intreccio delle posizioni assunte da maggioranza ed opposizione. Come anticipato, dalle discussioni in consiglio comunale non si registra un’opposizione ostinata e preconcetta da parte della minoranza, analoga a quella sistematica, ancorché consapevolmente inutile, dati i numeri, di altre realtà locali[49], sebbene non siano mancati naturalmente momenti di scontro e di contrapposizione, sovente di natura “politica”. Nel 1947 la minoranza votò contro l’ingresso nell’Unione fra i Comuni proposta dal sindaco Bottecchia. Nella dichiarazione di voto, l’ingegnere Lamberto Marzuoli, consigliere PSDI, spiegava che la minoranza era contraria «per questione di principio data la tinta politica dell’Unione stessa, pur dando atto pubblicamente che l’attuale amministrazione con il proporre il presente oggetto non si prefigge altro scopo che di raggiungere nell’interesse del Comune quelle finalità che il sindaco ha illustrato»[50]. Nel 1948 la proposta di richiedere alla Commissione centrale per la finanza locale l’autorizzazione ad istituire un’imposta di consumo sui generi extra tariffa fu approvata, dopo un primo rinvio, con il voto contrario della minoranza[51], mentre l’anno successivo, le parole pronunciate in Consiglio da Quirino Borin per la commemorazione dell’eccidio del 26 settembre 1944, rivelano i contrasti che ormai dividevano i partiti rispetto alla Resistenza. «È il secondo anno – dichiarava Borin, per altro, appunto, ex partigiano – che a causa di divergenze e dissidi noi non abbiamo la possibilità di commemorare con animo sereno e commosso i nostri Caduti. È stata la realtà del 26 settembre dello scorso anno e, purtroppo, lo sarà anche di quest’anno. […] Trasformare una cerimonia celebrativa in una cerimonia di parte, vuol dire, purtroppo, dimenticare il sacrificio dei nostri Fratelli i quali sono caduti per un solo ideale: quello della Libertà della nostra Patria»[52]. Frequenti furono i contrasti in occasione delle nomine dei rappresentanti del comune nei consigli di amministrazione dei vari enti pubblici cittadini – Opere Pie riunite, ovvero Ospedale e Casa di Riposo, Ente comunale di Assistenza (ECA), Azienda comunale per la gestione delle case popolari –, dalla cui gestione l’opposizione fu sostanzialmente tenuta estranea. Anche nel 1956, quando il consiglio era chiamato a nominare il Comitato di gestione dell’ECA, l’invito di Silvestri a chiamare «anche rappresentanti della minoranza nelle Commissioni che saranno elette […] per la formazione dei Consigli di Amministrazione dei diversi Enti pubblici» e la sua proposta di sospendere la seduta per gli opportuni accordi sui nomi non furono sostanzialmente accolti. Il presidente, Borin, concessa obtorto collo una sospensione[53], decise di procedere subito alle nomine, malgrado il parere contrario della minoranza, che uscì dal consiglio, astenendosi per protesta dal voto[54]. Nella medesima seduta, assente l’opposizione, furono pure nominati il consiglio di amministrazione delle Opere pie riunite e la commissione amministratrice dell’Azienda comunale per la gestione delle case popolari. La dichiarazione di Borin di tenere «nella debita considerazione l’opportunità di includere nelle varie Commissioni persone che sono fuori del suo partito» rimase mera dichiarazione di principio[55]. Motivi di contrasto originavano talora dalle critiche rivolte all’amministrazione comunale dalle segreterie locali dei partiti, più radicali nei loro giudizi, in quanto svincolate dalla necessità di mediare, cui si sentiva tenuta la minoranza in consiglio comunale. Dai rilievi espressi nel luglio 1947 dalla Giunta d’intesa PCI-PSI in merito alla viabilità cittadina, e discussi in consiglio comunale per volontà di Silvestri[56] – con toni fermi, ma pacati – alla lettera della sezione bassanese dell’ANPI, che chiedeva una protesta formale da parte dell’amministrazione contro la presunta solidarietà manifestata in un comizio ad Arcinazzo dall’on. Andreotti verso il maresciallo Graziani[57]. Tuttavia, sia pure dopo confronti spesso serrati, maggioranza e opposizione deliberarono all’unanimità su questioni potenzialmente “critiche” e che facilmente avrebbero offerto il destro ad usi demagogici, come la fissazione del tetto dell’imposta di famiglia, l’assunzione di prestiti a lungo e medio periodo, la concessione di sussidi, e persino l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi[58]. Nel 1951, il sindaco Bottecchia propose di modificare il regolamento organico del personale comunale che, redatto nel 1938, escludeva le donne dai gradi superiori a quello di dattilografo. La proposta non era dettata da problemi contingenti, né da ricorso alcuno, sebbene la norma violasse palesemente l’art. 3 della Costituzione. Il sindaco votò a favore dell’abrogazione, ma non vincolò al voto i consiglieri della maggioranza. Ad eccezione dei democristiani Eugenio Cenere e Giuseppe Vidale, contrari all’abrogazione, i consiglieri di maggioranza e minoranza votarono a favore della modifica, che passò quindi a maggioranza. Prossimi nei toni, vicini nelle prospettive, i loro interventi attingevano ad un condiviso orizzonte di valori democratici e di eguaglianza. Come ebbe a dire l’onorevole Marzarotto: «La presenza tra di noi di una Signora risolve già qualche dubbio, perché come una Signora può venire a sedere in un Consiglio comunale e in più alti consessi, così potrà anche aspirare al pubblico impiego»[59].

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