Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Sulla sinistra idrografica della Brenta, l’altimetria del territorio e la sua relativa ampiezza consentirono la derivazione di canali artificiali che potevano decisamente staccarsi dall’alveo del fiume in direzione sud/sud-est, per consentire l’irrigazione dei campi e il funzionamento di altri mulini. La più antica roggia, risalente come si è detto al 1365, è il flumen Rosate seu Brentelle, da Bassano a Cittadella, voluta da Francesco I da Carrara. Si tratta appunto della roggia Rosà, capace di una portata d’acqua senza dubbio molto più importante di quella garantita dalla prima derivazione del fiume di cui si ha notizia (1311), quest’ultima aperta però molto più a sud, presso Pozzoleone[26]. La costruzione della Rosà va inquadrata nel programma di sistemazione idraulica che il comune di Padova perseguì per il suo fiume fin dal secondo Duecento e che venne continuato dalla signoria carrarese nel corso del secolo successivo[27]. Dalla Rosà, chiamata anche Munara a causa della fitta presenza di mulini, si staccarono sul lato destro, dopo il tratto di alcuni chilometri che scorre appena a lato del fiume, le condotte delle rogge dette Martinella e San Giovanni, per arrivare poi al «partitore» (separatore) generale di Ca’ Dolfin, costruito nel 1519 in epoca veneziana, a valle del quale la Rosà si divide in tre parti: quella più a nord, la roggia Moranda che arriva oltre Rossano, la Munara nel vecchio alveo per Cittadella, la Dieda (dal nome della famiglia veneziana dei Diedo) che si allontana verso sud[28]. Più tardi, nel 1762/63, i fratelli Filippo e Alvise Balbi, nobili veneziani, ottennero di estrarre dalla Rosà, a qualche centinaio di metri a monte del partitore di Ca’ Dolfin, l’acqua necessaria per una nuova roggia, l’ultima che sarà scavata sulla sinistra idrografica e che porta il loro nome, per irrigare inizialmente cento campi di loro proprietà e far funzionare un mulino di quattro ruote[29].Sempre sulla riva bassanese della Brenta nei pressi dell’antico abitato di San Fortunato, nel punto in cui la roggia Rosà si allontana dal fiume, venne aperta dopo il 1557 la roggia detta Morosina, dal nome del promotore Girolamo Morosini, altro nobile veneziano, che ne richiese la concessione per l’irrigazione delle sue proprietà che si estendevano nelle pertinenze di Rosà, Cartigliano e Tezze[30]. I Morosini si servivano però anche di una parte dell’acqua di una più antica roggia medievale, che poco dopo la metà del ‘400 risultava appartenere alla comunità di Cartigliano per l’irrigazione dei beni comunali e di privati, la cui presa si apriva presso la vicina località di San Lazzaro. Questa roggia, che corre sempre in prossimità del fiume, viene chiamata roggia Bernarda (un tempo detta anche Zangiacca = Zuanne Giacomo) dal nome del capostipite di una famiglia di mugnai che nel XVII secolo faceva girare le ruote del suo mulino su questo canale, assieme a quelle appartenenti alle famiglie Morosini e Spolador[31]. Sempre in questa zona, all’inizio del Seicento, venne ricavata pochissimo a sud della presa della roggia Morosina un’altra nuova derivazione, la roggia detta Dolfina (dal nome dei Dolfin, un’altra famiglia della nobiltà lagunare proprietaria di molti terreni)[32]. Col tempo, da questo importante canale artificiale, che si spostava verso est superando il corso della Morosina grazie a un ponte-canale, vennero derivate ben altre cinque diramazioni, le rogge dette Civrana o Manfrina/Dolfin, la Michiela o Zattiera verso Tezze, la Dolfinella, la Garzona e la Cappella o Vica/Galliera verso appunto Galliera[33]. Questo diramarsi dei canali da quello principale, simile al caso della Rosà, ha dato all’andamento delle acque a sud-est di Bassano l’aspetto di una sorta di reticolo triangolare, il cui vertice superiore è dato proprio dall’incrocio dei due lati costituiti dalla roggia Rosà e dal corso del fiume, come appare evidente in una mappa settecentesca[34]. Più a sud di quelle citate, ormai lontano però dalla città, altre prese d’acqua alimentavano ulteriori rogge, come la Trona-Michiela o la Cappella. Sulla destra idrografica della Brenta, il più antico dei canali artificiali nei pressi di Bassano è certamente la roggia Isacchina, che già esisteva nel 1389 e che quindi appartiene come la Rosà alla prima fase di sistemazione idraulica di questo tratto del fiume[35]. Nota nel tempo anche con altri appellativi, come “roggia degli edifici” o “dei mulini”, ebbe fondamentale importanza per lo sviluppo delle attività proto-industriali nella zona di Nove e di Friola. La sua presa originaria era in località San Giovanni di Rivarotta; il suo corso superava il piccolo fiume Silan grazie a un ponte-canale e si dirigeva poi a meridione parallelamente al corso della Brenta. Dopo il 1653, in seguito a una rovinosa inondazione che ruppe gli argini del fiume, la roggia Isacchina si trovò divisa in due tronconi, inferiore e superiore[36](fig.12).

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12. Giuseppe Marini, Mappa topografica del fiume Brenta, part. della Isacchina superiore, 1833, penna e acquarello su carta. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Mappe, n. 34.
Sulla destra idrografica, il più antico dei canali artificiali nei pressi di Bassano è la roggia Isacchina, che già esisteva nel 1389.

A sud della presa originaria della Isacchina, venne ricavata a metà Cinquecento la roggia detta Contessa, che aveva lo scopo precipuo di irrigare i beni delle famiglie Vicentini e Capra nell’area di Pozzoleone e di San Pietro in Gù; tra queste due prese, circa un chilometro e mezzo sotto la Isacchina, venne aperta nel 1785 la roggia Antonibon, che non serviva però a dare il moto al noto mulino pestasassi per la produzione della terraglia “ad uso inglese” (che è sulla roggia Isacchina), bensì per irrigare i beni di famiglia[37]. Risale al secondo Cinquecento anche la costruzione della roggia Grimana, dal nome della nobile famiglia veneziana dei Grimani, che ottennero assieme ad altri di ricavare nei pressi di Crosara l’acqua necessaria per irrigare ben 2000 campi tra Longa, Ancignano e Bressanvido. Ancora più a sud e fino al ponte di Friola, si aprirono ancora le bocche delle rogge Molina e Grimana Nuova[38]. L’andamento molto meno “aperto” e che, in sostanza, si traduceva nel fatto che le rogge affiancavano strettamente il fiume sulla riva destra, è ancora abbastanza ben evidente nell’odierno assetto idrografico. Particolare è anche lo stretto dipanarsi dei diversi canali artificiali, come ben dimostra una mappa del perito Dante di Dante del 1701 (figg.13-14),

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13. Dante di Dante, Mappa della roggia Grimana, matita e acquarello su carta, 1701. Bassano del Grappa, Archivio di Stato, Raccolta Mappe.
L’andamento molto meno “aperto” e che, in sostanza, si traduceva nel fatto che le rogge affiancavano strettamente il fiume sulla riva destra, è ancora abbastanza ben evidente nell’odierno assetto idrografico.

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14. Dante di Dante, Mappa della roggia Grimana, matita e acquarello su carta, 1701 (part.). Bassano del Grappa, Archivio di Stato, Raccolta Mappe.
Risale al secondo Cinquecento la costruzione della roggia Grimana, dal nome della nobile famiglia veneziana, che ottenne di ricavare nei pressi di Crosara l’acqua necessaria per irrigare ben 2000 campi tra Longa, Ancignano e Bressanvido.

centrata appunto sull’area già sconvolta di Rivarotta, dove venne ricavata la presa per la Isacchina inferiore e dove tutta una serie di manufatti serviva per la non semplice regolazione dello scorrere delle acque: il ponte-canale dove si univano Isacchina superiore e Contessa per superare il torrente Longhella, l’altro sulla Grimana per superare la roggia Dieda (ricavata dallo stesso Longhella poco prima della confluenza in Brenta), il “partidore” su quest’ultima, la botte sotto la roggia Contessa, e ancora roste, ponti e seriole[39]. Insomma, anche da questo lato della Brenta la complessità delle opere idrauliche era già molto evidente dopo la prima fase medievale e dell’inizio dell’età moderna: si trattava comunque di mantenere e rafforzare un patrimonio vitale per tutte le comunità interessate, caso esemplare di un “invisible asset” che impronta di sé un intero territorio. Dal momento che a Bassano, come altrove, il controllo e la gestione delle derivazioni d’acqua spettavano direttamente ai concessionari e che in moti casi questi ultimi finivano per essere più di uno, apparve ben presto conveniente associarsi. Nel dicembre del 1556 e poi ancora nel novembre 1558, il Senato veneto emanò alcune disposizioni generali sui consorzi, che prevedevano l’elezione di tre rappresentanti per i consorzi volontariamente costituiti, con il voto di almeno la metà dei proprietari dei beni. Lo stato si riservò anche la facoltà di imporne eventualmente l’istituzione. In ogni caso, al magistrato ai Beni Inculti spettava la supervisione e una sorta di giurisdizione speciale sui consorzi medesimi, esercitata in nome del superiore interesse pubblico[40]. Senza enfatizzare troppo[41], possiamo dire che gli strumenti politico-giuridici utilizzati furono essenziali per garantire un equilibrato sfruttamento delle acque e per dirimere i non infrequenti casi di contrasto all’interno e verso terzi. Secondo gli atti raccolti in età napoleonica dall’apposita Commissione per l’allora Dipartimento del Bacchiglione, i consorzi costituiti nell’area riguardarono soltanto le rogge Rosà, Isacchina, Contessa, Grimana e Dolfina[42], le ultime tre con la caratteristica comune di essere state ricavate nella fase cinquecentesca per l’irrigazione di vasti possedimenti della nobiltà vicentina, veneziana e di enti ecclesiastici. Nel caso delle due più antiche, invece, Rosà e Isacchina, ci troviamo evidentemente di fronte alla necessità di gestire occultamente le condotte che rivestivano carattere strategico, vuoi per il loro successivo diramarsi, vuoi per la loro importanza come fonte di energia. Dai documenti dei consorzi Rosà e Dolfina conservatisi per i secoli XVI-XVIII possiamo ricavare un’immagine concreta di ciò che significava l’esistenza delle associazioni[43]. Innanzi tutto, i motivi della convocazione della assemblea del consorzio appaiono ricorrenti: l’elezione dei cosiddetti Presidenti, le contribuzioni per la manutenzione e gli ampliamenti, l’ammissione di nuovi soci, infine il patrocinio delle cause legali. Di gran lunga prevalenti negli ordini del giorno, per la consuetudine che si venne via via consolidando, furono i primi due; bisogna notare però che quasi mai veniva raggiunto il numero legale previsto (oltre il 50% dei “carati” in cui si suddivideva l’acqua concessa) e che pertanto quasi sempre le delibere dei consorzi, che venivano poi approvate in Senato, riflettevano la volontà dei soli Presidenti e del magistrato ai Beni Inculti, che proprio a motivo dell’assenteismo della maggior parte dei concessionari poteva in larga misura controllare anche l’elezione dei Presidenti medesimi. La stessa scelta consueta per la sede delle riunioni dei consorzi, la sala degli Auditori Nuovi in Palazzo ducale a Venezia, sembra fatta apposta per scoraggiare l’effettiva partecipazione di tutti gli interessati. Le spese per la manutenzione ordinaria degli impianti e per l’escavo periodico degli alvei venivano di norma coperte senza problemi con contribuzioni successive allo svolgimento dei lavori; a partire dagli anni sessanta del Settecento con quote annuali corrispondenti ai “quadretti” d’acqua concessi (per la Rosà fu a lungo di 12 ducati annui a quadretto)[44]. Il problema vero era però quello di far fronte alle spese straordinarie, a volte di notevole entità, sostenute per riparare i danni inferti dalle ricorrenti brentane, ai quali si doveva rimediare ogni volta con una certa urgenza. Ad esempio, il consorzio della roggia Dolfina dovette sborsare 14.610 lire d’imposta straordinaria tra il 1685 e il 1693, un periodo in cui si verificarono ben quattro rotte, contro 2.602 lire per la manutenzione ordinaria e l’escavo dell’alveo; in un identico arco temporale, tra 1694 e 1706, vennero spese solo 5.711 lire di ordinaria gestione perché non vi erano state alluvioni[45]. I consorti erano tenuti nei casi più gravi a rimpinguare la cassa consortile in rate trimestrali o semestrali, in conformità dell’importanza delle cifre. L’intervento del consorzio era anche fondamentale nel momento dell’apertura di una nuova derivazione d’acqua dalla roggia medesima, come fu nel caso della roggia Balbi, aperta negli anni sessanta del Settecento e per la quale fu necessario ottenere l’assenso formale del consorzio Rosà. Di quest’ultimo è facilmente leggibile, perché dato alle stampe, il nuovo regolamento in 45 articoli approvato dalla Prefettura napoleonica il primo novembre del 1811, in esecuzione del decreto vicereale del 20 maggio 1806 sulla costituzione dei consorzi obbligatori. Il nuovo consorzio ebbe sede questa volta a Bassano e, seppur ricalcato nelle sue linee fondamentali sul precedente modello veneziano, possedeva una maggiore compattezza e articolazione. Inoltre, ben più chiara e moderna diventò la suddivisione dei compiti tra l’associazione e i poteri pubblici competenti (prefettura), i quali dovevano intervenire solo in caso di assegnazione di appalti o quando, come purtroppo ancora accadde, il consorzio non fosse in grado con i suoi soli mezzi di far fronte alle emergenze eccezionali[46](fig.15). 

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15. Piano di discipline a sistemazione del consorzio rosta Rosà alla sinistra del fiume Brenta presso la comune di Bassano, Stamperia Baseggio, Bassano, 1812.
Sul retro di copertina è incollato l’ Elenco di tutti gli interessati.

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