Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Temo che qualsiasi elenco delle rotte e delle inondazioni succedutesi sulla Brenta sia destinato a rimanere sempre incompleto perché era difficile che passassero alcuni anni, qualche volta addirittura mesi, senza che il fiume provocasse danni anche ingenti, a causa del suo particolare regime idrico[47]. Come dimostrazione del tipo di devastazione che una piena significativa poteva causare alla rete delle acque nella zona a sud di Bassano, citerò quanto venne acclarato per il consorzio della roggia Dolfina nel 1748: «… esser stati causati ingenti danni alla rosta [roggia] dalle esuberanze del Brenta occorse il 19 agosto passato, sia nella traversagna che negli speroni, al bocchiero, come pure nell’antipetto e murazzo che fu asportato dalla brentana con ingiaramento [riempimento di ghiaia] dell’alveo della rosta. Ingranditi i danni con la successiva escrescenza del 4 novembre, tanto che si può dire devastata la rosta stessa con danno di tutti gli interessati…»[48]. Per la cronaca, allo scopo di rimediare al più presto ai danni subiti, praticamente per rifare daccapo presa ed alveo, i Provveditori sopra ai beni inculti ordinarono una contribuzione straordinaria di ben 2.300 ducati, divisa pro-quota tra i 45 quadretti d’acqua che componevano il consorzio e pagabile in quattro rate trimestrali. Le più recenti e ben documentate piene eccezionali del settembre 1882, quando venne devastato sia il tratto montano del fiume, sia il medio corso con inondazioni fino a Padova e Vicenza, e del novembre 1966, quando la stazione idrometrica di Bassano registrò il massimo storico di 2800 metri cubi al secondo di portata[49], dimostrano chiaramente che il problema del rapporto del fiume con le attività umane non è mai stato completamente risolto, anzi. Oggi, a causa del ridursi delle aree di golena, il deflusso delle acque di piena verso sud appare accelerato, con la conseguenza di un aumento della pericolosità del fiume nel suo tratto di pianura, mentre rimane sempre a rischio elevato il tratto della bassa Valsugana, soprattutto attorno all’abitato di Valstagna. Dunque, il pericolo delle escrescenze è strutturale, almeno quanto essenziale era e rimane l’apporto del fiume per la ricchezza e lo sviluppo economico dell’intera area. Uno dei punti di debolezza del sistema è rappresentato proprio da quello che è divenuto giustamente il simbolo stesso della città di Bassano; giustamente perché tecnica ed estetica si fondono nel Ponte detto Vecchio, alias degli Alpini, alla flessibilità e alla fragilità dei materiali, nonché al richiamo a un utilitarismo (la strada coperta) che non esclude la memoria sentimentale di un passato sempre attuale nei suoi elementi costitutivi. Per almeno cinque volte completamente crollato negli ultimi sei secoli e per tre volte distrutto dagli uomini, sempre rinnovato e ricostruito, il Ponte è stato oggetto abbastanza di recente di un’apposita ed esaustiva pubblicazione da parte dello stesso Comitato che ha stampato questa storia generale della città[50]. Ciò non mi può esimere dal richiamare comunque i momenti essenziali della sua lunga storia come parte fondamentale di quella interazione tra ambiente e civiltà di cui stiamo trattando, dato che quasi ne riassume i contorni anche contraddittori, luogo al tempo stesso di confine e di inclusione dell’area urbana e del suo territorio di riferimento. Il ponte di Bassano esisteva certamente dai primissimi anni del XIII secolo, costruito con ogni probabilità attorno al 1170 quando, come ha notato Giampietro Berti, le esigenze di carattere militare della Lega lombarda, cui apparteneva Vicenza e anche la signoria ezzeliniana, si aggiunsero all’evidente interesse economico di riunire la sponda vicentina di Angarano (che rimase comunità separata fino a inizio Ottocento) con quella bassanese[51]. Di proprietà del comune di Bassano, che ne riscoteva il pedaggio, e a motivo del quale sorsero secolari controversie con i vicentini che ne pretendevano l’esenzione, il ponte in legno originario appariva difeso, a inizio Trecento, da una torre su entrambi i lati, quasi a sottolineare il carattere non meramente pacifico del manufatto. Passata Bassano tra Due e Trecento per le dominazioni vicentina, padovana, scaligera e carrarese[52], fu sotto la pur breve signoria dei Visconti che apparve per la prima volta un secondo ponte, costruito più a nord su ventiquattro arcate di pietra proprio per motivi di ordine strategico, ossia contro i carraresi e per il controllo del commercio del legname. Questo ponte visconteo, che era collegato all’abortito progetto di deviare le acque del Brenta verso ovest, fuori dalla portata dei padovani, subì una parziale distruzione nell’agosto del 1402 quando una piena gli si abbatté rovinosamente contro, per poi essere demolito definitivamente dai veneziani due anni dopo la dedizione della città alla Serenissima Signoria (1404). Non sappiamo invece in realtà quante volte nei secoli del basso medioevo l’antico ponte ligneo dovette subire rifacimenti o addirittura ricostruzioni; sappiamo però che il ponte esistente a inizio ‘400, su due piloni e già dotato di copertura, crollò nel 1439 in seguito all’ennesima brentana e che venne completamente ricostruito per volere del governo marciano dopo il 1450, con la partecipazione che risultava come consueta delle comunità anche lontane più interessate, da Asolo a Castelfranco, a Vicenza. Questo nuovo manufatto non durò a lungo; nel 1493 a causa del suo stato pietoso venne affiancato da un ponte provvisorio di barche e solo nel 1498/99 venne nuovamente rifatto e poi ancora rimaneggiato, sempre con l’aggiunta del tetto, così come appare dagli statuti della città stampati nel 1506. Questo ponte venne però ben presto incendiato (1511) dalle truppe della monarchia francese in ritirata, nel corso delle vicende della guerra della Lega di Cambrai contro la Serenissima (1509-1517). Nel corso degli anni venti e trenta del Cinquecento il Ponte fu rifatto una prima volta in legno, poi forse in pietra, poi nuovamente in legno «iuxta solitum» per iniziativa del podestà veneziano Alvise Grimani, completato con il restauro della porta che immette ad Angarano (1531)[53]. Tuttavia, alla fine di ottobre del 1567 una nuova brentana si portò via disgraziatamente l’intero manufatto. La struttura di quest’ultimo funse però da principale riferimento per l’ennesima ricostruzione, quella che vide impegnato, forse già verso la fine dell’anno, niente meno che Andrea Palladio. Questo rifacimento tardo cinquecentesco avvenne, però, per esplicita volontà del consiglio cittadino «nel modo, et forma che era il precedente», cioè un ponte in legno, coperto, su quattro pilastri “a sperone”[54]. Pertanto, a prescindere dalle dispute e dai pareri circa l’effettivo apporto del famoso architetto, l’aspetto complessivo del Ponte, allora come ora, rimase quello voluto dal Grimani o forse ancor meglio dagli anonimi architetti che lo concepirono in tal modo costruito fin dall’inizio del XVI secolo. Per quanto riguarda Palladio, seguiamo Lionello Puppi nel non nutrire più dubbi circa il fatto che il suo primitivo disegno riguardasse un nuovo ponte in pietra (che forse divenne più avanti quello di Torri di Quartesolo), e che il suo successivo concreto apporto nella predisposizione del disegno e addirittura di un modellino per la ricostruzione del ponte in legno si adeguasse alle esigenza di non stravolgere il profilo della preesistente struttura. Palladio, com’è noto, dedicò al Ponte di Bassano il nono capitolo del libro terzo del suo celeberrimo I quattro libri di architettura, pubblicato a Venezia nel 1570: secondo Puppi e la Azzi Visentini[55] si trattò comunque di una reinterpretazione sublime, un capolavoro ingegneristico per la sua essenzialità, basato sul rigore matematico e sulla struttura indeformabile del triangolo. L’immagine complessiva del ponte si collocò però in piena continuità con il passato, perfino nel poggiolo centrale che pur non previsto dal Palladio venne aggiunto certamente prima del 1666, quando compare chiaramente in una bella mappa[56]. Il ponte palladiano così concepito resistette piuttosto a lungo, fino al crollo avvenuto nella mattina del 19 agosto 1748, «portato via come una cesta» come scrisse Gasparo Gozzi; fino ad allora aveva comunque subito numerose modifiche e rattoppi anche significativi, in conseguenza soprattutto dei danni inferti dalle ricorrenti piene, come quella del 1693, del 1706, del 1719. A ricostruirlo ex-novo venne chiamato Bartolomeo Ferracina (1692-1777), che tra furiose polemiche e intrighi di palazzo con l’altro candidato Tomaso Temanza, finì per rispettare nella sostanza il precedente aspetto del ponte palladiano[57]. Il nuovo ponte, inaugurato il 30 settembre 1750, fece fronte molto bene alle brentane del secondo Settecento; non altrettanto poteva fare però contro la furia degli uomini. Nel 1809 venne infatti gravemente danneggiato nel corso della battaglia che nel mese di maggio vide contrapposte da una parte all’altra della Brenta le truppe napoleoniche a quelle austriache della quinta coalizione antifrancese; poco più di quattro anni dopo, il due novembre 1813, il ponte venne infine dato alle fiamme dalle truppe italo-francesi del Beauharnais, in fuga davanti agli austriaci. Ancora una volta, esso venne ricostruito praticamente tale e quale per opera dell’ingegnere Angelo Casarotti e rientrò in servizio nel 1821; questo nuovo ponte sopravvisse perfino alla Grande Guerra, nonostante una bomba austriaca ne squarciasse il 17 settembre 1915 una parte della copertura. Infine, nel febbraio del 1945 il Ponte venne prima pesantemente bombardato dagli aerei alleati, poi la sera del giorno 17 fatto saltare dai partigiani della formazione “Martiri del Grappa”, demolizione che venne poi completata dagli stessi tedeschi in fuga alla fine del mese di aprile. Il Ponte attuale, presto ricostruito anche grazie al fondamentale apporto dell’Associazione Nazionale Alpini, venne inaugurato il 3 ottobre 1948 dall’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. La sua struttura ripropone la consueta e familiare immagine vecchia di almeno cinque secoli, con qualche modifica specie nella pavimentazione, conseguente ai lavori di ripristino e di consolidamento dopo l’ultima grande brentana del 4 e 5 novembre 1966. In effetti, a causa dei gravissimi danni subiti in quella occasione, il ponte dovette essere smontato e rimontato; l’eccellente risultato finale si deve all’impegno dell’amministrazione comunale e alla competenza e passione del direttore dei lavori, ing. Roberto Benetti.     

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