Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il fondatore dell’azienda era stato il giovane mercante padovano Giovanni Antonio Remondini (1634-1712), il primo a intuire alcune linee di comportamento che avrebbero determinato le fortune della famiglia. Le origini sono forse tuttora l’aspetto meno noto. Poco più che ventenne, Giovanni Antonio, rimasto orfano anzitempo con qualche disponibilità economica, si era trasferito a Bassano, dove nel 1658 aveva sposato Corona Nosadini, figlia di uno speziale. L’anno prima aveva preso in affitto una casa e iniziato a stampare[5]. Risale al 1658 il primo libro con data certa. Si tratta di un’edizione di 16 carte in ottavo intitolata La morte di Buouo d’Antona con la vendetta di Sinibaldo, e Guidone suoi figliuoli, un poemetto cavalleresco in ottava rima sul cui frontespizio il nome dello stampatore risultava ancora nella forma veneta “Remondin”, rimasto in uso sino al 1670[6]. Altri documenti di quegli anni ce lo dicono «cartoler» o mercante di «bressaneria». Di certo, inoltre, nel corso della sua vita si occupò anche d’altro. Alla sua morte, oltre alla stamperia risultava proprietario anche di un lanificio, una tintoria, una merceria e una drogheria. Il poemetto cavalleresco appena citato era nei repertori classici di molti piccoli stampatori e librai[7]. Come di consueto sul frontespizio annunciava di essere «nuovamente ristampato, e di molti errori corretto». Non c’è edizione “popolare” dell’età moderna che non si preoccupi di effettuare dichiarazioni del genere, a testimonianza esattamente del contrario, non certo della precisione tipografica e filologica, ma piuttosto di una tradizione testuale quanto mai trasandata, ai limiti spesso della leggibilità. Il titolo inoltre ci rimanda a generi molto consueti almeno dalla metà del cinquecento e alla sua stessa città di origine di Giovanni Antonio. È infatti molto probabile che da Padova egli fosse giunto con un po’ di materiali da stampa. Tra i legni incisi tuttora superstiti provenienti dai fondi della stamperia ne esistono di sicura provenienza padovana, come la matrice xilografica del frontespizio di una Gerusulemme liberata edita dal libraio padovano Pietro Paolo Tozzi nel 1628 o quella del gioco del Pela il chiù incisa per i fratelli Giacomo e Pietro Cadorini, attivi a Padova nella seconda metà del seicento[8]. A Padova inoltre attorno al 1640 operava Sebastian Sardi che disponeva di un repertorio di stampe molto simile a quello che avrebbe impegnato Giovanni Antonio pochi anni dopo a Bassano, costituito da libretti religiosi e devozionali, poemetti in ottava rima, romanzi cavallereschi e immagini sacre[9]. È lecito immaginare che la città di Bassano, in anni di dura crisi per le attività tipografiche venete[10], potesse apparire un luogo idoneo per sviluppare la nuova attività, dato che sino ad allora non era esistita nessuna tipografia, anche se esiste qualche vaga notizia su iniziative nel campo delle immagini. Un atto notarile del 1635 fa riferimento ad una «compagnia di carte stampate et pitture» conclusa tra Donà Supriano e Angelo Samartino, di cui però non si sa altro[11]. Nella tradizione bassanese ottocentesca rimane inoltre memoria di un non meglio identificato Crestano Menarola, da cui Giovanni Antonio avrebbe acquistato il suo primo torchio calcografico, e di Antonio Morandi di Pieve Tesino, un religioso intagliatore su legno morto nel 1651 che avrebbe lasciato le celebri incisioni del Cane Barbino e del Gatto Domestico[12](fig.3).

3GattoDomestico

3. Il Gatto Domestico. Silografia. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. 1840. La raffigurazione di animali costituisce una costante della stampa popolare, così come i racconti di animali nelle fiabe. Si suppone un legno anteriore all’utilizzo remondiniano nel Settecento.

I rapporti con Padova dovettero comunque rimanere e ancora nel 1687 Giovanni Antonio era registrato nell’estimo come proprietario di dodici campi a Campodarsego, con la notazione di «cittadino» di Bassano[13]. Già da subito la produzione dovette essere notevole. Nel 1663 ottenne dal tipografo ducale veneziano Giovanni Pietro Pinelli l’esclusiva di stampare per la zona di Bassano le bollette dei dazi e altri documenti pubblici. Per il resto si gettò massicciamente sulla stampa dei libri al tempo definiti “da risma”. Tale produzione merita particolare attenzione. Il recente catalogo elaborato da Laura Carnelos consente di ricostruire un fenomeno che nella sostanza non è diverso da fenomeni editoriali simili del resto d’Europa, come la francese Bibliothèque bleu o gli spagnoli Pliegos de cordel[14]. I “libri da risma” erano detti così perché venduti a foglio ad un tanto a risma, senza essere piegati. Realizzati con carta e caratteri di bassa qualità non indicavano un genere editoriale vero e proprio, quanto una modalità di produzione e diffusione. Dal punto di vista editoriale e testuale tendevano a ripetersi nel tempo sempre uguali, con limitate modifiche essenzialmente nell’ortografia. In genere sfuggivano anche alle rigide norme sulla stampa previste dalla censura preventiva. Se era quindi proibito stampare libri senza luogo di stampa e datazione, nel caso di tali produzioni i censori tendevano generalmente a disinteressarsene. Li troviamo quindi molto spesso senza note tipografe precise e, il più delle volte, senza datazione. Il che, unitamente al fatto che erano oggetti di consumo non destinati alla conservazione in biblioteca, rende molto difficile la loro identificazione. Indubbiamente i materiali del genere furono per secoli quelli che avevano le maggiori probabilità di capitare per le mani del grande pubblico, anche al di fuori dei centri urbani, ma la sopravvivenza nelle collezioni attuali è infinitesimale rispetto a quella che dovette essere la produzione[15]. Il catalogo di Laura Carnelos elenca 632 titoli differenti editi a Bassano tra XVII e XIX secolo, riprodotti in un numero indefinibile di edizioni, basti pensare che della sola Imitazione di Cristo in italiano sono riportate almeno 19 edizioni diverse. I soggetti inoltre erano prevalentemente di materia religiosa. Oltre il 75% dei titoli aveva caratteristiche devozionali. Vi troviamo orazioni, manuali per la meditazione, dottrine cristiane, catechismi, vite di santi, istruzioni per confessori e comunicandi, testi spirituali di vario genere[16]. Vi è poi un 11% di manualistica ad uso delle scuole, dagli abachi, alle grammatiche e ai testi della letteratura latina in uso nei vari percorsi educativi. Il resto era costituito da classici della letteratura popolare italiana in prevalenza di tradizione cavalleresca, come il Guerin meschino e i Reali di Francia di Andrea da Barberino (fig.4),

4AndreadaBarberino

4. Andrea da Barberino, Reali di Francia, in Venezia e in Bassano per Gio. Antonio Remondini. Come il Guerino  detto il Meschino, i Reali di Francia costituiscono un classico della letteratura popolare, diffuso dal XV agli inizi del XX secolo.

il Bertoldo e altre operette di Giulio Cesare Croce, il Viaggio da Venezia al Santo Sepolcro, composizioni in ottava rima. Tale repertorio era regolarmente segnalato nei cataloghi di vendita della ditta a partire dal primo conosciuto del 1729, assieme ad altri fogli analoghi di ancora più difficile identificazione, quali un «sortimento copioso di orationi, historie e di più sorte e più qualità», composto da brevissime composizioni stampate in genere in un mezzo foglio di formato in sedicesimo[17]. A questi materiali si affiancavano i famosi “Santi”. Non è infatti possibile svincolare simili scritti dalle immagini religiose, un repertorio definito «copiosissimo», costituito per lo meno da diecimila immagini devozionali diverse, con varianti di formato e in relazione alle aspettative devozionali di ogni città e paese, che fu uno degli aspetti caratterizzanti della produzione remondiniana. Immagini semplici, spesso colorate vivacemente, realizzate a Bassano, ma in grado di adattarsi ai gusti dei popoli più remoti[18]. Gli affari di Giovanni Antonio dovettero andare da subito piuttosto bene, garantendogli rapidamente un certo agio economico. Nel 1676 acquistò le case di Piazza dove avevano sede i suoi laboratori e negli anni seguenti vengono registrati molti altri interventi finanziari a Bassano e dintorni, che attestano con certezza buone disponibilità di capitali e capacità di intervento[19]. Negli anni immediamente successivi dovettero avere inizio i rapporti con gli ambulanti tesini. La geniale intuizione di legare ad un’unica stamperia centinaia di uomini che per oltre un secolo e mezzo avrebbero diffuso i suoi prodotti per l’Europa e il mondo consente di comprendere come la dislocazione in una posizione periferica venne trasformata in uno dei più significativi elementi di forza. L’impero messo in piedi da Giovanni Antonio venne consolidato nelle due successive generazioni. Il figlio Giuseppe (1672-1742) si occupò di potenziare la struttura industriale dell’azienda, al fine di controllare tutto il processo produttivo, dalla materia prima allo smercio finale. Egli curò l’acquisizione delle cartiere a partire dagli anni Trenta e l’allestimento di tutte quelle lavorazioni che potevano combinare la produzione in grande stile di vari di carte con i laboratori della stamperia. Anche in questo caso si intravede chiaramente l’intenzione di aprirsi nuovi mercati. La produzione di carte da parati è ad esempio consapevolmente rivolta non tanto verso il mercato del lusso, quanto verso i consumi delle classi medie e “popolari”, che intendevano destinare attenzione all’arredamento e alla decorazione delle proprie abitazioni, senza però essere nelle condizioni di servirsi degli artisti e artigiani che lavoravano nelle residenze aristocratiche. Erano prodotti già diffusi nel nord Europa che finalmente erano offerti a prezzi accessibili, in grado di consentire «alli popolari - come scrisse nel 1753 il magistrato dei Cinque Savi alla Mercanzia - il modo di coprire decentemente e con bella vista li muri». L’introduzione di queste nuove lavorazioni favorì lo stabilirsi di legami con il governo veneto, sempre ben disposto a tutelare con privilegi esclusivi ed esenzioni fiscali ogni novità. Il rafforzamento proseguì con il figlio di Giuseppe, Giambattista (1713-1773), sotto la cui direzione venne destinata particolare attenzione alla produzione editoriale. Con l’immatricolazione all’arte della stampa di Venezia, fu allora aperta la libreria a Venezia e, nel giro di pochi anni, la ditta bassanese divenne la più potente casa editrice dello stato veneto e d’Italia e tra le maggiori d’Europa. A quel punto alla stampa dei libretti da risma, che proseguì comunque con la stessa lena di prima, si affiancò una produzione di livello superiore in grado di competere con quella degli editori di maggior prestigio. La produzione libraria ebbe uno sviluppo impressionante. Negli anni Quaranta le licenze di stampa (che non tengono conto del repertorio da risma) rilasciate ai Remondini erano state in tutto 86, pari al 4,6% del totale dello stato. Nel decennio successivo saltarono a 354 ovvero al 14,7%. In media ogni anno, tra ristampe e nuove edizioni, uscivano una trentina di titoli nuovi. La capacità produttiva dei diciotto torchi remondiniani superava allora di gran lunga quella di ogni altro stampatore veneto e italiano[20]. Anche in questo ambito i prodotti bassanesi avevano significativi elementi di vantaggio rispetto agli altri. Costavano meno e potevano contare su una rete distributiva molto ampia ed efficiente dislocata lungo tutta la penisola, sino in Sicilia, e curata con particolare attenzione dalla dirigenza degli stabilimenti di Bassano[21]. L’impegno editoriale nel vero senso del termine cambiò anche il rapporto con gli autori contemporanei, molti dei quali iniziarono a rivolgersi a Bassano per la stampa delle proprie opere, soprattutto contando sulla grande capacità di diffusione. Tra i primi a scorgere tali potenzialità figurano i religiosi. Uno degli autori trainanti risultò essere Alfonso Maria de Liguori (fig.5),

5AlfonsoMariadeLiguori

5. Alfonso Maria de’ Liguori, Theologia moralis sancti Alphonsi de Ligorio…., editio decimatertia, Bassani, suis typis Remondini edidit, 1832 .Uno degli autori trainanti della ditta risultò essere il vescovo di Sant’Agata dei Goti, autore di testi ascetici, devozionali e teologici che dal 1756 divenne uno dei punti di forza della tipografia sino alla sua chiusura.

vescovo di Sant’Agata dei Goti, autore di testi ascetici, devozionali e teologici che dal 1756 divenne uno dei punti di forza della casa sino alla sua chiusura. Dal 1756 al 1791 i Remondini ottennero 80 autorizzazioni alla stampa per sue opere. Titoli come le Glorie di Maria, l’Apparecchio alla morte, le Massime eterne, le Istruzione e pratica per li confessori furono una presenza sistematica nei loro cataloghi con ristampe continue e tirature di gran lunga superiori alle medie, determinate dalla straordinaria capacità di quei testi di coinvolgere psicologicamente il lettore devoto, grazie anche all’uso di una lingua italiana, semplice e curata al tempo stesso, che poteva essere intesa senza sforzi da un pubblico limitatamente alfabetizzato[22]. A produzioni di questo genere che costituirono uno degli assi portanti e più redditizi se ne affiancarono presto molte altre in varie direzioni. Da tutti gli strumenti che potevano servire nelle scuole, grammatiche, dizionari, classici latini ad ambiti più complessi e non necessariamente di ampia diffusione. Nel corso degli anni ottanta i cataloghi remondiniani non riportavano più solo materiali devozionali e ristampe a basso costo di edizioni veneziane, ma anche edizioni di prestigio realizzate con grande cura. Il grande medico dell’Università di Padova Giambattista Morgagni dispose la stampa a Bassano dei suoi studi anatomici per i quali ebbe bisogno di una cospicua quantità di tavole incise; l’astronomo dalmata Ruggero Boscovich per tre anni soggiornò a Bassano per assistere di persona all’edizione delle sue opere matematiche. Negli stessi anni fu posto in vendita il grande atlante di Paolo Santini, costituito da 141 tavole incise. La straordinaria esperienza nel combinare attività tipografica e calcografica portò in quegli anni a progettare anche una ristampa dell’Encyclopédie méthodique, la più imponente opera enciclopedica mai concepita, i cui primi volumi stavano allora uscendo in Francia. L’affermazione in campo editoriale tese a trasformare le caratteristiche della casa. Con l’apertura della libreria veneziana, i libri stessi presero più frequentemente a riportare Venezia come luogo di stampa o, al più, una formula ambigua quale «in Bassano a spese di Remondini di Venezia». Nella nuova situazione si impose anche la necessità di stringere nuove alleanze e relazioni politiche, fondamentali per rafforzare ulteriormente la casa. Probabilmente si discusse anche se fosse opportuno il trasferimento della famiglia a Venezia in considerazione anche dei prolungati soggiorni che Giuseppe, figlio di Giambattista, era costretto a fare nella Dominante. Dipese forse da questo il “suggerimento” agli eredi del vecchio Giambattista sulla opportunità che la famiglia continuasse a rimanere là dove l’avventura era iniziata. Solo l’aggregazione al patriziato veneziano avrebbe potuto mutare tale ferma convinzione[23]. Ma fu un’eventualità che non si verificò mai. Pare anzi che il figlio Giuseppe abbia rifiutato l’invito ad entrare in Maggior Consiglio, «temendo – come scrisse Gamba – che ciò risultasse di troppo inciampo alle sue ordinarie sollecitudini»[24]. Eppure la vita bassanese non doveva essere sempre stata semplice. Giambattista era orgoglioso delle opportunità di lavoro che aveva fornito ai suoi concittadini, anche se non era stato facile mantenere l’ordine in stabilimenti in cui i ritmi non erano blandi. Nelle fabbriche Remondini si lavorava tra le dodici e le quattordici ore al giorno, sotto il controllo di un rigido regolamento che scandiva in dettaglio le attività quotidiane, gli orari, le pause, ciò che era consentito e ciò che era vietato. Non a tutti era stato facile abituarsi ad una disciplina tanto diversa dal lavoro dei campi o da quello artigiano. Lo stesso Giambattista ne aveva patito le conseguenze e nel 1767 era stato vittima di un tentato omicidio da parte di un operaio. Non restano però altre notizie sulla vita quotidiana di quella massa di lavoratori, i cui ricordi non hanno lasciato traccia scritta. Esistono però le appassionate testimonianze degli incisori che lavoravano per la ditta, molti dei quali, non risiedendo a Bassano, mantenevano i rapporti per corrispondenza. E i Remondini non appaiono sempre padroni facili e comprensivi. Pressati da ritmi molto intensi, pretendevano rapidità nell’esecuzione del lavoro e tiravano sui costi, scontrandosi spesso con artisti non sempre disponibili alla passiva ripetitività[25]. Viene anche da chiedersi quali trasformazioni sociali e culturali siano state indotte in una società rurale dalla presenza di una grande azienda proiettata tutta verso l’esterno. Certamente il livello di vita ne aveva tratto grandi vantaggi. Bassano, «città pingue e feconda», l’aveva definita nel 1753 Giovanni Cattini, incisore al servizio della stamperia[26]. I Remondini avevano favorito la crescita di un piccolo ceto intellettuale locale, che aveva maturato una propria coscienza e aspettative forse più grandi di quelle che erano in grado di assicurare. Non erano, di conseguenza, mancate le insoddisfazioni, come se l’apertura di quella finestra sul mondo avesse lasciato balenare sogni che poi in quella realtà non potevano avverarsi. Difficile dire se sia stato un caso, o la dimostrazione di un disagio più grande, ma esistono testimonianze circa il desiderio di evasione di quei letterati che avevano trovato rifugio nei lavori editoriali che la grande stamperia offriva loro. Il prete e storico Giambattista Verci lavorava in redazione agli inizi degli anni ottanta e lì aveva maturato l’idea, a quanto pare d’intesa con Giuseppe Remondini, di andarsene, sia pur temporaneamente in America, via Spagna, con due agenti per avviare un negozio di stampe[27]. Più o meno negli stessi anni analoghe idee di fuga erano state elaborate da Bartolomeo Gamba, che nella casa Remondini era entrato giovanissimo come fattorino e avrebbe percorso tutta la carriera, divenendone direttore sul finire del secolo. Anch’egli, molto giovane, si era associato ad un gruppo di Tesini in procinto di partire per Isphaan, in Persia, sempre per vendere stampe. Il viaggio sarebbe dovuto durare cinque anni, ma a Trieste i compagni avevano già litigato e a Bortolo non era rimasto che tornarsene al suo impiego in stamperia a Bassano dopo avere implorato il perdono del padrone[28].   

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