Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Ma nello stesso 1769 Pasquale si ritira dagli affari nominando suo procuratore il figlio Giambattista. Gio Batta pare disinteressarsi della conduzione aziendale, andando a vivere a Bassano e affidandola alla madre. Questa, nel 1773, la darà in affitto a Giovanni Maria Baccin, che ne era diventato il direttore e che aveva raggiunto un rapporto di stima con il padrone[133]. Il 16 gennaio 1773 viene siglato il patto legale affittandogli il reparto maioliche per 29 anni con tutti i capitali in essa impiegati concedendogli l’uso gratuito delle terre di loro possesso, del mulino e di una casa. In questo atto si dichiarava vietato al Baccin di produrre porcellane così come all’Antonibon di produrre maioliche[134]. Ma la qualità dell’impegno del Baccin fu tale che due anni più tardi gli venne affittata (per otto anni) anche la fabbrica delle porcellane. Questa verrà diretta dal fratello Girolamo Baccin. In seguito alla vertenza Marinoni, il 20 luglio 1778, un incaricato del governo veneziano fa un sopralluogo in fabbrica: vi trova sei fornaci per le terraglie (maioliche), e una grande e quattro piccole per le porcellane. Vi lavorano 120 persone nel settore maioliche e 30 in quello delle porcellane[135]. In quell’occasione Baccin deve inviare una cassa di ceramiche a Venezia per un «esame degli esperti»: piatti, teiere, chicare, terrine e vasi da farmacia accompagnano due zuppiere “a forma di frutto” e due zuccheriere, un gruppo figurato e due piccoli vasetti in porcellana. Viene riconosciuta la migliore qualità tecnico stilistica della manifattura Antonibon - Baccin rispetto alla concorrente[136]. Come abbiamo già detto, la Marinoni nel 1781, chiudendo definitivamente, venderà al Baccin «tutte le maioliche cotte e crude esistenti nella fabbrica di Angarano e negozio di Venezia» per 1000 ducati[137]. Nel maggio 1786, Baccin soffocherà anche il tentativo di produzione autonoma del Fabris rilevando l’affittanza della fabbrica di Rivarotta. Dopo un solo anno, il 10 maggio 1787, Gio Maria Baccin associandosi con Giuseppe Viero, Pietro Dal Negro, Andrea Toffanin e Gio Maria Menegazzi, suoi colleghi dall’Antonibon, fonda una nuova impresa indipendente[138]. Così l’organizzazione aziendale prevede che Dal Negro si occupi del commercio a Venezia e che Viero e Menegazzi controllino il rispetto dei “segreti” di fabbricazione e la spedizione della merce[139]. Nel 1790, alla morte del Menegazzi, la società prosegue con Baccin, Pietro Dal Negro, Giuseppe Viero e Andrea Toffanin[140]. La produzione di maioliche della manifattura Baccin-Antonibon deve essere stata in perfetta linea con le direttive date da Pasquale rivelatesi vincenti. L’alta qualità materica con il suo brillante smalto latteo, l’aggiunta di nuovi stampi, la declinazione delle formule decorative aziendali mantiene costante l’attenzione al risultato artistico finale. I suoi concorrenti dovranno molto spesso accontentarsi di esserne imitatori. Tra questi certamente anche Cozzi[141]. Certe caratteristiche formali spingono a considerare del periodo Baccin alcuni ornati: ad esempio il motivo a piccoli fiori recisi disposti con equilibrio[142] o quelli, in cui l’impianto decorativo è simmetrico, con nastri, ghirlande e greche e la cui policromia è giocata su bicromie o tricromie frenate. La rosa ‘a boccio’ in “rosso Antonibon” è sempre regina del repertorio floreale ma talvolta, come nelle forniture da farmacia, se ne incontrano versioni seriali, appesantite. Nel panorama della maiolica Baccin è certamente compresa anche la decorazione ‘alla rosa’ a piccolo fuoco (fig.13):

13ManifatturaAntonibonBaccin

13. Manifattura Antonibon Baccin. Zuppiera. Bassano del Grappa, Museo della Ceramica Giuseppe Roi. Nel panorama della maiolica Baccin è certamente compresa anche la decorazione "alla rosa" a piccolo fuoco, sempre regina del repertorio floreale, particolarmente in servizi che vogliono imitare la trasparenza della porcellana.

lo prova una fattura di un servizio del 1790 pubblicato da Baroni[143]. Tra i pezzi in forma in questo periodo ebbero sicuramente grande slancio terrine o salsiere a trompe-l’œïl: faraone, galli, conigli e cavoli, cedri, meloni e carciofi. La profonda conoscenza del mondo ceramico, della tecnica produttiva ed un forte spirito imprenditoriale avevano anche suggerito a Gian Maria Baccin di fondare una manifattura di terraglia all’inglese. Il mercato ceramico europeo era stato infatti completamente stravolto dall’arrivo della «cream coloured earthenware» di Joshia Wedgwood. Nel 1781 Baccin impiantò la sua fabbrica richiamando Pietro Poatto, un giovane novese che lui stesso aveva cacciato perchè “ribelle.” Dopo aver girato l’Italia, a Trieste il Poatto aveva appreso l’arte della terraglia, che là si produceva dal 1776, «e volendo tornare in patria ne prometesse il segreto al primo padrone che amorevolmente l’accolse e nobilmente il ricompensò»[144]. Dopo la prima fase sperimentale, sfruttando le cave di argilla caolinica del Tretto, la produzione ebbe facile avvio e nel 1786 il Baccin ne ottenne il privilegio per 15 anni. Costruì un suo palazzo affacciato sulla piazza di Nove, con annesso stabilimento, a poche decine di metri dall’Antonibon. Una coppia di vasi a balaustro sono gli oggetti manifesto della terraglia Baccin:[145] portano infatti dipinti i “suoi” due stabilimenti: quello Antonibon e quello nuovo di sua fondazione. La maggioranza delle terraglia del primo periodo sono ancora prevalentemente Rococò e mirano all’imitazione stilistica della porcellana sia nella morfologia dei corpi che nel gioco decorativo pittorico. Particolarmente interessanti sono due pezzi dipinti dalla stessa mano con scene di villeggiatura, ambedue esposti nel 1990 a Bassano del Grappa[146]. Si tratta di una teiera dal corpo ovoidale con il versatoio a collo di cigno e un piatto, del museo veneziano di Ca’Rezzonico, marcato «Adi 15 Xbre/1786/Gio Batta Poato Fecit» (fig.14)

14GiambattistaPoatto

14. Giambattista Poatto, Piatto con scena galante in un giardino (firmato e datato 1786). Venezia, cà  Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano. La maggioranza delle terraglie del primo periodo, sulla cui produzione un ruolo fondamentale ebbe Pietro Poatto, è ancora prevalentemente Rococò e mira all’imitazione della porcellana sia nelle forme che nel gioco decorativo pittorico.

che, però, vede affiorare il gusto neoclassico[147]. Nel 1802, scaduto l’affitto della manifattura Antonibon, Gio Maria Baccin la lasciò, mantenendo attiva la sua delle terraglie. Baccin con la sua capacità imprenditoriale era diventato ricco. Nel 1782, per la produzione di porcellane, allo scadere del contratto con Baccin, Giovanni Battista Antonibon si era associato con Francesco Parolin, e, il 13 novembre 1782, con una scrittura privata, aveva confermato l’incarico di direttore tecnico a Girolamo Baccin, con il compito «ad assistere tutto quanto possa accadere in negozio… alle maestranze, alli lavori delle medesime, a… fare le vernici e colori… ecc.» [148]. La produzione ebbe grande successo coronato, nel 1785, dalla riconferma della privativa decennale da parte del governo veneziano[149]. E’ un periodo d’oro della porcellana novese: tra gli artisti due personalità svolgono un ruolo guida: il modellatore Domenico Bosello e il pittore Giovanni Marcon. Il primo, giunto a Nove nel 1776, chiamato da Baccin che lo aveva conosciuto a Venezia, proveniva da una famiglia di artisti veneziani e aveva già lavorato a Venezia e, forse (secondo Baseggio), a Vienna. A Ca’ Rezzonico a Venezia è conservato un piccolo busto, firmato e datato 1789, che raffigura con sapiente naturalismo il curato di Nove, Cristiano Antonio Samburgari[150]. Il tipico modellato dei gruppi novesi di gusto più severo ha certamente la sua impronta stilistica. La piccola scultura che rappresenta un gruppo di mercanti orientali, marcato «Nove/ 1789», è probabilmente di sua mano[151]. Così come sue, o di qualche altra mano sapiente,[152] devono essere alcune raffinate Pietà. Bosello lavorò nella manifattura Antonibon fino alla morte avvenuta nel 1821. Ma, comunque suoi (e precedenti al 1789), debbono essere alcuni modelli dei giovani popolani e gentili che formano la vitale fiera dei “gruppetti” novesi. Il pittore Giovanni Marcon, di umilissima origine, proveniva da Rosà, un paese poco lontano. Straordinario talento di grande abilità nel disegno, venne assoldato dal Parolin e visse sempre a Nove decorando magnificamente moltissime porcellane[153]. Anche di Marcon conosciamo alcuni pezzi firmati: la magnifica vasca “à onion” decorata con scene di porto e marcata in oro «Nove» con la stella cometa e «Gio:ni Marcon Pinx:t», del Victoria and Albert Museum di Londra[154], la tazza da brodo del Museo Civico di Bassano e le lastre con paesaggi in monocromia bruna conservati nel museo dell’ISA di Nove[155]. Il codice stilistico guarda a Vincennes-Sèvres: le tazze diventano cilindriche, le pareti lisce, le riserve rettangolari. Nei decori appaiono nastri, catenelle e fili fogliati con fiori minuscoli che punteggiano la superficie; alle scene di mercato o galanti si affiancano paesini e soggetti “all’antica”. La tavolozza vede comparire toni più severi: blu scuro, bruno, il rosso scuro, nero. Monocromie verdi, nere e seppia compaiono in repertorio. Le figure o i gruppi, escono spesso dagli stessi stampi, ma poggiano su basi cilindriche. Nel 1796 le truppe napoleoniche giungono fino alle rive del Brenta e, ci dice Baroni, Napoleone venne ospitato a casa Baccin[156]. In quell’occasione vennero eseguiti dei pezzi in porcellana “napoleonici”[157](tav.30). 

 

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