All’inizio del nuovo secolo la maggior parte delle manifatture produce terraglia popolare economica, dal segno guizzante, e potenti colori. Contemporaneamente continuano ad uscire dalle stesse fabbriche costosissimi pezzi ‘da mostra’ in occasione delle esposizioni. Alla celebre Esposizione Universale del 1900 a Parigi esporranno quattro fabbriche del comprensorio: «Primon e Valeri [affittuario della manifattura Antonibon] di Nove e Passarin e Viero di Bassano del Grappa»[201]. La loro produzione fine era ancora prevalentemente nella scia citazionistica: il mercato nazionale ed internazionale (Francia e Inghilterra) era ancora vivo, anche se la critica ormai ne lamentava la mancanza di creatività. Il ruolo della Scuola d’Arte di Nove sarà straordinario in questo senso. All’inizio a guidarla sarà Francesco Troyer, grande pittore di Antonibon[202], personaggio di alta statura tecnico-formale come Silvio Righetto autore di celebri piatti floreali e “alla frutta“ che lo sostituirà nel 1916[203]. Nella scuola d’arte i ragazzi novesi troveranno un’educazione sempre aggiornata che permetterà di mantenere un buon standard qualitativo al prodotto dell’area, anche nei momenti storicamente più difficili. Ma, malgrado gli sforzi nel modernizzare gli impianti produttivi, nei primi del Novecento la crescita industriale delle manifatture vicentine frenerà ogni slancio delle nostre: oltre alla manifattura Antonibon (ormai entrata in una crisi da cui non si risolleverà più) un nucleo di piccole industrie continuano, ridimensionate, la loro attività. Le Relazioni biennali delle condizioni industriali che vengono compilati dalla Camera di Commercio di Vicenza permettono di averne il polso. Compaiono diverse volte denominazioni aziendali solo su un elenco. Le manifatture si formano per metamorfosi o per gemmazione da stabilimenti precedenti: esperti artefici tentano di mettersi in proprio, ma spesso le difficoltà economiche impediscono il successo. Questo panorama imprenditoriale provoca un fitto passaggio di modelli e lavoranti[204]. Inestricabile. All’Esposizione Regionale d’Arte Decorativa del 1908 il parere dalla giuria sarà molto severo nel valutare la totale assenza di progresso artistico nei prodotti. In questo periodo a Bassano la manifattura Passarin, che nel 1912 passerà nelle mani di Luigi Fabris (fig.21)
è viva: ne è prova la decorazione a mattonelle dell’Hotel Ausonia/Hungaria al prestigioso Lido di Venezia. Nello stesso anno la famiglia Barettoni frenerà quella girandola di passaggi di proprietà dell’ex stabilimento Antonibon che aveva contraddistinto il primo decennio del secolo (ed è nelle sue mani ancora oggi)[205]. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, combattuta duramente in queste terre, portò invece alla chiusura definitiva della manifattura Viero. Tra le due guerre Fabris vivrà a Milano lavorando soprattutto la piccola scultura in porcellana di gusto neosettecentesco con un accento romantico più che teatrale, ormai cinematografico[206]. Un’altra fabbrica di rilievo negli anni Venti sarà la Zanolli, Sebellin & Zarpellon nello stabilimento già Baccin di Nove: abili soprattutto nella piccola scultura tradizionale (magnifico il fregio di putti posto sulla facciata del loro opificio), produrranno anche figure ispirate alla nuova moda da settimanale femminile che aveva lanciato la Lenci[207]. Il primo dopoguerra vide la comparsa del nuovo mercato statunitense. Accanto ai tradizionali piccoli animali e alle verdure a “trompe-l’oeil” i grandi piatti del tacchino per la Festa del Ringraziamento americana, saranno prodotti vincenti dell’area bassanese. Lo stile dominante è ancora quello citazionistico. Incontrano successo grandi piatti dipinti con capolavori pittorici, composizioni di frutta e fiori o paesaggi. Resistono sempre in catalogo i pezzi in stile neosettecentesco. Piccoli gruppi scultorei, spesso bianchi, vengono talvolta marcati con la N coronata per fare il verso alla “leggendaria” produzione di Capodimonte: Veneri classiche, putti alati e coppie galanti in abiti settecenteschi o della Commedia dell’Arte vengono ad abitare camini e stipi delle abitazioni italiane, europee ed americane. Contemporaneamente alla produzione più seriale spiccano alcuni straordinari talenti: uno di questi è Luigi Zortea (fig.22)
artista che, dopo aver fatto gavetta nella Passarin -Fabris, sviluppa la sua cultura artistica a Milano, dove diventa amico di Gio Ponti, ed a Torino dove lavora alla Lenci. Tornato a Bassano nel 1929 crea delle raffinate sculture, come i magnifici gruppi bianchi chiamati “Gli elementi” che appartengono alle raccolte civiche bassanesi. La nascita delle Biennali d’Arte Decorativa monzesi nel 1923 e delle riviste specializzate, come «Arte Decorativa ed Industriale» o «Emporium», accelerano la modernizzazione della ceramica nazionale. Alle novità formali della Richard-Ginori di Gio Ponti e della Società Ceramica Italiana di Laveno di Guido Andlovitz si uniscono anche innovazioni tecnologiche: terre d’importazione, colori industriali, grandi forni elettrici o a carbone. Echi raggiunsero anche Nove e Bassano accolti con diseguale interesse dai singoli produttori: il più sensibile al nuovo codice stilistico sarà certamente Antonio Marcon a Bassano[208]. Gli ultimi anni Venti saranno molto severi per la produzione seriale: l’acquietarsi del mercato dell’America settentrionale (sfociata nella crisi del ‘29) non è risolto dal presentarsi dell’America Latina come area commerciale. Molte aziende soffrono una forte crisi produttiva o sono costrette a tentare la salvezza fondendosi. Nel 1934, la storica fabbrica Cecchetto aveva cessato la produzione di vasellame dedicandosi ai materiali ceramici per la lavorazione. Ma, dopo qualche anno, si percepisce un nuovo spirito vitale: a Nove nel 1937 vengono fondate due industrie moderne, la “U.C.A” e la “Società dell’Arte Ceramica”. Accanto ai prodotti “in stile” nei cataloghi dei produttori si trovano pezzi dalla morfologia decisamente più moderna[209]. Durante la guerra, la chiusura del mercato americano provocherà grande disagio nei produttori, ma seppur sottotono la macchina industriale non si fermerà. Vennero anche fondate piccole fabbriche novesi: la dal Prà, la Zanotto, la Moretti e la SCAN. La produzione di vasellame casalingo ha un mercato a breve raggio. Con la fine della Guerra, la riapertura del mercato statunitense dà nuovo ossigeno alla produzione industriale. Ma non si affronterà mai il virus imprenditoriale della parcellizzazione vera piaga dell’area. Nascono una serie di piccole aziende che vanno a disporsi lungo la via principale di Nove, e che ancora ne caratterizzano l’aspetto. Sulle insegne nuovi nomi, come “Ancora”, nuove sigle “I.C.A.N.” o “S.I.C.A.”, accanto a imprese che portano cognomi, spesso delle famiglie locali da sempre attive nel ramo[210]. La vita aziendale è ancora spesso troppo breve. Le produzioni si somigliano molto, ma la vetrina della Fiera di Vicenza dà loro nuova visibilità agevolando il mercato. La Scuola d’Arte novese dal 1942 al 1963 è guidata dall’artista siciliano Andrea Parini[211](fig.23).
La sua statura artistica e la volontà di riorganizzare la scuola, dell’annesso museo e il legame col territorio si riveleranno un grande valore per l’industria locale. I giovani educati alla scuola d’arte novese, messi in contatto con il nuovo spirito internazionale respirato nella vicina Venezia delle Biennali, abbandonano progressivamente il modello storico, o semplicemente realistico, per tuffarsi nel mondo della modernità. Compaiono forme astratte, materiche, poetiche. I ragazzi vengono conquistati dai linguaggi formali delle Avanguardie europee e dalle sperimentazioni dei ceramisti giapponesi o degli atelier francesi ed inglesi. Accanto ai materiali tipici (terracotte, maioliche, terraglie color crema e porcellane) si sperimentano nuovi impasti (il grès e la terracotta refrattaria di grana forte, ruvida al tatto) e rivestimenti polimaterici. Sarà così che nascono i grandi artisti della seconda metà del secolo: Pompeo Pianezzola, Alessio Tasca, Federico Bonaldi, Giuseppe Lucietti e gli altri grandi maestri della nuova ceramica di questa terra d’arte[212].