Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Indubbiamente la conquista napoleonica sarà in realtà un fenomeno sconvolgente per la regione portando ad una grave crisi che aveva coinvolto la produzione novese. La fabbrica Antonibon resisterà meglio di molte concorrenti grazie alla vicinanza con la cava di Tretto, il miglior caolino italiano, ed alla statura artistica di Domenico Bosello e Giovanni Marcon. Nel 1802 la gestione della fabbrica Antonibon, scaduti i contratti con Baccin e Parolin, sarà rilevata da Giovanni Baroni di Rossano Veneto, che verrà sostituito dal figlio Paolo dal 1811 al 1823. Producevano nei tre materiali ceramici: maiolica, terraglia e porcellana. Giovanni Baroni, nel primo decennio del secolo sforna molte porcellane dal raffinato carattere neoclassico di altissima qualità. Tra tutti i prodotti ceramici novesi è certamente quello che godrà di maggiore considerazione internazionale. Nei primi testi ceramologici europei tra le porcellane italiane ammirate ricorre un vaso in porcellana dal fondo blu rehaussèe en or con scene della vita di Dario firmato da Baroni[158]. Esemplare di questo gusto raffinato è la splendida tazza da brodo del Museo Civico di Bassano del Grappa, dipinta probabilmente da Giovanni Marcon, con scene mitologiche allusive alle glorie napoleoniche, databile attorno al 1807, anno in cui potrebbe essere stata mostrata all’imperatore (tav.30) o le bellissime tazze “dantesche” della stessa raccolta museale. Potrebbero essere opera di uno di quei raffinati artisti forestieri, tedeschi e francesi, che Baroni si vantava di avere a paga. Su tutti indubbiamente è l’artista che si sigla «F.X.H.», spesso accompagnato dall’asterisco, su pezzi di grande eleganza[159](figg.15-16).

15-16ManifatturaAntonibonBaroni

15. 16. Manifattura Antonibon Baroni. Tazzina (post 1802). Saronno, Museo Gianetti, inv. 132 e Iniziali del decoratore. Giovanni Baroni si vantava di avere a paga raffinati artisti forestieri, tedeschi e francesi, tra i quali è l’artista che si sigla “F.X.H.”, spesso accompagnato dall’asterisco, su pezzi di grande eleganza.

La maggioranza dei pezzi neoclassici novesi però presto perdono finezza: le pareti si ispessiscono, le formule artistiche classiche si semplificano e irrigidiscono le composizioni floreali o paesaggistiche. Filetti o fasce di diverso spessore corrono agli orli. La doratura talvolta profila, ma spesso l’intero ornato è formato solo da semis che, ordinatamente, punteggiano la superficie. Questa porcellana è ben più ordinaria rispetto al primo decennio di questo nuovo secolo. I pezzi novesi in terraglia (con la marca «G.BARONI /NOVE» impressa), presenti nelle raccolte museali locali sono certamente meno numerosi. Hanno forme molto vicine al modello inglese e sono decorati con motivi floreali (come un motivo a Marsiglia indurito) o neoclassici semplici. Nell’archivio della famiglia Barettoni, attuale proprietaria della fabbrica Antonibon, è conservato un inventario datato 16 Luglio 1815 redatto al momento della divisione patrimoniale tra i figli di Giovanni Baroni: Paolo, che ne prenderà la direzione, Costantino e Giambattista. Nelle sale a magazzino sono conservate terraglie, maioliche e porcellane[160]. Le terraglie sono tante e seriali: totalmente coerenti con le altre produzioni coeve venete, e spesso sono pezzi di seconda, terza o quarta scelta. E’ citata anche della piccola scultura: gruppi (tra cui “La Centaura coi giganti”) (fig.17)

17ManifatturaAntonibonBaroni

17. Manifattura Antonibon Baroni, La Centaura coi giganti (ante 1815). Maiolica. Bassano del Grappa, Museo della Ceramica Giuseppe Roi. Nell’inventario del 16 Luglio 1815 redatto al momento della divisione patrimoniale tra i figli di Giovanni Baroni è citata anche una piccola scultura in maiolica, come La Centaura coi giganti.

e figure (Stagioni, Veneri, Mercurio, Puttini, Contadini). Il registro della «Majolica cotta» cita le stesse forme della produzione settecentesca. Il numero di porcellane è minore ed è ordinato per “disegni”. La produzione di porcellana è in netto declino. Molti sono “scarti”. Negli stessi anni Giovanni Maria Baccin, divenuto benestante[161], dopo aver sciolto la società che aveva formato con Pietro Dal Negro, Giuseppe Viero ed Andrea Toffanin, amplia il suo stabilimento di Terraglie e Majoliche[162]. Lo affitta ad Andrea Toffanin, suo ex–socio, di cui nutriva grande stima[163]. La produzione della manifattura Baccin-Toffanin doveva essere di buona qualità. Nel 1816, infatti, viene invitata, insieme ai Baroni, ad esporre campioni della propria produzione a Vicenza, in occasione della visita dell’imperatore Francesco I. Baroni presenta «varj saggi di Vasellami ... di porcellana finissima con figure, colori e disegno soddisfacenti» e i Toffanin «presentarono alcuni pezzi di terraglia». Ma la crisi è ormai tangibile, nel «Prospetto» della manifestazione a commento dei pezzi di Baroni si legge: «Questa fabbrica, una volta estesissima, e che occupava molte braccia, abbisogna della sovrana protezione».[164] Misura che non sarà accordata. L’anno successivo, 1817, Giovanni Maria Baccin muore, dopo aver nominato in testamento erede il nipote Giovanni Maria Cecchetto, ma la manifattura rimarrà affittata al Toffanin fino al 1828[165]. Nel prospetto dalla Camera di Commercio Arti e Manifatture di Vicenza del 1830 vengono citate le manifatture ceramiche novesi: Baroni è ancora dominante ed impiega 80 operai, seconda è la Andrea Toffanin [di proprietà Baccin-Cecchetto] di terraglie con 41 operai, l’altra manifattura di terraglie Toffanin[166] con 20 operai; una di terraglie e maioliche intestata a «Roberto Roberti e compagno» con 30 operai, e due minori: una di Paolo Comacchio con 10 operai ed, infine, una bottega con 3 operai di Giovanni Cecchetto (il nipote di Baccin) che sperimenta la porcellana (con circa 7000 pezzi annui)[167]. Nelle collezioni pubbliche e private di Bassano, Nove e Vicenza sono conservati diversi piatti in terraglia in cui è manifesta l’eredità della cultura ceramica locale. Ne sono note alcune datate al secondo quarto dell’Ottocento con belle composizioni alla frutta e piccole rose “rosso Antonibon”[168]. Nel 1825, quando Paolo Baroni lascia, l’azienda viene ripresa da Giovanni Battista Antonibon (il nipote di quello che l’aveva affittata al Baccin) denominandola «Pasquale Antonibon & figli». Ma sono anni difficili: presto la produzione della porcellana viene abbandonata. La decorazione fine a piccolo fuoco viene temporaneamente trasferita alla ceramica color crema[169]. La crisi continua: nel 1841 gli operai sono solo 39, molti sono andati a lavorare da Cecchetto o a Vicenza. Nel 1855 si scrive che la causa di questa crisi sono «gli enormi dazi e … il consumo delle terraglie forestiere, specialmente inglesi. Le nostre fabbriche furono limitate a produrre oggetti ordinari e di poco pregio»[170]. Si era dato avvio alla produzione della terraglia ‘ordinaria’ che oggi chiamiamo popolare. Forme semplici, lisce, in terraglia tenera, con decori vivaci sono eseguiti in modo seriale da pittori dalla mano sicura e rapida, anche grazie all’uso di mascherine e bordure realizzate con spugnette o tamponi di pizzo[171]. Questa terraglia economica che si vende nelle piazze dei mercati è prodotta in tutto il vicentino. Diverse fabbriche novesi come l’Antonibon e la Cecchetto,[172] sfornano piatti con Stagioni, Mesi, figure della Commedia dell’arte, fiori e, verso la metà del secolo, come tutti i loro concorrenti, modificano la tavolozza a gran fuoco: si passa dai colori tradizionali dai toni frenati, a un blu brillante, un rosso ciliegia, un rosa squillante e un forte giallo uovo: la tipica cromia dei piatti popolari. Questa produzione continuerà fino alla Prima Guerra Mondiale. Piccole manifatture, spesso gemmate dall’Antonibon, guidate da un abile scultore o da un esperto pittore conquistano piccole fasce di mercato che intaccano la già fragile economia della manifattura madre. Gli Antonibon avevano ormai perso il loro ruolo leader nella regione: la Cugini Pesaro e la Sebellin di Vicenza avevano raggiunto una notevole statura imprenditoriale: la prima nel 1859 dichiarava 93 dipendenti, mentre la seconda 70. Nella stessa indagine da Antonibon sono presenti 28 lavoranti, 18 da Cecchetto, 16 da Viero, 10 dai Bernardi, 7 degli Eredi Agostinelli[173]. I Viero, che risultano forti quasi quanto i Cecchetto, erano stati soci del Baccin, e, all’inizio del secolo, aveva rilevato una fabbrica di cristalline a Rivarotta, al confine tra Nove e Bassano. Giovanni Battista, aveva preso nel 1842 le redini dell’impresa producendo vivace terraglia popolare e marcando «GBV»[174](fig.18).

18ManifatturaGiovanniBattistaViero

18. Manifattura Giovanni Battista Viero. Piatti con I Mesi, terraglia. Bassano del Grappa, Museo della Ceramica Giuseppe Roi. I Viero erano stati soci del Baccin, e aveva rilevato una fabbrica di cristalline a Rivarotta, al confine tra Nove e Bassano. Giovanni Battista, aveva preso nel 1842 le redini dell’impresa producendo vivace terraglia popolare marcata “GBV”.

Bortolo Bernardi, e i suoi eredi, risultano attivi fino al 1861. Antonio Agostinelli, ex-modellatore degli Antonibon, insediandosi in via Maglio Vecchio, produce ceramica ordinaria e grandi gruppi plastici in terraglia molto simili a quelli di Antonibon; i suoi modelli saranno seguitati dagli eredi[175]. Nei primi anni Sessanta il titolare dell’azienda maggiore è Giovanni Battista Antonibon. Suo fratello Francesco, educato all’Accademia veneziana, è un colto pittore storicista amico di Hayez. Sarà lui ad aprire la propria casa a Giambattista Baseggio, autore del primo libretto sulla produzione novese dal tono elegiaco. Due anni dopo la liberazione, il 29 giugno 1869 Lady Charlotte Schreiber, colta collezionista di porcellane londinese, visiterà Nove[176] a caccia di porcellane. In manifattura sarà accolta da Francesco «propietario e manager che ci mostrò quello che c’era nel deposito ed anche quello che restava dell’antica manifattura di porcellana»[177]. Ci descrive gli Antonibon in una situazione di grave crisi economica. Annota che la produzione ceramica «oggi consiste parzialmente nell’imitazione dei primi e migliori prodotti». Scrive anche che avevano venduto gli ultimi pezzi raffinati della loro raccolta ad antiquari veneziani e che probabilmente questi erano poi entrati a far parte della collezione Reynolds.[178] Si parla quindi della produzioni di falsi pezzi del primo periodo, messi in vendita a Venezia da un antiquario: oggetti che molto probabilmente oggi ci ingannano. Secondo Stecco nel l867 comincia la «ripresa con i vecchi modelli e con studi continui e ripetute prove di vernici e di colori la fabbricazione delle antiche majoliche»[179]. La ricerca per il recupero delle migliori qualità tecnico-formali del prodotto “storico” è ovunque il germoglio del miglior storicismo. Ne nasce quella che oggi chiamiamo “ceramica artistica ottocentesca”, che avrà fortissima eco in tutto il comprensorio bassanese. Da Antonibon così trionfa il «revival» della maiolica, che non sempre mostra parentela con la produzione novese settecentesca, ma piuttosto con le contemporanee porcellane tedesche da grande esposizione. La tavolozza è ormai quella «a gran fuoco» moderna, ricca di nuove tonalità cromatiche tra cui primeggiano i rosa[180]. Osservando la nuova moda citazionistica, Antonibon inventò, con l’aiuto dei maggiori talenti artistici di Nove e dintorni, uno stile neo-rococò dalle forme fantasiose decorate con grandi motivi floreali. Un’altra fortunata formula decorativa, sempre esaltante la nuova tavolozza, vede la fedele ripresa della grande pittura veneta settecentesca e contemporanea su grandi forme. Pasquale, sindaco di Nove, è dal ’67 deputato del neonato Regno d’Italia, usa la sua cultura politica per la valorizzazione della ceramica veneta, ad esempio facendosi promotore della nascita di un istituto d’arte a Nove[181]. Questo sarà fondato nel 1875, grazie ai fondi lasciati dallo scultore Giuseppe de Fabris[182], ad insegnarci saranno chiamati i migliori artisti novesi: Giuseppe Lorenzoni (fig.19),

19ManifatturaAntonibon

19. Manifattura Antonibon, Giuseppe Lorenzoni, Vaso, maiolica. Bassano del Grappa, Museo della Ceramica Giuseppe Roi. L’Istituto d’arte di Nove, fondato nel 1875, e voluto da Pasquale Antonibon, deputato dal 1867, avrà come insegnanti i migliori artisti, Giuseppe Lorenzoni, Antonio Bianchi, Giovanni Battista Minghetti, Edoardo Tommasi, artefici dei migliori pezzi da esposizione.

Antonio Bianchi, Giovanni Battista Minghetti, Edoardo Tommasi, gli artefici dei migliori «pezzi da esposizione»[183]. L’educazione dei giovani a nuovi stili e tecniche sarà l’ossigeno che alimenterà la produzione novese. Le manifestazioni espositive regionali e nazionali diventano la naturale vetrina di Antonibon: vince medaglie e ottiene riconoscimenti. Nel 1867 Antonibon presenta le sue ceramiche all’Esposizione Universale di Parigi e «ne fu premiato con ambita onorificenza»[184]. Pulsa un nuovo orgoglio «Sovra gli altri come aquila vola Pasquale Antonibon e figli, delle Nove, e perché ha compreso le vere proporzioni nelle quali la ceramica poteva diventare arte decorativa, e perché … ha schiuso ai prodotti nazionali una via all’estero»[185]. Uno straordinario documento di questo successo è un dipinto di Paul Gauguin del 1881 che rappresenta l’interno della sua casa di Rue Carcel a Parigi[186] in primo piano, sulla tavola, troneggia un gran rinfrescatoio novese decorato a fiori policromi. All’esposizione milanese del 1881 Antonibon sarà premiato «per le forme eleganti e per le difficoltà superate di produrre le maioliche a gran fuoco, conservando le tinte e la vivacità dei colori»[187]. A Torino nel 1884 il compaesano Giovanni Battista Viero si dimostrerà un temibile concorrente: ambedue vincono la medaglia d’oro. Viero aveva fatto tesoro della lezione di Antonibon e, ottenendo la collaborazione degli artisti più validi (come gli scultori Piazza e Minghetti e i pittori Volpato e Bianchi), sforna pezzi di alta qualità formale[188]. La sfida tra loro, per la maggiore dimensione, complessità e qualità del gioco plastico e pittorico continua oggi nelle sale dei musei civici di Bassano e di Nove dove specchiere e vasi giganteschi ci riportano nell’atmosfera di quelle manifestazioni. Tutte le famiglie novesi erano attive nelle manifatture: «La mano di questi monelli artisti a dieci anni, non meno per eredità che per infantile esercizio … adornano di splendidi fiori che, slanciati ed eleganti, non hanno da invidiare alla natura se non il rosso di minio, ma sono poi ricchi di tutte le altre tinte»[189]. Presso la fabbrica Cecchetto è ancor oggi conservato il registro dei «Lavori» datato 20 marzo 1875 in cui si osserva che produceva terraglia all’inglese e la ceramica più popolare «all’uso Antonibon» e «ad uso Monticello»[190]. La produzione di piatti popolari dei Cecchetto sarà tra le più amate in Veneto: galletti, decori floreali, dame e popolane, e piatti a soggetto patriottico. Nel 1884 troviamo i Cecchetto presenti all’Esposizione torinese tra le «fabbriche di stoviglie usuali»: è una rara eccezione[191] solitamente non partecipavano alle grandi manifestazioni[192]. Seppure i successi alle Esposizioni continuano, all’inizio degli anni Novanta affiora la crisi economica, che rapidamente diventa incontrollabile: nel 1897 viene dichiarato il fallimento dell’Antonibon e l’ultimo erede, accusato di bancarotta fraudolenta, subisce processo[193]. All’asta fallimentare l’azienda viene rilevata da Achille Valeri di Monticello Conte Otto, che la terrà solo quattro anni[194]. Esaltati anche dall’agonismo provocato dalle sfide alle esposizioni, dalla possibilità del successo (come quello di Viero a Torino) fa sì che, nell’ultimo quarto dell’Ottocento, molti artefici improvvisano iniziative imprenditoriali spesso effimere, talvolta no. Ad esempio Antonio Agostinelli attorno al 1870 rilevò i materiali dei Bernardi, per dedicarsi (principalmente), e con buon successo, alla produzione di scultura “all’antica” in terraglia all’angolo con via Maglio vecchio. Poco lontano accenderà le fornaci Bernardo Tommasi, che parteciperà all’esposizione milanese del 1894[195] attività poi rilevata da Domenico Agostinelli, che la porterà a doppiare il secolo[196]. Di alcuni piccoli opifici rimane solo fugace memoria: come quella di Gaetano Orso, di Bernardo Marcolin o di Giacomo Mezzan documentati alla metà del secolo. Ben altra statura artistica mostra Demetrio Primon che troviamo partecipare per la prima volta nel 1885 all’Esposizione circondariale di Bassano. All’esplosione storicista partecipano anche due giovani aziende di Bassano del Grappa, collocate ai due termini del ponte palladiano: a Bassano città la manifattura di Raffaele Passarin e ad Angarano la manifattura di Gaetano Bonato. Ambedue producono “ceramiche artistiche” ma in terraglia, non in maiolica come le novesi. Gaetano Bonato, ex pittore di Antonibon, come ci racconta Giuseppe Corona «cominciò verso il fine del 1883 a fabbricare da solo figure e gruppi in terracotta greggia e verniciata, vasi, specchiere ed altri oggetti»[197]. Questi partecipa a molte esposizioni, dalle regionali fino all’Exposition Universelle del 1900 a Parigi[198]. Ma, indubbiamente, tra i ceramisti bassanesi sono i Passarin ad acquistare un ruolo preminente: Antonio apre il suo laboratorio nel 1882 per produrre terraglia artistica storicista, come busti di grandi veneziani, dipinti dei Bassano in cornici sansoviniane. Dal 1885 lo affianca il figlio Raffaele, vero talento[199]. Dal 1889 li troviamo presenti accanto ad Antonibon all’esposizione parigina dove ottengono una «menzione onorevole». La statura artistica e l’assoluto dominio della tecnica ceramica e pittorica di Raffaele gli permette la ripresa di celebri dipinti del passato, ma anche contemporanei (G. Favretto, L. Nono, E. Tito, A. Milesi) sulla superficie di piatti o cabaret con notevole successo.Ma la considerazione della pittura veneziana contemporanea è sottolineata dal magnifico piatto dedicato al Favretto firmato "passarin Ant. e figlio" (fig.20).

20PiattodedicatoAFavretto

 20. Piatto dedicato "A Favretto", Manifattura Passarin Antonio e figlio. Maiolica. Vercelli, Museo Borgogna. 1889. Il piatto illustrato riprende il dipinto "La fiera di Pasqua sul ponte di Rialto" del pittore veneziano.

La visione internazionale stimola Passarin a inserire nel proprio lessico formale nuove eleganze moderniste. Le invenzioni dei preraffaelliti inglesi o del parigino Théodore Deck coniugate con il citazionismo nazionale lo portano a produrre ceramiche di assoluta avanguardia per la regione. Sarà infatti l’unico ceramista veneto ad essere invitato alla Prima Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna del 1902[200]

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