Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Una straordinaria dilatazione dell’area edificata si verificò dopo la stasi determinata dalla guerra di Cambrai (1508-1517) durante la quale le truppe della Lega contro Venezia incendiarono il ponte, arrecarono gravi danni alla Loggia di Piazza e devastarono il Fondaco del grano e gli annessi locali del Monte di Pietà. La riqualificazione urbana prese presto l’avvio, per intervento pubblico, con la selciatura di vie e piazze, la monumentalizzazione delle porte, il riadattamento degli edifici comunali, tutti lavori celebrati da targhe laudatorie e dagli stemmi dei podestà che li facevano eseguire, segni, come altri - affreschi di facciata, decorazioni interne, quadri votivi - della propaganda all’autorità e all’eccellenza del potere veneziano. Fu nel 1536, essendo podestà Matteo Soranzo, che si decise di selciare tutte le strade cittadine «a somiglianza di quelle di Feltre» e di obbligare i padroni delle case a fare a loro spese il tratto di selciato davanti a esse[6]. L’operazione richiese tempi lunghi di completamento, come testimoniano le lapidi commemorative dei vari podestà che vi provvidero fino al 1582, quando fu selciata, per ordine di Nicolò Mocenigo, la strada che dal Cornorotto conduce al ponte[7]. Potrebbe essere un ricordo di quest’ultimo intervento il dipinto di Leandro dal Ponte (1557-1622) che presenta Un podestà di Bassano inginocchiato davanti alla Madonna in trono con il Bambino (ora al Museo Civico) con sullo sfondo la prima raffigurazione pittorica del ponte palladiano in un quadro votivo: nel podestà si potrebbe identificare, secondo una recente ipotesi[8], il Mocenigo. Alle porte cittadine che con la pace veneziana avevano perduto la loro funzione di barriera tra mondo interno ed esterno, fu conferito un aspetto monumentale da mostrare al forestiere che si apprestava a entrare. I paramenti marmorei che rivestono i varchi urbani, più che ad architetti, si devono ai maestri murari e tagliapietra bassanesi, formatisi nelle arti edili tramandate di padre in figlio, in botteghe famigliari come quella degli Zamberlan. Si cominciò dagli ingressi al ponte incorniciati, come ancor oggi li vediamo, da begli archi rinascimentali con i loro ornamenti: nel 1521 quello da Bassano e nel 1531 quello da Angarano, voluti, come recitano le iscrizioni, rispettivamente dai podestà Giambattista Memmo e Gio Alvise Grimani. Nel 1540 fu squarciata una cortina muraria del Castello Inferiore e fu aperto ai civili il raccordo diretto (senza l’obbligatoria deviazione per la vicina Porta dei Leoni, ora dell’Angelo) tra le attuali vie Roma e Beata Giovanna: nel 1541 nel fornice trecentesco della porta fu inserito nella parte esterna un arco recante l’epigrafe in onore del podestà in carica, Domenico Diedo, dal quale il titolo “Dieda” (fig.5).

5EpigrafeDomenicoDiedo

5. Epigrafe in onore di Domenico Diedo, podestà in carica (1541). Bassano del Grappa, Porta Dieda. Nel 1540 fu squarciata la cortina muraria del Castello Inferiore e fu aperto ai civili il raccordo diretto (senza deviare per la vicina Porta dei Leoni, ora dell’Angelo) tra le attuali vie Roma e Beata Giovanna.

Durante il reggimento di Bernardo Morosini, successo al Diedo, Jacopo Bassano affrescò sopra l’arco un fregio con l’iscrizione onoraria del podestà e il Marco Curzio sul cavallo impennato in atto di gettarsi nella voragine, paradigmatico esempio di coraggio, carico di un significato politico filoveneziano. Della Porta Prata, di entrata dal Margnano - fatta riadattare e ornare a cura del podestà Marino Grimani nel 1548 - non resta che la lapide commemorativa, come anche di quella di Brenta, fatta rinnovare nel 1583 dal podestà Vettor Soranzo, l’unica a mostrarsi nella sua monumentalità nella veduta dalpontiana: essa è tipologicamente simile alla Porta delle Grazie, giunta integra fino ai nostri giorni, monumentalizzata per ordine del podestà Giovanni Tagliapietra. Nell’aulica architettura a fronte di tempio, le semicolonne laterali lisce, in contrasto con il bugnato rustico di fondo, s’innalzano su alti piedistalli a reggere la trabeazione su cui si imposta il frontone. Nell’architrave è incisa l’iscrizione latina che ricorda questo omaggio del Tagliapietra ai bassanesi con la data 1560 (fig.6; tav.3);

6PortaGrazie

6. Francesco Zamberlan (Bassano del Grappa), Porta delle Grazie, iscrizione. Nell’architrave è incisa l’iscrizione latina che ricorda l’ omaggio del podestà Tagliapietra ai bassanesi con la data 1560. Il suo stemma è scolpito nella chiave di volta dell’arco.

il suo stemma è scolpito nella chiave di volta dell’arco. Sobrio l’ornamento del fregio con triglifi e metope nelle quali i bucrani si alternano agli stemmi del doge in carica Girolamo Priuli, della Serenissima con il Leone in moleca e di Bassano con la torre e i due leoni controrampanti; tracce di una decorazione ormai perduta al centro del timpano. L’opera, ligia alle regole del classicismo d’ispirazione palladiana, ha un’attribuzione da parte del Gerola[9] all’architetto bassanese Francesco Zamberlan (1529 ca - post 1606) che del Palladio divenne collaboratore in importanti imprese dopo il suo trasferimento a Venezia, avvenuto verso la metà degli anni Sessanta[10]. Lo Zamberlan, dotato di poliedrica genialità, acquisì nella città natale una solida formazione non solo nell’arte edificatoria in seno a una famiglia di maestri murari e lapicidi (come lo furono il padre Matteo e lo zio Agostino), ma anche nella meccanica - il Marucini, come si è visto, nel 1577 lo ricorda come inventore di un congegno meccanico «da lustrar Specchi di christallo in Venetia» - e nell’ingegneria applicata all’idraulica, competenze che gli permisero di ottenere prestigiosi incarichi dalla Serenissima. Appartiene al settore dell’idraulica l’unica «grande impresa» (di cui ci parlano le carte d’archivio) dello Zamberlan per Bassano: il progetto in cui si impegnò, tra il gennaio 1605 e il giugno 1606, anche con propri investimenti, per condurre in città l’acqua estratta dal Brenta senza alcuna spesa a carico del Comune, ma con i soli mezzi finanziari di un consorzio di privati, che in scarso numero aderirono facendo naufragare l’opera[11]. Il portale delle Grazie a lui attribuito probabilmente non ha un autore e può essere stato realizzato, forse interpretando un modello o un disegno, da una delle botteghe locali, dove lapicidi provetti erano abitualmente impegnati nella lavorazione di elementi architettonici. Un bell’esempio di paramento lapideo è l’elegante arco profilato da punte diamantate con il quale fu riqualificato nel 1543, per ordine del podestà Giovanni Garzoni, l’ingresso principale di Palazzo Pretorio, al quale, nel corso del Cinquecento e nel primo Seicento (fino al 1614)[12] fu conferito l’aspetto testimoniato dalla mappa dalpontiana (fig.7).

7FrancescoeLeandroDalPonte

7. Francesco e Leandro Dal Ponte, Pianta della città di Bassano (1583-1610) (part.). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio comunale, Mappe, n. 10. La mappa documenta l’ingresso di Palazzo Pretorio, che, ad opera del podestà Giovanni Garzoni, fu nel 1543, rivestito di un paramento lapideo e di un elegante arco profilato da punte diamantate.

Il riordinamento architettonico del palazzo secondo le eleganti forme stilistiche tardorinascimentali, proprie anche dell’edilizia privata coeva, riguardò le due facciate meridionale e occidentale e la scala coperta fatta costruire nel 1552 dal podestà Bolani. Tra i lavori di riadattamento all’interno è quello della cappella pretoria, voluto dal podestà Sante Moro, della quale rimane, nell’ambiente d’ingresso dallo scalone al secondo piano, il portale oggi tamponato, con l’iscrizione dedicatoria e la data 1576 (fig.8):

8JacopoBassanoIlpodesta

8. Jacopo Bassano, Il podesta Sante Moro e san Rocco ai piedi della Madonna con il Bambino, 1577. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 23. La pala, deve considerarsi un ex voto a seguito della peste che nel 1575-1576 infestò il Bassanese.

insieme con la paletta che ne ornava l’altare, raffigurante Il podestà Sante Moro e san Rocco ai piedi della Madonna con il Bambino (ora al Museo Civico), di Jacopo Bassano (1510 ca -1592), che è da considerare un ex voto a seguito della peste che nel 1575-1576 aveva toccato la città ritratta sul fondo. Nel dipinto si sintetizza lo stile dell’artista in questo momento, caratterizzato dalla ricchezza della materia pittorica, dalla forza del colore e dai tocchi sottili con cui sono realizzati alcuni brani, come la trasparente bolla di vetro della lampada contro il cielo in una luce crepuscolare. Altre opere del pittore decorarono le stanze del Palazzo Pretorio a cominciare dalle tre tele giovanili dipinte, come testimonia il Libro secondo, tra l’estate 1535 e l’8 febbraio 1536, per il podestà Luca Navagero, destinate alla Sala dell’Udienza. Gli episodi del Cristo e l’Adultera raccontato nel Vangelo di Giovanni, dei Tre fanciulli nella fornace ardente e di Susanna e i vecchioni, (ora al Museo Civico) ispirati entrambi all’Antico Testamento, trattano il tema della giustizia superiore trionfante che ben si addice al luogo dove furono collocati. I tre teleri sono importanti non solo perché costituiscono la prima commissione pubblica e testimoniano del grande prestigio riconosciuto al giovane artista, ma anche perché lo rivelano sempre più consapevole della cultura pittorica contemporanea sulla quale si era aggiornato nel suo breve tirocinio presso la bottega di Bonifacio de’ Pitati a Venezia, dove ebbe il determinante incontro con l’opera di Tiziano. Tizianesche sono la densità di materia e la ricchezza di colore di questi dipinti, mentre da Bonifacio dipende il modo di trattare i soggetti mediante una narrazione lenta che indugia su particolari realistici, come la figura dello storpio nell’Adultera, e sugli inserti ritrattistici ispirati al Lotto, come il falconiere a destra dello stesso quadro, in cui forse è ravvisabile il nobile committente Luca Navagero, e, al centro dell’episodio della fornace ardente, il giovane di spalle con la mano sul fianco che si volge a guardare lo spettatore. Dopo questa commissione podestarile, ne seguì subito un’altra da parte del successore del Navagero, Matteo Soranzo che, arrivato solo da un mese a Bassano, stipulò il 12 marzo 1536 un contratto con la bottega dalpontiana, registrato anch’esso nel Libro secondo, per un quadro votivo con «la Madona con san Matio, s. Lucia e el suo ritrato», che andrà a ornare la Sala del Consiglio, raffigurante appunto Il podestà Matteo Soranzo con la figlia Lucia e il fratello Francesco presentato dai santi Lucia, Matteo e Francesco alla Madonna con il Bambino in trono (ora al Museo Civico) (fig.9)

9JacopoBassanoilpodestaSoranzo

9. Jacopo Bassano, Il podestà Matteo Soranzo con la figlia Lucia e il fratello Francesco presentato dai santi Lucia, Matteo e Francesco alla Madonna con il Bambino in trono. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 7. L’opera, documentata nel Libro secondo tra il giugno e il settembre 1536, costituisce il primo esempio di pala votiva nella lunga produzione di Jacopo.

e per altri due quadri di carattere devozionale andati perduti. Il dipinto consegnato il 15 dicembre dello stesso 1536, porta la firma di Jacopo sul basamento del trono: egli vi elabora, intonandoli alla propria sensibilità e semplificandoli, elementi provenienti dalle sacre conversazioni e dalle tele votive che aveva visto a Venezia, con una particolare preferenza per Tiziano (pala Pesaro nella chiesa dei Frari), ma con un’attenzione anche alle composizioni di Bonifacio nel lento ritmo narrativo, del Lotto nel disegno dei personaggi e negli inserti ritrattistici, soprattutto quello di Francesco Soranzo, e del Pordenone nella ricerca di una nuova spazialità e nella dilatazione di qualche figura. Creatura del tutto originale è la piccola Lucia Soranzo, che gioca con il suo cagnolino ai piedi del trono, brano di una verità affettuosa e accattivante. Destinata alla cappella del Palazzo una Adorazione dei Magi che nel Libro secondo troviamo commissionata a Jacopo da Giovanni Simone Zorzi podestà dal dicembre 1537 al novembre 1538, riconoscibile secondo W. R. Rearick in quella conservata a Burghley House a Stamford[13](fig.10).

10JacopoBassanoAdorazioneMagi

10. Jacopo Bassano, Adorazione dei Magi, Stamford,  Burghley House, UK. Il Libro secondo attesta una Adorazione dei Magi, commissionata a Jacopo da Giovanni Simone Zorzi,  podestà dal dicembre 1537 al novembre 1538, che lo studioso Rearick vuole riconoscere nel dipinto inglese.

Altre opere di Jacopo sono ricordate dalle fonti: registrato il 20 luglio 1535 nel Libro secondo il contratto del podestà Luca Navagero di un soffitto per «la camera grande» composto di nove cassettoni lignei, ornati di rosoni; ricordata dal Verci la decorazione (forse di un soffitto) - commissionata dal podestà Alvise Minotto, in carica dal 1545 al 1546 - di una camera dove aveva alloggiato Carlo V durante il suo soggiorno a Bassano nel 1552. Decorazioni di soffitti eseguite da Jacopo nelle stanze del Pretorio sono testimoniate dal Ridolfi (1648)[14]: in una con gli «ordigni di tutte le arti a chiaroscuro», in altre con «pastorelle, fanciulli e animali»; di quella nella «saletta del palazo», anch’essa a chiaroscuro, è registrata nel Libro secondo il 16 novembre 1551, la commissione da parte del podestà Alvise Contarini e di Albertucci suo fratello. Il Ridolfi dà notizia di tre quadri, del periodo bonifacesco, destinati a un «recinto di letto» raffiguranti episodi della vita di Giuseppe Ebreo, distrutti nel 1627 da un incendio, nel quale perirono anche gli altri lavori[15]. Non c’è più traccia né della «Madona a fresco» ricordata dal Ridolfi[16], da identificare brobabilmente con la Madonna con il Bambino che il Verci (1775) vedeva sopra la porta nella Sala dell’Udienza[17], né del Cristo crocifisso e ai piedi Maria Vergine e san Giovanni, forse un affresco, nel camerino della Cancelleria pretoria (Verci 1775)[18]. L’ultima opera dei Bassano segnalata dalle fonti, destinata sicuramente al Pretorio, è il bel paliotto votivo di Leandro (1557-1622) figlio di Jacopo, raffigurante il Podestà Lorenzo Cappello con i figli inginocchiato davanti alla Madonna con il Bambino in trono tra i santi Clemente e Bassiano, firmato e datato 1590 (ora al Museo Civico)(tav.12) che il Verci vedeva nella Sala del Consiglio del nuovo palazzo municipale edificato ai primi del Settecento, dove era collocato di fronte al telero di Matteo Soranzo[19]: ispirato compositivamente a quello di Jacopo con i Rettori di Vicenza del 1572-1573 (ora in quel Museo Civico), è uno straordinario ritratto di gruppo in cui si rivelano effigiati dal vero anche il chierico che regge il pastorale di san Bassiano e il precettore, un religioso, che paternamente avvia i piccoli verso il trono della Madonna; proprio per la sua abilità ritrattistica il podestà Cappello si era rivolto a Leandro anche se egli si era già trasferito a Venezia (nel 1588 è iscritto alla Fraglia dei pittori della capitale). Nessuna fonte ne dà notizia, ma, dato il comune intento celebrativo dell’operato dei rappresentanti di governo, si può ipotizzare che fosse destinato al Pretorio un altro dipinto di Leandro, del 1582 ca - già qui nominato[20] - raffigurante Un podestà di Bassano (Nicolò Mocenigo?) inginocchiato davanti alla Madonna in trono con il Bambino (ora al Museo Civico)(tav.11) con il ponte palladiano sullo sfondo, che riprende la composizione della pala votiva del podestà Sante Moro eseguita da Jacopo nel 1576: bell’esempio della ritrattistica giovanile del pittore, pur inserito nel contesto di un dipinto. L’unico intervento decorativo cinquecentesco non dovuto ai Bassano è un affresco che il Verci[21], attribuendolo a Giuseppe Nasocchi, vede nel salone sopra l’ingresso della Sala dell’Armamento (istituita nel 1583 dal podestà Vettor Soranzo), raffigurante nella parte superiore la Madonna con il Bambino, in quella inferiore la veduta di Bassano con il ponte ligneo, ripresa dal Brenta. Ne rimane testimonianza solo in un disegno settecentesco che riproduce l’intera parete dove si stendeva, con la porta e le iscrizioni, di cui quella posta sul finto architrave della cornice architettonica del dipinto, riporta la data del 29 luglio 1528[22](fig.11).

11VedutadiBassanodalBrenta

11. Veduta di Bassano dal Brenta (sec.XVIII), disegno a penna. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Disegni Bassanesi, 1307. Il vasto affresco del 1528 è testimoniato solo in un disegno settecentesco che riproduce l’intera parete dove si stendeva, con la porta e le iscrizioni.

Un edificio pubblico cui nel corso del Cinquecento fu conferito un carattere di decoro rinascimentale mantenuto fino a noi, è la Loggia del Comune: la bifora affiancata dalle monofore ad arco, aperta sul balcone nell’ordine superiore, sottolinea elegantemente l’asse centrale della facciata. Prontamente riparata dai danneggiamenti provocati dalla guerra di Cambrai, ebbe un primo rialzo al tempo del podestà Alvise Bon che la fece affrescare da Jacopo Bassano nel 1558[23] con «varie Istorie, e stimabili Pitture» (Verci). Del ciclo, distrutto dall’incendio del 1682 sopravvive un frammento di una Madonna nel prospetto verso la piazza (fig.12).

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12. Jacopo Bassano, Testa di Madonna, frammento di affresco. Bassano del Grappa, Loggia municipale, facciata verso piazza Libertà. Frammento in cornice dell’affresco eseguito da Jacopo Bassano nel 1558 con «varie Istorie, e stimabili Pitture» secondo il ricordo tardo-settecentesco di Verci,  per volontà del podestà Alvise Bon.

Con esso si è perduto un documento del linguaggio artistico di Jacopo frescante a questa data, prezioso anche da un punto di vista iconografico riguardando la decorazione di un palazzo pubblico. Con ulteriori interventi, conclusi nel 1582, la Loggia fu portata all’altezza attuale e venne definitivamente sistemata, al sommo del prospetto meridionale, la celletta campanaria; il quattrocentesco congegno dell’orologio fu sostituito da quello realizzato, insieme con la mostra, da Giovanni Dal Molino[24]. Era un luogo pubblico anche la Loggia del Belvedere costruita tra il 1504 e il 1508 fuori Porta delle Grazie per il godimento dell’incantevole panorama verso la zona collinare e montuosa: la sua forma, pur ripresa di profilo, è ben visibile nella veduta dalpontiana. Ebbe un primo restauro nel 1556 e un secondo, più radicale nel 1596, quando venne ornata di affreschi, perduti, di Gerolamo Bassano (1566-1621), l’ultimo figlio di Jacopo; un’altra decorazione la riguardò nel 1623[25]. Abbracciando con lo sguardo tutte le opere eseguite da Jacopo per decorare gli edifici pubblici - dai dipinti su tela agli affreschi di facciata -, abbiamo la misura di come Bassano gli abbia riconosciuto fin dalla giovinezza il ruolo di artista più rappresentativo della città: «per l’eccellenza della sua arte», come si legge negli Atti del Consiglio, fu esentato - nel 1541, nel 1551 e nel 1566 - dalle tasse e fu chiamato a ricoprire il 4 agosto 1549 la carica di console del quartiere del Margnano che rifiutò per i troppi impegni artistici.  

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