Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

L’evoluzione della pittura murale bassanese, meglio che negli interni, si può seguire nei paramenti freschivi stesi a istoriare le facciate, i quali contribuirono a rinnovare il volto della città – con episodi notevoli nel secondo Quattrocento - dando vita a uno straordinario paesaggio urbano umanizzato. Si può ritenere che gli autori di queste imprese durante il Cinquecento siano in gran parte i membri della famiglia Nasocchi. I loro modi si ravvisano nella decorazione, databile nel terzo decennio del secolo, di casa Navarrini Wipflinger (in via Matteotti), dove un’intelaiatura architettonica dipinta divide il prospetto in tre registri: il fregio che era sottogronda prima che l’edificio fosse sopraelevato d’un piano; l’ampia zona mediana riquadrata da colonne, una delle quali è ancora visibile a sinistra, e dalle cornici di finto marmo a vivaci tarsie che la delimitano lungo il lato supe­riore e quello inferiore. Negli spazi tra le finestre s’indovina­no appena due monumentali figure, probabilmente allegoriche, e la grande scena policro­ma, ormai quasi svanita, dove affiorano a mala pena cinque personaggi in piedi; ormai indecifrabili i partiti ornamen­tali su fondo rosso, in basso, nelle vele delle due grandi arcate sulle quali l’edificio s’innalza. Sotto il portico della casa è affrescata la Madonna con il Bambino in trono, recante la data 1523, unanimemente attribuita a Francesco il Vecchio (1470/75-1539), padre di Jacopo Bassano (fig.21).

21FrancescoBassanoilVecchio

21. Francesco Bassano il Vecchio (1470/75-1539),  Madonna con il Bambino in Trono. Bassano del Grappa, via Matteotti, casa Navarrini Wipflinger. Unico lacerto leggibile di una bella facciata con figure allegoriche e scene a più personaggi entro partizione architettonica e decori stilizzati. La data 1523, che compare nella figura mariana al centro si può riferire all’intera decorazione.

Nel prospetto di casa Gardelli­ni Agostini (in via Barbieri) resta ormai solo qualche lacerto della riquadratura architettonica e del fregio ornamentale superiore, mentre tra le finestre del piano nobile si possono ancora distinguere due figure femminili allegoriche e una scena che sembra rappresentare un mar­tirio sullo sfondo di un paesag­gio. Sotto le finestre sono de­boli tracce di ovali, che acco­glievano probabilmente delle raffigurazioni ora del tutto cancellate. I paramenti pittorici riguar­danti tutto il fronte orientale di piazza Montevecchio (già del Pozzo e del Sale) testimo­niano che anche a Bassano co­me a Venezia e negli altri cen­tri del Veneto le facciate dipin­te diventarono nel Cinque­cento un campo nel quale gli artisti più importanti della cit­tà facevano a gara per meritar­si il riconoscimento pubblico. Oggi gli affreschi dei Nasocchi sul prospetto di casa Michieli Bonato sono godibili ancora in loco, mentre quelli di Jacopo dal Ponte che ornavano la casa Dal Corno (poi Michieli e Bonato) furono staccati nel 1975 per essere restaurati e dal 1982 sono conservati al Museo Civico allo scopo di sal­varli da ulteriore degrado. In facciata sono rimaste tracce delle precedenti decorazioni stratificate una sull’altra. La più antica, a finti conci in pie­tra separati da “fughe” rosse, risale al secolo XV, come quel­la simile dell’edificio contiguo verso nord, dove, in un fram­mento venuto in luce, si vede il motivo geometrico sviluppato a imitare lastre marmoree an­ch’esse modanate in rosso, se­condo un modello decorativo testimoniato nel Quattrocento a Padova, Treviso e Verona. Un piccolo lacerto policromo è forse relativo a un riquadro con un’ immagine sacra, che vivacizzava il semplice “com­messo” lapideo. Nel Cinquecento questa prima affrescatura fu cancellata e sul fondo chiaro della superficie muraria vennero dipinti, in un inter­vento di pochi anni anteriore a quello di Jacopo, due stemmi Dal Corno, uno dei quali si adorna di un cartiglio con il motto tratto dalla Bibbia «cor­nu eius exaltatur in gloria» (il suo corno s’innalza nella glo­ria, Sal 111, 9) (fig.22).

22DecoratoredelXVI

22. Decoratore del XVI secolo: Affresco con stemmi Dal Corno. Bassano del Grappa, Piazzotto Montevecchio. Casa Dal Corno. Sul fondo chiaro dell’intonachino  vennero dipinti, pochi anni prima dell’intervento (1538) di Jacopo Bassano, due stemmi Dal Corno ed un cartiglio con il motto tratto dalla Bibbia  cornu eius exaltatur in gloria.

Secondo la registrazione del contratto nel Libro secondo, fu Giovanni Dal Corno «salarolo in Bassan» a rivolgersi ai Dal Ponte per avere decorata «la fazada denanzi al pozo de comun fata a istorie», impresa eseguita da Jacopo durante l’estate del 1539. In questi affreschi si riflette il cambia­mento di gusto portato dal Pordenone nella decorazione di facciata: la parete reale vie­ne illusionisticamente sfondata e la rappresentazione di grandi figure e scene si articola con dinamismo del tutto nuovo, in finte partiture architettoniche (tav.6). Di grande suggestione per Ja­copo in questa prova fu certa­mente il prospetto sul Canal Grande di palazzo D’Anna (poi Viaro, Martinengo e ora Volpi di Misurata), dipinto dal Pordenone intorno al 1535 e ora perduto. Il paramento freschivo è impaginato entro quattro fasce orizzontali: in quella del sottotetto si finge una loggia sostenuta da sette file di tre balaustrini in prospettiva, dove dieci putti - di struttura piuttosto robusta ispirata forse ai modelli pre­senti nelle incisioni del Mae­stro dei Putti - nei più estrosi atteggiamenti, giocano con una tenda verde; uno di essi, isolato verso sinistra, regge un corno, emblema parlante della famiglia del committente. Nella seconda fascia, sotto una cornice a dentelli, è dipinto un fregio in terretta gialla a mo­nocromo, che per certi aspetti rivela l’attenzione di Jacopo per la statuaria e i rilievi anti­chi: vi sono contenuti stru­menti musicali a corde e a fiato, un clipeo con l’effigie di un imperatore romano (probabil­mente Claudio), libri, un putto e vari animali, descritti con af­fettuosa cura naturalistica (un’anatra, un ariete, una pecora, un rapace, un cervo ac­covacciato, un asino, un tac­chino, una capra, una scimmia, un’aquila dalle ali spiegate, un leone), che sfilano in corteo da sinistra verso destra. Nella ter­za fascia, più vasta, delimitata da due grosse colonne doriche dipinte ai lati, oggi quasi illeggibili, sotto nastri violetti, sono raffigurati tra le finestre, entro finte nicchie, tre nudi femminili - di difficile interpretazione, perché i loro attributi sono ormai cancellati - che ripropongono la tipologia giorgionesca e tizianesca del Fondaco dei Tedeschi, e, nello spazio più ampio, l’episodio con San­sone che stermina i Filistei con la mascella d’asino, tema trat­tato in modo analogo nel co­evo dipinto ora alla Gemäldegalerie di Dresda. Nella quarta e ultima fascia in basso, entro ovali, sono altre quattro scene bibliche: Giuditta e Oloferne, che ricorda nell’impostazione quella affrescata da Jacopo nel presbiterio del vecchio duomo di Cittadella; Lot e le figlie, l’Ebbrezza di Noè e Caino e Abele, nel quale ultimo si co­glie il riferimento agli affreschi del Pordenone nel chiostro di Santo Stefano a Venezia. Sotto il poggiolo, il corpo di un put­to idropico è disteso nudo su due ossa incrociate con accan­to la clessidra e la scritta «mors omnia aequat» (la morte an­nulla ogni differenza): questa raffigurazione della vanitas, fedelmente derivata da una stampa di Barthel Beham, da­tata 1529, dichiara apertamen­te l’intento moraleggiante del ciclo decorativo. La facciata Dal Corno, come tutta la pro­duzione del biennio 1538-1539 (per esempio, gli affreschi del vecchio duomo di Cittadella, la Disputa di Gesù nel tempio, ora all’Ashmolean Museum di Oxford e l’Ultima Cena, dipinta per Ambrogio Frizier, ora nella parrocchiale di San Lorenzo a Wormley nell’Hertfordshire), dimostra come si sia evoluto lo stile pittorico di Jacopo a contatto della cultura manierista centroitaliana cono­sciuta non direttamente ma at­traverso lo studio delle stampe o la visione di opere di artisti già avviati sulla strada della Maniera come il Romanino della Loggia del Buonconsiglio a Trento e il Pordenone delle imprese deco­rative veneziane. Varie sono le novità che si possono cogliere: l’importanza data al disegno e alla figura umana resa espres­siva dalle torsioni e dai gesti, la costruzione potente della for­ma, la resa nitida delle zone cromatiche, una certa distorsione del colore rispetto a quello naturalistico del passa­to, la ricerca del rapporto tra spazio illusivamente creato e le figure. è chiara la funzione esteti­co-simbolica voluta dai com­mittenti per manifestare una presenza significativa in uno dei più importanti settori del tessuto urbano. Innanzitutto è subito riconoscibile lo scopo promozionale della famiglia Dal Corno, che, proveniente dalla nobiltà trevigiana, nel 1539 era da pochi anni entrata a far parte di quella bassanese. È da arguire che l’ispiratore del complesso programma ico­nografico sia stato il dotto Laz­zaro Dal Corno, genero di Giovanni registrato quale com­mittente nel libro dei conti, come già si è visto. Lazzaro fu giurista, poeta e oratore, famo­so ai suoi tempi per aver reci­tato il 2 novembre 1532 un pa­negirico in latino all’imperato­re Carlo V di passaggio per Bassano e per aver così meri­tato il titolo di conte palatino; forse per celebrare questa ca­rica erano stati dipinti sulla facciata i due stemmi Dal Corno già ricordati. Nell’ipotesi interpretativa suggerita da Giuliana Ericani, tutta la rappresentazione sarebbe di matrice biblica e i significati simbolici attribuiti alle varie raffigurazioni potrebbero deri­vare dal pensiero filosofico dell’aristotelismo padovano al­la cui scuola Lazzaro Dal Cor­no si era probabilmente edu­cato. Anche gli animali in sin­golare corteo tra vari oggetti inanimati nella seconda fascia potrebbero essere stati acco­stati non casualmente, ma in relazione a quanto ciascuna specie significa in ambito cristologico, secondo una scelta tesa a manifestare il rapporto tra il peccato e la redenzione. Le tre figure femminili tra le finestre potrebbero essere personificazioni rispettivamente da sinistra a destra della Fe­de, della Prudenza, della For­tezza e «riproporre il pensiero aristotelico delle virtù o delle prerogative dell’anima umana. Le scene bibliche potrebbero essere consuete prefigurazioni del sacrificio di Cristo per la redenzione dei peccatori (Abele, Noè spogliato, Sansone) o prefigurazione del ruolo mariano (Giuditta) nella salvezza dal peccato del genere umano oppure, per ogni personaggio, esemplificare una delle virtù umane: Sansone la forza, Abele la bontà, Giuditta l’astuzia utilizzata a fin di bene, Noè spogliato, il peccato senza col­pa»[34]. Il messaggio morale del­l’intera decorazione, riassunto nel putto idropico e nella scrit­ta che lo accompagna, è, se­condo la studiosa, solo appa­rentemente negativo perché, ricondotto all’etica di Aristotele, esso è un monito a noi uo­mini a non pensare alle cose mortali ma al dovere di «renderci immortali e costringere ogni nostra fibra a vivere in ar­monia con ciò che c’è di me­glio in noi»[35]. I concetti che sono alla base di questo testo pitto­rico non potevano essere compresi da tutti ma a tutti le im­magini suggerivano motivi di meditazione e impartivano una lezione che educava il gusto. Di più facile lettura l’iconogra­fia della casa Michieli Bonato, affiancata a quella Dal Corno ma più sviluppata in altezza, posta all’angolo tra piazza Montevecchio e piazza Liber­tà, con i due prospetti intera­mente ricoperti di affreschi at­tribuiti, come si è accennato, ai Nasocchi[36]. I due edifici ricevettero l’aspetto attuale nello stesso momento (verso la fine del se­colo XV) e mostrano alcune analogie nella forma delle finestre centinate e contornate da eleganti cornici lapidee. Anche la loro decorazione freschiva fu eseguita contemporaneamente, cioè nel 1539, data scritta in cifre romane, leggibi­le ai primi del Novecento in una finta lapide inserita nella fascia che corre sopra le fine­stre del secondo piano. Il restauro di qualche decennio fa ha ridonato vi­vacità alla veste pittorica, per­mettendo una migliore comprensione del contenuto, che tuttavia in parte va recu­perato, per quanto riguarda il fronte verso la piazza Montevecchio, nella tempera di G. Fontana del 1905 (al Museo Civico di Bassano) (fig.23)

23GaspareFontana

23. Gaspare Fontana, Facciata di Casa Michieli Bonato. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. La tempera primo novecentesca di Fontana, uno dei documenti della città patrocinati  da Giuseppe Gerola, attesta lo stato di conservazione a quelle date dell’affresco di Giuseppe Nasocchi, purtroppo ora in cattive condizioni.

e nell’ac­querello di G. Culluris, della fine dell’Ottocento (alla Bi­blioteca Civica di Treviso). Con la simulazione di una struttura architettonica, le facciate della casa risultano scompartite in senso orizzontale da finti cornicioni modanati e da un fregio figurato, e scan­dite in senso verticale da finte paraste e semicolonne addos­sate a pilastri a delimitare le singole specchiature tra le fi­nestre del primo e del secondo piano. Il tema principale svolto sui due prospetti è la Storia di Giuseppe Ebreo comprenden­te anche episodi che si riferi­scono a personaggi della sua stirpe: Abramo, Isacco e Giacobbe suo padre. Il racconto molto fedele al testo biblico (Gn 22, 1-14) è rappresentato co­me in un grande proscenio teatrale entro dieci riquadri con fondali vari: anche se non è rispettata la successione cro­nologica, lo spettatore può facilmente ricomporre la trama narrativa. Nel registro superio­re, sotto lo sporto del tetto, una sequenza di nudi con le estremità desinenti in tralci, sono affrontati a due a due ai lati di ovali in cui sono messi in scena, nell’ordine da sinistra a destra, sul fronte ver­so la piazza Montevecchio: la falsa prova della morte di Giu­seppe presentata a Giacobbe, che ha il suo antefatto nell’o­vale dipinto verso piazza Li­bertà con Giuseppe venduto dai fratelli (fig.24);

24GiuseppeNasocchi

24. Giuseppe (?) Nasocchi (attivo nella prima metà del XVI secolo), Storie di Giuseppe Ebreo. Bassano del Grappa, piazzotto Montevecchio/ Piazza Libertà. Il grande palazzo, sull’angolo che collega le due piazze della città, aveva un sontuoso parato decorativo, ora poco leggibile per la perdita di materia pittorica, nel quale attraverso la storia dell’Antico Testamento si prefigurava la salvezza dell’umanità per il tramite del sacrificio di Cristo.

la tentata seduzione di Giuseppe da parte della moglie di Putifarre; il sogno del Faraone con le sette vac­che grasse e le sette magre. Scendendo, sotto una finta cornice aggettante si svolge in continuum una fascia festosamente poli­croma con un gioco di putti tra libri, animali, drappi e finte lapidi, tra cui quella con la data visibile, quasi al centro nella tempera del Fontana, dove si legge parzialmente anche l’i­scrizione su un globo verso si­nistra: «beati / mundo / corde...» (beati i puri di cuore...), tratta dal Discorso della Mon­tagna (Mt V, 8). Nella facciata prospiciente la piazza Libertà, il fregio con la teoria dei putti, interrotta da due finti tappeti che sporgono dai davanzali soprastanti, fa da trabeazione alle finte architetture che riquadrano il secondo piano, dove negli spazi più vasti tra le aperture, gli episodi di Giacobbe che invita Giuseppe a recarsi a visitare i fratelli lontani con le greggi al pascolo e quello del Faraone che porge a Giuseppe l’anello, la collana d’oro e la veste di bisso davanti a un folto gruppo di Egiziani, sono rappresentati in interni aperti, sul fondo, da logge. Sempre in questo setto­re, verso piazza Montevecchio s’intravedono ancora una figu­ra femminile nella stretta specchiatura tra le due finestre centrali e, nell’ultimo scom­parto a destra, il sacrificio di Isacco. Passando in piazza Libertà, si può leggere in buona parte l’episodio con Giuseppe seduto su un trono che riceve i fratelli in Egitto sullo sfondo di un verde paesaggio collinare; sotto le finestre cen­tinate di questo piano, marcano i davanzali certi monocromi con scene di battaglia che forse si trovavano anche sotto la bifora a destra alterata dall’apertura di un poggiolo. Nell’ultima zo­na decorata, al primo piano, sulla parete prospiciente piaz­za Montevecchio si vede ben poco di quello che il Verci (1775) descrive poiché la scena con Giacobbe che riceve la benedizione della primogenitura dal padre Isacco è stata parzial­mente occupata da una lapide applicata al muro nell’Ottocento e completamente svanite sono le tre Parche e Betsabea al bagno che limitavano in basso questa parte del ciclo. Sul fronte verso piazza Libertà l’ultimo quadro della storia, piuttosto rovinato, illustra pro­babilmente l’incontro di Giu­seppe col vecchio padre Giacobbe in Egitto. Di difficile interpretazione sono le due figure ai lati delle finestre ret­tangolari sopra il portico, quel­la di un vegliardo a sinistra che reca gli strumenti dell’astrono­mia; quella a destra, che si di­stingue per le pronunciate connotazioni ritrattistiche e in cui una tradizione settecentesca, riferita dal Verci (1775), ravvisa uno dei decoratori, cioè uno dei Nasocchi. Quando era integro, il manto pittorico doveva comu­nicare in modo più diretto con lo spettatore anche tramite le iscrizioni, di cui il Verci tra­manda quella sotto la scena dove il Faraone nomina Giuseppe vicerè. Non sappiamo il nome del committente e non possia­mo perciò ricostruire la sua condizione socioculturale, che potrebbe far intravedere le ra­gioni della scelta di questo ci­clo biblico suggerito forse da una fonte scritta o grafica (qualche raccolta di stampe) o da un dotto interprete delle Sacre Scritture e insieme del­l’immaginario classico, come prova la scena delle Parche re­cuperate in senso provviden­ziale cristiano. Nell’ipotesi d’u­na lettura in chiave teologica, i soggetti illustrati sono partecipi di un unico programma icono­grafico: le vicende di Giusep­pe, secondo la patristica, prefigurano il sacrificio di Cristo e sono capitoli della storia della salvezza come lo sono gli epi­sodi riguardanti i patriarchi da Abramo a Giuseppe. Anche la raffigurazione, apparentemente avulsa dal tema principale, di Betsabea, vista come colei che darà a Davide il figlio Salomone, presenta un momento della storia (e le Parche che fi­lano la vita degli uomini ne simboleggiano la successione governata dalla Provvidenza) che è storia della salvezza. Confrontando le due facciate dipinte, l’una dai Nasocchi, l’altra da Jacopo, i contemporanei dovevano certo percepi­re la diversità dei due linguag­gi: quello di Jacopo in sintonia con lo sviluppo artistico del suo tempo e quello dei Nasoc­chi ancora legato a modelli quattrocenteschi. In questi de­coratori di gusto “ritardatario”, il fatto di lavorare a fianco a fianco col giovane di geniale talento sembra non aver pro­vocato alcuna emulazione: essi continuarono a descrivere in modo minuzioso e calligrafico le loro invenzioni e a narrare piacevolmente le storie con sfoggio di festosità cromatica. Assegnabile a maestranze della scuola bassanese dei Nasocchi le facciate dipinte a tappezzeria della dimora dei patrizi veneziani Donato (ora palazzo Antonibon) di cui è conservato un brano. La parasta perime­trale - dove si dipana un festo­ne di foglie, fiori e melograni - e la fascia marcapiano - dove si snoda un intreccio di nastri e ghirlande - riquadrano una grande specchiatura con for­melle poligonali simulanti un paramento marmoreo in rilievo. Se la vivace policromia, giocata su cinque colori (bian­co, giallo, rosso, verde e nero) e la persistenza del tradiziona­le repertorio floreale ci ripor­tano al gusto tardogotico, la padronanza nel rendere gli ef­fetti prospettici delle complesse geometrie e la libertà di mano nel rappresentare i motivi vegetali ben si addicono all’epoca (metà del Cinquecento) in cui i Donato, come si è visto, edificarono il loro palazzo bassanese[37]. Il paramento pittorico che ri­veste la facciata di casa Mar­con in piazzetta dell’Angelo 14, è di una tipologia nuova per Bassano. La finta orditura architettonica è ideata per integrare l’architettura reale conferendo tridimensionalità al prospetto attraverso il lessico e la sintassi rinascimentale: colonne scanalate, timpani so­pra la trifora centrale e le altre finestre, profili negli intradossi delle aperture, tabelle istoria­te, nicchie con statue. Le raffi­gurazioni, tutte di soggetto mi­tologico, sono policrome tran­ne le quattro piccole scene monocrome, entro pannelli, sotto le finestre del piano nobile. Nel settore più alto, sopra il finto sporto a modiglioni, ne­gli spazi tra le finestre appaiono in posizione adagiata Gio­ve, Venere, Vulcano, Marte. Nella zona sottostante si alternano cinque riquadri, ciascuno con un putto seduto, a quattro tabelle pendenti dove sono presentati variopinti trofei mi­litari con elmi, scudi, corazze tra putti che giocano. Di que­ste panoplie le due centrali so­no sospese illusionisticamente sopra gli spioventi del timpano dipinto a coronamento della trifora mediana. Nelle due fin­te nicchie, in corrispondenza del piano nobile sono raffigu­rati a colori vivaci un guerriero (Marte?), a sinistra, e un altro personaggio, a destra, in un punto così rovinato da rendere impossibile un preciso ricono­scimento. Ai lati del portone di entrata è ripetuto lo stemma dei nobili fratelli Del Monico, identificato da A. Brotto Pastega, lo studioso che ha rico­struito le vicende dell’edificio. I Del Monico, cittadini di Padova che per la loro attività di mercanti di legname avevano interessi nella valle del Brenta, nel 1549 ristrutturarono la loro dimora bassanese e, per deco­rarla, non fecero ricorso a pit­tori locali, bensì a maestranze estranee alla città, che fanno sfoggio di bravura quadraturistica secondo i modelli diffusi soprattutto dalle imprese mantovane di Giulio Romano. Il complesso scenografico dipin­to in tonalità varianti entro una gamma in cui predominano il violaceo, il bianco, il verde e l’azzurro, assicura indubbiamente la rappresentatività della casa ma con uno spirito molto diverso da quello che caratterizzava i prospetti rea­lizzati un decennio prima da Jacopo Bassano e dai Nasoc­chi, così fantasiosi e ricchi di significati simbolici.  

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