Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La villa Forcadura è la prima costruita nel Cinquecento da cittadini bassanesi in una zona immediatamente suburbana per curare i lavori della campagna circostante. Come sappiamo da un atto notarile[38] l’edificio «extra terram Bassani in Burgo Leonis in loco dicto la Riva» appartenente ad Alvise Forcadura, nel 1536 non era ancora compiuto. è probabile che si tratti del «palazo» per il quale Alvise aveva commissionato alla bottega dei Dal Ponte alcune opere decorative, registrate nel Libro secondo il 22 marzo 1551, che consistettero nel dipingere quattro «arme in un frixo», laccare di rosso una porta «del necesario del studieto» e «depenzer e dorar un’arma de pria sopra la porta del palazo»[39]. Quest’ultima può essere riconosciuta in quella, incisa con le lettere «DM»[40](fig.25),

25LapicidabassaneseXVI

25. Lapicida bassanese del XVI secolo e Jacopo Bassano (Bassano 1510ca – 1592), Stemma dei Forcadura. Bassano del Grappa, Villa Forcadura. Alvise Forcadura aveva commissionato alla bottega dei Dal Ponte alcune opere decorative, registrate nel Libro secondo il 22 marzo 1551, tra le quali «depenzer e dorar un’arma de pria sopra la porta del palazo». Quest’ ultima può essere riconosciuta in quella, incisa con le lettere «DM», incassata al centro del timpano sommitale della porta.

incassata al centro del timpano sommitale della facciata a est, bel rilievo marmoreo cinquecentesco, certamente opera di maestranze bassanesi, come anche le eleganti sagome lapidee intorno alle aperture, che qualificano la semplice architettura dell’edificio a due piani, elevato su uno seminterrato. La porta d’ingresso cui si accede da una scalinata, è incorniciata da strette lesene, finemente scolpite, sorgenti su plinti, le quali s’innalzano a reggere un’architrave e un timpano. Si affiancano, unificate da una fascia marcadavanzale all’altezza delle mensole, le finestre, tutte architravate, due monofore e due bifore nelle quali ultime, ora parzialmente tamponate, si ripete la decorazione del portale. Nel settore superiore la porta centrale con poggiolo e le quattro finestre ai lati, profilate da cornici lineari, in asse con quelle sottostanti non sono le aperture originali che dovevano essere più piccole, adatte per l’areazione di quello che era un sottotetto, adibito a granaio. Queste modifiche risalgono all’intervento di fine Settecento, quando la facciata si arricchì del grande timpano triangolare e l’interno fu alterato con l’abbassamento di circa un metro e venti del piano nobile per rendere abitativo quello superiore: qui, poco più che a livello di pavimento, sono visibili frammenti di affreschi decorativi (tra cui quelli di uno stemma a cartoccio con le iniziali «DM»), che evidentemente rivestivano la parte sommitale del salone passante[41]. Il porticato appoggiato all’estremità settentrionale immette nel corpo di fabbrica che affianca la villa su questo versante, assegnato generalmente al Seicento[42]. La prima villa suburbana sorta in terra bassanese per iniziativa di nobili veneziani è quella ora nota come Ca’ Erizzo, attualmente di proprierà Luca, che si allunga sulla sponda sinistra del Brenta in località La Nave (per l’approdo del traghetto con la barca), adiacente al Borgo Margnano. Nominata la prima volta, nel 1525, nel testamento del suo proprietario, il nobile veneziano Antonio Querini, nell’atto di vendita del 1529, da parte della vedova del Querini ad Ambrogio Frizier, viene descritta come «una casa grande, di muro a più piani, coperta di coppi», «con fattoria da gastaldo, cortile, tezze, altri edifici e fabbriche, orto, tre broli circondati da muro, colombara, forno e pozzo» e con circa 14 campi di pertinenza[43]. Tra le fabbriche c’era, come è documentato più tardi, al tempo del Frizier, un molino da follo e la relativa roggia[44]. Si tratta di un complesso articolato di villa-fattoria, fatta costruire «verosimilmente ex novo», come pensa Giamberto Petoello[45], nella seconda metà del Quattrocento - non sappiamo se dagli stessi Querini - come luogo di soggiorno e di sorveglianza delle attività produttive. Ambrogio Frizier, di ascendenza nobiliare milanese, esponente dell’aristocrazia mercantile veneziana, nel 1532, secondo la registrazione nel libro della bottega, fece decorare ai Dal Ponte la facciata della villa con un affresco (perduto nella ristrutturazione settecentesca dell’edificio), probabilmente di mano di Jacopo, che raffigurava lo stemma del proprietario sostenuto da una coppia di satiri tra le finte architetture a riquadro della porta. Il Frizier è il primo dei committenti alto-borghesi tra la folla di personaggi, meno importanti, della comunità locale presenti nel Libro secondo: vi viene denominato con l’appellativo «da la Nave» e il suo rapporto con i Dal Ponte, ai quali dalla sua farmacia di Venezia forniva colori e altro materiale per la bottega come tele e pennelli, dura dal 1531 al 1539[46]. Commissione importante fu la grande Ultima Cena (il «Cenaculo per la sua sala», menzionata il 14 settembre 1537 e il 23 gennaio 1538), opera eseguita certamente da Jacopo nel periodo di influenza pordenoniana, rintracciata recentemente nella parrocchiale di San Lorenzo a Wormley nell’Hertfordshire[47]. Del 1539 circa è l’affresco raffigurante la Madonna con il Bambino e san Giovannino, (tav.5) frammento superstite di una più vasta decorazione della chiesetta della villa demolita per far posto alla Cappella Mares innalzata tra il 1861 e 1868, staccato e ora conservato nell’oratorio interno dedicato a san Francesco. Lontana dall’abitato, al confine con il territorio comunale di Pove sorge (in via Rivoltella Bassa, n.1), lungo la riva sinistra del Brenta, la piccola villa Rubbi, come oggi è nota, anch’essa costruita per iniziativa di una famiglia cittadina del ceto emergente. L’edificio originario che risulta sbilanciato dall’aggiunta successiva di corpi di fabbrica sul fianco settentrionale, si sviluppa su due piani innalzati su uno seminterrato, non visibile a oriente a causa del dislivello del terreno. Il prospetto, rivolto verso il fiume, ha il suo centro nella pseudo-serliana dell’ingresso, ora parzialmente tamponata e fino a pochi decenni fa[48] ornata di una cornice centinata lapidea. Le finestre hanno il davanzale sporgente in pietra, di cui sono prive quelle del sottotetto, quadrangolari e lievemente centinate. Tipica la distribuzione interna con il saloncino passante e le quattro stanze ad esso laterali; si presenta ora suddiviso in più vani l’ambiente del sottotetto. Dalle ricerche storiche e archivistiche sulla villa condotte da Franco Signori[49] non sono emerse notizie sulla sua edificazione: le date entro cui collocarla sono il 1549, anno del passaggio dell’area agricola dove sorge la villa, risultante senza edifici, ad Alberto di Maggio e il 1565 quando nell’Estimo di Bassano in essa, appartenente allo­ra al signor Zuanne Ricatti «venezia­no», viene registrato un «palazzotto», detto anche «casino». Si può farne risalire la costruzione poco dopo la metà del Cinquecento, epoca a cui è ascrivibile stilisticamente l’affresco della facciata. L’iniziativa spetta, con ogni probabilità, ai Maggi[50], anche se non sappiamo per quanto tempo il possedimento sia rimasto nelle mani di questa illustre famiglia bassanese, già proprietaria, dal Quattrocento in poi, «di un consistente patrimonio immobiliare di magli, segherie, molini, gualchiere allineati in bell’ordine con le loro ruote a pale lungo l’intera sponda bassanese del Brenta». Piace pensare che a suggerire il dotto programma iconografico del prospetto sia stato un committente di elevata condizione socio-culturale, cui appartenevano appunto i Maggi; è da ricor­dare che era membro di questa casata, del ramo trasferitosi a Padova, anche Alessandro (1509-1594) distintosi nel campo dell’arte e nel collezionismo di cose antiche. La leg­gibilità dell’affresco è gravemente compromessa dalla caduta di colore in gran parte della superficie e dalla corrosione dell’intonaco. Il restauro del 1995 ha ridonato un po’ di vivacità alle tracce superstiti della veste cromatica, ma non ha potuto portare a una migliore comprensione del testo pittorico che, tuttavia, in parte si recupera nella preziosa documentazione fotografica relativa all’intervento operato da Pino Caliari verso la fine degli anni Trenta del Novecento, quando la proprietà dell’edificio era della fa­miglia Rubbi. Il paramento si svolge su quattro registri: su quello inferiore, che ha brani abbastanza conservati, corrispondente al piano seminterrato, si fingono architetture con portici che si affacciano su paesaggi raffiguranti la campagna con coltivi e giardini. Nel settore so­prastante, all’altezza del pianterreno, negli spazi tra le aperture sono ancora visibili, pur allo stato larvale, le due scene con Venere e Adone a sinistra e il Ratto di Proserpina, a destra; tre delle quattro figure: Ercole in lotta con il centauro Nesso e Vulcano, rispettivamente a sinistra e a destra del­la pseudo-serliana d’ingresso, Marte nel riquadro angolare a sud (fig.26),

26IgnotofrescantemetaXVI

26. Ignoto frescante della metà del XVI secolo, Scene mitologiche. Bassano del Grappa, via Rivoltella Bassa 1, villa Maggi (ora Rubbi), facciata. La facciata, ora malamente leggibile, documentata negli anni ’30, presentava  due scene con Venere e Adone a sinistra e il Ratto di Proserpina, a destra; Ercole in lotta con il centauro Nesso e Vulcano, rispettivamente a sinistra e a destra della pseudo-serliana d’ingresso, Marte nel riquadro angolare a sud ed altri episodi del mito di Amore e Psiche.

mentre di quello a nord, visibile nella foto degli anni Trenta, non rimane alcuna traccia. Nella terza zona, compresa tra le finestre del pianterreno e quelle del sottotetto, la fascia decorativa, a mo’ di fregio, si svolge in continuum, interrotta solo dalla stretta partitura sopra la centina della porta d’ingres­so, dove era dipinto uno stemma tra due putti in volo, oggi del tutto scom­parso insieme a tutta la raffigurazione che nella ricordata fonte fotografica si mostra conservata frammentaria­mente, ma abbastanza da far ipotizza­re, come soggetto del fregio, il mon­do marino: nell’assieparsi dei nudi, in una sorta di horror vacui di stampo manieristico, sembra di riconoscere, nel gruppo verso sud il dio Nettuno, brano dove si legge l’eco pur lontana della Battaglia degli dei marini incisa da Mantegna. La fascia sommitale tra le finestre del sottotetto ripropone, in formato minore, l’alternanza, adot­tata per il settore del pianterreno, di figure nelle specchiature più strette e storie mitologiche in quelle più lar­ghe, rappresentazioni probabilmente connesse da un filo narrativo, oggi leggibili in soli due brani, posti verso sud, relativi alla leggenda di Amore e Psiche narrata da Apuleio nell’Asino d’oro: nel più conservato, vediamo Psiche che con la lampada illumina Amore dormiente e in quello accan­to, nel riquadro angolare, il nudo femminile che è forse Psiche dopo la cacciata. Le immagini giunte fino a noi in uno stato larvale e quelle restituite dalle fotografie di ottant’anni fa non bastano per individuare una chiave interpretativa di questo ciclo mitolo­gico. Vediamo che protagonisti sono gli dei e i loro amori che potrebbero essere qui rappresentati a simboleg­giare allegoricamente i Quattro Ele­menti, cui fanno pensare, per esem­pio, le figure di Vulcano (Fuoco) e Nettuno (Acqua). Questa decorazione non appartiene alla tradizione dell’affresco nata e fiorita a Bassano tra il Quattrocento e il Cinquecento: l’assenza di maestran­ze locali si può spiegare con il fatto che la moda dell’urbs picta a Bassa­no, come in tutte le città venete, era andata decadendo dopo la metà del Cinquecento. La famiglia Maggi, probabile committente, si rivolse altrove per far decorare il prospetto della sua piccola villa in riva al Brenta; opera che si può assegnare a un frescante tardomanierista della seconda metà del XVI secolo, attivo in ambito veronesiano per quanto riguarda la parte figura­tiva, impaginata nei tre registri superiori secondo uno schema privo di finta orditura architettonica. Egli fu coadiuvato certamente da un pittore prospettico nei riquadri del registro inferiore. Interessante per individuare la cul­tura e il gusto dell’ignoto autore di questo ciclo, è la citazione che egli fa della scena con Venere e Adone, una delle “poesie” di Tiziano, immagine fortu­nata, diffusa da numerose incisioni e copie, come può essere considerata questa affrescata sulla facciata della villa. Tra le versioni del dipinto, da quella eseguita per Filippo II di Spagna nel 1554, ora al Prado, a quelle più tarde, con varianti, della National Gallery di Washington e del Metro­politan Museum di New York, non si può riconoscere quale sia stata di riferimento per l’ignoto frescante. All’interno, nel saloncino passante, nel finto paramento architettonico che riveste le pareti lunghe, tra colonne con capitello corinzio, si inquadrano, due per ciascun lato, ar­cate aperte illusionisticamente su paesaggi. Sopra una porta è raffigurata una Venere ignuda. Gli affreschi ritornati in luce, in uno stato frammentario, una trentina di anni fa durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, si presentano nell’aspetto conferito dal restaurato­re che ha dovuto ricorrere a pesanti integrazioni. A causa della scarsa leggibilità si può solo ipotizzare che essi siano coevi a quelli della facciata, dovuti tuttavia a una mano diversa[51]. La villa più vicina al centro urbano di Bassano è Ca’ Veggia (ora nota come palazzo Bonaguro), residenza dei mercanti veneziani di questo nome, che s’impone con la sua mole in prossimità della testata occidentale del ponte nel Borgo Angarano, appartenente nel Cinquecento al territorio vicentino. Costruita su una preesistenza (che i fratelli Girolamo e Giovanni Veggia avevano acquistato nel 1574 dai Rusconi) in due fasi - la prima dal 1576 al 1582, la seconda dal 1592 al 1596 - riporta, specialmente sul fronte verso strada, anche segni di interventi posteriori. L’edificio, a tre piani, si rialza in entrambe le facciate in corrispondenza del settore centrale, arricchito dalle elaborate forme delle serliane al piano nobile e dalle soprastanti trifore, le une e le altre su colonnine binate che separano l’arco mediano dalle aperture laterali e collegate da poggiolo. Una trama di fasce orizzontali marca i davanzali e gli architravi in pietra delle finestre. Misurato il paramento lapideo nel prospetto a sud, esuberante in quello a nord, messo in opera nei lavori più tardi che conferirono un aspetto aulico all’edificio anche all’interno con la costruzione della grande scala. Brotto Pastega che ha ripercorso le vicende costruttive della villa pensa che si può assegnare a maestranze di ambito veneziano quest’ultimo intervento[52]. Le tracce degli affreschi rinvenuti durante i lavori, condotti negli anni Settanta del Novecento per dare agi­bilità all’edificio, testimoniano che la decorazione riguardava le superfici di tutte le stanze al pianterreno per un’estensione di centinaia di metri quadrati. In quell’occasione furo­no liberati dallo scialbo solo alcuni brani: nella stanza adiacente al salone passante verso nord-ovest, frammenti di una illusionistica partitura architet­tonica che incorniciava grandi scene, tra le quali è affiorata, in modo abbastanza completo, quella sulla parete meridionale raffigurante un Banchet­to; nella stanza adiacente al salone verso nord-est, troviamo il Ratto di Europa nella parete orientale e una frammentaria Scena mitologica in quella occidentale (fig.27).

27Artistaveronesiano

27. Artista veronesiano, Scena mitologica. Bassano del Grappa, Ca’ Veggia (ora palazzo Bonaguro),  via Angarano. Il palazzo di Angarano, residenza di Girolamo e Giovanni Veggia, mercanti veneziani, fu costruito su una preesistenza  in due fasi,  la prima dal 1576 al 1582, la seconda dal 1592 al 1596. All’interno, la decorazione comprendeva una partitura architettonica con scene; sono affiorati un frammento di un Banchetto, di un Ratto di Europa e di una Scena mitologica.

Le tracce delle finte architetture e dei festoni vegetali a riquadro di paesaggi, affiorate dai saggi fatti sulle pareti finestrate delle stanze a sud-est e a sud-ovest, sono state subito ricoperte. Nel primo ambiente del mezzanino a nord-est, ricavato nell’Ottocento[53] è visibile la parte sommitale della riquadratura decorata con ma­scheroni, che evidentemente rivestiva la stanza al piano terreno, dove forse si impostava un soffitto a volta. Impossibile, con i pochi episodi ritornati in luce, ricostruire il programma iconografico del ciclo decorativo, forse mancante di un unico filo con­duttore. Probabilmente in ogni stanza è svolto un tema: in una, quello dei Conviti, nell’altra, quello delle Mito­logie. Luciana Crosato Larcher, autrice del più approfondito studio su questo ciclo, ritiene coevi, datandoli «verso l’ultimo decennio del Cinquecento», il Banchetto e il Ratto di Europa, anche se, per il non buono stato di conservazione, è cauta nell’affermare che siano stati eseguiti dalla stessa mano: la studiosa per en­trambi i soggetti puntualizza la derivazione, per quanto riguarda il tema e la messinscena dei personaggi, da modelli veronesiani dipinti a olio. Quanto all’autore pensa che «non è da escludere sia uno dei pittori minori passati per la bottega del Veronese, ricordando opere affini di Alvise Benfatto del Friso»[54]. Nel territorio di Angarano sono presenti altri due edifici di villa, entrambi innalzati per iniziativa di Giacomo Angarano. Della villa (ora Bianchi Michiel) ideata da Andrea Palladio per l’Angarano suo amico e protettore e presentata dall’architetto in pianta e in alzato nei Quattro Libri, furono realizzate - come ha proposto recentemente F. S. Toniolo[55] tra il 1556 e il 1558 e non, secondo la datazione tradizionale, a partire dal 1548 - solo le barchesse doriche. La fronte della barchessa a destra ha assunto l’aspetto che oggi vediamo quando vi fu inserita, al tempo in cui la proprietà era dei Gradenigo, la cappella gentilizia di Santa Maria Maddalena, contemporanea all’attuale corpo padronale attribuito dalla maggior parte della critica a Domenico Margutti[56]. Come si vede nella xilografia dei Quattro Libri (ed. 1570) (fig.28)

28GiorgioFossati

28. Giorgio Fossati (Morcote 1706 - Venezia 1778), Alzato della villa Angaran poi Gradenigo ora Bianchi Michiel (1740 - 1750), acquaforte. L'immagine è tratta dal volume di Francesco Muttoni, L'architettura di Andrea Palladio posta di nuovo in luce..., venezia 1740 -1750, t. I, tav XXXVI.

il progetto prevedeva un corpo dominicale con ordine gigante analogo a quello di villa Barbaro a Maser (databile tra 1556 e il 1558), affiancato da barchesse ad angolo retto a formare un sistema di corti. Dell’altra dimora dell’Angarano (oggi Villa San Giuseppe, dei Gesuiti) sappiamo dalla Cronaca del suo amico Fabio Monza che era in costruzione agli inizi del 1590[57], forse su progetto dello stesso proprietario: anche questo un edificio all’antica con un loggiato a ordini sovrapposti simile a quello di palazzo Chiericati, a Vicenza. Di esso fu innalzata solo l’ala sinistra, di cui rimane integra la facciata che presenta due archi nella parte inferiore e tre (di cui uno ora cieco) in quella superiore, impostati su pilastri rispettivamente bugnati e lisci con addossate colonne doriche al pian terreno e ioniche al piano nobile. Classica la trabeazione del primo ordine con il fregio a triglifi e metope che recano patere e bucrani; mentre quella ionica, al piano superiore, s’impreziosisce solo di fitti dentelli nella cornice sommitale. Notevoli le tre teste umane che fungono da chiave dei tre archi superiori «di egregia fattura del tardo Cinquecento o del primissimo Seicento», come scrive il Cevese[58]. Al Museo Civico di Bassano è conservato il concio in chiave d’arco con lo stemma della famiglia Angarano dal Sole - il cui ramo nobile si estinse nel 1595 con la morte del conte Giacomo - proveniente dalla villa, scartato evidentemente per l’eliminazione o il rifacimento del portale dell’edificio[59](fig.29).

29LapicidasecondametaXVI

29. Lapicida della seconda metà del XVI secolo, Stemma degli Angarano dal Sole. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Lapidario del chiostro. Lo stemma proviene dall’altra dimora degli Angarano (oggi Villa San Giuseppe, dei Gesuiti) in costruzione agli inizi del 1590: anche questo un edificio all’antica con un loggiato a ordini sovrapposti simile a quello di palazzo Chiericati, a Vicenza.

Questo sito usa cookies per il proprio funzionamento (leggi qui...)