Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Bassano apparteneva alla signoria carrarese dal 1339 e pervenne a Gian Galeazzo Visconti alla conclusione di un breve conflitto che il signore di Milano, in alleanza con Venezia, condusse nell’estate-autunno del 1388 contro Francesco da Carrara il Vecchio e suo figlio Francesco Novello a favore del quale il padre aveva abdicato, all’apertura delle ostilità. I vincitori divisero le spoglie; Venezia riprese il Trevigiano e Gian Galeazzo ottenne, con i rispettivi distretti, Padova (anche Bassano, di conseguenza), Feltre e Belluno. Diversamente da quanto si è finora ritenuto Bassano, dopo il passaggio dalla dominazione carrarese a quella viscontea nel novembre-dicembre del 1388, rimase inclusa nel distretto di Padova fino al giugno del 1390: con la rilevante conseguenza che nella prima redazione degli statuti bassanesi, compiuta nel 1389, non dovevano figurare il distacco del territorio e l’attribuzione al podestà, senza riserve, del mero e misto imperio[3]. Fino al 1389 i Bassanesi accettarono senza dividersi il nuovo regime come risulta dalla partecipazione alla stesura degli statuti di Bartolomeo Beraldi degli Andolfi che diverrà, l’anno successivo, il più autorevole dei ribelli. Insieme con lui, e sotto la supervisione non dichiarata ma evidente del podestà e giurisperito Stefano di Montecornaro, compaiono statutari il padovano Antonio Rizzoletti, licenziato in diritto civile, il medico Lorenzo di San Gimignano, qui trapiantato intorno al 1374, i notabili di larga sostanza Andrea Trabucchi e Olvradino Rossignoli e quindi i notai Giovanni detto Zago, Checchino di Rotzo, Benedetto di Santa Croce: uomini tutti, eccetto il podestà, tradizionalmente legati alla signoria carrarese e, alcuni, già al servizio di Francesco il Vecchio[4]. A cambiare la situazione, con decisive conseguenze per la storia non solo veneta di quegli anni, intervenne la riconquista di Padova e del suo antico territorio – ma fino a Cittadella, verso nord – da parte di Francesco Novello da Carrara, nel 18-21 giugno del 1390, a cui di rimbalzo seguì qualche giorno dopo la rivolta antiviscontea di Verona, pur ferocemente repressa. Il governo centrale reagì con accortezza e tempestività provvedendo, entro due mesi, a conservare le altre zone del Veneto conquistate nel 1387-1388. Per assicurare, con la difesa del sistema fortificato, la base del saliente che attraverso il Canale di Brenta garantiva la comunicazione con i distretti egualmente viscontei di Feltre e Belluno e l’accesso alle loro risorse furono allora concentrati a Bassano grossi contingenti di esercito[5]. Contemporaneamente, al fine di bloccare la diffusione nel Veneto dei focolai di opposizione e premiare la fedeltà di chi non era passato alla sedizione – ovvero, «propter constantem devotionem et fidelitatem vestram quam nunc effectualiter experimur» – Gian Galeazzo (fig.2)

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2. Gian Galeazzo Visconti. Gian Galeazzo, signore e poi (1395) duca di Milano, dominò Bassano dal 1388 al 1402.

concedeva ai Bassanesi, con lettere del 25-26 giugno, l’autonomia giurisdizionale, separandola da quella di ogni altro municipio e specialmente di Padova e conferendo ai rettori di Bassano il mero e misto imperio, cioè la teoricamente piena potestà di amministrazione e di giudizio per ogni tipo di causa civile e criminale[6]. L’assetto è paragonabile al tipo della “terra separata”, verificabile in alcuni centri minori dell’area padana, anche se nel Veneto l’attribuzione del beneficio a Bassano (e a Legnago, due mesi dopo) non è interpretabile come l’adempimento di un programma di lungo periodo della politica viscontea. L’autonomia di Bassano, si può ripetere, è invece «figlia dell’evento e della fortuna». Costituisce la risposta immediata alla perdita di Padova e, temporanea, di Verona e procede dalla volontà di conservare ad ogni costo, nell’urgenza del pericolo, un punto nevralgico dello scacchiere militare, impedendo la caduta dei settori contigui. La tenuta del luogo e dell’ambito rappresentava lo scopo, l’autonomia era il suo strumento politico: per invogliare i Bassanesi, il fronte interno, a resistere alla subornazione eccitata dal nemico carrarese[7]. Questa del 1390 è un’autonomia strutturalmente diversa dalle riserve di spazio amministrativo che Bassano aveva tenacemente patteggiato con i dominanti di turno, a partire dal 1259-1260. Comportava infatti l’esclusiva potestà del Comune sul proprio distretto, formatosi ben prima ma solo adesso giuridicamente fondato e non più soltanto considerato come una porzione di quello padovano. Essa abrogava, inoltre, con i limiti di competenza giudiziaria, le prestazioni fiscali e militari dovute a Padova e i vincoli corporativi imposti dal capoluogo sulle attività locali di produzione (la manifattura laniera, per esempio)[8]. Nonostante i vistosi vantaggi ottenuti dal signore di Milano, un gruppo di eminenti Bassanesi decisero di ribellarsi. La scelta rappresentava per alcuni il ritorno nell’onore di un servizio già prima prestato ai Carraresi e fu per altri il verosimile esito di matrimoni o di rapporti di affari contratti a Padova. A far data dalla crisi di giugno, aveva ripreso slancio nel Veneto l’insofferenza verso il dominio visconteo, ben segnalata a Feltre e Belluno e dunque a Bassano dove non bastarono, nel mese di luglio, l’invio al confino di 11 sconosciuti personaggi e la minaccia di morte per chi prendeva le armi[9]. Già nell’agosto del 1390 Cristoforo Beraldi si univa, a Padova, alla cavalleria di Francesco Novello, seguito nell’ottobre da suo padre Bartolomeo. Intorno alla prima domenica di novembre, che in quell’anno cadeva il 6, reparti carraresi accompagnati da Cristoforo e forse da altri fuorusciti «schalaverunt Bassianum furtive» ma furono respinti dal presidio[10]. Nell’inchiesta che seguì i due Beraldi, con distinte sentenze pronunciate il 25 febbraio 1391 dal podestà Pietro Pusterla, furono condannati a morte in contumacia; i loro beni andavano applicati per confisca «camere comunis Bassani»[11]. Non sappiamo quanti altri oppositori siano stati allora inquisiti, con quale esito e misura della pena. Certamente condannati, in contumacia, furono quelli che ritroviamo a Padova, presumibilmente fuorusciti fra l’estate del 1390 e i primi mesi del 1391. Di una condizione economica quanto meno dignitosa, vincolati alcuni con famiglie cospicue dell’apparato signorile e deputati a incarichi di governo, essi rimanevano un po’ sempre dei capi e dei compagni di fede per gli occulti sostenitori della causa carrarese bloccati a Bassano. E furono l’urto della punta che di continuo incideva sull’ambizione di Francesco Novello di riavere la nostra “terra”[12](fig.3).

Novello

3. Francesco Novello da Carrara, in Pier Paolo Vergerio, Liber de principibus Carrariensibus et gestis eorum, codice membranaceo, Padova, Biblioteca Civica, ms. B.P. 158, c. 45 r. La miniatura, eseguita da un artista attivo a Padova verso la fine del Quattrocento, forse riprende un ritratto del Carrarese affrescato nella sua reggia.

Dei ribelli finora individuati i Beraldi sono già stati esplorati[13]. Si possono qui soltanto accennare gli altri, significativi ed egualmente colpiti dalla repressione viscontea, col sequestro dei beni. Rimane il dubbio se Tommasino da Parma sia propriamente stato un ribelle mentre lo furono certamente i notabili bassanesi Taddeo e Donato Bovolini e Andrea Polla. Incuriosisce Ruggero di Antoniolo di Pove, quasi sconosciuto a Bassano prima della secessione, che confermava la sua lealtà alla dinastia con la rischiosa compra di centinaia di campi da Francesco Novello nel maggio-giugno del 1405, per oltre 3000 lire. Merita una speciale attenzione Franceschino Normanini, attestato quale familiaris di Francesco il Vecchio nel 1387, vicario di Conselve nel 1402, podestà di Piove di Sacco nel novembre del 1404 e morto fra questa data e il marzo del 1406[14]. La ribellione provocò un’insidiosa frattura all’interno della società bassanese di cui si raccoglie l’eco nel permanere di nostalgie carraresi lungo tutto l’arco della nuova dominazione. Nondimeno, la secessione determinò un fecondo ricambio. Gli amministratori fra i quali si redistribuirono le funzioni già condivise con i fuorusciti pensavano all’avvenire, convinti dei vantaggi decisivi che derivavano dall’autonomia e che sarebbero stati eliminati da una restaurazione carrarese, col ritorno di Bassano nel distretto di Padova. Destinati a regolare per secoli i rapporti giuridici nel Bassanese, i cosiddetti statuti del 1389 sono in realtà l’esito di una rielaborazione unitaria nella quale si integrano il nucleo elaborato nel 1389, le straordinarie concessioni del 1390 e le modifiche stabilite dalla revisione governativa che si concluse, licenziando il testo ufficiale, il 25 agosto del 1392[15]. È difficile stabilire quale insieme di norme vigesse a Bassano al momento dell’esordio degli statuti, nel 1389. Si può almeno affermare che gli statuti del 1295, costellati come sono di abrogazioni, aggiunte e modifiche non datate, ma alcune e rilevanti immesse ancora al tempo dell’egemonia carrarese, rimanevano lo schema costituzionale di riferimento che servì di base per l’elaborazione degli statuti del 1389, col riporto di ampi brani[16]. L’intera materia fu però riplasmata, eliminando o riassumendo e precisando una serie di antiche disposizioni, con l’immissione di altre e incisive, espressamente coerenti con un regime di tipo signorile[17]. Del corpo statutario si annotano alcune novità, funzionali al discorso. Al centro dell’organismo comunale si conferma il consiglio maggiore[18], vistosamente ridotto da 100 a 32 membri ma col dimezzamento del valore della proprietà, da 200 a 100 lire, e il contenimento dell’età minima, da 25 a 20 anni, richiesti per l’accesso. Diminuito è anche il tempo di residenza assegnato a chi arrivava da fuori per diventare eleggibile al consiglio, da 25 a 15 anni, e alle cariche, da 25 a 10[19]. Nel periodo che si esamina, travagliato da guerre ed epidemie, Bassano ha un intrinseco bisogno di uomini, per produrre e per allargare la base della fiscalità comunale; di preludio all’aumento dei cittadini viene perciò favorita l’immigrazione, con l’immunità quinquennale del pagamento di imposte locali e, più rapidamente, con la concessione del privilegio di cittadinanza[20]. Direttamente nominati dal signore di Milano, formalmente per 6 mesi ma con mandato che si rinnova anche per anni, i podestà – fra i quali si contano personaggi di rango, politicamente attivi prima e specialmente dopo la morte di Gian Galeazzo – erano accompagnati da un seguito che mantenevano col proprio salario, di 40 fiorini mensili nel 1393. Titolari in ultima istanza del potere giudiziario i Visconti, allo scopo di convogliare i sudditi nella benevolenza dei sovrani, abilitavano il controllo anche dal basso di questi loro mandatari, in maniera forse più incisiva che in altre sedi[21]. Nella persona del podestà converge il disciplinamento del neo costituito distretto di cui si precisano l’estensione in riva sinistra del Brenta (di circa 173 kmq, da Primolano al confine con Cittadella) e gli obblighi verso l’autorità, specialmente in materia penale. La preminenza del capoluogo non sembra incontrare resistenze, verificabili invece prima e dopo, e la ragione di ciò va cercata in quegli anni nella necessità di soccorso delle comunità periferiche, per resistere alle pretese dei confinanti stranieri e per alleviare i danni delle incursioni nemiche che distruggevano l’abitato e i raccolti[22]. Come nelle coeve revisioni statutarie condotte a Verona, Feltre e Belluno (nell’arco 1388-1393), non si trova più menzione di una milizia comunale, ancora individuabile nel 1295, e alle funzioni paramilitari di custodia delle mura urbane e delle porte, a cui erano obbligati i cittadini e i distrettuali, presiede il miles podestarile cioè, gerarchicamente, l’autorità signorile. Nell’avanzare del XIV secolo, la forza d’urto e di guarnigione consiste soprattutto di professionisti come quelli che, rimossa dall’ambito ogni diversa funzione, difendevano il nostro Castello Superiore già avanti il 1388[23]. Eppure, furono questi anni di guerra, di tregue violate, di furtivi assalti contro Bassano del signore di Padova. Lo stato di conflitto si registra nei periodi giugno 1390-gennaio 1392, primavera 1397-maggio 1398, settembre 1401-dicembre 1402, agosto 1403-novembre 1405[24]. I Visconti, che certissimamente non fecero erigere il secondo giro delle mura urbane, ereditarono strutture già da altri realizzate, migliorandole appena. Di proprio imposero invece il cosiddetto Ponte Nuovo (fig.4)

PonteVisconteo

4. Ricostruzione ipotetica del Ponte Nuovo fatto costruire sul Brenta da Gian Galeazzo Visconti nel 1402. (G. Fasolo, Il ponte visconteo di Bassano, Vicenza 1926). Il ponte turrito, sbarrando le arcate con delle porte, poteva diventare una diga per disalveare il fiume verso Sandrigo modificando così il corso del Brenta.

poco a monte di quello Vecchio che, fornito di chiuse, poteva disalveare il Brenta lungo un canale scavato fino a Sandrigo. L’opera si presta a diverse letture a cominciare dalle complicazioni “internazionali” che provocò, avversata da Venezia per gli ostacoli che poneva al traffico di legname e, naturalmente, da Francesco Novello che l’addusse fra le ragioni della riapertura delle ostilità nel 1403. Il significato tattico dell’impresa – la minaccia fatta al Carrarese di una contemporanea chiusura del Brenta e del Bacchiglione, diretti a Padova – è già stato individuato da Ester Pastorello. Con l’avvertenza che il ponte-diga, armato ai capi da torrioni, va ora riconosciuto anche come un castello, di soccorso dall’altra sponda a quello Superiore di Bassano, e come il Ponte Vecchio, egualmente munito, esso pure un “castello sull’acqua”[25]. Gli stipendiari rappresentavano all’epoca una percentuale non trascurabile della popolazione. Alimentavano due circuiti economici, di un certo rilievo nel microcosmo locale. Nel primo, al loro interno, si svolgevano transazione a breve anche del valore di centinaia di fiorini, con una massa di capitale che poteva occasionalmente trovare impiego nel credito ai Bassanesi. Nel secondo si collegavano gli abitanti e i militari, quasi sempre in contenzioso per il mancato pagamento di merci e di affitti, nonostante le reprimende governative[26]. La difesa inderogabile del saliente bassanese comportò la creazione di un capitano, attestato dal 1391, che comandava una brigata di cavalleggeri adibita a compiti di presidio mobile del territorio, di polizia, di guardia ai confini con Padova, Venezia e la Valsugana asburgica. Egli aveva qualche competenza giudiziaria sulle controversie tra soldati, anche per questioni di onore, e sulle cause per debito tra la truppa e i civili. Vigilava sulle fortezze del distretto che, peraltro, rimanevano nella cura e responsabilità di ciascun castellano. Con i castelli Superiore e Inferiore di Bassano, ai quali si aggiunse nel 1402 quello di guardia al Ponte Nuovo, si contavano gli altri del Covolo, fra Cismon e Primolano, e della Scala di Primolano che nel 1401, per circa vent’anni, passò di fatto nel controllo di Feltre. Il capitano Gerardo Aldighieri (fig.5)

37 Porta Dieda Stemma Aldighieri
38 Porta Dieda Stemma Moschino

5. Artista dell’ultimo decennio del XIV secolo, ca. 1397. Stemmi del capitano visconteo Gerardo Aldighieri (a sinistra) e del podestà Moschino Rusconi (a destra). Bassano del Grappa, Porta Dieda, facciata sud (part.). Il recente recupero della decorazione precedente a quella cinquecentesca della porta è un documento fondamentale per le vicende storiche della città tra Trecento e Quattrocento.

– qui registrabile negli anni 1391-1392, intorno al 1397, 1399-1402 – svolse un ruolo di notevole rilievo anche sotto il profilo politico e amministrativo. Di nobile famiglia parmense, armigero di buona fama e infeudato di una rendita da Gian Galeazzo Visconti nel 1397, fu ucciso nel 1403 dopo aver lasciato Bassano[27]. Per la quasi totale perdita degli atti amministrativi, si intravedono appena i rapporti che la comunità intratteneva con gli organi del governo centrale che sullo scadere del Trecento si andava riorganizzando anche attraverso la costituzione, nell’agosto del 1392, del Consiglio di Verona che riproponendo le funzioni di quello di Milano aveva competenza sul territorio di oltre Mincio e dunque su Bassano. Tra i funzionari statali si segnala il referendario di Vicenza che soprintendeva all’amministrazione finanziaria (compreso il controllo sulla gestione dei beni dei ribelli) di Bassano, Feltre e Belluno. Nella finanza statale fu assorbita l’entrata dei dazi come quello del vino al minuto, di cui rimane un’erratica traccia. Nulla sappiamo di un’eventuale salario corrisposto al signore di Milano mentre quello del podestà si ricavava sui dazi locali. Al Comune spettavano i proventi del suo demanio, le multe e le condanne, la capacità di imporre collette sulla base dell’estimo e di contrarre mutui come quelli, saldati nel 1401 e tenendo conto della svalutazione monetaria, col prestatore giudeo Calimano[28].Stando alle dichiarazioni ufficiali, Gian Galeazzo godette a Bassano di un vasto consenso. Persuasori di fedeltà erano, naturalmente, gli immigrati dal dominio fra i quali si distingue il nuovo arciprete Lazzarino Ferrari di Parma che, guarda caso, aveva per collega nella vicina Angarano Iacopo di Piacenza. Del favore dato all’accesso agli incarichi di stato delle classi dirigenti locali sono esempio Andrea Forcadura e Olvradino Rossignoli che sono poi a Bassano i poli di attrazione del consenso al regime. Il primo fu vicario del podestà di Vicenza nel 1393 e del secondo si attesta che, non sai quanto avanti il 1401, era andato «in officio», in Lombardia[29]. Il miglior puntello dell’egemonia signorile furono però le concessioni che Gian Galeazzo «bone memorie» rilasciò nel corso degli anni: puntualmente richiamate nel 1404, cercandone la conferma, nelle richieste connesse alla dedizione a Venezia[30]. Frutto di benefici viscontei risultano, riassumendo: l’autonomia e l’attribuzione del mero e misto imperio, il ricavo dai dazi del salario podestarile, il contenimento del carico tributario, la partecipazione ai proventi delle multe e delle condanne, la disponibilità del demanio comunale, l’esenzione dalle spese di costruzione delle fortezze e dalle prestazioni fuori distretto, l’obbligo di pagare fatto agli stipendiari, la conferma del divieto di importazione dei vini forestieri[31]. Degno di nota è il fatto che nella prospettiva del governo visconteo, militare e quindi diplomatica, le due piccole città di Feltre e di Belluno e la «notabilis terra» di Bassano, collocate al di là del Brenta e alla periferia del dominio, rappresentano dei luoghi che insieme si tengono oppure si cedono. Così si vede, anche se poi gli accordi o le promesse non ebbero effetto, che Gian Galeazzo ne progettava la cessione nel 1391 ai figli di Bernabò Visconti, per non averli nemici, e che nel 1395, probabilmente, prometteva lo stesso a Francesco Novello ovvero a suo figlio Giacomo, per avere pace[32]. Nel maggio del 1395 Gian Galeazzo fu creato duca di Milano dall’imperatore Venceslao e la sua competenza ducale fu estesa nell’ottobre del 1396 ad altri luoghi fra i quali Bassano che, più tardi, venne per testamento assegnata insieme col Veneto a Filippo Maria, il minore dei suoi figli. Tutto precipitò con la morte di Gian Galeazzo, il 3 settembre del 1402, al funerale del quale partecipò una delegazione bassanese, sfilando fra quelle di minore importanza. Scosso all’interno da guerre civili e minacciato dall’esterno, il ducato rischiò la rovina con la perdita di intere regioni. Caterina, vedova del defunto e tutrice dei figli minorenni, fece fronte alle ricorrenti crisi come poteva e dovette confrontarsi nel Veneto con le rinvigorite ambizioni di potenza di Francesco Novello e dei suoi (temporanei) alleati, Guglielmo della Scala e i suoi figli Brunoro e Antonio. Nel settembre del 1402, a pochi giorni dalla scomparsa dell’odiato nemico, il Carrarese dichiarava di avere per le mani «certum tractatum de habendo locum Bassiani»: l’occasione, cioè, di un colpo di mano favorito da interne complicità. Nel dicembre dovette tuttavia adattarsi alla pace, avendo invano chiesto alla duchessa Bassano e le fortezze del Covolo e della Scala di Primolano[33].

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