Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Nell’agosto del 1403 l’indomabile Carrarese riaccese la guerra in cui Bassano rimase coinvolta fino al novembre del 1405 ma la situazione mutò radicalmente nel 1404 quando, tra la fine di marzo e l’aprile, Venezia decise di intervenire. Dell’implicazione veneziana si considerano gli aspetti che riguardano la nostra città, a cominciare dalla trattativa di lega fra Milano e Venezia, aperta il 26 marzo e di fatto conclusa senza esito l’undici aprile, quando arrivò la notizia dell’entrata in Verona delle truppe carraresi e scaligere[34]. A partire dal 12 aprile, prendendo atto dell’impotenza militare viscontea, Venezia decise di agire in proprio occupando quanto più poteva del Veneto. In quel giorno si promise aiuto a Vicenza, minacciata dal Carrarese e già disposta a darsi alla Repubblica; al medesimo scopo, il 27 aprile e il 12 o 13 maggio, si deliberò l’invio di mandatari a Belluno e Feltre, travagliate da lotte intestine. Le dedizioni delle tre città vennero lì provvisoriamente formalizzate, rispettivamente, il 17 maggio, il 18, il 15 giugno[35].   Individuato il contesto, si riesce a configurare la peculiarità del trapasso di Bassano alla Repubblica, concluso il 10 giugno ma già previsto qualche giorno avanti il 17 aprile quando il Senato esprimeva la speranza di avere Vicenza e Bassano dove la «maior et potentior pars est bene ad hoc disposita»: col dubbio, nonostante la formula, che a questa data così precoce anche i maggiorenti bassanesi e non soltanto i comandanti viscontei avessero direttamente trovato modo di manifestarsi a Venezia. Almeno dal 25 aprile, a condurre la trattativa col capitano Fregnano da Sesso, subentrato nel 1403 a Gerardo Aldighieri, fu il vicentino Giacomo Thiene, uno dei protagonisti della dedizione della sua città, che agiva d’intesa con Giacomo Surian lì arrivato il 25 aprile e, dal 28, «rector et gubenator». Vale la pena di ricapitolare le fasi dell’accordo perché molte e importanti per una più comprensiva lettura della crisi viscontea e dell’espansione territoriale di Venezia non figurano nella bibliografia o sono state fraintese. Il 25 aprile, essendo doge Michele Steno (1400-1413) (fig.6; tav.17),

PortaDieda

6. Artista veneto del 1405. Il leone di San Marco, per mezzo del vessillo, conferisce l’autorità al doge di Venezia Michele Steno. Bassano del Grappa, Porta Dieda, facciata sud (part.).
Questa rappresentazione in affresco dell’investitura dogale è oggi l’unica riapparsa nell’ambito del dominio veneto.

Venezia favoriva il viaggio di Giacomo Thiene che dalla capitale andava dalle parti di Bassano e altrove per non meglio specificati ma impegnativi «nonnullis arduis negotiis nostris» e il 28 abilitava il podestà di Castelfranco a soccorrere di 100 armati il richiedente capitano Fregnano; il 20 maggio si deliberava l’invio di Antonio Bragadin per sottoscrivere l’impegno di 30.000 ducati per le guarnigioni viscontee di Bassano «quia dictus locus ommino est nobis necessarius»; da questa data al 7 giugno si provvedeva alla nomina dei nuovi castellani e del «rector et gubernator» di Bassano nella persona di Francesco Bembo, al prestito di denaro dai Procuratori di San Marco «pro factis Bassiani», al contingente di occupazione che risulta, conglobando, di 50 lance e di circa 400 fanti, in larga misura balestrieri[36]. Francesco Bembo, designato rettore, entrò a Bassano il 10 giugno del 1404. Col versamento di 22.622 ducati rispetto ai 30.000 pattuiti (almeno una parte della differenza andava forse al presidio del Covolo) egli rilevò la città e il distretto dal capitano visconteo Fregnano da Sesso, dai due castellani (di sopra e di sotto) Bettino Bigoni e Giovanni de Curte, da Antonio di Pontecurone capitano del Ponte Nuovo[37]. Emergono alcuni confronti. La cifra dei 30.000 ducati effettivamente portati a Bassano, in due rate, è la più alta mai raccolta da Venezia per avere in quegli anni una sola piazza del Veneto: una «maxima summa pecuniæ» (come si dirà nel marzo del 1406) pari alla metà o a circa un terzo dello stanziamento previsto, due mesi prima, per la compra globale dai Visconti di Vicenza, Bassano, Feltre e Belluno[38]. Vicenza si dà alla Repubblica in odio a Padova e fanno quasi lo stesso Belluno e Feltre governate dai ghibellini, per evitare il ritorno al potere dei guelfi loro rivali, se fosse arrivato Francesco Novello. Bassano, invece, fu presa per soldo, guadagnando a carissimo prezzo un complesso fortificato allora al massimo della sua potenza che, specialmente nella congiuntura dell’aprile-giugno del 1404, garantiva contro il Carrarese il corridoio di soccorso che dal Trevigiano si indirizzava a Vicenza. Sì, c’è poi la dedizione a Venezia che è sempre stata il cavallo di battaglia, un po’ zoppo, della storiografia locale e che non presenta i caratteri, insieme formali e politici, che ricorrono nelle coeve dedizioni di Vicenza, Feltre e Belluno: la deliberata volontà della città che si offre, l’impegno di chi la riceve a rispettare gli accordi intercorsi. Da noi, invece, la questione si risolve essenzialmente in una convenzione finanziaria fra gli emissari veneziani e i militari viscontei, senza mai coinvolgere formalmente la rappresentanza comunale. Nelle commissioni diplomatiche veneziane, così puntigliose, non si trova indizio di preliminari promesse da fare ai Bassanesi. E c’è di più. Uno (e quasi sconosciuto) dei capitoli della dedizione di Vicenza, convenuti con Giacomo Surian il 17 maggio del 1404 mentre Bassano era ancora viscontea, configurava la possibilità che alla città berica, riservando a Venezia la decisione, fosse attribuita la giurisdizione su Bassano (e Cologna). Questa eventualità fu definitivamente esclusa il 26 marzo del 1406 quando la Dominante, sanzionando solennemente il privilegio della dedizione vicentina, dichiarava la sua volontà che Bassano fosse «libere nostri dominii» e non sottoposta a Vicenza. Ma resta il fatto che per circa due anni sul destino di Bassano e della sua autonomia gravò questa riserva mentale e politica che, insieme con le altre di cui diremo, sorvegliava in qualche modo l’azione del governo centrale e dei suoi emissari in loco. La dedizione di Bassano (fig.7)

 MG 7073 - Copia

7. Richieste di Bassano per la dedizione a Venezia (part.). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, 4. Atti del Consiglio, vol. 2, c. 40r. Esistono due successivi elenchi di petizioni, un po’ diversi, ciascuno di 13 capitoli, presumibilmente elaborati fra maggio e settembre del 1404.

, nel senso fondamentale del termine, coincise con l’immediato assoggettamento alla potestà di Venezia, al momento del suo arrivo. Certamente, nell’imminenza ormai manifesta del cambio di regime e dopo ancora l’amministrazione comunale elaborò una serie di petizioni da rivolgere alla nuova Dominante. E negli elenchi di cui disponiamo accanto alla conferma dei sopra richiamati benefici di matrice viscontea compaiono le istanze per la disponibilità del demanio comunale e del suo reddito che serviva al pagamento del maestro pubblico, l’esclusione dei dazi sull’importazione delle vettovaglie e dei redditi bassanesi fuori distretto, comprese le produzioni ovine, e per un regime del sale come usava nel Trevigiano. È ipotizzabile che l’ultimo dei due elenchi, redatto dopo l’altro e un po’ modificato, oppure una loro ricomposizione fossero presentati al rettore Bembo e quindi alla Signoria nell’omaggio reso a Venezia da una delegazione bassanese, già rientrata il 5 settembre del 1404[39]. Nell’arco giugno 1404-luglio 1406 il processo di conferma dell’autonomia bassanese, mai scontata, si documenta con larghi vuoti e margini di dubbio. L’ambasceria deliberata dal Comune il 7 dicembre del 1405 che doveva far approvare a Venezia dei capitoli ancora da redigere e concernente le «utilitates comunis», non meglio specificate e probabilmente non afferenti alla dedizione, si vide assegnare il giorno dopo anche il più gravoso compito di contrastare le pretese di Padova e Vicenza per la riannessione di Bassano. In quei mesi, come nei casi di Cologna e Marostica, nel gioco degli incastri di giurisdizione la Dominante forse esitò e solo il 26 marzo del 1406 escludeva la sottomissione di Bassano a Vicenza. Due ambascerie, ripetute il 2 maggio e il 7 giugno, andavano nella capitale per ricevere risposta ai capitoli già presentati, non sappiamo precisamente quali (a questa data) né quando redatti o accomodati oppure lasciati cadere. Venezia, con privilegio del 6 luglio, assentì in tutto o in parte a un gruppo di richieste che, peraltro, risultano adesso ridotte in appena quattro capitoli, con domande e risposte. Del molto che si era chiesto o progettato di chiedere si salvò quasi soltanto l’essenziale: l’autonomia (riconosciuta di fatto piuttosto che formulata di diritto) col mero e misto imperio, la conferma degli statuti, la facoltà di importare derrate e redditi (con la maligna precisazione del pagamento dei «datia consueta»), il divieto di accesso al mercato bassanese di olio (una novità, questa) e di vini forestieri, tranne quelli “navigati”, commerciati da Venezia. Su tutto il resto si mantenne il silenzio, perfino sulla proprietà pleno iure della campagna comunale[40]. La travagliata vicenda della dedizione e lo scarto talvolta notevole fra le aspettative e il risultato, riflettono fedelmente lo scadimento di rango di Bassano nel passaggio dai Visconti a Venezia. È vero, per oltre un anno dopo l’occupazione, continuando il conflitto veneto-carrarese, il luogo rimane nell’attenzione del governo che invia reggitori di qualità, Francesco Bembo e il suo successore Andrea Zane (fig.8; tav.17),

08 Zane

8. Artista veneto del 1405. Affresco con stemma di Andrea Zane. Bassano del Grappa, Porta Dieda, facciata sud (part.). Dopo Francesco Bembo, temporaneo rettore, Andrea Zane fu il primo podestà inviato da Venezia (1405 – 1406).

aumenta il presidio e già nel giugno 1404 impegna ben 500 ducati nel restauro dei castelli urbani escluso il Ponte Nuovo che, d’impedimento ai traffici veneziani, sarà rimosso a partire dal 1406 col contributo del Comune. Al fine della sicurezza interna 10 sconosciuti bassanesi, evidentemente sospettati di simpatie carraresi e già segnalati dal capitano visconteo Fregnano da Sesso all’atto della consegna della città, nel dicembre 1404 furono precettati al confino nella capitale e fatti rientrare nel seguente gennaio su consiglio di Francesco Bembo, persuaso della loro lealtà e dell’inopportunità politica del provvedimento[41]. Al di là di ogni previsione e deludendo la speranza di ottenere il Veneto a buon mercato, ancora viva nel marzo-aprile del 1404, la guerra costò una cifra enorme. La sua conclusione, nel novembre del 1405, demarca un confine. Avvalendosi non poco delle relazioni sul territorio dei podestà e dei provveditori itineranti (passati anche da noi), l’autorità centrale avviò un radicale taglio delle spese statali cercando altresì, per quanto poteva, di aumentare le entrate. Estesa all’intero Veneto, l’operazione di rientro finanziario ebbe a Bassano effetti di un certo rilievo perché le restrizioni allora applicate, specialmente nel 1406, limitarono in modo permanente l’esercizio di alcune funzioni di natura pubblica già qui prima espletate in nome dello stato ma di reale utilità per la città, più o meno direttamente. Le prove abbondano e si ricavano dalle coeve deliberazioni del Senato, finora trascurate o scarsamente utilizzate. Com’era inevitabile, la smobilitazione trascinò con sé il congedo di alquante formazioni di fanteria e di cavalleria, la riduzione delle guarnigioni e l’abbassamento del soldo per chi restava. L’organico del capitano del distretto, ordinato dal Visconti, era già stato eliminato nell’avvicendamento del regime e la relativa carica si concentrò in quella del podestà al quale, nel 1408, fu inoltre sottratta la funzione di rassegna del presidio, trasferita nel collaterale di Padova. L’accentuato calo della domanda alimentata dai militari danneggiò sicuramente i fornitori bassanesi[42]. In maniera analoga, si contenevano al minimo il seguito del podestà e l’ammontare dei relativi emolumenti. La parabola del salario podestarile può misurare la flessione dell’importanza della sede di Bassano. Di annuali 500 ducati nel 1406, si riduce a 360 nel 1412 fissandosi nelle 2000 lire del 1423, come a Conegliano, Serravalle e Sacile. Il fatto che più colpisce in questa corsa al risparmio è però l’abolizione, comandata nel maggio del 1406, della carica di vicario del podestà con la motivazione, interessante a questa data, che il luogo di Bassano «reductus est sub potestaria Tervisii» e che altri centri del Trevigiano, di una maggiore popolazione, stavano senza il vicario. Il compito dell’azione penale passava dunque in larga misura al cancelliere del podestà, per il quale gli statuti non prevedevano che avesse un titolo accademico. L’eliminazione del vicario andava a scapito della giustizia, professionalmente meglio qualificata al tempo della dominazione viscontea. Per agevolare il controllo dei flussi finanziari già nel febbraio del 1406 si era stabilito che le entrate e le spese statali, da e per Bassano, passassero per la camera fiscale di Treviso. Le uscite, dichiaratamente, corrispondevano ai salari del podestà, dei castellani e degli stipendiari e alle spese di restauro degli apparati di difesa, del Palazzo Pretorio e, in concorso col comune, del Ponte (Vecchio) che Venezia considerò sempre con grande interesse territoriale ed economico; le entrate, non risultando finora che prima del 1434 – con l’applicazione permanente anche nel Bassanese di un tributo militare, la cosiddetta “dadia delle lanze” - si prelevassero da qui delle imposte dirette, dovevano soprattutto equivalere alle imposte indirette (e alle prestazioni d’opera) che, a partire dal dazio sul sale, furono assorbite nella competenza statale com’era avvenuto con i Visconti. La distribuzione del sale si adeguava ai criteri che valevano per Treviso, «intelligendo quod Bassianus sit et esse debeat sub districtu Tarvisii», come si precisava per questo aspetto nel marzo del 1406. L’autorità centrale aveva un particolare interesse per i movimenti di cassa che avvenivano a Bassano. Da una relazione del podestà Bernardo Giustinian, nell’agosto del 1408, risulta infatti che le spese per conto dello stato superavano qui le entrate per annuali 12.000 lire: non poche, considerando la sede. L’insistenza sui paragoni con situazioni del Trevigiano e qualche ufficiale dichiarazione del Senato di Venezia sul trovarsi di Bassano sotto la podesteria di Treviso e in quel distretto non sono casuali e vanno spiegate. Come si è visto, è solo dal 26 marzo 1406 che si comincia a intravedere l’orientamento di Venezia sull’assetto giurisdizionale di Bassano che viene definito il 6 luglio, non subito ma tre mesi più tardi. In questi due anni d’incertezza, dal giugno 1404 fin quasi alla scadenza del 6 luglio 1406, Venezia intervenne nella nostra città sulla base dell’esperienza che aveva del Trevigiano. Fatti i confronti conveniva intanto che questo luogo – di modesta entità eppur dotato di poteri di tipo municipale, conferiti dai Visconti – fosse gerarchicamente ricondotto entro un ordine provinciale e amministrativamente regolato, per esempio, come Serravalle e Conegliano. Questa deriva verso Treviso, che forse preludeva a un’inclusione di diritto, fu bloccata il 6 luglio del 1406 dal riconoscimento della peculiarità istituzionale di Bassano e del suo stare «de per se, sicut est», come si ripeterà alla città di Vicenza il 31 ottobre del 1407. Da quel luglio Bassano riuscì sempre a difendere vittoriosamente le sue prerogative giurisdizionali nell’ordinamento pubblico del Veneto (fig.9).

StemmaBassano

9. Artista veneto del 1405, Affresco con stemma di Bassano. Bassano del Grappa, Porta Dieda, facciata sud (part.).
Va confrontato con l’altro e meglio conservato, anteriore di qualche anno, eseguito in pietra sulla fronte del Palazzo del Monte Vecchio.

Nell’agosto del 1440, per esempio, la Signoria confermava ai Bassanesi che la loro terra non era sottoposta a Treviso e si reggeva «de per se», anche se quanto di denaro sovrabbondava nella camera di Bassano veniva conferito alla camera fiscale di Treviso[43]. Alla ricerca di ogni possibile introito e avendo a dichiarato modello le liquidazioni del genere che si stavano effettuando a Padova (con la messa all’incanto dell’asse carrarese) e a Verona, il Senato veneziano il 30 maggio del 1407 autorizzò la vendita dei beni confiscati da Gian Galeazzo Visconti ai ribelli bassanesi. L’analisi dell’operazione e delle sue implicanze restituisce, per quanto possibile, una serie di situazioni economiche e di condizioni fra le altre di ascesa o di conferma nella gerarchia sociale di alcuni personaggi, delle quali non c’è quasi riscontro nella coeva documentazione che si è conservata a Bassano. Quest’alienazione, inoltre, comportò il maggior trasferimento di ricchezza fra privati, sia pure mediato dall’intervento coattivo dello stato, che sia qui dato di intravedere in quei primi decenni del XV secolo. La confisca, ricapitolando, si caratterizzava con l’ascrizione al demanio pubblico non solo dei beni immobili e di quelli mobili (come gli animali) ma anche dei diritti economicamente rilevanti e dei crediti di ciascun ribelle. Alla loro gestione in loco, abbastanza complicata perché prevedeva la salvaguardia dei diritti di terzi aventi causa come le donne per le doti e i soci in affari e i creditori, si provvide con la nomina di incaricati. Disponendo di contrastanti informazioni, rimane l’incertezza sulla titolarità della ricchezza incamerata a Bassano e nel suo distretto. Nell’arco 1391-1417, numerose attestazioni l’attribuiscono allo stato milanese e poi veneziano e nella cura dei rispettivi funzionari o rerum gestores; una serie di altre, invece, individuano talora nel comune di Bassano l’ente competente, in termini che non paiono equivalere all’uso di un possesso temporaneamente ricevuto in affitto dallo stato. Non è l’occasione di entrare nel merito giuridico di una questione così complessa ma non si può fare a meno di notare che dalla sua soluzione dipende l’assegnazione del reddito che si traeva dalle proprietà indemaniate allo stato o al comune oppure, chissà, a entrambi: e forse in maniera diversa nel corso degli anni, in ragione del variare della legislazione[44]. Come che sia, si può affermare con sicurezza che una (modesta) parte del patrimonio incamerato venne utilizzata da Gian Galeazzo Visconti per premiare i servizi e incoraggiare la fedeltà di alcuni notabili. Dei tre di cui sappiamo, uno è il nobile feltrino Giovanni Teuponi che fu beneficiato di redditi terrieri nel Bassanese, ma anche a Campese nel distretto vicentino, riscossi poi dal figlio ed erede Vittore e certamente meritati dal padre per aver contribuito nel 1388 all’ordinato trapasso della sua città nella sovranità dei Visconti.
Dei due restanti, originari di Bassano, si distingue il già incontrato Andrea Forcadura, arrivato a diventare legum doctor, figlio del giudice Pietro ed egli stesso giudice, probabilmente adibito all’amministrazione di Caravaggio, vicario del podestà di Vicenza (si è visto) nel 1393, rettore dell’Arte della lana a Padova nel 1406, collegato con quella Università e dunque, a conclusione di una brillante carriera sotto dominazioni diverse, vicario del podestà di Padova nel 1410-1411, poco prima di morire. Il duca nel 1399 lo investì di una rendita nell’area di Bassano e, a segno di una qualche familiarità, gli consentì di inquartare nel proprio stemma la vipera viscontea, in data da accertare. Più ancora interessante è Guido Banini, ingegnere e prima carpentiere, come suo padre. Il 6 marzo del 1406 la Signoria, qualificandolo come «ingeniarius noster in Bassiano», gli confermava i possessi e i relativi redditi nel distretto bassanese di cui, non sai quando, era stato infeudato da Gian Galeazzo. Per conto della Repubblica e del comune egli procurerà, dal 19 maggio dello stesso anno, la progressiva distruzione del Ponte Nuovo, di cui si è detto. Ed è proprio lui «chel incignier da Bassian» che nel 1408-1409 collaborò con Fregnano da Sesso, già capitano visconteo di Bassano, nella preparazione di una relazione sui restauri da fare nelle fortificazioni del Veronese, Vicentino e Padovano. Considerando il talento di Guido Banini, ingegnere militare ed esperto di ponti, è probabile che fosse stato ricompensato dal Visconti per aver partecipato alla messa in opera di qualche impianto pubblico o, con ipotesi tutta da vagliare, per aver collaborato con il famoso Domenico Benintendi da Firenze nella costruzione del nostro Ponte Nuovo e del canale connesso, nel 1402. I tre privilegiati rappresentano un campione assai limitato, ma emblematico per Bassano, delle possibilità offerte dall’inerenza ai Visconti. Giovanni Teuponi ovvero suo figlio Vittore, di antico lignaggio e abituati al rapporto con i poteri regionali e transalpini, arrivano da fuori per riscuotere il profitto del loro intreccio con i signori di turno: nel recente passato i Carraresi, ieri i Visconti e oggi Venezia. Andrea Forcadura non può vantare origini altrettanto illustri. La sua stirpe, individuabile col nome di Maristella nella prima metà del XIII secolo, è peraltro così cresciuta d’importanza da poter compiere, nella persona di Andrea, il salto d’ingresso nella cerchia della notabilità intercittadina. Il dominus Andrea, accademicamente titolato, riesce a passare indenne attraverso la vicenda dei regimi: rimasto sempre in buoni rapporti con alcune famiglie dell’entourage carrarese, devoto ai Visconti, gradito a Venezia e di una consumata abilità politica. Infine, è la grande perizia professionale che quasi di scatto promuove l’artigiano carpentiere, il magister Guido Banini, al rango di ingegnere e lo immette nella grazia del duca milanese e quindi di Venezia che ne eredita la prestazione di servizi, qualificandolo come un «discretus vir». E tutti, per mantenere il privilegio, devono riadattarsi alla fedeltà verso la nuova Dominante, fungendo da esempio per gli altri[45]. Sulla massa dei capitali confiscati disponiamo solo di significativi indizi. Rendendo testamento a Padova nel gennaio del 1398 il ribelle Franceschino Normanini inventariava e stimava quanto possedeva nel distretto bassanese e nelle zone limitrofe, senza mai dichiarare che gli era stato sequestrato dopo la fuga a Padova nel 1390. A un calcolo preliminare, con margini d’incertezza, la sua ricchezza risulta di circa 8600 lire delle quali oltre 5000 corrispondono al capitale immobiliare (i quasi 68 campi e gli edifici urbani del valore, questi, di 1000 lire) e le restanti ai crediti per le partecipazioni societarie, i numerosi prestiti e le merci conferite. La registrazione è ampiamente affidabile ma difettano le prove per attribuire a ciascun gruppo degli altri facoltosi ribelli – Polla, Bovolini, Beraldi, Ruggero di Antoniolo di Pove – un patrimonio di almeno eguale consistenza che, moltiplicato per 5, misurerebbe la ricchezza globale qui confiscata ai ribelli (quelli finora riconosciuti). Avanti il 1407, non risulta che gli immobili siano stati alienati dai Visconti o da Venezia. Il loro ritaglio, nella forma delle appena riferite investiture e con quelle formule di riconferma, doveva riguardare il diritto d’uso a tempo indeterminato e non l’integrale cessione della proprietà. A mantenere quell’asse sostanzialmente integro furono, enumerando le possibili ragioni, le situazioni di conflitto e la rarefazione di potenziali acquirenti, il reddito monetario che se ne poteva trarre, la convenienza di avere alla mano una serie di benefici da distribuire ai fedeli, ampiamente testimoniati non solo a Bassano ma in tutto il Veneto e nel dilatato orizzonte del dominio visconteo. L’amministrazione veneta seguì dal 1404 l’esempio visconteo nell’amministrazione di quei beni dei quali peraltro ordinò la vendita tre anni più tardi, premuta com’era dalle esigenze di cassa e di risparmio di gestione persino su ciò che aveva ricevuto gratuitamente, per eredità demaniale. La questione viene essenzialmente definita nella deliberazione del Senato che abilitava l’alienazione richiamandone i precedenti. Si apprende che nel 1405 il podestà Andrea Zane per annuali lire 399 aveva dato in locazione triennale 22 edifici urbani già dei ribelli, con i pertinenti orti; per lo stesso periodo e con l’annuale introito di 847 lire – non pochissimo, rispetto al luogo – aveva affittato terre e vigne della stessa provenienza, escluse quelle che si erano isterilite, d’imprecisata estensione e forse numerose. Nella primavera del 1407, prima delle scadenza contrattuali, lo zelante podestà di Bassano (forse Francesco Papacizza) riferiva alla Signoria che, controllate le scritture degli ufficiali viscontei e sull’avallo di una verifica compiuta insieme con l’ingegnere Guido Banini (sempre lui), conveniva liberarsi di tutte le proprietà confiscate. Risultava infatti che alla scadenza triennale i cespiti delle case sarebbero appena bastati per il loro restauro, senza utile alcuno per Venezia, e che le terre sarebbero state affittabili, alla prossima asta, non più a 847 ma solo a 208 lire annuali, con un deprezzamento della rendita di circa il 75% rispetto al valore iniziale. Questi dati, forniti da una fonte autorevole, sulla svalutazione delle residenze malcurate e sul calo di produttività di terre e colture affittate a breve e senza il preciso obbligo di procurarne il miglioramento sono nella loro precisione veramente pregnanti e gli unici del tipo che ci siano pervenuti per l’area bassanese nella prima metà del XV secolo e ancora più in là. A partire dal maggio 1407 e negli anni a seguire i podestà di Bassano, ottenuta l’autorizzazione del governo centrale, liquidarono gli immobili a beneficio delle casse veneziane, con una rateizzazione d’acquisto di 5 anni per gli edifici e di 10 per i lotti agrari. Vendite del genere, citando qui un esempio soltanto, dovevano essere quelle coordinate dal podestà Francesco Basadona e legittimate dal doge Mocenigo nell’agosto del 1417, a garanzia di 34 acquirenti, ciascuno per il proprio appezzamento, al prezzo di circa 50 lire per campo, per un totale di oltre 11.100 lire delle quali 5500 versate da tale Ambrogio del fu Giacomo di Milano. Qualche indicazione sul valore del patrimonio confiscato si potrebbe ricavare da una capitalizzazione delle 399 e 847 lire delle rendite sopra riferite, con l’avvertenza che riguarderebbe soltanto gli immobili, deprezzati da anni d’incuria e non tutti. Al di là delle cifre e dei calcoli, reali o ipotetici, questa smobilitazione ha una sua rilevanza politica perché chi subentrava nel possesso espropriato ad altri per delitto di ribellione era di fatto impegnato nella fedeltà verso Venezia che garantiva solennemente la legalità dell’acquisto[46]. Del molto che resterebbe da dire sulla storia bassanese dopo il 1404 si annotano brevemente solo alcuni temi che riguardano le più incisive novità e il permanere di una serie di vincoli. Manchiamo di dati precisi sulla popolazione di Bassano nel 1388-1420, in una fase di calo demografico. Di recente, sul fondamento degli estimi, si è ipotizzato che gli abitanti del capoluogo nel 1431 fossero circa 1500. Siamo invece meglio informati sul ricorrere delle pestilenze. Il periodo si apre con la denuncia del 1390-1392 sui vuoti aperti dal flagello nella categoria dei notai e si chiude nel 1420 col permesso accordato al podestà Antonio Venier di allontanarsi da Bassano «propter terribilissimam pestem epidimie ibi vigentem». Nell’intervallo, ritornano le notizie sulla presenza del morbo che si accompagnano, specialmente nel 1404-1407, al lamento dei mali della città: la mancanza di uomini e il loro impoverimento, i danni e le distruzioni conseguenti alla guerra, la difficoltà di trovare custodi per la guardia delle mura e così andando[47]. Concorrendovi l’interesse di un gruppo di notabili, si deve soprattutto a questa crisi demografica ed economica la diminuzione del numero dei consiglieri comunali, da 32 a 24, deliberata il 12 ottobre del 1405 con una forte opposizione (12 favorevole e 11 contrari) e confermata l’otto agosto dell’anno seguente con una più ampia maggioranza (15 a favore e 10 contro). Fino a ben oltre il 1420 non c’è prova di un’aristocratizzazione del consiglio di Bassano che rimane aperto all’accesso di uomini nuovi, come si è visto. Il restringersi della rappresentanza in un numero di famiglie più limitato consegue in quegli anni alla presa d’atto della carenza di persone capaci di condurre la cosa pubblica perché di esse molte «occasione pestis in hac terra deficiunt ad predicta sufficientes», come si dichiarava nella seduta dell’agosto 1406. A una situazione di emergenza è riconducibile anche il mancato rispetto delle procedure statutarie o di stesura del verbale per il rinnovo annuale del consiglio comunale che nel 1404-1407 sembra eletto solo dagli otto consiglieri sorteggiati e non anche, con loro, dal podestà insieme con i due giudici e i quattro consoli[48]. L’amministrazione era gravata da un quasi strutturale deficit della sua finanza. Alle spese straordinarie ma anche a quelle ordinarie si provvedeva periodicamente con le imposte dirette che per una parte andavano a sanare i debiti accumulati con il prestatore ufficiale, Calimano giudeo, e con altri privati. Le tasse, le più lucrose, spettavano allo stato e il reddito del demanio comunale, di 445 lire nel 1410, era quasi interamente assorbito dal salario del pubblico maestro di scuola. Lo squilibrio dell’indebitamento è segnalato, in maniera curiosa ma veramente indicativa, da una richiesta di Giovanni Vezzati. Nella seduta consiliare dell’undici giugno 1407 egli chiedeva la consegna della «domum a scala lapidis» – forse proprio l’antico palazzo comunale – che il comune di Bassano aveva dato in pegno a suo padre per ottenere un prestito di ben 100 ducati, ancora da restituire. Indicatore delle difficoltà economiche e di gestione dell’ente è nel 1410 lo stesso inventario delle entrate da concessione di immobili comunali, terre ed edifici, e del diritto d’appostamento di qualche molino o sega. Preceduta da una del 1355- di impronta “carrarese”, oggi perduta - e da confrontare con un’altra del 1431 la registrazione, espressamente funzionale al recupero di cespiti mal curati (per la moria di abitanti, per cause belliche e usurpi: si capisce), riguarda solo quella parte del patrimonio, certamente limitata, che alla data produceva reddito[49]. La consistenza dell’economia bassanese nel primo quarto del XV secolo e, al suo interno, il peso di ciascun settore rappresentano un problema del quale si indicano alcuni soltanto dei termini. All’evoluzione economica e al riassetto del territorio concorreva, in maniera determinante, la spinta a valorizzare la campagna a sud del capoluogo e gli estesi terreni comunali. Il processo, iniziato nella seconda metà del Trecento, viene riportato all’iniziativa del comune nel 1392, con la restituzione viscontea del vasto ambito usurpato dal signore di Padova, e si accelera in modo originale negli anni di margine fra l’egemonia dei Visconti e quella di Venezia. A innescarlo fu lo scavo del «flumen rosate», la meglio nota roggia Rosà, ordinato da Francesco da Carrara intorno al 1370 e documentato nel 1376. Il canale, che uscendo da una presa sul Brenta presso Bassano si indirizzava per un tratto fino a Cittadella, serviva con gli altri usi all’irrigazione dei terreni bassanesi, di matrice ghiaiosa e tendenzialmente aridi. Dal marzo del 1404 e per diversi anni, si distingue l’iniziativa di personaggi quali Uliviero Compostella, Andrea Forcadura, Olvradino Rossignoli e Ubertino Baggio. Alla concessione di lotti agrari che, sostenendosi l’uno con l’altro, essi ottengono dal comune è infatti associato il permesso di derivare una certa quantità d’acqua dalla roggia Rosà, con fossati cavati a proprie spese: sta qui la novità. Molti degli appezzamenti ricevuti sono destinati a prato e dunque all’aumento della produzione di foraggi e, si capisce, di ovini. Dei quattro sopra nominati, il primo diventa conduttore di prati comunali nel 1407 e risulta nel 1410 il maggior tenutario di terre del comune, Andrea Forcadura nel 1406 compare rettore a Padova dell’Arte della lana, i due ultimi nel 1401 erano stati soci nello sfruttamento di pascoli sull’Asolone, nel massiccio del Grappa, avuti in locazione dallo stesso Andrea Forcadura procuratore di terzi. La ripresa nel comparto si avvalse di due folli da panni sul fiume Brenta. A ottenere l’autorizzazione comunale per la costruzione del primo, nell’ottobre-novembre del 1405, fu proprio Olvradino Rossignoli che come suo genero Giacomo de Botono era mercante di panni (draperius) di buona sostanza. Questi folli non erano forse i primi impiantati a Bassano perché la manifattura laniera, in tutte le fasi del processo, è qui bene attestata negli statuti del XIII secolo. Del resto i panni bassanesi – le pezze di qualità medio bassa «pani beretini basanensis» o «panni albi Baxiani» - venivano riconosciuti e come tali commerciati sul mercato di Padova nella seconda metà del Trecento, se non prima. Manchiamo di troppi dati sugli scambi a vasto raggio e del legname si riferisce a parte. Si può dire, accennando, che già avanti il 1429 una «infinita quantitas vini» era esportata da Bassano a Venezia con le zattere che scendevano lungo il Brenta mentre, in quel periodo, si importavano ovini (castroni) dal Trentino per centinaia di ducati che venivano pattuiti anche a Bassano nella fiera annuale di San Martino, che doveva richiamare operatori da ben lontano. Non è qui possibile dare ragione della variegata e territorialmente allargata intrapresa economica di Franceschino Normanini che dei ribelli è forse quello di maggiore ricchezza. In argomento di mercato, di denaro però, si documenta un deposito a Venezia di almeno 300 ducato d’oro a fini di investimento, costituito nel Trecento dai bassanesi Rossignoli e ancora in essere nel 1401. La cifra è limitata ma rappresenta il segno di uno spirito commerciale a largo orizzonte a cui non erano estranei almeno alcuni notabili della quasi-città di Bassano [50]. Le truppe ungheresi dell’imperatore Sigismondo in guerra con la Serenissima, accompagnate anche da Marsilio da Carrara, dopo la conquista di Belluno e Feltre nel dicembre del 1411 tentarono invano la presa di Bassano sullo scadere del 1412 e nei primi giorni dell’anno successivo. Non sorprende di trovare fra i numerosi bassanesi confinati a Venezia nell’occasione, dal dicembre del 1411 al 1413, Bartolomeo Novelli, sospettabile per i suoi trascorsi di perduranti simpatie carraresi. Colpisce invece assai di più che tra quelli da inviare al soggiorno obbligato figurasse Olvradino Rossignoli che, si è visto, era stato uno dei campioni della lealtà ai Visconti e aveva svolto un ruolo primario nell’adattamento di Bassano alla sovranità di Venezia nel 1404, collaborando poi sempre con l’amministrazione. Il caso di Olvradino, un puntello di fedeltà nel 1404-1405 che non sembra più mantenersi tale nel 1411-1412, andrà comparato con gli altri del genere che si verificarono nel Veneto in quel frangente. Questa crisi militare giovò non poco alla fortuna di Bassano e alla conservazione della sua autonomia. Per il contegno mostrato dalla popolazione nel respingere l’attacco, la città meritò un privilegio daziario a cui altri ne seguirono. Quel che più conta, dopo questa prova la classe dirigente veneziana non ebbe più motivo di ripensare la scelta fatta nel luglio 1406. E tanto più perché nel 1412 Bassano era diventata una base di appoggio e di intrighi per la ripresa a tradimento del castello della Scala, un blocco di tenuta durante la tregua del 1413-1418, uno snodo tattico nella riapertura del conflitto e poi nella riconquista di Feltre e di Belluno in quel 1420 che segna l’affermazione di Venezia anche nel Friuli. Nel gennaio del 1421 la città, di ricompensa, riottiene la giurisdizione su Primolano e sul castello della Scala. Per questo arco di tempo, perduti gli atti del consiglio dopo il 1413, la vicenda pubblica di Bassano è rappresentabile quasi esclusivamente attraverso le relazioni di governo che intercorrono fra l’autorità centrale, il podestà di Bassano e gli altri mandatari di operazioni nella zona[51]. Anche l’esame di questo intreccio va riservato ad altra occasione.

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