Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il tema delle masnade ezzeliniane ha incontrato grande fortuna nella ricerca storica locale, grazie soprattutto all’impulso di Gina Fasoli, che già nel 1934 dedicò loro un ampio excursus in un saggio dedicato al comune bassanese nel Duecento[1]. Un secondo saggio, del 1963, sviluppò i temi solo accennati trent’anni prima ed evidenziò puntualmente la parziale sovrapposizione fra struttura amministrativa del primo comune (marighi e giurati) e compagini servili (uomini di masnada) al servizio della famiglia dei da Romano, notando altresì la ragguardevole condizione economica raggiunta da queste ultime. Noto è il passaggio della cronaca di Gerardo Maurisio, ove si ricorda che nel 1209 Ezzelino II si ritirò a Bassano temendo un attacco dell’esercito del marchese d’Este e del conte di Sambonifacio: al suo arrivo nella piazza situata ad una estremità del ponte sul Brenta fu accolto da oltre cento servi sui, abbigliati cum novis et preciosis vestibus cum variis (pellicce di vaio)[2]. «Erano servi» - scrive Fasoli - «ma potevano sfoggiare vesti così ricche da essere scambiati per domine e milites» e la loro condizione economica era tale che nel 1233 si fecero addirittura fideiussori del comune di Bassano per un prestito di ben 2.000 lire[3]. Gerard Rippe non ha esitato a riconoscere nelle caratteristiche delle masnade ezzeliniane un caso esemplare, da contrapporre alla condizione decisamente più meschina che emerge dalle carte del monastero di Praglia per uomini della medesima condizione[4]. Tuttavia, pur in un quadro così ben delineato e apparentemente consolidato, appare necessaria una nuova riflessione sull’effettiva consistenza numerica delle persone di condizione servile che animavano la vita sociale e politica di Bassano: la principale testimonianza in questo senso è rappresentata dalla citata fideiussione del 1233 a favore del comune di Bassano, la quale vide una settantina di uomini prestare la propria garanzia. Poiché in calce al documento vi sono le autorizzazioni del visdomino signorile e dello stesso Alberico da Romano riferite esplicitamente agli homines de masnada[5], si è ritenuto che tutti i fideiussori fossero servi dei Da Romano[6]. La circostanza, tuttavia, appare quanto meno singolare, perché la fideiussione si riferiva alla multa inflitta dal podestà di Vicenza al comune di Bassano per la sommossa scoppiata nel 1229 proprio contro le masnade dei da Romano[7]: paradossalmente quindi, in caso di inadempienza, il pagamento della penale sarebbe ricaduto pressoché totalmente sulla parte lesa, ovvero gli stessi servi di Alberico. Con maggiore prudenza, allora, è legittimo ritenere che la gran massa dei fideiussori fossero uomini di condizione libera attivi nel sostenere il comune bassanese[8] e che solo alcuni uomini di masnada siano intervenuti nella transazione finanziaria, magari con l’intendo di sostenere la componente comunale più vicina agli Ezzelini o più semplicemente per acquisire credito nelle istituzioni collettive: in ogni caso, anche la partecipazione di un solo servo avrebbe richiesto l’espressa autorizzazione del dominus.
In effetti, l’atto del 1233 attesta solo che fra i fideiussori vi erano alcune persone di condizione servile (per le quali era necessaria l’autorizzazione da parte del padrone), ma non dice nulla sul loro numero. A questo proposito è emblematico il fatto che nel 1262 il lunghissimo atto ricognitivo dei beni sequestrati ai Da Romano menzioni appena 14 uomini di masnada bassanesi, la maggior parte dei quali deteneva solo piccoli appezzamenti di terreno[9]. E’ vero che ormai il potere degli Ezzelini era definitivamente tramontato: una bolla di papa Alessandro IV del 1258 aveva garantito la libertà ai servi che si fossero ribellati ai da Romano[10], e almeno uno di loro, Nicolò da Margnano, l’aveva ottenuta nell’ottobre del 1259[11] tuttavia appare per lo meno sospetta la forte disparità numerica tra la folla di ricchi uomini di masnada riuniti davanti al ponte di Bassano nel 1209 e il pugno di uomini, per lo più di umile condizione, fotografato dai funzionari del comune di Vicenza nel 1262. A ben guardare, anche il tumulto del 1229, che vide la fazione dei liberi bassanesi contrapporsi ai servi dei da Romano, va ridimensionato: una cronaca contemporanea parla di scontri armati, uccisioni, imprigionamenti e fughe precipitose di uomini liberi dopo l’intervento di Ezzelino III[12], eppure gli studi di Scarmoncin, basati su una solida ricerca d’archivio, non sono riusciti a cogliere tracce di discontinuità nella compagine sociale che prima e dopo il tumulto fu protagonista della vita politica del comune di Bassano[13]. Al lavoro di Scarmoncin si devono anche importanti precisazioni sul ruolo dei fideles ezzeliniani nelle istituzioni del nascente comune bassanese, nonché la puntuale individuazione di quanti, a vario titolo, nella prima metà del XIII secolo interagirono o furono alle dipendenze della famiglia da Romano[14]: ebbene si tratta appena di una trentina di individui, solo una parte dei quali ebbe effettivamente un ruolo e una posizione economica di rilievo nella società bassanese. Anche fra questi ultimi, comunque, gli uomini di masnada dovevano essere una minoranza. Infatti, le persone per le quali la condizione servile è accertata, o almeno fortemente sospetta, sono davvero poche. Sebbene già nel 1145 un Giovanni definito de masnada compaia fra i testi di un atto rogato a Campese[15], solo alla fine del XII secolo è possibile identificare un dipendente dei da Romano dotato di elevato prestigio personale. Si tratta del giudice Enrico, che le prime attestazioni mostrano sempre presente in località controllate da Ezzelino I: il 30 aprile 1172, all’interno del castello di Romano, in caminata presbiteri, è citato come Heinricus tabellio et legista, poi, nel 1181, si trova nel palazzo ezzeliniano di Solagna e appare tenutario di un mulino di proprietà del signore in pertinencia Margnani[16]. Solo nell’ottobre del 1183 fa la sua comparsa fra i testimoni di un documento redatto in burgo Bassani[17], dove finisce per prendere stabile dimora[18]. La mancata partecipazione di Enrico al giuramento di fedeltà al comune di Vicenza nel 1175[19] potrebbe essere ricondotta alla sua condizione di uomo non libero, qualora non fosse spiegabile semplicemente con il suo non ancora avvenuto trasferimento a Bassano. In effetti si colgono tracce della lontananza di Ezzelino il Balbo da Bassano ancora nel dicembre del 1181 in un atto di donazione al monastero di Campese, che fu rogato a Solagna, in casa eiusdem domini Ecelini[20]. Anche la testimonianza del cronista Rolandino conferma un certo ritardo nello spostamento a Bassano del baricentro degli interessi economici e patrimoniali della dinastia: secondo il cronista solo negli anni Novanta, dopo la cessione a Padova dei grandi possessi di Onara, Ezzelino il Monaco, figlio del Balbo tenere vellet curiam in Baxano[21]. In realtà la documentazione d’archivio dimostra un avvio del progetto fin dagli anni Ottanta, come testimonia il fatto che già nel marzo del 1187 esisteva una curia domini Ecilini esplicitamente collocata in Basiano[22]: ma, si presti attenzione, l’Ezzelino in questione deve essere ancora il Balbo[23], perché qualche tempo dopo, nel febbraio 1191, un nuovo atto fu rogato in burgo Baxiani in curia domini Ecelini de Ecelino[24], questa volta con chiaro riferimento al Monaco. All’interno della curia bassanese si incontra per la prima volta nel 1187 Enrico in veste giudicante, in un causa che vedeva coinvolto il potente capitolo della chiesa trevigiana a proposito di alcuni terreni a Romano. Vi sono forti dubbi che quella esercitata da Enrico ex mandato domini Ecilini rappresentasse una giurisdizione piena su Bassano, perché la causa riguardava un manso un tempo di proprietà dello stesso Ezzelino[25], successivamente ceduto in permuta, probabilmente nel settembre 1171, al Capitolo di Treviso[26]. Sono quindi presenti troppi elementi di quella che Cinzio Violante ha definito “giustizia padronale”, relativa ai beni fondiari e ai dipendenti del signore, per arrischiare pericolose generalizzazioni[27]. Anche la successiva sentenza del 1191 induce ad una certa prudenza: oggetto della lite era una vigna situata a Margnano, di proprietà della canonica trevigiana, il cui godimento livellario era conteso fra alcune persone. Pur non essendo direttamente parti in causa nella disputa i canonici avevano sollecitato una pronuncia giudiziaria in curia domini Ecelini[28]. Se è corretto identificare il terreno oggetto del contendere con quello nella disponibilità dalla canonica trevigiana fin dal 1167[29], confinante con proprietà dello stesso Ezzelino, può sorgere il legittimo sospetto che la causa riguardasse ancora una volta beni immobili originariamente signorili, ceduti in un secondo momento alla canonica. Pur senza sminuire l’elevato valore simbolico e politico della costituzione di un tribunale ezzeliniano nel cuore pulsante del nuovo insediamento di Bassano, è tuttavia necessario valutare le circostanze con prudenza, per non rischiare di leggere come atti di piena giurisdizione sentenze che dimostrano esplicitamente solamente i caratteri dell’arbitrato fondiario. Non va infatti dimenticato che ancora nel 1229 i Bassanesi protestavano apertamente di fronte al podestà di Vicenza il fatto che all’epoca Alberico non habebat ibi comitatum neque iurisdicionem aliquam[30]. Ad ogni buon conto, dopo l’uscita di scena del giudice Enrico[31], agli inizi del XIII secolo il nuovo giudice Giovanni continuò ad occuparsi di dispute fondiarie, sebbene si manifesti una più articolata strutturazione del suo ufficio. In una sentenza del 1204, favorevole della canonica di Treviso e relativa alla rottura del un contratto livellario di un terreno con vigna a Margnano, il giudice ordinò ad un proprio ufficiale, tale Guidolino, di immettere la canonica nel possesso della proprietà[32]. In analoga causa del 1210, questa volta riguardante il monastero di Sant’Eufemia di Villanova, l’ordine di immissione nel possesso è rivolto ad un altro incaricato, di nome Ciabatta[33]. Un'ulteriore articolazione della struttura amministrativa della signoria rurale degli Ezzelini a Bassano si registra nel 1221[34], quando è menzionata per la prima volta la figura del “visdomino”: il termine, che nelle fonti italiane risulta sinonimo di “gastaldo”, indica un ufficiale signorile investito di compiti giurisdizionali, di mantenimento dell’ordine pubblico e di inquadramento militare delle milizie signorili[35]. In effetti, nel 1223 vediamo il visdomino di Bassano intento a riscuotere una multa inflitta da Alberico da Romano nei confronti di tale Bartolomeo da Mussolente[36], mentre nel 1258 al visdomino è affidato il comando dei contingenti militari in azione contro Padova[37]. A ricoprire per primo l’incarico fu un esponente di rilievo della società bassanese, tale Mondino di Achilotto, che nel 1212 aveva svolto l’incarico di marigo del comune[38]. Anche per questo ufficiale ezzeliniano esistono forti indizi di condizione servile. Ad esempio nel 1233 Alberico da Romano definisce «homines de masnada» una serie di Bassanesi fra i quali una posizione di rilievo è assunta proprio da Mondino[39]. Un paio d’anni più tardi, nel dicembre 1235, l’autorizzazione a vendere un terreno rilasciata dallo stesso Alberico al figlio di Mondino, Belencio, è rivelatrice della limitata capacità d’agire connessa con la specifica personalità giuridica dell’homo de masnada[40]. Dopo la caduta degli Ezzelini, sebbene una parte dei suoi beni immobiliari finisse all’asta[41], Belencio riuscì comunque a destreggiarsi, mantenendo alcune proprietà nel borgo di Bassano lungo il corso del Brenta[42] Anche l’altro figlio di Mondino, Ivano, fu un uomo di masnada al servizio di Alberico da Romano: dopo aver prestato atto di fedeltà del 1252[43] rimase legato al suo signore fino alla fine, al punto che nell’elenco dei beni incamerati dal comune di Vicenza nel 1262 risulta tenutario di decine di terreni, case, botteghe e mulini di proprietà dei da Romano[44]. Infine, la condanna per eresia e la confisca dei beni, seppur tardiva, intervenuta alla fine del XIII secolo[45], dimostrano che fino all’ultimo mantenne lo schieramento nel fronte ezzeliniano, a dispetto della scomunica comminata contro il suo dominus[46]. Un secondo visdomino di cui si conserva memoria fu Giacomo da Castelcucco, che una cronaca duecentesca definisce vicedominus in partibus Pedemontis et in Baxano[47], il quale svolgeva le sue funzioni su tutta la fascia di villaggi pedemontani nei quali gli Ezzelini vantavano da tempo diritti e giurisdizioni. Questo funzionario si rese protagonista dell’organizzazione delle schiere di Ezzelino III impegnate nel 1258 contro l’esercito di Padova: caduto prigioniero in un primo scontro fu liberato grazie ad uno scambio di prigionieri, per cadere di nuovo in mano padovana in un successivo scontro[48]. Anche nel caso di Giacomo, un tardo processo inquisitorio portò nel 1297 al sequestro e alla vendita di beni per il cospicuo valore di 3.000 lire, dimostrando in questo modo l’elevato livello sociale ed economico raggiunto dal dipendente di Ezzelino da Romano[49]. Dell’entourage ezzeliniano faceva parte anche Giacomino di Straceta, esponente di una famiglia di prestatori bassanesi del primo Duecento[50]: attivo nel mondo del credito già nel 1221[51], subentrò nella gestione dell’attività feneratizia dal 1236[52]. La sua limitata capacità di agire, tipica dell’uomo di masnada, è tradita dalla circostanza che, dopo aver effettuato a Campese la permuta di alcune proprietà col monastero di Santa Croce, dovette recarsi a Bassano, nella curia di Alberico da Romano, per ottenere la conferma del negozio giuridico[53]. Proprio a Giacomino fu affidato nel 1246[54] l’incarico di capitaneo del castello di Mussolente per conto di Alberico da Romano, in una fase di rapporti conflittuali col fratello Ezzelino III: la cronaca di Rolandino ci informa del tremendo assedio cui fu sottoposto il fortilizio e della strenua resistenza opposta dai difensori, fino alla capitolazione finale. Una volta nelle mani di Ezzelino, Giacomino fu condotto prigioniero nelle carceri di Padova e poté riguadagnare la libertà solo dopo aver attinto abbondantemente dal patrimonio personale, come sembra testimoniare il debito contratto nel 1250[55]. Dopo la sua morte, nel 1252 il figlio Dalismano giurò a sua volta fedeltà ad Alberico da Romano sicut servus et pro servo, entrando dunque a far parte della schiera degli uomini di masnada[56]. L’elenco dei beni sequestrati ai da Romano nel 1262 mostra che anche Chiarello di Rodolfo de Cono era uomo di masnada, e che era tenutario di un cospicuo patrimonio immobiliare di proprietà dei suoi signori, costituito da una ventina di appezzamenti di terreno piccoli e grandi e di una casa posta nel borgo[57]. Suo padre fu marigo di Bassano nel 1228 ed egli stessi ricoprì la carica fra il 1249 e il 1250[58] e dal momento che compare nella più volte citata lista dei fideiussori del comune di Bassano del 1233, risulta uno dei pochissimi presenti per i quali sia possibile affermare con certezza la condizione servile[59]. Un altro masnadiere di una certa importanza fu infine Paoletto Grolla, che prestò la propria fidelitas ai da Romano nel dicembre del 1252[60]. Figlio di quel Girardino che fu marigo fra il 1221 e il 1222[61], fu egli stesso marigo tra il 1231 e il 1232[62] e in più occasioni fideiussore in favore del comune di Bassano per i mutui da questo contratti[63]. In conclusione, dunque, va ridimensionato il valore storico di testimonianze cronachistiche come quelle di Gerardo Maurisio, effettivamente troppo enfatico nel descrivere numero e condizione sociale dei servi di Ezzelino II. L’analisi fin qui condotta non ha certo lo scopo di confutare i risultati, per molti versi pregevoli, delle precedenti ricerche, ma solo quello di offrire un esame maggiormente critico della questione delle masnade ezzeliniane a Bassano. In tal modo è possibile delineare meglio il profilo storico di quei pochi uomini di masnada che effettivamente ebbero un ruolo di primo piano nella vita civile di Bassano del XIII secolo, sia come strumenti della reale ed effettiva amministrazione dell’immenso patrimonio, fondiario e giurisdizionale, dei da Romano, sia come agenti di raccordo fra poteri signorili e istituzioni comunali. Il ruolo delle masnade ezzeliniane ne esce a questo punto non sminuito, ma anzi valorizzato, poiché ottengono maggiore evidenza quei personaggi, prima confusi in una indistinta massa di ricchi uomini di masnada, che furono gli autentici protagonisti delle vicende di Bassano durante le lunghissime assenze di Ezzelino e Alberico da Romano, impegnati su ben altri fronti politici ed istituzionali. D’altro canto va ripensata anche l’immagine, diffusa soprattutto nella vulgata, di uno stretto controllo degli Ezzelini su gran parte della società bassanese. Lo spostamento a Bassano del centro amministrativo (curia) della signoria rurale dei da Romano favorì il diffondersi di molteplici rapporti di clientela e di interesse economico, ma portò alla creazione di rapporti di dipendenza servile solo in un numero limitato di casi. La società bassanese, dunque, seppe adeguarsi alle situazioni contingenti, convivendo con l’ingombrante presenza signorile ed anzi traendo profitto dalla collaborazione con questa, senza tuttavia rinunciare alla propria autonoma organizzazione comunale (figg. 4-9).

03 Donazione-Cunizza-(2)

4. Donazione di un manso a Ponzio, abate del monastero di Campese, 18 maggio 1121. Milano, Archivio di Stato, Pergamene per fondi. Mantova, San Benedetto Po, pergamena B. 205. Cunizza, sposa di Alberico da Romano e cognata di Ezzelino e Tiso, conferma la donazione a favore di Ponzio del terreno per la costruzione dell'abbazia.

05 Statuti (2)

5. Statuta Bassani 1259, 1265-1267. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, 12 Statuti e privilegi, vol. 1, c. 8r.  Copia ad uso del Comune del primo statuto della città dopo la morte di Ezzelino, decorata nei capilettera di Juro.

08 Esponenti-di-spicco-(2)

6. Garanzia di prestito, 2 febbraio 1221. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, pergamena 20. Il documento segnala come allo stretto éntourage di Ezzelino III appartenessero eminenti personaggi della comunità cittadina e che questi detenessero il pieno controllo e godessero di autonomia.

06 Lavori-pubblici-(2)

7. Lavori pubblici nel borgo, 13 maggio 1223. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, pergamena 80. I magistrati di Bassano Simeone Zamboni e Duccio di Flamingino garantiscono sui beni propri e del Comune il pagamento di 20 lire per un lavoro da eseguirsi sul campanile del Duomo.

Bortolami-Pigozzo 7

8. Lavoro al ponte sul Brenta, 6 luglio 1231. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio comunale, pergamena 101. I magistrati di Bassano Giacomino di Adolmarino notaio e Paoleto di Gerardino Graula garantiscono un prestito di 12 lire per un lavoro fatto nel ponte sul Brenta.

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