Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Dalla prospettiva, sin qui seguita, di una definizione del quadro politico-territoriale nel quale Bassano si sviluppa nei secoli XI-XII, si deve ora scendere progressivamente ad uno sguardo più ravvicinato sulla società locale. Un significativo punto di partenza può essere individuato negli anni Quaranta del XII secolo, quando il più complessivo assestamento su scala regionale delle nascenti ed energiche forze comunali venne a sconvolgere gli assetti di molte aree periferiche, fra le quali il pedemonte bassanese. Lo scoppio di un’ingens guerra[29] per il controllo del traffico fluviale veneto vide contrapposte da un lato Vicenza, sostenuta dall’alleanza di Verona e Venezia, dall’altro Padova, appoggiata da importanti esponenti della nobiltà trevigiana. La guerra dei fiumi ebbe origine attorno al 1142, secondo la testimonianza di Ottone di Frisinga, dai dissidi che longo tempore avevano covato fra Padovani e Vicentini per la regolamentazione del commercio fluviale[30]. Secondo la più accreditata ricostruzione dei fatti, a causa delle limitazioni imposte da Padova al trasferimento delle merci fra Venezia e Vicenza lungo il Bacchiglione, i Vicentini si risolsero a deviare il corso stesso del fiume per togliere l’acqua alla città di Padova[31]. Lo scontro che ne seguì, definito da Ottone cruentissimo, ebbe come risultato l’abbandono del progetto di diversione del Bacchiglione, ma non pose fine al conflitto. Nello stesso 1142, infatti, i Padovani si accinsero a loro volta a deviare il corso del fiume Brenta, al fine di ottenere una più favorevole immissione in laguna dello stesso: naturalmente il progetto non fu gradito ai veneziani, che contrastarono a loro volta duramente lo scavo fino a condurlo a fallimento[32]. Pressato su due fronti da nemici tanto potenti, il comune di Padova fin dagli esordi della guerra si trovò costretto ad alienare parte dei propri beni fondiari per pagare i milites extranei qui servierant comune civitatis in hostes[33]. Non desta sorpresa che in un frangente tanto critico le autorità padovane si siano rivolte in cerca d’aiuto ad uno dei grandi vassalli del vescovo di Padova, quell’Ezzelino il Balbo che, attraverso i feudi sotto il suo controllo, dominava un lungo tratto del Brenta dalla Valsugana fin poco a nord di Padova. Conclusa nel 1144 una pace separata con Venezia solo a prezzo di importanti concessioni[34], Padova fu libera di concentrare i propri sforzi contro Vicenza. Quest’ultima, messa alle strette dagli incommoda arrecati dai Padovani nel 1145, si rivolse a Verona offrendo importanti concessioni territoriali in cambio di un determinante apporto militare. In questo modo, nel 1146, «castella, vici et agri Tarvisiensium» finirono devastati ferro flammaque dalle scorrerie del congiunto esercito veronese-vicentino[35]. Il riequilibrio delle forze in campo condusse in breve tempo alla conclusione della pace, che fu siglata nel marzo del 1147 a Fontaniva. Nelle premesse dell’accordo, fra le ragioni del contendere i Vicentini richiamato esplicitamente il tema «de navigio quod nobis per aquam et terram spediebant» e quello dei servicia che le comunità di Montegalda, Bassano e Marostica, località, si noti, sottoposte alla giurisdizione ecclesiastica padovana, solevano prestare al capoluogo berico[36]. Negli atti della pace non sorprendono certo le dichiarazioni nominative di sospensione delle ostilità da parte dei fratelli Ezzelino il Balbo e Ulderico Schiavo da Romano e di Walperto da Cavaso, esponente di una dinastia pedemontana a loro strettamente legata, le quali fanno riferimento abbastanza chiaramente ai castelli e ai villaggi trevigiani, facenti parte delle rispettive signorie fondiarie, distrutti nel corso del conflitto. Ciò che desta meraviglia è invece trovare menzionati i Baxanenses come gruppo dotato in primo luogo di una propria identità sociale e in secondo luogo di una sorprendente autonomia decisionale, tale da condurli addirittura sul fronte opposto a quello dei da Romano, che alla metà del XII secolo potevano apparire, come indiscussi domini loci del pedemonte bassanese. Nel maggio del 1150 la condizione di emancipazione dei Bassanesi dall’incipiente dominio dei da Romano è testimoniata in modo altrettanto sorprendente dalla datatio topica di un contratto di livello stipulato dall’abate del convento di Sant’Eufemia di Villanova «in castro Bassani ad plebem»[37]. Non solo dunque i Bassanesi avevano condotto un’autonoma politica di alleanze, ma addirittura si erano dotati di un manufatto difensivo costruito attorno alla pieve di Santa Maria. Probabilmente la realizzazione di un’opera tanto consistente era stata resa possibile da un qualche contributo di Vicenza, che in un colpo solo aveva legato a sé con non meglio specificati servicia importanti alleati nel cuore dei domini del da Romano, aveva reso possibile il blocco del traffico dalla Valsugana verso Padova ed aveva acquisito il controllo strategico di una delle principali vie di accesso ai territori ezzeliniani posti sulla riva sinistra del Brenta. Senza paura di esagerare, possiamo concludere che le conseguenze della guerra dei fiumi furono di tale portata da imprimere un brusco rallentamento al progetto egemonico dei da Romano nell’area, rinviando di alcuni decenni la loro affermazione definitiva e soprattutto sconvolgendo gli assetti insediativi del territorio. Per comprendere appieno il ruolo del neonato castello di Bassano è necessario operare una riflessione preliminare sulla specificità della destinazione funzionale. Va infatti osservato che il manufatto, anche nel circuito ricostruito da Giamberto Petoello[38], più ampio di quello attualmente occupato dal cosiddetto Castello di Ezzelino, ha una superficie che si può calcolare in circa 15.000 mq. Un primo confronto con altri allestimenti castrensi coevi o di poco posteriori, popolati da poche decine di famiglie, come Noale (25.000 mq), Camposampiero (45.000 mq), Castelfranco (55.000 mq) e Cittadella (150.000 mq) indica abbastanza chiaramente che fin dall’inizio il fortilizio bassanese non fu destinato ad ospitare stabilmente una popolazione residente (fig.1). Più correttamente, la sua realizzazione rientrava nel più complessivo fenomeno dei cosiddetti “castra di rifugio” che fa il suo primo apparire fra l’XI e il XII secolo per quanto riguarda la fuoriuscita della popolazione da manufatti di antica costruzione, mentre per le nuove fondazioni risulta documentato non prima della metà del XII secolo e con particolare concentrazione proprio in area veneta[39]. Che il castello di Bassano svolgesse funzioni eminentemente militari e non residenziali lo confermano anche i più tardi statuti del 1259, che nel libro II contengono precisi divieti alle rubriche LXXXXVI («de personis non morandis in castro Baxani») e LXXXXVII («de non hospitando in castro Baxani»)[40]. La struttura del castello rifugio ricavabile dalle scarse fonti è quello di un recinto murario semplice, con all’interno canipe in legno, di piccole dimensioni, disposte in file separate da strade parallele: dagli esempi forniti proprio da Bassano, Pernumia e da pochi altri casi ben documentati è possibile apprendere che nei “castra di rifugio” potevano concentrarsi anche le attività di interesse pubblico come la chiesa, il cimitero, la taverna e i depositi collettivi[41]. La costruzione di un’importante struttura fortificatoria nei pressi di Bassano costituì un forte elemento catalizzatore delle forze economiche e sociali che in qualche modo avvertivano l’esigenza di un centro demico di riferimento per la regione pedemontana posta allo sbocco del Brenta in pianura. I pochissimi dati economici disponibili per la Valsugana[42], sebbene non diano informazioni dettagliate sulle quantità di merci, sono tuttavia in grado di fornire l’ordine di grandezza dei flussi commerciali coinvolti. Ad esempio, nel giugno del 1358 il vescovo di Belluno appaltava per 100 lire di piccoli la decima del legname che dalla valle del Primiero veniva fluitato fino a Fonzaso e da lì scendeva, seguendo il corso del torrente Cismon, fino alla confluenza col Brenta[43]. Considerando che nella seconda metà del XIV secolo un singolo tronco di legno poteva valere fra i 20[44] e i 13 soldi[45] e che il valore dell’appalto deve essere considerato al netto dei costi di esazione dell’imposta, appare sensato stimare in alcune migliaia il numero di tronchi che annualmente giungeva a Bassano solo dalla Valle del Primiero. Per quanto riguarda i flussi provenienti da Trento, sappiamo che nel dicembre del 1201 il vescovo di Belluno stimava in non meno di 50 lire il «redditus Covuli Canalis de Brenta», ovvero l’utile che si poteva trarre dalla riscossione dei pedaggi nella stazione doganale del Covolo di Butistone[46]. In questo caso, considerando che il prelievo era rappresentato con ogni probabilità dal quadragesimum, ovvero dal 2,5% del valore della merce e che dovevano essere abbastanza elevati i costi di mantenimento di guardie e dazieri in una località così remota e inospitale della valle, si può stimare in non meno di 5-10.000 lire annue il valore delle merci trasportate attraverso il Covolo. A Solagna, del resto, nel 1262 la muda porte risultava appaltata al locale notaio Giacomo per 96 lire l’anno, una cifra doppia rispetto al Covolo[47]. La maggiorazione, naturalmente, teneva non solo conto del contributo commerciale addizionale offerto dalla confluenza del Cismon, ma anche dei minori costi di mantenimento degli esattori. La grande importanza dei traffici commerciali non deve però mettere in ombra il ruolo della Valsugana come luogo di transito internazionale per i pellegrini. Dalla pianura veneta e dalle regioni adriatiche provenivano i devoti diretti a Santiago di Compostella, centro religioso in piena affermazione internazionale nel corso del XII secolo[48], grazie soprattutto all’opera del vescovo Diego Ramirez (1110-1140), che impresse il decisivo salto di qualità al santuario come meta di pellegrinaggi[49]. Che la strada di Bassano risultasse più comoda rispetto a quella di Feltre per giungere a Trento lo testimonia indirettamente nel 1223 l’episodio di brigantaggio, avvenuto nelle campagne attorno alla città, che ebbe come vittime alcune pellegrine «venientibus a Triviso et euntibus ad Sanctum Iacobum de Galicia»[50]. A loro volta, i pellegrini dell’Europa centrale che attraversavano le Alpi, secondo precisi itinerari diffusi persino in Danimarca nella prima metà del XIII secolo[51], giungevano proprio a Bassano e proseguivano poi per raggiungere Roma per la via di terra, oppure Venezia e da lì imbarcarsi alla volta di Gerusalemme. A proposito di quest’ultima città, la spedizione navale del 1123, con la quale il doge Domenico Michiel rispose alla richiesta di aiuto del re latino Baldovino, procurò a Venezia importanti concessioni commerciali nei porti di Tiro e di S. Giovanni d’Acri, dietro corresponsione, è significativo notarlo, di una percentuale dei profitti sul trasporto di pellegrini[52]. Per rendersi conto della consistenza dei flussi di persone e del giro d’affari ad essi collegato basti pensare che nel 1212 una singola nave ancorata nel porto di Ancona poteva fruttare 800 lire veneziane per il trasporto di armati oppure 2.000 lire veneziane per il trasporto di pellegrini[53]. Indizi sporadici ma ugualmente significativi del traffico internazionale che toccava Bassano sono forniti dalla residenza sulle rive del Brenta, alla fine del XII secolo, di tale Paresse flamingus[54], apparentemente proveniente dalla regione del Paesi Bassi[55], di Maurinus de Bordeuleo[56], che si può ritenere un francesce nativo della regione di Bordeaux[57] e di Pelegrinus de Burano[58], trasferitosi da una delle isole della laguna di Venezia. Decisamente più consistente, anche se non così probante per quanto riguarda i traffici internazionali come sostenuto da Gina Fasoli[59], risulta la presenza di almeno 12 abitanti di Bassano definiti todeschi[60]. E’ stato infatti acclarato dalla ricerca storica più recente il verificarsi, fra XI e XII secolo di una grande migrazione colonica di contadini tedeschi che andarono progressivamente ad occupare vaste aree incolte o sottoutilizzate in Carinzia e Stiria[61], in Friuli[62], nell’Altopiano dei Sette Comuni[63] e nell’Alta Valsugana[64]. Per i consistenti flussi di uomini e merci che muovevano da Trento, la valle del Brenta, con i suoi 90 km di lunghezza, costituiva un passaggio non molto ricco di opportunità. Anche senza insistere troppo sulla magna difficultas con cui l’esercito di Enrico II di Baviera la percorse nel 1004[65], si può osservare che, una volta lasciata la Val d’Adige, era ancora possibile trovare servizi di alloggio di una certa qualità solo nella zona di Levico e Pergine, come ricorda la datatio topica di un diploma imperiale del 10 agosto 969, indirizzato al vescovo di Treviso e rogato proprio a Percena[66]. Ad est della regione dei laghi iniziava un lungo tratto stradale di circa 25 km, privo di particolari opportunità, che giungeva fino alla località di Ospitaletto di Grigno, dove ancora alla fine del XII secolo sorgeva, secondo l’interpretazione di Bortolami[67], l’ospitalis de Careno[68], beneficato nel testamento di Gerardino da Camposampiero[69]. Successivamente era necessario percorrere altri 18 km prima di raggiungere l’ospitalis de Pratimolano de Canal de Brenta[70]. Dopo Primolano si poteva trovare ospitalità nel vicino ospedale di Cismon[71], a circa 8 km, da cui si raggiungeva Solagna dopo aver percorso altri 16 km. I principali servizi di albergo offerti da buona parte della valle, dunque, erano costituiti da modesti ospedali campestri. Gli studi più accreditati sui tempi di percorrenza dei viaggiatori a piedi nel medioevo stimano una velocità difficilmente superiore ai 20-30 km al giorno, con punte maggiori, legate alla minor disponibilità di luoghi di accoglienza, solo in zone particolarmente povere o spopolate, naturalmente seguite da periodi più o meno lunghi di riposo[72]. Per quanto riguarda il trasporto delle merci su muli o asini, Bruno Dini ha esaminando le lettere di vettura toscane per merci spostate su strada del Trecento, ricavando una velocità media di 20-30 km per i viaggi più corti, interni alla Toscana, mentre per quelli più lunghi si è ottenuta una media di meno di 3 giorni necessari per percorrere 100 km[73]. Da Trento, quindi, pellegrini e mercanti dovevano affrontare non meno di due o tre giorni di cammino in una regione non particolarmente ospitale prima di giungere nella pianura veneta. Qui, allo sbocco della Valsugana, il nuovo centro di Bassano offriva finalmente servizi di alloggio in quantità, come conferma la presenza di almeno tre tabernarii nel 1175[74]. Nello stesso anno la citazione di tale Acelerius musicus filius Rodulfi e di ben tre giocolieri informa anche della disponibilità di servizi ludici[75]. Il giuramento di fedeltà al Comune di Vicenza degli uomini di Bassano e del vicino centro di Margnano, effettuato nel 1175 da ben 800 maschi adulti, ha sempre suscitato meraviglia fra gli studiosi, perché, a pochi anni dalla prima citazione del castello (tav.9), testimonia l’esistenza di un insediamento estremamente popoloso, addirittura con un peso demografico paragonabile a quello dei principali centri della terraferma veneta. Per avere un’idea degli ordini di grandezza basterà ricordare che gli attenti studi di Gian Maria Varanini hanno prodotto una stima, per la metà del Duecento, di 7.500 uomini per Verona, 2.600 per Padova e circa 2.000 per Vicenza[76]. Per quanto riguarda i centri minori, invece, i censimenti degli uomini atti alle armi compiuti un secolo più tardi hanno restituito un valore di 680 unità per l’intero territorio della podesteria di Castelfranco e di 1070 unità per quella di Asolo[77]. Un primo nodo da sciogliere, a questo punto, riguarda la tempistica dell’eclatante sviluppo demografico di Bassano. Sebbene non esista alcuna informazione diretta per il periodo antecedente il 1175, può risultare utile un approccio indiretto, basato sulla considerazione che un aumento della popolazione doveva produrre un volume maggiore di negozi giuridici, creando in questo modo opportunità di lavoro per un numero crescente di notai, incaricati dare forma scritta ai contratti conclusi. Seguendo questo ragionamento notiamo che dagli inizi del XII secolo fino alla metà degli anni Sessanta le necessità di rogiti notarili dell’intero pedemonte bassanese era ridotta e stabile nel tempo, così da poter essere soddisfatta da non più di un notaio alla volta, sebbene il naufragio della documentazione dell’epoca possa in teoria celare anche qualche altra presenza. Nel periodo immediatamente successivo, tuttavia, il quadro cambia radicalmente, perché otto soli documenti nell’arco di appena dieci anni dimostrano la contestuale attività di ben sette distinti professionisti, un numero simile a quello rilevabile negli anni Ottanta e Novanta del XII secolo. È dunque ragionevole collocare cronologicamente nel corso degli anni Sessanta il vero e proprio decollo demografico di Bassano, che in un lasso di tempo incredibilmente breve si trasformò da modesto villaggio a centro di primaria importanza. Se si cerca di dare una spiegazione al fenomeno, il primo pensiero va quasi spontaneamente all’erezione di un ponte stabile sul Brenta. Fin dagli anni Venti, per iniziativa dell’abate di Campese Ponzio, era stata costruita una passerella sul fiume a poca distanza da Pove, nei pressi della confluenza col torrente Vallisone[78]. L’opera aveva tuttavia avuto scarso rilievo economico, perché la piana di Campese, circondata da alti rilievi, non consentiva alcuno sbocco in pianura al traffico commerciale. Ancora nel 1156, la datatio topica di una donazione tenutasi ad Angarano «ad ecclesiam Sancti Donati iuxta ripam fluminis Brenta»[79] ha fatto dubitare a Franco Signori l’esistenza del ponte, dal momento che se un manufatto così importante fosse già stato eretto, il notaio non avrebbe esitato a nominarlo[80], come avverrà invece in seguito[81]. Se si considera che nel 1209 l’esistenza del ponte è ormai un fatto acquisito[82], non sembra fuori luogo proporne la costruzione alla fine degli anni Cinquanta del XII secolo o al più tardi all’inizio dei Sessanta, individuandolo come forte elemento attrattivo per l’insediamento a Bassano. La collocazione si rivelò vincente, dal momento che le spalle della costruzione poggiavano da ambo i lati su modesti rilievi, preservando così il ponte dalle alluvioni, che invece avevano miglior gioco a devastare le rive più basse[83] in corrispondenza della valle di Margnano, dove operava invece il vecchio traghetto. Infatti, ben prima che Bassano assurgesse a centro di riferimento dell’area, la località di Margnano sembrava esercitare una notevole forza attrattiva quale sede di importanti negozi giuridici o di atti di rilevanza pubblica che coinvolgevano interessi di ampio raggio. Già da tempo Gina Fasoli, interrogandosi sulla scelta della sede del placito del 998, aveva ipotizzato l’esistenza di un guado sul Brenta a poca distanza dalla pieve di Santa Maria[84]. L’idea era interessante, soprattutto se si considera che fra i Bassanesi che giurarono fedeltà al comune di Vicenza nel 1175 compare anche un tale Petrus de la Nave, con probabile riferimento all’esercizio dell’attività di traghettatore[85]. Grazie a nuove scoperte d’archivio l’ipotesi di Fasoli trova oggi piena conferma, dal momento che ancora nel secondo Duecento in valle de Margnano era identificabile una località denominata hora de Nave[86]: un relitto toponomastico dell’antico traghetto reso obsoleto dalla costruzione del ponte. L’esistenza di un punto attrezzato per l’attraversamento del fiume rendeva la piana di Margnano un punto di rottura di traffico di grande importanza, scarsamente contrastato dal vicino traghetto di Solagna[87], pure collocato lungo la direttrice di traffico nord-sud, ma incapace di intercettare flussi est-ovest a causa della sua collocazione all’interno della stretta valle del Brenta. Più a sud, rilevanza non minore assumeva la località di Fontaniva, situata lungo l’antica via romana della Postumia, dove almeno nella metà del XII secolo è testimoniato un «vadum iuxta Brentam, ubi navis facit transitum»[88]. Se dunque Margnano poteva legittimamente candidarsi a divenire punto di riferimento per quel vasto complesso di minuscoli insediamenti rurali in incubazione lungo le coste via via disboscate e terrazzate della bassa Valsugana[89], dopo la costruzione di un ponte stabile nella località di Bassano il centro gravitazionale dell’area di spostò irresistibilmente più a sud. Ad essere sinceri, non si può nascondere il sospetto che uno sviluppo così repentino sia stato prodotto non solo dalla forza attrattiva esercitata dalla collocazione strategica del nuovo abitato, quanto piuttosto da una deliberata politica insediativa promossa dal Comune di Vicenza, che nel 1175 avrebbe raccolto il frutto dei propri sforzi ottenendo il giuramento di fedeltà di tutti gli uomini abili di Bassano e Margnano. In mancanza di più solidi elementi a sostegno, tuttavia, l’ipotesi è destinata a rimanere tale. Ciò che invece risulta dimostrabile con una certa sicurezza, grazie anche al contributo di alcuni inediti d’archivio, è l’esistenza, fin dagli anni Sessanta, di alcuni strumenti rivelatori dell’operatività di un comune rurale dall’ampia influenza. Innanzitutto, risulta che all’interno del castello i possessori delle canipe fossero detentori solo del dominio utile degli immobili, mentre la titolarità del dominio eminente era incardinata in un differente soggetto: per questo motivo fin dal 1209 si incontrano cessioni di canipe effettuate secundum usanciam libelli castri Baxani, ovvero secondo le consuetudini riguardanti le cessioni dei livelli all’interno del fortilizio[90]. Poiché il castello non compare fra i beni degli Ezzelini censiti dal Comune di Vicenza nel 1262 e gli Statuti di Bassano del 1259 sono prodighi di norme sulla fruizione e la custodia degli spazi castellani non resta che concludere, con Gina Fasoli, che il manufatto costituisse una proprietà comunale[91]. In secondo luogo, nel settembre del 1168 si incontra la più antica menzione di un’unità di misura stabilita secondo lo standard bassanese: l’orna, misura di capacità per i liquidi, che risulta utilizzata alla fine del XII secolo nella fascia collinare fino a Borso del Grappa[92] e in pianura fino a Fonte[93]. Nel luglio del 1200 un censo annuo di cereali viene espresso secondo il modium Baxxani[94] e qualche anno più tardi, in un documento non datato ma sicuramente successivo al 1232, si cita un canone in cereali pagato per un terreno a Onara ad stario Padue vel Bassani[95]. D’altro canto la citazione nel giuramento del 1175 di castellani e di comandadori, interpretati da Gina Fasoli come banditori pubblici, rivela l’esistenza di incarichi di natura pubblicistica che troveranno preciso riscontro nella più tarda redazione statutaria del 1259[96]. Si potrebbe aggiungere che fra coloro che giurarono il 12 ottobre 1175 compare un Iohannes iudex[97], la cui figura sembrerebbe in contrapposizione a quella del giudice Enrico, dipendente dei da Romano, che non prese parte al giuramento. Se la diffusa presenza di notai che si fregiavano del titolo di iudex, pur senza esercitare alcuna reale funzione giudicante, non imponesse un’assoluta prudenza in proposito, si potrebbe addirittura ipotizzare l’esistenza di due giurisdizioni concorrenti, una in capo al Comune di Bassano e una in capo ai da Romano[98]. Altri elementi, finora non rilevati, sembrano addirittura prefigurare l’aspirazione programmatica e forse l’embrionale avvio di un processo di “comitatinanza”, condotto dal Comune di Bassano nei confronti dei circostanti villaggi del comitatus tarvisinus: abbiamo appena visto che le unità di misura bassanesi trovavano un vasto impiego tanto ad est, in direzione di Asolo, quanto a sud, verso Onara. Nel 1175, in occasione del più volte ricordato giuramento, le professioni dei singoli individui si svolsero a Bassano in successive giornate, dal 10 al 13 ottobre, per consentire a tutti di presentarsi davanti ai delegati del Comune di Vicenza. Il 12 ottobre, tuttavia, alcune centinaia di uomini si spostarono per il giuramento «super Musonem inter Lorgnam et Pugnanelam»[99], ovvero nelle campagne a ben 17 km da Bassano in direzione sud-est, fra i centri di Loria e Poggiana, sulla riva di quel fiume Musone che il Comune di Treviso in epoca più tarda considerava come confine occidentale del proprio distretto: un gesto che non sembra avere altre motivazioni se non di natura simbolica. Ancora, nel 1189, quando a loro volta le comunità di Solagna, Pove, San Nazario e Cismon prestarono giuramento di fedeltà a Vicenza, ad assistere i delegati del comune berico troviamo un nutrito gruppo di testimoni, definiti de Vicencia et de Baxano[100]. Ad ogni buon conto, sotto il profilo economico e sociale alla fine del XII secolo il giovane centro dimostra ormai uno sviluppo robusto e consolidato. Nel luglio del 1192, ad esempio, incontriamo un atto di prestito concluso fra Giordanino da Bieno, debitore, e Giacomino da Margnano e il nobile Ezzelino da Pergine, creditori[101]. L’atto si presenta di grande interesse, perché mostra la presenza nel borgo di Bassano di un eminente personaggio, componente autorevole della curia dei vassalli del vescovo di Trento prima col presule Alberto[102] e poi con Corrado[103]. Nel giugno del 1192 Eçelinus de Perçine era stato persino indicato fra i cinque arbitri chiamati a decidere della contesa fra lo stesso vescovo Corrado e i signori di Caldonazzo per i monti sopra la strada che da Trento portava a Vicenza[104]. Il contratto di prestito sottoscritto un mese dopo la contesa, dimostra come a Bassano fosse possibile trovare quelle disponibilità finanziarie e forse l’esperienza feneratizia, che Ezzelino non era riuscito a trovare non solo nella media valle del Brenta (Bieno), ma forse neppure a Trento. A questo proposito è utile segnalare che al marzo dello stesso 1192[105] risale il primo documento che mostra all’opera il prestatore Manfredino di Rozo, molto attivo a Bassano alla fine del XII secolo[106], il quale era forse in relazione con la famiglia dei da Romano, come sembra suggerire la sua presenza nel 1191 all’interno della curia di Ezzelino II[107]. Nel luglio del 1200[108] fanno invece la prima comparsa i fratelli Strazeta e Giacomo, grandi prestatori bassanesi nell’epoca di Ezzelino II[109], mentre nel 1202 compare in due atti anche il prestatore Tolomeo di Florintana[110]. Si tratta di un blando ma indubbiamente significativo riflesso di quel nesso strade-economia che altrove (per esempio, a Piacenza, posta sull’itinerario Milano-Genova) già alla metà XII secolo portò alla precoce specializzazione dei mercanti nell’attività creditizia e bancaria[111]. E’ provato, del resto, che l’economia agraria del pedemonte bassanese fosse caratterizzata da una buona disponibilità di moneta, come dimostrano da un lato la presenza di somme di denaro fra canoni di livello[112], dall’altro la comune facoltà concessa al livellario di convertire in denaro i censi espressi in quantità di vino, in caso il raccolto fosse stato rovinato dal maltempo[113]. E a proposito di denaro, proprio a Bassano, nel 1197, compare una delle prime citazioni esplicite del denarius cruciatus, la nuova moneta emessa dal comune di Verona e citata in precedenza solo in Val d’Ultimo (Tirolo) nel 1189 e a Padova nel 1193[114].

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