Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Bassano fu per molti secoli terra di frontiera: ancora nel 1878 delle nobili signore bassanesi definivano la loro città «estremo lembo della patria redenta», inviando devote condoglianze a Margherita di Savoia per la morte di Vittorio Emanuele II[1]. La posizione privilegiata della città attirò fin dal XII secolo una ininterrotta serie di accorti mercanti, che divennero i capostipiti di quelle famiglie che segnarono la scena bassanese: dai De’ Rosignoli (i veri pionieri dell’industria laniera bassanese), ai Compostella, ai Brocchi, ai Lugo, quest’ultimi ancora dotati di consistenti patrimoni nel secondo Ottocento[2]. Da Angarano sortirono gli Stecchini, cittadini di Bassano dal 1431, i quali iniziarono ad acquisire immobili in centro città, grazie alle buone rendite fondiarie possedute e alle diversificate botteghe di pellami e spezie. Da questa famiglia uscirono ecclesiastici di rango, uomini di governo e numerosi notai, già attivi sullo scorcio del Quattrocento. Il notaio Girolamo Stecchini (1812-1901), figlio della marchesa Elisabetta Erizzo, esercitò sino all’inizio del Novecento. Da Angarano provenivano anche i Golini, i quali si arricchirono con il commercio di lane e sete: nel 1788 il «signor Francesco Golini» aveva un’imposizione d’estimo di 1800 lire. La famiglia si estinse nel 1837, dopo aver dato numerosi uomini di governo e notai[3]. Dalla plaga posta tra Angarano e Nove, si inurbarono verso la fine del Cinquecento i Roberti, che non vanno confusi con i Roberti cittadini di Bassano dal 1423. Il capostipite fu Roberto Roberti (1610-1680), il quale, da «speziaro», divenne un dinamico mercante di sete, riuscendo a soppiantare l’impero degli Zambelli. I Roberti erano in grado di esportare le loro sete nei paesi d’Oltralpe più lontani, tanto che, nel 1701, la loro imposizione d’estimo toccò le 8000 lire. Nel corso del Settecento la famiglia abbandonò l’attività serica, che l’aveva resa potente, per potere accedere ai vari gradi di nobiltà, ottenuti con grandi esborsi di denaro[4](fig.1).

1Pittorebassanese

1. Pittore bassanese, Il maglio Roberti di Angarano, già Pisani, olio su tela, 1860 circa. Bassano del Grappa, collezione privata. Interessante veduta tardo-ottocentesca del fiume Brenta con il maglio Roberti, ora scomparso.

Gran parte delle famiglie mercantili bassanesi, dopo avere accumulato ingenti capitali con la mercatura e ottenuta la cittadinanza bassanese, espressero le più potenti e longeve dinastie locali di notai, i cui discendenti si ritrovano ancora nel «Consiglio della magnifica città di Bassano per l’anno 1796-1797». Dal Novese giunsero nel secondo Seicento anche i Bernardi «casolini», dalla cui casa uscì l’abate Daniello Bernardi (1729-1806), architetto, teorico e maestro di una nutrita serie di allievi[5]. Una precisazione a parte va fatta per gli Antonibon da Nove perché, già nella metà del Cinquecento, alcuni suoi membri risiedevano in città come maestri carpentieri e mercanti di prodotti agricoli, mentre gli Antonibon ceramisti incominciarono a battezzare i loro figli a Bassano dopo il 1710 e ne ottennero la cittadinanza soltanto nel 1749 con Pasquale Antonibon. Nel corso del Seicento comparvero i Colbacchini, originari dal «Col Bachino» di Marsan nelle pertinenze di Marostica. La zona di gravitazione privilegiata della famiglia fu per molto tempo l’Angaranese, dove si affermarono nel corso dell’Ottocento due linee: una specializzata nella lavorazione del rame e una dedita alla fusione artistica delle campane. La rinomata ditta continuò la sua attività sino al 1941, quando passò sotto la direzione del dottore Matteo Favaretti. La famiglia, tra Otto-Novecento, espresse   ottimi amministratori e uomini di cultura. Provenivano invece da Angarano i mercanti Negrato poi trasferitisi a Bassano. Fu in seguito al matrimonio di Angela Negrato con l’orefice «Pietro Di Facci da Vicenza» (1695), che si formò la linea bassanese dei Facci Negrato. Grazie al pingue lascito testamentario di Pietro Negrato (1730) si consolidò la particolare linea dei Facci Negrato, il cui cognome venne modificato per decreto nel 1906 in «De Facci Negrati»[6](fig.2).

2FrancescoFacci

2. Francesco Facci Negrati, Ritratto dell’abate Giuseppe Peninetti, firmato e datato 1835, olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 97. Il pittore appartiene alla famiglia di mercanti che nel 1695 aggiunge il secondo cognome dalla famiglia Di Facci, orefici di Vicenza, formando la linea bassanese dei Facci Negrato o Negrati.

Nel primo Seicento iniziò a mettersi in luce un certo «ser Gasparin Bombardin da Pieve di Tesino», dal quale derivarono i vari Bombardini di Borgo Margnano: «pellatieri» di successo, commercianti di bovini, di scarpe, di sete, proprietari di mulini lungo il Brenta e di centinaia di campi sparsi nel Bassanese. Un Cecilio Bombardini aveva nel 1778 un’imposizione d’estimo di lire 3000 per la voce «Scorzeria, curami e bovi». La famiglia si estinse con Giuseppe Bombardini (1781-1867), poeta arcade e più volte podestà di Bassano. In considerazione della sua fedeltà agli Asburgo, nel 1818 gli fu concessa la «nobiltà Austriaca» con il titolo di «Imperiale Regio Scudiere» e, alla sua morte, Bassano gli rese comunque pubblici funerali, pur essendo in pieno clima risorgimentale. Da Valbona, sotto la diocesi di Trento, arrivarono anche i vari Proto. Attorno al 1677 un «Antonio quondam Zorzi Salmistro detto Proto» fondò una particolare linea dedita alla produzione di calzature, continuata poi con lo «scarper» Giorgio Proto tassato nel 1788 per 250 lire[7]. L’arrivo del mercante padovano «Giovanni Antonio Remondin» (1634-1711) è di poco anteriore al 1655. L’incremento vertiginoso degli opifici remondiniani portò a Bassano un vivace flusso di maestranze, di artisti, di agenti privati, di rivenditori, che finirono spesso con il porre stabili radici in città: è il caso dell’incisore Pietro Menarola. In quegli anni risultava abitare con i Remondini un certo «Marcantonio Richi dalla Val di Sole» nel Tirolo trentino. A poco più di cinquant’anni dal loro arrivo a Bassano, i Remondini riuscirono a diventare i più potenti capitalisti della città, proprietari di circa 300 campi, botteghe, case, opifici, fondachi sparsi a Padova, Udine e nel Tesino. I primi cedimenti del colosso remondiniano si manifestarono alla fine del Settecento a causa di una serie di fattori concomitanti, quali l’esigenza di mantenere uno stile di vita adeguato alla contea di Gorumbergo, acquisita nel 1776, le devastanti invasioni straniere, le tormentate divisioni patrimoniali del 1798, le «strabocchevoli spese» sostenute per la separazione di Giambattista Remondini dalla moglie Teresa Pola, nel 1803 ancora in corso[8]. Da Vertova, nell’alta bergamasca, giunse il ventenne «Gaetano Fasolo», poi agente e socio in alcuni settori con gli stessi Remondini. I discendenti Fasoli, nel corso del primo Ottocento, si arricchirono con il commercio del legname da costruzione: fornirono, ad esempio, le travature per la nuova parrocchiale di Nove. Intorno allo stesso periodo arrivò il veneziano Antonio Suntach, disegnatore-incisore che, nel 1772 circa, aprì con successo una sua calcografia grazie all’aiuto dei mercanti di sete Ferrari. Non ultimo della lunga serie di collaboratori remondiniani arrivò Luigi Vinanti (1794-1861), dei Vinanti di Fonte Alto nel Trevigiano, definito dai documenti «Agente della Stamperia Remondini»[9]. Gli Scolari e i Perli da Valstagna, ricchi mercanti di legnami e carbone, si trasferirono a Bassano poco dopo la metà del Seicento. Sebastiano Perli ottenne la relativa cittadinanza nel 1677. La sua famiglia si legò con le principali famiglie di Bassano: nel 1742 Barbara Perli di Pietro Ignazio sposò Giambattista Remondini (1713-1773), portandosi in dote l’astronomico capitale di 41.200 lire, ufficializzato con regolare atto dal notaio Giovanni Antonio Remondini. Fu in seguito a questo matrimonio e alla precisa volontà testamentaria di uno zio della sposa che, nel 1776, il cosiddetto ramo «di Piazza» assunse la denominazione di Perli-Remondini in occasione dell’acquisto della ricordata contea. Un’altra Barbara, figlia di Sebastiano Perli, sposò nel 1775 il mercante di sete Giovanni Ferrari[10]. I veronesi Ferrari, setaioli, avevano avviato la loro fortunata impresa in «contra’ Corno Rotto» già nella prima metà del Settecento, passando da una modesta imposizione d’estimo di lire 100 nel 1733 a ben 6000 lire nel 1774. Fu proprio nell’arco di tale affermazione economica che i Ferrari avviarono la ristrutturazione di quel complesso abitativo lungo il Brenta che divenne poi il loro palazzo di città: la più sfarzosa dimora nobiliare del Settecento bassanese, ancora di proprietà dei fratelli Ferrari nel Catasto Napoleonico. La famiglia, nonostante le ricchezze accumulate, non ambì mai fregiarsi di titoli nobiliari. A partire dal 1794, un susseguirsi di rovesci finanziari e di disgrazie, unitamente ai tragici fatti politici di quegli anni, portarono i Ferrari al dissesto. Il malgoverno della casa completò l’opera tanto che, nel 1825, gran parte dei suoi beni furono messi all’asta e i Ferrari furono costretti a cedere il loro palazzo al ricco negoziante Pietro Mercante, a causa dei debiti con lui contratti[11]. Altre famiglie che conseguirono notevoli ricchezze nel periodo della cosiddetta rinascita della produzione serica furono quelle degli Agostinelli da Rossano, dei Pagello (fig.3),

3FrancescoRobertiRitrattoPagello

3. Francesco Roberti, Ritratto di Sebastiano Pagello, penna su carta, 1840 ca. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Dis. Bass. 1539. Petrarchista, Sebastiano Pagello appartiene alla famiglia che fu protagonista, insieme agli Agostinelli da Rossano, ai Caffo, ai Cremona da Campese e ai Tommasoni da Nove, alla cosiddetta rinascita della produzione serica ottocentesca in città.

dei Caffo, dei Cremona da Campese e dei Tommasoni da Nove, quest’ultimi in grado di aprire nel 1779 una fabbrica di drappi di seta anche a Padova[12]. Caso eclatante è quello costituito dall’arrivo nel Bassanese dei patrizi veneti Rezzonico all’inizio del Settecento. A partire dal 1701 Giambattista Rezzonico mise a segno una serie di acquisizioni immobiliari che gli permise di realizzare l’omonima Ca’ Rezzonico di Bassano: una fastosa dimora nella quale i vari esponenti della casata esibirono per tutto il Settecento uno sfarzo principesco, occupando nelle varie mansioni di servizio generazioni di bassanesi, non ultimo l’architetto Antonio Gaidon. Nel 1829 la dimora venne ceduta dagli eredi, i marchesi Pindemonte Widman Rezzonico di Verona, ai Baroni da Rossano[13]. Nel corso del Settecento si affermarono nuovi artigiani e negozianti, calati a Bassano con la prospettiva di ampliare i propri guadagni. Si tratta dei fondatori delle fortune di quella classe borghese che, nel secolo successivo, divenne anche la nuova classe dirigente. I Vanzo da Cartigliano (già Tartaglia detti Vanzo) si trasferirono a Bassano attorno al 1749 come tintori, mantenendo però nel paese d’origine rilevanti proprietà. I vari Vanzo si legarono in seguito con ricche famiglie mercantili bassanesi, gravitanti negli stessi ambiti, come gli Strazzacapa setaioli, i Maello e i De Checchi, operanti nel settore conciario[14]. I Mercante da Vicenza risultano invece documentati a Bassano fin dal 1730, anno del matrimonio del «signor Pietro Marcante» con Lucrezia Bombardini. La famiglia era attiva in molteplici campi, in particolare in quello della concia: non a caso anche i Bombardini di Borgo Margnano si erano arricchiti con eguale commercio. Gli interessi della famiglia Mercante andavano dal settore serico, alla compravendita di immobili, al prestito fruttifero di denaro. Il cospicuo patrimonio di Pietro Mercante confluì nel 1850 nei fratelli Vanzo (Giustiniano, il pittore, e Giambattista, il deputato del Regno), i quali da allora si denominarono Vanzo Mercante. Il pittore Giustiniano Vanzo Mercante (1808-1887) beneficò grandemente le istituzioni cittadine e, alla fine, nominò erede universale «il signor Luigi Cesare Bortolotto», ingegnere di Sandonà di Piave, marito in primo e secondo voto delle nipoti Adriana e Maria Pasini, figlie della sorella Marina Vanzo. Da allora, i Bortolotto iniziarono a risiedere nel Bassanese, dove rivestirono sempre ruoli di primo piano nella società. Fu il cavaliere Cesare Bortolotto a costruire nel 1902 le nuove case operaie di via Portici Lunghi, mentre Guido Bortolotto, deceduto nel 1942, fu poeta, artista, musico, pittore e scrittore. Il deputato Giambattista Vanzo Mercante (1815-1881) (fig.4)

4GiustinianoVanzoMercante

4. Giustiniano Vanzo Mercante (Bassano 1808-1887), Autoritratto. Olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 476. Il pittore, oltre a tramandare con un’intensa attività ritrattistica i volti dell’élite cittadina, beneficò grandemente le istituzioni bassanesi.

ebbe invece tre figli dal suo matrimonio con Giulia Maello: Maria, sposata con Luigi Caffo, Giulio, unitosi con Sofia Remondini, e Vittoria legatasi con l’ingegnere Matteo Giaconi Bonaguro[15]. Un ottimo trampolino per l’ascesa sociale fu anche quello costituito dai variegati ruoli di amministratori, ossia di agenti o di fattori. Caso rappresentativo è quello di «Giovanni Parolin dalla Rosà», gastaldo delle monache di San Girolamo di Borgo, i cui eredi salirono in breve tempo ai massimi vertici della scala sociale. Il nipote Francesco Parolin, dopo aver elargito alla comunità «grandiose somme di denaro» durante l’occupazione francese, il 24 aprile 1801 ottenne l’aggregazione al Consiglio cittadino e, con essa, il titolo di nobile trasmissibile ai discendenti. Costui aveva in quegli anni accumulato ingenti capitali attraverso il prestito di denaro al tasso «del tre per cento a scaletta» e la compravendita di immobili in tutto il Bassanese. Il cognome iniziò allora a essere declinato al plurale e il personaggio più illustre della Casa fu il naturalista Alberto Parolini (1788-1867)[16]. Con eguali motivazioni, nella stessa adunanza del 24 aprile, veniva concessa l’aggregazione al Consiglio cittadino a Domenico Maello: un ricco mercante di pelli con forti interessi nel settore agricolo e serico, i cui antenati erano originari dalla zona di Angarano Alto. Fin dall’anno 1800 egli aveva preso in affitto dai conti padovani Da Rio 258 campi distribuiti nella campagna bassanese, che finì poi per acquisire nel 1811 sborsando 73.681 lire italiane[17]. Sempre da Rosà sortì Francesco Passarin, mugnaio del convento di San Fortunato nel primo Settecento, avo di quel Francesco Passarin (1736-1813) che in pochi anni rilevò le principali ruote dei mulini sulla sinistra Brenta: da «contra’ delle Grotte» ai mulini Priuli di «contra’ Pusterla». Egli ben incarna la figura del nuovo imprenditore, capace di compiere anche spericolate operazioni finanziarie. Da questa famiglia nacquero lo scultore Domenico e i ceramisti Antonio e Raffaele Passarin[18]. Originario della «Villa de Bassan» (ossia del suburbio) era anche l’orefice Angelo Regona, entrato alla fine del Settecento nel novero delle famiglie più in vista della città, grazie alle sue lussuose botteghe affacciate sulla piazza di San Francesco. A lui si deve quell’articolato complesso dominicale noto come case Favero-Canal-Ziliotto, all’inizio del viale delle Fosse[19]. Anche i Munari e i Marinoni di Angarano si affermarono economicamente nel corso del Settecento: i primi con negozi di «casoleria» e i secondi con laboratori di «pelletteria in bianco». La signora Paolina Scapin (1739-1822), figlia di un ricco mercante di legname di Angarano e vedova di Vincenzo Munari, all’inizio dell’Ottocento era una dinamica «capitalista», prestatrice di denaro, proprietaria di forni, negozi, case e di così numerose campagne sparse nel Bassanese da farla ritenere una delle donne più ricche della città: al suo funerale parteciparono ben diciassette sacerdoti. Nel 1820, dopo avere destinato 950 lire ai poveri di Angarano, nominò eredi universali i nipoti Bordigioni, proprietari di un avviato negozio di alimentari sulla pubblica piazza, i quali così aumentarono notevolmente le loro già buone possibilità economiche. Nei decenni successivi le donzelle di casa Bordigioni poterono così trasferire cospicue doti in importanti case bassanesi, come quelle dei Ferrari e degli Jonoch. L’incisore Giuseppe Bordigioni apparteneva a questa linea. I Marinoni di Angarano, già distintisi con la produzione ceramica nel Cinquecento, avevano una conceria all’inizio di Borgo Margnano e la ricchezza accumulata con tale attività finì per finanziare la formazione, a Roma, dell’erede della casa: il paesaggista Antonio Marinoni (1796-1871). Dalla sua attività, il pittore ricavò un discreto capitale, che mise a frutto e che destinò poi a parenti, amici ed enti pubblici[20]. Mentre tramontava la nobile famiglia Zanchetta, detta «di Bernardino», iniziò ad emergere nel corso del Settecento un Giambattista Zanchetta da Pove, commerciante di legname e affittuario in Campo Marzo dei nobili Ronzoni. I suoi discendenti, tassati come tessitori nell’estimo del 1788, arrivarono a diventare proprietari dello stesso palazzo Ronzoni di via Verci attorno al 1865 e poi del confinante palazzo Sale. Fra Otto-Novecento, la famiglia espresse alcuni personaggi di rilievo come il dottore Bartolomeo Zanchetta (1838-1904), cofondatore della «Banca Girardello e C.», filantropo e direttore dell’Orfanotrofio maschile Cremona, Giuseppe Zanchetta (1845-1889) avvocato, notaio, marito di Laura Freschi, e Agostino Zanchetta (1878-1971), raffinato musicista, sposato con Carolina Codignola e barone dal 1926 per Regio decreto «in riguardo dei diritti della di lui moglie». A seguito di ripetute divisioni, il palazzo Zanchetta (già Ronzoni) di via Verci toccò a Teresa Zanchetta, sposata col generale Cesare Dal Fabbro e infine, nel 1989, alla sola Laura Dal Fabbro la quale, morendo nel 2005, lasciò la quasi totalità del patrimonio di famiglia al Fondo Ambiente Italiano (FAI). I Dal Fabbro da Verona si erano affacciati a Bassano con il professore del locale ginnasio Jacopo Dal Fabbro, liberale e garibaldino, già Presidente della Società del Mutuo Soccorso dei Volontari Bassanesi. Suo nipote, il ricordato generale Cesare Dal Fabbro (1870-1941), fu uno dei pionieri dell’aeronautica militare, compì il primo volo in areostato nel 1894, ricoprì posti di grande rilevanza nel settore automobilistico ma ritornò sempre all’amata Bassano[21]. Per una corretta comprensione dei caratteri della società bassanese non va trascurato il costante movimento migratorio proveniente dall’arco alpino, già sostenuto alla fine del Duecento, sia dall’area austro-tedesca che italiana, in particolare da Borgo Valsugana, Scurelle, Telve e Primolano. A più riprese giunsero artigiani, negozianti e mercanti di grande abilità, che seppero incrementare non poco l’economia locale. Nel 1730 è documentato in città un «Iseppo Paratoner tedesco tintor» della Val Gardena, allora «Stato Austriaco»: i suoi figli si ritrovano nell’estimo bassanese del 1788 come tintori e barbieri. Da Würzburg, nella Baviera, approdò a Bassano attorno alla metà del Settecento il maestro organaro Bartolomeo Prandestain (1717-1782), capostipite dei Brandestini attivi in città sino al primo Novecento. La famiglia annovera una nutrita serie di organari-organisti, decoratori, intagliatori e mobilieri di grande perizia, fondatori della locale tradizione del mobile artistico. Vittorio Brandestini fu anche cassiere della locale Banca Popolare di Vicenza[22]. Intorno lo stesso periodo apparve sulla scena bassanese il conciatore di pelli Bortolo Jonoch «da Widacco» nella Carinzia asburgica, i cui discendenti si specializzarono nella produzione di «Pelli Scamosciate», con le quali ottennero la medaglia d’argento all’Esposizione di Parigi del 1900. Suoi membri si legarono con le più illustri famiglie della zona: si ricorda il matrimonio di Giovanna Jonoch con il conte Francesco di Rovero celebrato con grande pompa nel 1905. Sulla scia degli Jonoch seguirono il «pellatiere» e pellicciaio Gregorio Cortnoler da Trento, il negoziante Giacomo Nepp «oriondo della Franconia», il pellicciaio Federico Müller, nato a Pasevalik, nello Stato Prussiano, che sposò la bassanese Maria Danieli e morì a Bassano nel 1836, dopo avere abiurato la religione protestante nella quale era nato. Sullo scorcio del Settecento si trasferirono in «contrada Menarola n. 562», in prossimità del Ponte Vecchio, i «Nardin» di Segonzano in Val di Cembra, nel cosiddetto Tirolo italiano, negozianti e distillatori, che gettarono le basi per la creazione della rinomata grappa da «pure vinacce», grazie soprattutto allo spiccato senso imprenditoriale di Antonio Nardini (Segonzano 1782-Bassano 1853). Nei primi anni dell’Ottocento giunse da Sesto di Pusteria, nel «Tirolo austriaco», il conciatore di pelli Luigi Innerkofler, il quale svolse la sua attività in Angarano, poi continuata da un altro Luigi con un negozio di «Corami e Pellami» in Piazzotto Monte Vecchio, ancora aperto negli anni Venti del secolo scorso: da questa famiglia uscì l’ingegnere Eugenio Innerkofler attivo negli anni Trenta. Sempre dal nord alpino arrivò il negoziante e birraio austriaco Ottone Hinterwipflinger, nativo di Hallein, il quale aprì una prima birreria in Angarano nel 1870 (fig.5),

5dittaOttone

5. La ditta Ottone Hinterwipflinger con la propria insegna, fotografia. Bassano, collezione privata. Da Hallein arrivò a Bassano il negoziante e birraio austriaco Ottone Hinterwipflinger, il quale aprì una prima birreria in Angarano nel 1870, per poi spostarsi di fronte al Palazzo Comunale.

e l’orefice tirolese Giuseppe Graser, nativo di Bressanone ma formatosi a Levico, il quale seppe inserirsi con successo nello specifico settore dell’antica arte orafa bassanese a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento[23]. Attorno al 1767 si trasferì da Verona «il signor Carlo Ferrari», capostipite dei Ferrari committenti dell’omonimo palazzo di contra’ delle Grazie, da non confondersi con i Ferrari insediatisi in «contra’ Corno Rotto» un quarantennio prima. Negoziante di filati di cotone, canapa e lino, Giuseppe Luigi Ferrari seppe allargare i suoi interessi al settore della carta, rilevando con dei soci l’antica cartiera Sebellin di Rossano[24]. A questo folto gruppo di mercanti stranieri si aggiunsero il bolognese Paolo Vancolani, mercante di olio di lino e caffettiere tassato nell’estimo del 1788 con lire 300, padre del più noto pittore bassanese Francesco Vancolani (1773-1822), il vetraio muranese Domenico Fontana, padre del pittore-litografo Melchiore Fontana (1804-1873), nonché capostipite di una linea particolarmente presente nella vita economica e culturale della città: si ricordano il disegnatore di carrozze e patriota Baldassare Fontana, il pittore e maestro di disegno Gaspare Fontana (1871-1943)[25]. Numerosi poi furono i protomedici della città che lasciarono una profonda traccia del loro passaggio: brilla tra tutti la figura di Giovanni Larber senior (fig.6),

6FrancescoRobertiConti

6. Francesco Roberti, Domenico Conti, Giovanni Antonio Larber, acquaforte. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. 4502. Capostipite di una sette generazioni di illustri medici, fu archiatra di papa Rezzonico, Clemente XIII.

nativo di Crespano ma di antica famiglia oriunda da Lavis nel Trentino, che divenne protomedico di Bassano nel 1737 e dal quale discesero illustri medici come Antonio Larber, medico consultore del vescovo di Trento e del principe Abbondio Rezzonico. La linea si estinse nel 1933 con la morte di don Luigi Larber. Un’altra incisiva dinastia di farmacisti bassanesi originò da Pietro Regazzoni da Valtorta nel Bergamasco, tassato nell’estimo del 1788 con una imposizione di lire 100 come «spicier». I Regazzoni ebbero la loro bottega in «contrada delle Grazie» e fornirono per molto tempo medicine gratis agli istituti caritatevoli della città. Altre storiche farmacie furono quelle dei nobili Trivellini in Piazzotto Monte Vecchio, di Angelo Favero in Piazza Garibaldi, di Ernesto Dall’Oglio «alle Fosse», di Antonio Zannoni, subentrato ai De Facci Negrati in via Benedetto Cairoli (ora via Roma), di Giustiniano Fontana nella medesima via. Quest’ultimo era nipote ed erede del pittore Giustiniano Vanzo Mercante: fu provetto distillatore e inventore del liquore «Grog Italiano»[26]. La linea dei patrizi veneti Memmo, presente nel bassanese fino dal primo Cinquecento, si concluse con il canonico Francesco Memmo il quale, nel 1784, pensò di nominare erede testamentario il servo «Giacomo Lazzaro Bortignon quondam Bernardo nativo di Cassola», che da allora divenne un rispettato possidente della zona. La dispersione degli antichi patrimoni nobiliari assunse un’accelerazione vistosa nei decenni successivi: soprattutto a causa della mancanza di eredi diretti. Il nobile Giuseppe Baroncelli, ad esempio, con testamento olografo 10 dicembre 1834 nominò erede universale il suo domestico, un certo Bortolo De Pont[27]. La rivoluzione apportata dalla meteora napoleonica ridisegnò anche l’assetto fondiario del Bassanese con il radicale annullamento di diritti e privilegi feudali, come il fedecommesso. All’indomani del Congresso di Vienna, vennero confermate nobili sessantanove famiglie e, se si eccettuano i nuovi ingressi dei nobili Grigno (oriundi cittadellesi), dei Maello e dei Parolini, il restante risultò composto in massima parte dagli esponenti degli storici nuclei arricchitisi prima con la mercatura e poi con il notariato. Per i Remondini veniva riconosciuta la linea del conte Antonio Perli Remondini, mentre delle antiche famiglie bassanesi di epoca comunale rimanevano con rappresentanti in Consiglio soltanto i Compostella. Ai fratelli Nicolò e Antonio Compostella e ai loro discendenti venne riconosciuto il titolo di conti di Sanguinetto nel 1905. Nel corso dell’Ottocento, tramontata l’epoca d’oro della lana, della seta e della stampa, l’economia della città si ridusse a modeste attività di tipo artigianale-commerciale, tanto da far dire a Ottone Brentari, nel 1883, che era rimasta fiorente solo «l’industria delle focacce fresche». La classe aristocratica veneziana continuò a vivere con le solite rendite fondiarie, mentre la gran parte degli immobili di città e delle case coloniche del Bassanese (con campagne annesse) rimasero ancora saldamente nelle mani delle storiche famiglie di estrazione nobiliare o di quelle giunte alla ribalta nel corso del Settecento.[28] Fino al primo Novecento le classi elevate spesero delle vere fortune per porre in educazione i loro figli e portarli al dottorato: canale preferenziale erano le prestigiose scuole del Seminario e dello Studio di Padova, ma non mancarono esempi di giovani spediti in collegi lontani, a Bologna o Brescia. Per il Seminario di Padova transitarono come convittori numerosi rampolli dei conti Roberti, dei Cantele, dei nobili Barbieri, Tattara e Compostella. Un ruolo importante nella formazione della nuova classe dirigente fu assolto per tutto l’Ottocento dal «Regio Comunale Ginnasio» con i suoi ottimi professori. Nel 1833 risultavano mescolati in eguale numero giovani del ceto nobiliare e del ceto borghese, come Valentino Berti, Ambrogio Lugo, Bartolomeo Caffo, Federico Remondini, Patrizio Fasoli, Antonio Gaidon, Carlo e Vincenzo Dolfin, Antonio Girardello, Alessandro Müller, Pietro Stecchini, Pietro Regazzoni, Tiberio Roberti. Tra Otto-Novecento i giovani della buona borghesia bassanese iniziarono a frequentare le classi dei referenziati collegi Vinanti e Gasparotto[29]. All’esordio della seconda dominazione austriaca arrivò da San Martino Siccomario il pavese Giovanni Antonio Sacchi, medico-chirurgo, il quale, nel 1821, pose stabili radici in città sposando la nobile Elisabetta Cerato. La madre di costei era la signora Giovanna Ambrosi (della nota famiglia di orafi bassanesi di origine veneziana), sposatasi in seconde nozze con il patrizio veneto Bartolomeo IV Mora il quale, alla sua morte (1835), lasciò erede il figlio adottivo Domenico Cerato Mora, poi grande benefattore dell’Orfanotrofio Cremona. In seguito alla precoce estinzione della linea mascolina dei Cerato, l’eredità passò in gran parte a Elisabetta Cerato e quindi ai Sacchi che, da allora, si trovarono proiettati nella cerchia dei grandi proprietari di Bassano. Già prima della caduta della Serenissima il tabù dei matrimoni fra esponenti del patriziato e persone dei ceti inferiori era stato infranto: ad esempio, Paolo Antonio Erizzo, residente nell’omonimo palazzo affacciato sul Brenta, aveva sposato nel 1795 la bassanese Giovanna Marinoni, possidente certo ma pur sempre figlia di negozianti. Con suo testamento egli destinò «annue elargizioni» all’Orfanotrofio Pirani. Il nipote Vincenzo Paolo Barzizza, figlio di Giovanna Erizzo, nel 1873 finì per lasciare l’intero suo patrimonio alla governante Teresa Azzalin. Altri casi di matrimoni di particolare risonanza nel Bassanese ebbero per protagonisti i seguenti personaggi: la contessa Caterina Michiel, figlia del senatore Luigi, che si unì nel 1871 al «Regio prefetto» Augusto Bianchi della Valle Lomellina (da loro originò la linea bassanese dei Bianchi Michiel), la contessa Caterina Mocenigo, figlia di Alvise V e residente a Romano d’Ezzelino, sposatasi nel 1881 con il signor Donato Barone, capitano medico ma privo di titoli nobiliari[30]. La morte del conte Mora costrinse il veneziano Giambattista Sterni (fattore della Ca’ Mora di Cassola) a trasferirsi nella vicina Bassano, dove la moglie Giovanna Chiuppani aveva delle proprietà. Gli Sterni furono molto presenti nella vita sociale e religiosa della città: basti ricordare la beata Gaetana Sterni, animatrice della Casa di Ricovero e fondatrice delle Suore della Divina Volontà, o il libraio Antonio Sterni, esponente di spicco del movimento cattolico locale[31]. Nel 1814 si trasferì da Rossano in Campo Fiore (ora via Verci) il «signor Paolo Baroni», figlio di quel Giovanni che, nel 1802, aveva preso in affitto le fabbriche Antonibon e che, nel 1809, vendette a Pietro Mercante 159 campi nel Quartiere di Travettore, già dei Venier Contarini. Egli aveva sposato la patrizia veneziana Caterina Semitecolo e con lei si insediò nella sontuosa dimora di Ca’ Rezzonico alle porte di Bassano nel 1829 circa. Il figlio Alessandro sposò, nel 1850, la nobile Marina Sprea la quale, per avere appoggiato i moti risorgimentali bassanesi del ’48, fu costretta a vivere per diversi anni esule a Firenze. Alessandro Baroni Semitecolo va ricordato per essere stato il primo presidente della succursale bassanese della Banca del Popolo di Firenze, aperta nel 1869. La figlia Silvia, che si unì nel 1874 con il conte faentino Giuseppe Pasolini Zinelli, tenne un frizzante salotto letterario a Ca’ Rezzonico, dove accolse illustri personaggi e dove morì nel 1920, legando gran parte del suo patrimonio all’Ospedale cittadino: istituzione che, alla pari degli Orfanotrofi Pirani- Cremona e della Casa di Ricovero, fu sempre fatta oggetto di generosi lasciti da parte dei ricchi bassanesi[32]. Una categoria che iniziò ad avere una particolare influenza nella vita cittadina, alla fine del Settecento, fu quella degli architetti e degli ingegneri. Caso emblematico è quello di Antonio Gaidon (1738-1829), di antiche origini agordine, il quale da semplice perito agrimensore concluse la sua carriera come architetto e ingegnere comunale (fig.7),

7FrancescoRobertiAntonioGaidon

7. Francesco Roberti, Domenico Conte, Antonio Gaidon, Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. 4497. Antonio Gaidon (1738- 1829), di antiche origini agordine, da semplice perito agrimensore conclusela sua carriera come architetto e ingegnere comunale.

e così pure i figli: Giuseppe, attivo a Bassano sino al 1849, e Pietro, occupato soprattutto a Vicenza sino al 1859. Nello stesso periodo si affermarono gli ingegneri Giambattista Bricito e Pietro Antonio Chiminello da Rosà. Quest’ultimo, inizialmente perito agrimensore, divenne ingegnere civile e «Regio Commissario Estimatore» del nuovo catasto austriaco. Luigi Chiminelli (1816-1901) fu chirurgo, docente universitario a Padova e a Roma, ispettore delle Terme di Recoaro, nonché padre dell’Idrologia italiana. Suo figlio, Ildebrando Chiminelli, brillò come avvocato, fu esponente di spicco del partito popolare e solerte amministratore pubblico[33]. Il 24 ottobre 1866, all’indomani del plebiscito, si insediò la nuova Giunta Municipale con presidente il nobile Francesco Zanchetta di Bernardino (ultimo della sua linea), membri effettivi Francesco Compostella da Rosà, Bartolomeo Tommasoni, Giuseppe Roberti e il nobile Baldassare Compostella, ai quali si affiancarono come membri supplenti Valentino Berti e Giuseppe Jonoch: dunque due soli nobili e ben cinque borghesi. L’avvocato Valentino Berti era stato membro del governo provvisorio di Bassano nel ’48, fu in seguito uomo di punta dei liberali progressisti, consigliere comunale, sindaco della città dal 1884 al 1888 e instancabile animatore della vita culturale cittadina. Il padre Francesco, nativo di Schio, era un «usciere giudiziario», che divenne poi «scrivano d’avvocato» sotto il Regno italico a Bassano, città dove si sposò due volte. La ventata di rinnovamento si dovette insterilire ben presto se, nel 1885, il liberale Oscar Chilesotti si chiedeva perché l’Amministrazione del Comune fosse sempre monopolio dei soliti noti[34]. Un protagonista della vita finanziario-imprenditoriale bassanese del secondo Ottocento fu Antonio Giradello (1818-1887). Figlio di negozianti, egli partecipò in prima persona alla rivoluzione del ’48, arrivò a scalare i vertici della società bassanese, prima come ingegnere municipale e poi come banchiere: il suo matrimonio con la ricca Elisa Stella, vedova di Rocco Cantele, gli aprì molte porte. Quando chiuse la succursale bassanese della Banca del Popolo di Firenze (dicembre 1874), egli fu in grado di rilevarla con i soci Paolo Agostinelli, Bortolo Zanchetta e Giambattista Vanzo Mercante, divenendo anche direttore della stessa «Banca A. Girardello e C.». L’operazione, si disse, fu necessaria per non lasciare allo sbando i clienti della soppressa banca fiorentina, ma in realtà si trattò di una mirata operazione finanziaria attuata da accorti esponenti dell’alta borghesia locale. La «Banca A. Girardello e C.», nel 1926, traslocò dal palazzo Trivellini di Piazzotto Monte Vecchio in Piazza dei Signori, nella nuova sede in stile neorinascimentale finanziata dalla liberalità del conte Giulio Vanzo Mercante, nel frattempo subentrato al padre. Dopo la morte dei soci fondatori, nel giugno 1928 la «Banca A. Girardello e C.» inglobò la «Banca Bassanese di Credito e Cambio», con i soci Giovanni Carlesso (direttore), Giovanni Colbacchini, i conti Leonardo e Paolo Dolfin Boldù, il barone e ingegnere Giambattista Sturm von Hirschfeld, gli ingegneri Francesco Tattara e Francesco Fraccaro, il conte Giulio Vanzo Mercante e il barone Agostino Zanchetta[35]. Non dissimile fu la storia dell’ingegnere Valentino Favero (1820-1905), nato a Mussolente da un piccolo proprietario terriero. Laureatosi a Padova, egli si specializzò come ingegnere di ponti e ferrovie, divenendo con la sua impresa «Appaltatore e proprietario dell’illuminazione elettrica bassanese» a partire dal 1889. Coronò l’ascesa sociale nel 1870, allorché sposò la nobile Maria Antonia Tattara, figlia del dottore Valerio. Versato in molti campi, quando morì lasciò un trattato di astronomia e una sostanziosa eredità. Il giornale «Il Berico» scrisse a tal proposito: «Il Favero, che lascia una cospicua sostanza, deve tutto a se stesso perché nato in povera condizione seppe crearsi una posizione sociale invidiabilissima». Furono questi i pionieri dell’imprenditoria bassanese, in grado di affermarsi con le proprie doti intellettuali[36]. Attorno al 1825 si trasferì da Cittadella il “pizzicagnolo” Carlo Mercante, il quale aveva sposato qualche anno prima la bassanese Elisabetta Fasoli. In città l’accorto negoziante fece fortuna e la monumentale tomba erettagli dagli eredi nel cimitero di Santa Croce ne è una conferma. Poco dopo giunsero i Giaconi detti “Bonaguro” da Piazzola sul Brenta, i quali avevano costruito le loro fortune attraverso l’accumulo di terreni e la produzione di attrezzi agricoli: nel 1853 un Giuseppe Giaconi Bonaguro lavorava sino a 1000 libre di ferro alla settimana per forgiare speciali vomeri. Già nel 1784 i Giaconi si erano affacciati a Bassano per monacare una donzella della famiglia, assegnando, come sua dote, 600 ducati al convento di San Giovanni Battista mentre, nel 1792, un Antonio Giaconi sposava la bassanese Paola Merlo. Il loro definitivo trasferimento a Bassano avvenne nel 1848, allorché Luigi Giaconi Bonaguro divenne l’erede del nobile Giovanni Albertoni, ultimo erede di quegli Albertoni che avevano rilevato il palazzo dei Veggia in Angarano nel 1786. Sposatosi con Antonia Tonon, figlia del ricco negoziante Giuseppe, egli ebbe dieci figli, fra i quali l’ingegnere Matteo, il medico Augusto, il cavaliere Antonio: il munifico sindaco di Bassano (fig.8).

8RaffaelePassarin

8. Raffaele Passarin, Al Cavaliere Antonio Giaconi Bonaguro…, datata 1897, inchiostro e tempera su pergamena. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, ingr. 83297. Testimonianza della riconoscenza cittadina nei confronti del munifico sindaco di Bassano.

Alle varie fiere di animali da stalla i bovini dell’ingegnere Matteo si meritavano sempre i primi premi. Nella divisione del 1895 i superstiti fratelli si divisero un patrimonio di fondi sparsi tra Angarano, Bassano, Cassola, San Zeno, San Zenone degli Ezzelini, Piazzola sul Brenta, Cittadella, Bessica e Ramon. I Giaconi Bonaguro rimasero sempre attaccati a quel mondo degli affari che li aveva resi ricchi: ancora nel 1921 avevano interessi nella produzione di ceramiche e di olii. Nel 1969 gli eredi cedettero l’antico palazzo dei Veggia, detto allora Bonaguro, al Comune di Bassano il quale, nel 1985, acquisì anche il brolo[37]. Attorno al 1860 arrivarono da Goriach, nel Tirolo austriaco, i fratelli Moritsch figli di un Bortolo «oste», i quali si stabilirono in via dei Giudei (ora via Zaccaria Bricito). Urbano Moritsch si affermò come gestore di un negozio di ferramenta in Piazzotto Monte Vecchio, ancora aperto negli anni Sessanta del secolo scorso, mentre Giuseppe Moritsch esercitò la professione di «agente»[38]. Mentre i nuovi venuti si facevano sempre più intraprendenti la vecchia classe nobiliare manifestava i segni di un preoccupante distacco dalle nuove realtà. Dopo la morte di Francesco Perli Remondini (1820) del ramo «di Piazza», le sorti della gloriosa stamperia erano rimaste nelle mani della moglie, Giovanna Gaetana Baseggio, la quale non doveva essere del tutto digiuna della materia essendo figlia di Basilio Baseggio, medico fisico ma anche dinamico «Stampatore patentato». La sua refrattarietà a qualsiasi innovazione, il suo terzo matrimonio con il nobile Domenico Negri (1822) e la scialba presenza della figlia Teresa Gioseffa Perli Remondini (1817-1873) condussero la ditta alla definitiva liquidazione nel 1860. L’anno prima, Teresa Gioseffa aveva sposato il «capitalista» Guido Rocco Cantele di Angarano e, per sfuggire probabilmente all’opprimente contesto cittadino, si era trasferita a Venezia, dove morì il 24 dicembre 1873, a nemmeno un mese dalla morte della madre. Due giorni dopo il marito faceva trasferire la salma della moglie in Angarano e la tumulava nella tomba dei Cantele. Nel frattempo, era giunto alla maggiore età Antonio Niccolò Negri (1826-1919), figlio del terzo matrimonio di Giovanna Gaetana Baseggio con Domenico Negri, il quale soltanto alla morte di entrambi i genitori entrò in possesso della cospicua eredità, comprendente anche la scenografica villa Negri di Mussolente. Vero gentiluomo d’altri tempi, egli si rinchiuse sempre più nel suo mondo e liquidò i superstiti relitti del glorioso stabilimento remondiniano. Partecipò comunque alla vita amministrativa della città e beneficò la comunità bassanese (le sue collezioni d’arte le donò al Museo cittadino): morì novantaduenne, nel 1919, come ultimo esponente della sua casa. Quanto ancora era in suo possesso dei patrimoni Remondini e Negri confluì per lascito testamentario nei nipoti Arrigoni di Vicenza, figli della sorella Francesca Maria Negri, e poi nell’asse ereditario dei conti Piovene-Porto-Godi[39]. La linea dei Remondini di «Borgo Leon» iniziò invece nel 1803, con il trasferimento del conte Antonio Perli Remondini nel palazzo dei conti Carrara (già dei Cortellotti), prima preso in affitto e poi acquistato nel 1810. Appassionato cultore dell’arte incisoria antica e moderna, il conte morì nella nuova dimora nel 1832. La sue figlie si legarono con membri delle nobili case Compostella, Gosetti, Matteazzi, Bonomo e Chilesotti. L’erede Giambattista Remondini sposò la veneziana Angela Antippa, nobile di Cefalonia, dalla quale ebbe una sola figlia presto deceduta. Egli morì a soli quarantacinque anni nel 1849, dopo aver nominato eredi universali i figli delle amatissime sorelle e legato le collezioni di famiglia alla Civica Biblioteca. Alla moglie andò la tenuta di San Martino di Lupari mentre, tra il 1852 e il 1864, venne disperso attraverso pubbliche aste un vero patrimonio di oggetti artistici di arredo e di immobili vari: il palazzo di Borgo Leon fu acquistato per 8000 fiorini dal ricco negoziante di tessuti Antonio Luigi Ferrari di Antonio[40]. Ultimi a estinguersi furono i Remondini del ramo «delle Grazie», i quali, dopo essersi divisi nel 1715 con il ramo «di Piazza», attorno al 1725 ricavarono da un antico contesto abitativo della contrada delle Grazie il loro monumentale palazzo di famiglia. Alla fine del Settecento la dimora pervenne a Federico Remondini, figura di spicco dell’ultimo Consiglio aristocratico con podestà Giovanni Contarini. Il nipote Federico Remondini, esponente del partito dei liberali moderati, ricoprì il ruolo di sindaco di Bassano dal 1869 al 1871; fu inoltre direttore della succursale della Banca del Popolo di Firenze, aperta fino dal 1869 in un’ala di palazzo Remondini e poi trasferita in palazzo Trivellini. Grande proprietario terriero, egli aveva sposato la contessa veneziana Teresa Albrizzi e, alla sua morte (1882), istituì eredi universali i figli Pietro, Antonio e Carlo, mentre alla figlia Sofia lasciò 60.000 lire. Quest’ultima aveva sposato il ricco possidente Giulio Vanzo Mercante, nominato conte nel 1919 da Benedetto XV. Il patrimonio della casa confluì infine in Carlo Remondini (1862-1925), il quale seguì le orme paterne, militando tra le fila dei liberali e ricoprendo più volte il ruolo di sindaco, fino alla clamorosa sconfitta elettorale dell’amico deputato Francesco Vendramini, avvenuta nel 1909. L’avanzare del partito cattolico-popolare, assieme ad altre cocenti delusioni, lo portarono a estraniarsi sempre più dalla vita pubblica bassanese e ad abbandonare la città nel 1919. Morì nominando erede universale Giulio Vanzo Mercante, marito della sorella Sofia, la quale si spense nel 1935. In quell’occasione, il palazzo di via XX Settembre, dotato di un «magnifico panorama», venne valutato lire 100.000. Giulio Vanzo Mercante morì nel 1937 e tutto il suo patrimonio passò al figlio Alessandro il quale, per le gravose tasse di successione, il 7 dicembre 1938 fu costretto ad alienare la bella villa suburbana del Motton costruita dal padre. Pochi giorni prima si era sposato con la milanese Elena Corling e trasferito nel palazzo di via XX Settembre[41]. I ricordati Cantele - fra i maggiorenti di Lusiana - già all’inizio del Settecento esibivano un distinto censo: nel 1721 agiva a Vicenza come principe del foro «l’illustrissimo signor Rocco Cantele». Nel corso del primo Ottocento i Cantele acquisirono importanti proprietà a Pianezze, Bassano e in particolare ad Angarano, dove arrivarono ad insediarsi nell’aristocratico «Palazzo Priuli» nel quale, nel 1848, risiedeva Giambattista Rocco Cantele. Definiti nei documenti «capitalisti», i Cantele erano in grado di prestare anche ingenti somme di denaro. Alcuni esponenti della casa si legarono con nobili famiglie del luogo, come i Michieli, gli Stella e i Dolfin Boldù di Rosà. Nel 1911 fu celebrato con grande sfarzo il matrimonio dell’avvocato Marco Cantele di Padova con la contessina Maria Dolfin Boldù. Un’altra famiglia che si stabilì in Angarano fu quella dei Sette Comuni: nel 1815 Francesco Carli si unì con la nobile ereditiera Cecilia Maello. Altri due matrimoni di particolare importanza per il passaggio di rilevanti patrimoni finanziari furono quelli del dottore Carlo Carli con la contessa Eleonora de Nordis e del figlio di questi, Gaetano, unitosi con la contessa Lucrezia Dolfin Boldù[42]. Il ricchissimo patrimonio dei Roberti, accumulato in gran parte con l’attività serica, iniziò a subire i primi colpi già alla fine del Settecento. Nel 1793, i fratelli Tiberio, Giambattista e Roberto Roberti dovettero sostenere gravose spese per la reinvestitura delle proprietà a loro infeudate di Angarano-Nove e procedere alle rispettive divisioni del patrimonio paterno (1797). Tutto ciò finì col minare la solidità della casa. Le turbolenze politiche successive, le nuove normative, il cambio repentino delle valute con relative svalutazioni, le sempre più gravose tassazioni e la morte improvvisa del notaio Tiberio Roberti (1817) aggravarono la situazione. Le successive divisioni dei numerosi figli di quest’ultimo, fra i quali vi erano i pittori Roberto e Francesco, dettero il colpo di grazia. I Roberti eliminarono così la troppo impegnativa residenza padovana e per tutto l’Ottocento vissero tra il palazzo di città e la casa di villeggiatura di Angarano, esprimendo comunque personaggi di grande caratura civile come Tiberio Roberti junior, scrittore forbito e attento indagatore dei problemi sociali del tempo. Suo figlio, Giuseppe Roberti (1873-1938), educato a Padova, si sposò nel 1896 con la contessa mantovana Giovanna Magnaguti, conosciuta frequentando il salotto bassanese di Silvia Baroni Semitecolo a Ca’ Rezzonico, essendo, la prima, figlia della contessa Costanza Pasolini Zinelli e, la seconda, moglie del conte Giuseppe Pasolini Zinelli. Il conte Roberti fu uno dei più rappresentativi esponenti del cattolicesimo locale: eletto deputato militando tra le fila del Partito popolare, egli ebbe il merito di gettarsi con grande slancio nell’agone politico senza badare alle molte spese sostenute per mantenere tale ruolo. Il malgoverno della casa lo portò ad alienare quanto rimaneva del patrimonio dei Roberti: la dolorosa vendita nel 1938 del palazzo avito di «contra’ Rigorba» precedette di poco la sua morte. I suoi figli si videro costretti a rinunciare all’eredità paterna perché gravata da molti debiti. La famiglia, che già dal tempo di Augusta Chemin Palma in Roberti aveva preso l’abitudine di trascorrere lunghi periodi nella casa di villeggiatura a San Zeno di Cassola, si ritirò per alcuni anni in tale dimora, vivendo quasi al limite dell’indigenza[43]. Motivazioni politiche, professionali o famigliari spinsero numerosi figli delle classi elevate ad abbandonare Bassano, quasi che la città fosse diventata troppo angusta. Nel secondo Ottocento il pittore Angelo Balestra viveva stabilmente a Roma e così pure il conte Pietro Roberti avvocato, il conte Guerino Roberti stava a Firenze, il conte Alessandro Roberti a Milano, mentre i conti Luigi e Tiberino Roberti vivevano a Lodi, Giulio Antonibon era provveditore agli studi a Forlì, Augusto Tattara era console a Cardiff, l’avvocato Gino Caffo esercitava a Padova, il dottore Fausto De Facci Negrati a Venezia, un conte Vittorelli era prefetto a Torino, le sorelle Lugo abitavano a Firenze, il conte Alessandro Vanzo Mercante trovò invece a San Remo la sua dimora ideale. Sia a Milano che a Roma si formarono delle affiatate colonie di bassanesi, i quali periodicamente si ritrovavano in allegre cene conviviali (fig.9).

9scampagnata1899

9. Allegra scampagnata della buona società bassanese, 1899 ca, fotografia. Bassano del Grappa, collezione privata. Testimonianza dell'uso del tempo libero in riva al Brenta e della moda di fine Ottocento.

Nel raduno romano del giugno 1895 al posto d’onore sedevano l’onorevole Francesco Vendramini e l’ingegnere Giovanni Battista Favero, l’illustre docente alla Scuola dì Applicazione degli Ingegneri, nativo di Crespano[44]. Fu in seguito al matrimonio di Laura Roberti di Tiberio con il conte padovano Marco Antonio Suman (1815), oriundo di Conselve e valente organista, che nel corso dell’Ottocento i Suman volsero i loro interessi verso Bassano. I rapporti si intensificarono nel 1842, quando l’avvocato Pietro Suman (1816-1890) impalmò la nobile bassanese Marina Caffo. Dal loro matrimonio nacque a Padova Marco Suman (1845-1926) il quale, dopo il suo matrimonio con la contessa Paolina Giusti del Giardino (1877), fissò definitivamente il suo studio di notaio a Bassano dove, nel 1903, ebbe un’imposizione di ben 6000 lire. I due Suman, provenendo da una famiglia dalle spiccate tradizioni musicali ed essendo loro stessi esperti concertisti, sostennero con generosità il locale Teatro Sociale, la Società Filarmonica e la Società del Quartetto. La figlia di Marco Suman, Laura, si unì nel 1906 con il conte Delfino Dolfin Boldù. Dal matrimonio nacque quel conte Francecso Dolfin Boldù che fu l’ultimo esponente dell’illustre famiglia. Dopo la sua morte, il patrimonio dei Dolfin Boldù (compresa la villa di Rosà) passò nel 1998 ai cugini Cantele per lascito testamentario. Leonardo Dolfin Boldù (fratello del ricordato Delfino) si unì invece con la nobile Maria Antonibon, vedova Jonoch, la quale ottenne una delle migliori campagne dell’illustre casata alla morte del marito[45]. La parabola dei nobili Parolini si concluse abbastanza velocemente, così come era iniziata. Il naturalista Alberto Parolini, apertamente filoaustriacante, nella primavera del 1825 ebbe l’onore di accompagnare l’imperatore Francesco I in visita al suo orto botanico con giardino annesso, ritenuto allora uno dei più rimarchevoli d’Italia. L’illustre personaggio morì nel 1867, dopo avere donato alla «Regia Città di Bassano» tutte le raccolte del suo Gabinetto di Storia Naturale. Alla figlia Elisa, sposata con il naturalista irlandese John Ball, destinò le proprietà di Cusinati, Tezze, Bassano, Angarano, San Zeno, Rossano, San Nazario e Cismon, più una serie di capitali fruttiferi, mentre all’altra figlia Antonietta, sposata con il nobile Paolo Agostinelli, lasciò le rimanenti proprietà, compreso il giardino, l’orto botanico e le case dominicali annesse. Per trentacinque anni Antonietta Parolini fu l’appassionata custode delle creazioni paterne e, alla sua morte, istituì erede universale il figlio Alberto Agostinelli il quale, con decreto reale 12 maggio 1904, fu autorizzato ad aggiungere al suo cognome quello dei Parolini. Alla sua morte, egli lasciò erede delle sue sostanze il nipote Paolo Favaretti, mentre al Comune di Bassano legò il complesso botanico del nonno con l’obbligo di trasformarlo in giardino pubblico[46]. Anche la longeva dinastia dei Lugo vide il suo tramonto all’alba del XX secolo. L’ultimo notaio della casa, Orazio Lugo, morì ultranovantenne nel 1853, lasciando i suoi beni al figlio Ambrogio, dal 1837 sposo della contessina Caterina Roberti, figlia del pittore Roberto. Ambrogio Lugo fu un personaggio poliedrico: ricercatore, storico, cultore d’arte, viaggiatore, patriota, assessore comunale e podestà dal 1843 al 1861, visse l’ultima parte della sua vita a Firenze, dove morì nel 1905. Fu lui che avviò nel 1853 la realizzazione dell’eclettico palazzo Lugo di «contra’ Rigorba» (ora via Da Ponte), anche per dare lavoro a tanta parte della manovalanza bassanese disoccupata. Fu un’impresa di vero mecenatismo, che mise a dura prova le finanze del Lugo, tanto da costringerlo ad alienare antichi possedimenti di famiglia. Nel 1888 ottenne un cospicuo prestito di denaro dall’Orfanotrofio Cremona al tasso del 5%, ipotecando il suo palazzo «di recentissima costruzione»[47]. Melanconico fu anche il tramonto della gloriosa dinastia degli Antonibon, i cui ultimi esponenti si impantanarono nelle beghe di Nove e nelle aule dei tribunali, tanto da prendere l’amara decisione di abbandonare per sempre il paese d’origine e di trasferirsi a Milano. Il pittore Francesco Antonibon (1809-1883) (fig.10)

10RitrattoAntonibon

10. Pittore della metà del XIX secolo, Ritratto di Francesco Antonibon, olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 381. Il pittore Francesco Antonibon (1809-1883) fu costretto a vendere le residenze bassanesi, nonché lo stesso stabilimento ceramico novese con la casa avita, che chiuse i battenti nel 1896.

aveva fatto il possibile per riportare le fornaci di famiglia agli antichi splendori, ma le ingenti spese sostenute costrinsero la famiglia a vendere le residenze bassanesi (il palazzo Antonibon di via Marinali, ora del Tribunale, e la casa di Piazza dei Signori), nonché lo stesso stabilimento ceramico novese con la casa avita, che chiuse i battenti nel 1896 e pervenne ai soci Barettoni e Beltrame di Schio nel 1906. Caso emblematico del livello delle diatribe paesane fu l’episodio che ebbe per protagonista Pasquale Antonibon: l’avvocato, il magistrato, il benemerito sindaco di Nove nonché deputato del Regno. Nell’estate del 1883 egli venne alle mani con il dottor Tescari nel centrale Caffè Nazionale del paese e alla fine, andandosene, gridò agli astanti: «Popolo vigliacco e zuccone, perché non difendi il tuo benefattore». Proprio al figlio Zenobio toccò l’amara sorte di essere condannato per bancarotta, truffa e falso di cambiali in quel palazzo del Tribunale di Bassano che era stato per tanto tempo di proprietà della sua famiglia. Altri esponenti si dedicarono invece ad attività professionali, come Pasquale Antonibon di Giulio impiegato comunale per 40 anni, Giulio Antonibon, professore di liceo a Vicenza o Eugenio Antonibon avvocato, uomo politico, ultimo sindaco liberale della città, nonché direttore della filiale della Cassa di Risparmio di Verona[48]. Un’altra famiglia che subì dissesti finanziari a causa di «acerrimi litigi» e di contenziosi giudiziari fu quella dei Vittorelli. I dissapori erano iniziati attorno al 1780 fra il poeta Jacopo Vittorelli e il padre Giuseppe, quest’ultimo addirittura relegato per qualche tempo nella fortezza di Palmanova come persona pericolosa, con grande scandalo della cittadinanza. Lunghe e costose spese forensi si trascinarono per anni, finché il poeta non entrò in possesso del «casino di San Zeno di Cassola» e della campagna relativa nel 1796: proprietà che legò al nipote Giacomo (1834) e sulla quale gravavano pesanti debiti contratti con i signori Agostinelli, Cantele e Mora. Il palazzo di «contra’ Rigorba» restò ai Vittorelli sino al 1853, quando subentrarono i Molini, mentre la citata proprietà di San Zeno entrò nel patrimonio degli istituti caritatevoli di Bassano nel 1927 in seguito al lascito testamentario del cavaliere Andrea Vittorelli[49]. Un’antica famiglia che seppe mantenere inalterati patrimonio e censo fu quella dei Tattara, i cui esponenti si adeguarono ai tempi, orientandosi verso attività professionali o imprenditoriali. Famose erano le feste che la famiglia del dottore Marco Tattara offriva all’élite locale sullo scorcio dell’Ottocento. L’avvocato Vittore Tattara, «Regio vice console di carriera», nel 1899 fu destinato alla sede di Nizza, mentre il cavaliere Francesco Tattara si procurò una buona fama come ingegnere civile e poi come proprietario di grandi imprese edilizie, attive anche all’estero, dove impiegò molti operai italiani. Per tali meriti, nel 1926, fu nominato cavaliere della corona d’Italia. Suo fu anche il progetto del nuovo palazzo dei Ferrari in via XX Settembre, terminato nel 1897. Il committente, Giuseppe Luigi Ferrari, aveva accumulato un cospicuo patrimonio mediante un negozio all’ingrosso di tessuti e di sostanze chimiche, grazie al quale acquistò l’immobile fatiscente dai nobili Bortolazzi e ne avviò la ricostruzione, anche per dare lavoro ai tanti disoccupati bassanesi di quel tempo. Nel 1900 Giuseppe Luigi Ferrari allargò ulteriormente i suoi interessi, acquistando con Vittore Tattara e altri soci l’antica cartiera Sebellin di Rossano[50]. Fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento grande rinomanza ebbero i negozi di pregiate mercerie Chemin Palma sotto i portici in piazza, i negozi Ferrari di via Cairoli (via Roma) e i lussuosi «Magazzini Cecilio Mercante», affacciati su Piazzotto Montevecchio. Cecilio Mercante, nativo di Marostica, seppe accumulare ingenti capitali vendendo corredi completi, mercerie varie, vestiti per uomo all’inglese, loden, tappeti, forniture militari, etc. Nel 1903 Giuseppe Ferrari fu tassato per lire 3500, Moreno Chemin Palma per lire 4000 e Cecilio Mercante per lire 6800, imposizioni che provocarono le lagnanze degli interessati. Cecilio Mercante minacciò addirittura la chiusura, ma poi continuò l’attività e morì nel 1914. L’unico suo figlio ed erede, Pietro Mercante detto Rino, dopo la Grande Guerra seppe imprimere un radicale ammodernamento ai vecchi magazzini paterni. Appassionato di sport, fece costruire su un suo terreno alla fine del viale Venezia il primo vero campo sportivo della città, concedendo al Comune di Bassano l’uso gratuito. Morì improvvisamente il 23 novembre 1931, legando per testamento tutto il suo patrimonio all’Ospedale cittadino. Nel 1933 l’ente ospedaliero cedette al Comune di Bassano il campo sportivo con l’obbligo di denominarlo «Rino Mercante»[51]. Altro lascito testamentario che fece gran rumore a Bassano fu quello del barone Giambattista Sturm von Hirschfeld, la cui famiglia boema aveva ottenuto il titolo nobiliare da Maria Teresa d’Austria. Il padre, il barone Renato Sturm von Hirschfeld, negoziante di pelletterie nativo di Trieste ma con domicilio anche a Treviso, giunse a Bassano nel 1890 per motivi di lavoro e, nel 1894, sposò la nobile Giulia Vittoria Caffo. L’ereditiera apparteneva a quella linea dei Caffo di Campo Marzo che aveva costruito la sue fortune con l’attività serica fino dal Seicento. Il convergere delle sostanze dei Caffo nell’asse ereditario degli Sturm portò la nobile famiglia ai vertici del capitalismo bassanese. Dal 1911 gli Sturm si trasferirono così nel sontuoso palazzo ex Ferrari affacciato sul Brenta (fig.11).

11PalazzoFerrariSturm

11. Palazzo Ferrari Sturm. Facciata. Dal 1911 Giambattista Sturm von Hirschfeld (1895-1943) si trasferì nel sontuoso palazzo affacciato sul Brenta, destinato alla sua morte al Comune di Bassano per ampliare il Museo cittadino.

Il giovane Giambattista Sturm von Hirschfeld (1895-1943), dopo essersi laureato in ingegneria, avviò un radicale rinnovamento del suo vasto patrimonio agricolo, meritandosi anche il favore dei contadini. Proprio nel 1920 era stato raggiunto, dopo aspre contese, un accordo fra le varie forze politiche, che lasciava liberi i contadini di continuare con il rapporto di mezzadria o di optare per l’affittanza. Il giovane barone era appassionato di sport, di equitazione, di scherma e di automobilismo. Nel 1928 egli entrò come socio nella banca «A. Girardello e C.», si lasciò poi catturare dalle sirene del regime fascista ma, nel 1943, un incidente automobilistico sullo stradone di Gallarate pose fine alla sua frenetica esistenza. Con il testamento del 1942 egli lasciò tutto il suo patrimonio alla Casa di Ricovero di Bassano, il palazzo ex Ferrari lo destinò al Comune di Bassano per ampliare il Museo cittadino, e nominò usufruttuaria di tutti i suoi beni la signora Teresa Bordigioni in Inglese, sua compagna da diversi anni[52]. Un altro rilevante patrimonio fondiario destinato a un ente caritatevole bassanese fu quello accumulato dal commendatore Giuseppe Rubbi di Marostica, il quale legò all’orfanotrofio Cremona nel 1946 le sue tenute di Bassano, Pove e Campo Solagna perché fossero adibite «all’insegnamento dell’agricoltura ai giovani»[53]. Nel 1972 vi fu l’ultima cospicua donazione al Comune, che pose fine alla linea dei nobili Agostinelli, arricchitisi prima con il commercio della seta e poi con l’arte medica. La nobile Mary Dirouhi Megrditchian, vedova del pittore dilettante Antonio Agostinelli (1874-1964), donò nel 1972 l’antico palazzo degli Agostinelli di via Barbieri al Comune di Bassano[54](fig.12).

12AgostinelliRitrattoMary

12. Antonio Agostinelli (1874-1964), Ritratto di Mary Dirouhi Megrditchian Agostinelli, olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 501. Mary Dirouhi Megrditchian Agostinelli donò nel 1972 l’antico palazzo degli Agostinelli di via Barbieri al Comune di Bassano del Grappa destinandolo al Museo.

Attorno alla metà del secolo scorso, una cospicua parte del patrimonio del nobili DeFacci Negrati passò nella casa Chiminelli. Regina, figlia dell'avvocato Ildebrando, sposò nel 1915 Francesco De Facci Negrati (1874-1956), nipote dell' omonimo pittore, propietario delle case e dei mulini di via pusterla, nonchè podestà di Bassano. Con la morte in Albania del loro figlio Lionello (1941) si estinse la particolare linea bassanese della famiglia[55]. Finita l’anacronistica stagione dei neobaroni e dei neomarchesi - protrattasi oltremodo sino al Ventennio fascista - le nuove istanze del secondo dopoguerra e l’abolizione del rapporto di mezzadria (1964) ebbero l’effetto di portare alla ribalta nuove classi sociali e nuovi amministratori, mutando così i rapporti tra le persone, tra la città e la campagna.

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