Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Quasi ogni autore di storia bassanese si è sentito autorizzato a sostenere, mancando la documentazione, che l’incastellamento della pieve sia da riportare ai primi anni del secolo X o, comunque, entro la sua prima metà, accampando le consuete motivazioni della minaccia costituita dagli Ungari, soprattutto, e della mancanza di sicurezza che seguì alla crisi del potere centrale[23]. Come è stato dimostrato, però, non ogni pieve né ogni comunità fu protetta nel secolo X e molti castelli risultano eretti dopo la metà del X e nel corso dell’XI secolo, in ben altre situazioni storiche. Di riferimento topico all’assise giudiziaria del 998 funge la pieve e non il castello che, secondo quegli autori, doveva già averla circondata. Nonostante le (talvolta ingegnose) spiegazioni addotte per una così vistosa omissione è più ragionevole supporre, fino a contraria prova di scavo, che alla data del 998 la fortificazione sul colle ancora non esistesse.[24] Come si è visto nelle pagine precedenti, la questione è oggi prospettata in maniera diversa, allargando il confronto con le coeve situazioni tattiche del Veneto pedemontano allo sbocco dei fiumi e con le relative dinamiche signorili e poi comunali. Ma il caso di Bassano ha comunque una sua specificità e complessità. La conferma viene da un minore castello di recente riemerso, un castelletto, che nel Margnano confinava a est direttamente col Brenta. Messo in opera non sai da chi né quando e con quale originaria destinazione d’uso, nella privata disponibilità di personaggi della masnada ezzeliniana e del loro signore nel 1220-1221, a queste date già militarmente depotenziato, di ignota estensione e occupato da sedimi e da un vigneto in affitto, presumibilmente dotato di una propria micro-territorialità («pro Casteleto Margnani cum omnia sua pertinencia et cum tota decima»), era ancora riconoscibile nel 1302. Affacciati sull’acqua, in alto e in basso, distanti in linea d’aria forse non più di 500 metri, di maggiore e minore consistenza, pubblico l’uno e privato l’altro, entrambi efficienti o uno soltanto, si trovavano dunque a Bassano nei decenni d’avvio del XIII secolo - e, verosimilmente, già sul finire del XII - non uno ma due castelli che esercitarono una specifica influenza urbanistica, ciascuno a suo modo[25]. Resta da capire a chi spetti l’iniziativa della costruzione del Castello Superiore. Sarebbero da escludere gli Ezzelini che, provvisti di vaste tenute nell’XI secolo, si imposero come signori del territorio - documentabili come tali nel 1187-1191 - dopo il 1175 e dopo il 1150, a fortezza già eretta. Disponevano, è vero, di «un palazzo sopra la porta del detto castello», riferito dopo la loro scomparsa nel 1262 e ubicato con altro nome nel 1293 «accanto alla porta», a est, ma non direttamente applicato alle mura del recinto, separato da una via, quasi fosse un’aggiunta rispetto a un impianto castellano precedentemente determinato. Questa presenza - un centro di amministrazione stando al nome, che si precisa altresi come residenza fortificata («domus murata et merlata») - non sembra da associare precipuamente al governo del castello perché i potenti signori non vantavano in esso quei diritti di riscossione sull’uso degli spazi interni che non sarebbero sfuggiti all’occhiuta registrazione di confisca del loro patrimonio[26]. Anche la pretesa dei vescovi di Vicenza di una piena titolarità comitale su Bassano e sul castello, pur espressamente reclamata nel 1269 (piuttosto che nel 1260), non pare avere fondamento, mancando di prove pienamente convincenti. La storiografa bassanese Gina Fasoli ha inaugurato l’interessante ipotesi di riportare la fondazione del castello alla decisione di erigerlo di un gruppo di abitanti della zona - di temporaneo rifugio, poco dopo il 900 e col consenso di un qualche signore, secondo l’autrice - i cui eredi o quelli che li sostituirono ne avrebbero perciò disposto a titolo collettivo e in via esclusiva (com’è, in effetti, documentabile dalla metà del XII al XIV secolo).   Ci sono esempi di costruzione di fortezze per accordo privato fra vicini, anche senza una superiore autorizzazione, e la proposta Fasoli (posticipandone la datazione, però) merita attenzione come un possibile schema -da trattare con grande cautela, come meglio vedremo- perché manchiamo di informazioni dirette sulla struttura prima del 1150[27]. Il cosiddetto colle a cui si appone il castello si isola nella convergenza a nord di due orli del terrazzo alluvionale su cui sorge Bassano. È qui l’unico punto da cui la vista, nonché all’intero orizzonte, poteva spingersi in basso verso il Brenta e i suoi passaggi, poi concentrati nel ponte. La difesa perimetrale intorno all’apice si avvantaggiava tatticamente del dirupo di qualche decina di metri che si eleva sul fiume e sulla piana del Margnano mentre nella parte che declinava sul borgo dovette integrarsi, insieme con la cinta, di un fossato a secco e di un contiguo terrapieno ovvero “terraglio”, del quale si prescriveva la ricopertura con arbusti spinosi, di ulteriore ostacolo all’attacco. Distinguendosi da altri di una certa importanza nel Pedemonte, l’impianto bassanese stava appena in alto ma aderiva sostanzialmente all’aperta pianura e all’acqua, con cui immediatamente comunicava. Datate ricognizioni - a partire da quelle del cronista bassanese Mario Sale, nell’ottavo decennio del Seicento - e recenti analisi corroborano l’ipotesi che il castello, non si sa da quando ma fino almeno al 1315, avesse una ben maggiore estensione rispetto all’attuale limite. Il circuito castellano, dilatandosi a sud verso la radice dell’odierno Terraglio - all’incontro, diremmo noi, tra la via Gamba e il vicolo Terraglio - e risalendo in parallelo col margine settentrionale della via Gamba fin verso lo slargo di via Bonamigo, avrebbe da qui puntato a nord, congiungendosi con le «mura vechie» sopra la porta del Margnano (fig.2).

3petoello

2. Delimitazione dell’area originaria del Castello superiore. Si può ipotizzare che il circuito castellano almeno fino al 1315 dovesse dilatarsi a sud dell’odierno Terraglio, tra la via Gamba e il vicolo Terraglio, e risalendo la via Gamba verso lo slargo di via Bonamigo puntasse da qui a nord, congiungendosi con le mura sopra la porta del Margnano.

La prova più ficcante, però, si ricava nel 1410 quando da alquanti decenni il recinto era stato ristretto nel modo che vediamo. In quell’anno alcuni privati avevano in concessione dal comune, per esempio, un lotto inedificato «nella contrada di castelvecchio», «un orto nel vecchio castello» e, in maniera topicamente indubitabile, «una casa murata e coperta di coppi posta in Bassano, nella piazza vecchia, dove c’era la porta del vecchio castello» (ubi fuit porta castri veteris). Da tutto ciò, se così è, derivano rilevanti conseguenze. Nel XII-XIII secolo la porta del castello e la cinta nella quale si inseriva, con l’adiacente palazzo ezzeliniano, non coincidevano con l’attuale ingresso e la coerente cortina indirizzata ad ovest, tipologicamente databili al XIV secolo, perché esse, spostate più a sud insieme con la (vecchia) piazza antistante, si allungavano probabilmente nella fascia compresa fra il margine meridionale dell’odierno Terraglio (piazza Terraglio) e la via Gamba[28]. Manchiamo di indizi per sostenere che la sede pievana di Santa Maria sia stata trasportata da chissà dove dentro la fortificazione. È perciò più credibile che sia stata la chiesa (con qualche casa lì accanto?) ad attirare intorno a sé il castello, piuttosto che il contrario, e dunque che un «incastellamento» della pieve si sia non si sa quando verificato. È possibile che il primo insediamento protetto si caratterizzasse come villaggio fortificato, abitato stabilmente non sai fino a quando e, come parrebbe, abbastanza ampio da contenere (entro l’antico circuito, però) una qualche popolazione[29]. Di più generale interesse per la storia del periodo, saltuariamente segnalati fra il 1209 e il 1261 e fin qui ignorati, si registrano alcuni accenni a un libellus castri o allo ius et honor castri, a cui sottostava il possesso dei sedimi privati all’interno. Il contenuto di questo livello (libellus), non pervenutoci e richiamato nel 1209 e 1218, dovrebbe corrispondere almeno in parte alle regole d’uso e di custodia dell’impianto, poi specificate negli statuti comunali del 1259 e 1295. Non si può escludere che avesse la sua radice in un accordo eventualmente pattuito fra quanti - anche privati, se tali furono - procurarono la costruzione del castello. Ma esso potrebbe equivalere, più da vicino e concretamente, a un contratto di locazione livellaria della struttura alla comunità degli utenti da parte di una qualche autorità - da accertare e, per quanto premesso, verosimilmente diversa dagli Ezzelini e dal vescovo di Vicenza - nel momento in cui anche quello bassanese, come accadeva in altri centri del Veneto, diventava un castello deposito, rilevabile come tale forse già nella seconda metà del XII secolo. La formula honor castri significa anche qui il diritto eminente della fortificazione (quale personalità giuridica), ormai ad essa “territorialmente” connesso e implicante nel proprio ambito un potere, a suo modo, di giurisdizione e di sanzione. Viene citato per la prima e ultima volta nel 1261, in regime di autonomia comunale, e non sappiamo chi all’origine o per trasmissione - fosse la comunità o, piuttosto, una signoria territoriale - ne avesse prima potuto disporre, con i relativi oneri e benefici, in tutto o in parte[30]. Come che sia, nel Duecento (e già da prima) la residenza si era trasferita nel borgo dove si confermava a più vasto campo l’insediamento bassanese. Lo spazio castellano, percorso da vie pubbliche, era occupato da numerose canipe, da quei ripostigli cioè di privata ragione, fatti di legno e alcuni di muro, nei quali i Bassanesi e non loro soltanto depositavano merci, il vino soprattutto, o convenivano per rapporti di affari. Nell’ambito restavano la pieve con l’annesso cimitero e, forse costruita fra il 1259 e il 1293, la chiesetta di San Vittore, la casa ovvero il portico coperto di proprietà del comune e adibito all’espletamento della sua amministrazione e, fino al 1265, l’abitazione del clero che, eccettuando quella dei castellani, fu l’ultima di tipo privato e diversa da una canipa a trovar posto dentro il recinto. Ed erano questi gli altrettanti retaggi di una vita comunitaria, ormai dispersa ma non esaurita, che si era concentrata e poi mantenuta nel microcosmo castellano[31]. Nel XIII secolo l’impianto era militarmente obsoleto e piuttosto simbolo che potenza. Il complesso consiste oggi di due cerchie concentriche intorno al colmo dell’altura, saldate a meridione da una sola muraglia. La cinta più antica, assegnabile materialmente al XII-XIII secolo (senza pregiudizio per una sua anteriore e diversa composizione), è quella esterna che si legge meglio nel settore orientale: rimaneggiata e cimata, priva di torri a filo o in aggetto oppure, nell’attesa di uno scavo, addossate dall’interno. Il muro del castello compare nel 1226 e nel 1236, 1294-1295, 1315; viene sempre riferito al singolare come se il circuito fosse unico e non ancora duplicato. Non è qui possibile svolgere la corposa e problematica analisi sugli elementi e le funzioni del castello nel XIII secolo e sulla guardia - comunale, non professionale, precariamente armata - che vi era adibita. Basta avvertire che finora non sono stati riscontrati gli indubitabili segni documentali o fisici della presenza in esso di un vero e propriamente compiuto dongione signorile[32]. Neppure è dato di considerare il borgo - l’abitato a maglia stretta, all’esterno del castello - in ogni suo aspetto. A parte qualche scandaglio, è ancora da fare una precisa rilevazione morfologica, urbanistica e storica di ciascun settore della città e del rapporto fra l’ordine gerarchico delle strade e gli antichi tipi edilizi con gli eventuali portici, per esempio. Per tali limiti, l’attenzione è piuttosto rivolta ad alcune griglie del coordinamento urbano: le mura in senso proprio, la dinamica degli spazi pubblici e la capacità polarizzante delle strutture eminenti.

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