[1] Sui materiali lapidei del bassanese, sulla loro lavorazione e sui rapporti tra questi e lo specifico lessico di mestiere si vedano F. Sbordone, Materiali edilizi, elementi e tecniche di finitura negli interni bassanesi, in Interni bassanesi, a cura di L. Alberton Vinco Da Sesso, Bassano del Grappa, Tassotti, 1996, pp. 42-44, 52-54, e F. Sbordone, «...ne’ monti di Bassano... si cavano grandissima quantità di pietre vive...». Da Scamozzi a Crivellari: note in margine ad alcune fonti a stampa e manoscritte, tra ‘600 e ‘900, «Bollettino del Museo Civico di Bassano», n. s., 25 (2004), pp. 133-145.

[2]  A. Gaidon, Lettera del Sig. Gaidon al Sig. Brocchi, in Due lettere sopra le produzioni naturali dei contorni di Bassano..., Bassano, s. e., 1793, p. 8.  

[3] Sulla formazione del Gaidon «all’arte di tagliapietra» praticata dal padre Salvatore e dal nonno Antonio, si veda A. Brotto Pastega, Antonio Gaidon. Un professionista ante Litteram dal rilievo mappale al boulevard, Bassano del Grappa, Editrice Artistica Bassano, 2010, pp.3-5.  

[4]  Oltre al passo già citato di Gaidon, si vedano V. Scamozzi, L’idea dell’architettura universale, Venezia 1615, II, pp. 200, 204; G. Viola Zanini, Della architettura, Padova, Bolzetta, 1629, p. 85; A. F. Büsching, Nuova geografia, Venezia, Zatta, 1778, XXIII, p. 42.  

[5]  Ad esempio si vedano, nella chiesa di S. Maria in Colle, l’antipendio dell’altare di S. Gaetano (A. Romanello e B. Fabris, 1681) e, nel pavimento della predella dell’altare del Nome di Gesù (B. Tabacco, 1691-1695), i racemi eseguiti con rimessi di due diversi tipi di pietra rossa.  

[6] Nel nostro lessico dialettale, l’uso dell’accrescitivo sembra attribuire al ridondare di una qualità (il colore, un particolare aspetto etc.) il ruolo di più precisa connotazione della cosa indicata. Così mación significherà “fortemente maculato” o “con macchie molto evidenti”, biancón invece “molto” o “completamente” bianco, ed infine rossón (per cui si veda più avanti) “proprio” o “spiccatamente” rosso.  

[7] «... et alhora bisogna che i maestri habbiino sempre i ferri taglienti, et i martelli con denti bene apuntati, et in fillo, e tenghino la mano più alta... affine che non lievino scaglie, la qual cosa fà bruttissimo vedere.», in Scamozzi, L’idea dell’architettura cit., p. 204.  

[8]  Oltre che nelle facciate della citata chiesa di San Giovanni, l’esteso utilizzo settecentesco del «Berettino» è ad esempio evidente in quelle della sala consiliare del Municipio (con il sottostante porticato, terzo decennio del sec. XVIII), della chiesetta della Madonna del Patrocinio (B. Tabacco, 1722), della chiesa della Beata Vergine della Misericordia (oggi della Beata Giovanna, nella facciata eseguita probabilmente su progetto di Miazzi, settimo decennio del sec. XVIII). Per la pietra viva baretìna più antica si vedano in particolare, nella chiesa di Santa Maria in Colle, le basi delle paraste perimetrali della navata, commissionate nel 1688 e compiute nel 1689.  

[9]  Si veda la voce Beretìn in G. BOERIO, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini, 1856, p. 76, e la voce Berrettino nel Dizionario dei termini e dei materiali, in C. CENNINI, Il libro dell’arte, a cura di F. Frezzato, Vicenza, N. Pozza, 2003, p. 286.    

[10]  In proposito si vedano C. D’Agostino, Atlante dei litotipi, in Scultura in Trentino, Il Seicento e il Settecento, a cura di A. Bacchi, L. Giacomelli, Trento, Provincia autonoma, Università degli studi di Trento, 2003, I, pp. 314-335, e F. SBORDONE, Forma, colore, invenzione. Le pietre degli altari bassanesi tra Seicento e Settecento, «L’illustre bassanese», 112/113 (2008), pp. 18-25.  

[11] Il contratto con il Montin (ASBas, Notai di Bassano, notaio Orazio Navarini, 19 dicembre 1711) è stato pubblicato in M. COLLAVO, Guglielmo Montin “professor d’altari” (Bassano del Grappa, 1680-1745), Università degli studi di Trento, Tesi di laurea in Scienze dei Beni Culturali, rel. A. Bacchi, L. Giacomelli, a.a. 2005-2006, pp. 89-90. Il contratto con il Furegon (ASBas, Notai di Bassano, notaio Iseppo Franchini, 5 dicembre 1723) è segnalato in F. Signori, Storia di Pove e dei povesi, Cittadella, Bertoncello, 1985, p. 207, nota 89.  

[12]  I singolari caratteri cromatici del «rosso e zallo di Lusiana» sono purtroppo offuscati in molte parti da un incauto “restauro” del manufatto, cui si deve in particolare la pesante stuccatura, cromaticamente del tutto impropria, di molti dei rimessi settecenteschi.  

[13] La raccolta, conservata nella sezione petrografica del Museo del Seminario Vescovile di Vicenza, comprende tra l’altro una trentina di campioni lapidei contraddistinti da etichette antiche con l’indicazione manoscritta «S. Giacomo di Lusiana». Si ringrazia qui il responsabile del Museo, don Giuseppe Dalla Costa, per la cortese disponibilità all’accesso ed all’esame dei materiali ora descritti.  

[14] Si veda in proposito G. DAL MONTE, Monografia litologica vicentina. Illustrazione per la raccolta delle pietre naturali della Provincia di Vicenza esposta nella Mostra generale italiana in Torino 1884 dalla Deputazione Provinciale di Vicenza, Vicenza, Longo, 1884, pp. 20, 24.  

[15]  Il «rosso e zallo di Lusiana» può riconoscersi a Santa Maria in Colle nelle paraste e nel fregio del già citato altare del Nome di Gesù; il «Rosson di Lusiana» sembra invece utilizzato nei rimessi (eseguiti a simulazione del Rosso di Franza) dei piedistalli laterali dell’altare della Madonna del Rosario (sempre a Santa Maria in Colle, fine del ‘600), e infine nella chiesa di San Francesco, nei commessi di rivestimento dei basamenti delle colonne centrali, nei finti drappi laterali e nello zoccolo della mensa dell’altare dello Spirito Santo (secondo/terzo decennio del XVIII secolo). 

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