Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

“Il 1848 a Bassano”[76]

Durante la pur breve ‘primavera liberale’[77] gli avvenimenti, veri e supposti, si svolsero a Bassano ad un tale ritmo, e con una tale concitazione, che forse per la prima volta il tempo della storia politica si poté misurare in giorni, e a volte persino in ore. Per comprendere a pieno il clima di quei mesi è importante la testimonianza di alcuni cittadini. Giovanni Battista Baseggio, possidente agiato e uomo di cultura, assurto al posto di assessore solo da qualche anno, da buon uomo d’ordine, legittimista e nemico di qualsiasi sommovimento, redasse una cronaca di quel periodo. Già al sorgere dell’agitazione, il 18 marzo 1848, si evidenziarono le reazioni, e anche i diversi orientamenti, della società civile bassanese di fronte alle scelte poste dalla gravità del momento[78]. Incontrò per primi, quasi sulla soglia di casa, gli entusiasti, coloro che volevano festeggiare il gesto benevolo del monarca e che forse intravedevano la possibilità di un cambiamento guidato dall’alto e senza troppi turbamenti[79]; fu spettatore diretto, e probabilmente intimorito, delle dimostrazioni del «popolo» che, al grido di «viva la italia, viva Pio IX», prese possesso del palcoscenico della piazza e alzò la bandiera cittadina per ora ancora bianca e rossa; riporta per sentito dire che alcuni amanti dell’ordine a tutti i costi, per ripristinare la tranquillità violentemente infranta, si erano recati dal comandante della guarnigione a chiedere invano l’intervento dei militari; descrive l’impotenza sua e dei colleghi assessori che, all’oscuro dei fatti, e privi della guida del podestà, non seppero prendere una posizione di fronte alla grande folla raccolta nei pressi del municipio; ci furono poi coloro che in quei fatti colsero solo un’occasione di divertimento e che, al suono di una banda improvvisata, inneggiarono al comando di piazza croato che aveva rifiutato di prendere le armi contro gli insorti. Nei sessantanove giorni del Quarantotto bassanese questi attori si alternarono sul palcoscenico pubblico e alla gestione del potere cittadino. Col venir meno dell’apparato burocratico austriaco, con la percezione di uno stato di anarchia incipiente, la priorità assoluta dei possidenti fu quella di riportare la quiete e l’ordine sconvolti. Per raggiungere questo scopo si rese necessario ripristinare un’autorità. La situazione si presentò quanto mai incerta, il Governo precedente aveva altri problemi e nemmeno Giuseppe Bombardini, il podestà, rappresenta una scelta percorribile: da austriacante convinto è molto incerto[80] e alla fine, per non aver nulla a che fare col nuovo corso, si ritirò nella «tomba»[81] delle sue case. Si scelse di affiancare alla Congregazione municipale in carica una “giunta” formata da persone notabili. Il nuovo organismo fu composto per più della metà da liberi professionisti, i medici Bartolomeo Tommasoni, Antonio Larber, Ippolito Locatelli e Andrea Navarini, oltre che l’avvocato Valentino Berti[82](fig.8);

8PietroToniolo

8. Pietro Toniolo (documentato nella seconda metà del XIX secolo), Busto di Valentino Berti, 1886. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. S 101. Nel 1848 si scelse di affiancare alla congregazione municipale in carica, una giunta formata da persone notabili, per più della metà da liberi professionisti, tra i quali l’avvocato Valentino Berti.

il resto fu costituito dai commercianti Giovanni Jonoch, Rocco Cantele e Giovanni Freschi. Il presidente fu Luigi Caffo, amministratore di lungo corso, tra i più anziani del consiglio comunale, in quel momento deputato provinciale, ma in passato podestà e deputato centrale, che fino a quel momento nei rapporti di polizia non era apparso se non come un suddito al di sopra di ogni sospetto. Se si esclude quest’ultimo, nessuno aveva avuto fino ad allora esperienze di amministrazione della cosa pubblica. La sera del 20 marzo cominciò la sua attività la guardia civica, l’unico atto concreto di questo organismo, ma in prospettiva di grande importanza. Non a caso, dato che il suo scopo era quello di coadiuvare l’Amministrazione, ancora formalmente in essere, nel mantenimento dell’ordine. Il comando di questo corpo fu affidato al nobile ed ex militare Pietro Stecchini che ne fu anche l’anima, l’organizzatore instancabile. Come successe nella vicina Vicenza, dal quale mutuò l’ordinamento, esso assunse fin da subito un orientamento conservatore, e in qualche modo non aperto alla parte popolare, perché se ne escluse l’iscrizione a chi viveva «di guadagno incerto e momentaneo», mentre se ne incoraggiò quella di «persone possidenti e esercenti professioni liberali, ovvero negozianti di riconosciuta probità, le quali possono provvedersi del proprio l’arme necessaria». Si rimaneva comunque ancora formalmente nel solco della legalità ancora in essere, in quanto la “guardia nazionale” era stata tra le concessioni fatte dall’imperatore ai suoi sudditi. L’insurrezione di Venezia determinò la fine di fatto del regno Lombardo- Veneto e aprì a Bassano una seconda fase, nella quale la Congregazione municipale si fece progressivamente da parte per lasciare il posto ad un nuovo organismo. Il 25 marzo gli assessori e la giunta di Luigi Caffo, definitisi «rappresentanza municipale provvisoria», si riunirono ed elaborarono un ordine del giorno col quale si dava mandato alla civica di deliberare l’adesione alla Repubblica Veneta e di eleggere un presidente e un comitato provvisorio, in seno ad un gruppo di cittadini deciso dal suo comandante Pietro Stecchini. Le elezioni si svolsero lo stesso giorno, «al grido di viva la Repubblica di Venezia, Viva l’Italia». A Giovanni Jonoch e a Rocco Cantele, che rimasero, si aggiunsero elementi nuovi: il commerciante Gaetano Fasoli e l’avvocato Luigi Matteazzi rimpiazzarono rispettivamente i colleghi Freschi e Berti; i medici, tranne Tommasoni, furono sostituiti dall’ingegnere Giovanni Girardello e “dall’artiere” Giovanni Serafin. Tutti furono eletti per acclamazione, tranne Matteazzi che ricevette molti voti contrari. L’armonia del momento fu però turbata dall’esclusione dell’abate Giuseppe Jacopo Ferrazzi[83](fig.9),

9RitrattoJacopoFerrazzi

9. Ritratto di Jacopo Ferrazzi, disegno. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio inv.1515 Protagonista della politica di quegli anni, escluso dalla nuova giunta filo-austrica, divenne ispiratore di un gruppo orientato in senso filo-piemontese.

al quale l’assemblea preferì l’altro abate Giovanni Battista Ferracina[84]. Anche i sostituti erano alla prima esperienza nel campo dell’amministrazione della cosa pubblica. L’unico ad essere più che sperimentato era il solo Luigi Caffo, che rimase al suo posto di presidente, a segnare una continuità col passato asburgico che il resto dei nomi sembra comunque smentire. L’associazione alla neonata repubblica veneta di Daniele Manin avvenne, nonostante i volti nuovi dei prescelti, nel segno del municipalismo del passato[85]. I governanti veneziani si trovarono infatti a respingere prima la richiesta di separazione territoriale di Bassano da Vicenza e poi quella di avere un proprio rappresentante autonomo nella Consulta delle province riunite della Repubblica Veneta, «dato che la Congregazione centrale, dove aveva rappresentanti, è sciolta»[86]. Il prescelto per ricoprire il nuovo incarico, forse è inutile dirlo, fu sempre Luigi Caffo che il 12 aprile, a Venezia, nella prima seduta del nuovo organismo in Palazzo Ducale, si trovò quindi chiamato a rappresentare l’intera provincia vicentina accanto a Valentino Pasini[87] e a Gaetano Sbardelà. In attesa della costituzione, e di una nuova compartimentazione territoriale, il Comitato provvisorio per la città e distretto di Bassano, assunse le funzioni svolte in precedenza dagli organi comunali e da quelli distrettuali, prima fra tutte il prelievo fiscale che ne avrebbe alimentato l’attività. Proprio la carenza delle entrate, anche di quelle derivate dalle contribuzioni private, minò dalle fondamenta la sua azione fino a dividerne le componenti perché senza di esse non si poté approntare una difesa adeguata. Le crepe in seno al comitato, emersero fin dall’inizio con la bocciatura di Ferrazzi, si approfondirono quando a sostituire Luigi Caffo fu chiamato Luigi Matteazzi, la cui nomina era stata molto contrastata da una parte della guardia civica[88]. Con lo scoppio della guerra, il problema principale divenne quello militare, in quanto Bassano, posta all’imbocco della Valsugana, in una posizione strategica, si trovò in una situazione quasi da prima linea. Il primo aprile il comitato provvisorio, dopo aver preso accordi col comandante Sanfermo, diede incarico al conte Giuseppe Roberti di occuparsi del reclutamento dei volontari crociati e il 7 dello stesso mese centoventi di loro partirono per Enego, dove si trovava il quartier generale per la difesa del Canale di Brenta[89]. Nello stesso periodo si formò un altro corpo franco, denominato i «Terrajotti»[90], una guardia armata stipendiata e guidata dal dottor Ippolito Locatelli e da Giovanni Battista Carraro. Con l’intensificarsi degli eventi bellici, la questione della difesa della città diventò più pressante e il comitato fu costretto ad emanare un regolamento che prevedeva per la “guardia nazionale” un’organizzazione che, pur restando provvisoria, preludeva ad un inquadramento gerarchico di stampo militare. Il corpo rinnovato aveva un fine ancora incerto, nel quale prevaleva il mantenimento dell’ordine pubblico su quello della difesa dal nemico, e per di più il comitato tardava a convocarlo[91]. Proprio questo ritardo causò la rottura del fronte che aveva avviato la svolta del 25 marzo, coincidente sostanzialmente con la guardia civica, facendo emergere un altro gruppo orientato in senso più radicalmente antiaustriaco e filo piemontese, potenzialmente alternativo a quello in carica[92]. Ne fu ispiratore soprattutto Giuseppe Jacopo Ferrazzi, che sarebbe stato il cappellano del nuovo corpo franco, assieme ad altri abati come Giuseppe Roberti e Domenico Villa, il futuro arciprete (fig.10).

10RitrattoDomenicoVilla

10. Ritratto di Domenico Villa, acquaforte. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inc. Bass. 1897. Nuovo arciprete. Lui e Giuseppe Jacopo Ferrazzi, seppero con la loro abilità oratoria mobilitare le coscienze e di orientare vasti strati della popolazione in senso filo-piemontese.

Il loro riferimento politico è quello cattolico nazionale, mentre quello operativo è quanto stava succedendo nella vicina Vicenza, dove la difesa aveva preso forme più concrete[93] e dove le posizioni filo sabaude, confluite in un comitato informale il 13 aprile e fatte proprie poi dallo stesso comitato dipartimentale, si erano organizzate il 24 aprile nel circolo dell’Unione italiana[94]. Predicatori esperti, si dimostrarono capaci con la loro abilità oratoria di mobilitare le coscienze e di orientare vasti strati della popolazione, non solo della sua parte più consapevole e avvertita[95]. Fu infatti la folla a tornare protagonista della scena pubblica bassanese e ad obbligare, con una violenta dimostrazione, il comitato a convocare il 3 maggio quella guardia nazionale che il giorno prima aveva proibito[96]. Il nobile Pietro Stecchini di Pietro ne restò formalmente il comandante, affiancato però da Giovanni Vendramini, che era stato come lui ufficiale dell’esercito napoleonico[97]. Da quel momento, incalzato dagli eventi e dall’avanzata delle truppe austriache, il gruppo dirigente prese una posizione più decisa sul versante della difesa militare, recandosi anche a Spresiano per invocare la protezione del generale pontificio Giacomo Durando, poco prima che il nobile Giulio Maello detto Giulietto e il colono di Rosà Pietro Piazza perdessero la vita nello scontro tra i crociati bassanesi e alcuni soldati croati avvenuto a Fastro. Il governo provvisorio bassanese si dimostrò invece ancora esitante sul terreno delle scelte politiche, in merito soprattutto alla decisione di recidere il legame che lo univa alla repubblica di Manin e di procedere all’unione con gli “Stati sardi”. Incertezza che si ritrova comunque, e non poteva essere altrimenti, anche tra il Governo provvisorio veneziano e i rappresentanti della terraferma a Venezia, i quali pur convenendo con la necessità dell’unione pensano di rinviarla a guerra finita[98]. Molto più decisi invece i cinque comitati provvisori dipartimentali della terraferma che il 29 aprile deliberarono a Padova di «essere e mantenersi indivise dalle Provincie Lombarde»[99]. Così, se il Comitato vicentino decise autonomamente, sulla scia del Governo lombardo, di procedere il 16 maggio ad un referendum[100], il Comitato bassanese si mosse con molta più prudenza e, per invitare i cittadini al voto, aspettò il primo giugno. Lo stesso giorno nel quale il Comitato Provvisorio Dipartimentale di Vicenza, dopo aver espletato le operazioni di voto con relativa rapidità[101] e aver provveduto allo «spoglio dei registri istituiti nelle parrocchie della città e provincia», rese noti i risultati del plebiscito[102]. Troppo tardi, comunque, probabilmente per portare a termine le operazioni elettorali, perché pochi giorni dopo l’esercito austriaco entrò a Bassano e riportò, nelle parole del già citato assessore Baseggio, «l’ordine dopo tanti trambusti»[103].     

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